Crossover
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Autore: Registe    20/08/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 20 - Axel (V)





Axel





Quattro bracieri erano accesi ai lati della stanza.
Axel percepì il piacere del fuoco non appena aprì il portone, ma una seconda sensazione, più acre, lo prese allo stomaco.
I suoi stivali camminarono su qualcosa di appiccicoso. Guardò verso il basso, ma ciò che vide non fu altro che una disgustosa conferma dell’odore forte che lo aveva accolto.
L’intero pavimento era una pozza di fluido rosso. E, abbandonata al centro, vi era una figura accartocciata su se stessa.
Un ragazzo era completamente riverso nel suo stesso sangue; Axel lo osservò con diffidenza, ignorando le proteste del proprio stomaco che lo supplicava di voltarsi e rimettere tutto. Si avvicinò al corpo, circospetto, cercando di trovare un flebile respiro, un qualsiasi cenno di vita, ma non arrivò nulla del genere.
Qualunque cosa avesse ucciso quel ragazzo non era nulla che conoscesse. Lo squarcio nel petto non era certo opera di una spada o di un coltello, bensì di qualcosa di più ampio e irregolare, un’arma che gli aveva fracassato la gabbia toracica prima di attraversarlo da parte a parte. Di certo non era stato un chackram.
Il pensiero lo rassicurò.
“Qualcuno che conosci?”
Il suo accompagnatore era rimasto vicino alla porta, ancora una volta immerso nel proprio silenzio.
Axel osservò il viso del ragazzo: aveva tredici, forse quattordici anni, con i tratti da bambino che si mescolavano con i lineamenti marcati che sarebbero potuti appartenere a qualcuno di più grande. I capelli, in origine castani, erano diventati quasi neri al contatto prolungato con il sangue; dalla sua altezza non riusciva a vedere il colore degli occhi. Avrebbe potuto chinarsi, ma rimase immobile senza però riuscire a staccare del tutto lo sguardo: lo prese un inaspettato senso di disagio, diverso dal disgusto per quel corpo martoriato. Una sensazione che non lo aveva mai sfiorato nemmeno davanti a tutti quei corpi trucidati, accoltellati o inceneriti che aveva incontrato lungo il percorso. Cercò di giustificarlo cercando sul ragazzo qualcosa che potesse essergli familiare, ma dopo brevi istanti scosse la testa. “No. Mai visto primo d’ora. E se sei ancora convinto che anche questo sarà un giorno opera mia …”
Portò con calma il primo stivale fuori dalla pozza “… fidati, non succederà. Non ammazzo bambini. Né adesso né tra mille anni, quindi mettiti l’animo in pace ed inizia a farmi uscire da qui. Se questo è il mio crocevia, o come lo chiami tu … beh, fa davvero vomitare”.
“Ma questa situazione cade comunque sulle tue spalle. Che ti piaccia o no”.
“Ancora con questa storia … il futuro non è scritto, lo sanno anche i mocciosi”.
 
Narratore: “Registe, posso interrompere questa scena struggente per fare un commento?”
Registe: “No”.
Narratore: “Mi dispiace, troppo tardi. Comunque ci tengo a precisare che il futuro non è scritto perché figuriamoci se queste due scansafatiche hanno messo tutto nero su bianco con così tanto anticipo. Però c’è da dire che i tratti salienti li hanno in mente, quindi io credo che Axel stia facendo male i suoi calcoli”.
Registe: “Narratore, rientra nei ranghi!”
 
Gli ci vollero più secondi per allontanare lo sguardo. La sensazione di disagio, però, continuava a crescere. “Fammi tornare indietro”.
“Nemmeno io posso sapere come arriverai a questo punto, Lea. Ma le Stanze della Memoria sono pensate per non mentire mai”.
Furono quelle parole a scuotere il n. VIII. Sollevò la testa, dimenticandosi per un istante del ragazzo, e fissò di nuovo lo sconosciuto.
“Cosa c’entrano le Stanze della Memoria?”
“Ci sei dentro”.
Non si era mai preoccupato della questione, ma aveva sentito fin troppe volte il Superiore ripetere fino a distruggersi le corde vocali –in quelle litigate con il n. IV che si sentivano a tre piani di distanza- che le Stanze della Memoria erano qualcosa di pericoloso. Per carità, il n. I negli ultimi tempi aveva paura anche della propria ombra, ma il fatto che i Sigilli sulle Stanze esistessero già da tempo immemore gli era sembrata tutto sommato una cosa naturale. L’idea di essere ancora dentro il Castello lo risollevò, anche se non quanto avrebbe voluto. L’odore del sangue ormai gli era arrivato persino nel cervello. “Come ci sono entrato?”
“Sei stato invitato”.
“Da te?”
Aveva attraversato un intero monastero ed aveva scalato tantissime rampe di scale. Nulla di ciò poteva essere contenuto in una singola stanza, men che mai cose che sarebbero dovute rimanere sepolte nel suo passato. Il terrore di non essere in un incubo ma in qualcosa di vero gli mosse le gambe, sospingendole fino alla porta. La sua guida era a metà dell’uscita; non si mosse per bloccarlo, ma il n. VIII si ritrovò proprio di fronte a lui nel tentativo di portarsi fuori di lì. Avrebbe dato una mano per vedere chi diamine ci fosse sotto quell’elmo da cui proveniva quella voce quasi senz’anima. “Diciamo di sì. Avevo bisogno di conoscerti meglio, Lea. E posso definirmi soddisfatto”.
Axel si accorse che le proprie gambe tremavano. “Credi che questa lunga lista di cadaveri ti permetta di saperne di più su di me? Sei fuori strada”.
“Del tuo futuro lontano non mi importa gran che. Del prossimo, invece … confido che farai la scelta giusta”
“Giusta … per chi? E cosa pensi che farò? Smettila di parlare per enigmi!”
“Hai bisogno di più forza, Lea”
La voce si era fatta più cupa. L’uomo, per la prima volta da quando aveva messo piede in quella stanza, girò l’elmo verso il corpo senza vita. “Qualunque cosa ti attenda nel futuro, ricordati che potresti essere troppo debole per fronteggiarla. E la debolezza è il principio della fine … della tua e di chi ti verrà troppo vicino. Non dimenticarlo quando uscirai di qui. Quando sarà il momento dell’Invocazione Suprema”.
La testa era ormai sul procinto di esplodergli.
L’unica cosa che continuava a martellargli il cranio era il bisogno disperato di mettere piede fuori da quella stanza che puzzava di sangue e lasciarsi indietro quel guerriero. Persino l’idea di rivedere il muso di Saïx sembrava piacevole.
Se si trovava ancora all’interno del Castello sarebbe riuscito prima o poi a trovare un’uscita.
Senza neanche rispondergli prese il coraggio a quattro mani ed uscì dalla stanza con un solo passo, ma ciò che vide gli fece morire in gola qualsiasi pensiero.
Il corridoio, prima quasi vuoto, era pieno di cadaveri.
Erano ammassati uno sull’altro, impilati come sacchi, alcuni decapitati, altri carbonizzati e dalle fattezze irriconoscibili, più di una dozzina pendevano impiccati ai lampadari. I corpi di due bambini erano stati tranciati a metà, e le loro interiora erano sparse proprio davanti ai suoi stivali. Volti delle razze più disparate sembravano fissarlo, umani e creature che non aveva mai visto in vita sua erano raggruppati in quel carnaio senza alcuna distinzione, ammassati fin dove il suo sguardo potesse vedere. Delle due statue all’ingresso della stanza, quella del guerriero era stata scaraventata a terra, sporca del sangue delle vittime. Axel avrebbe rivolto lo sguardo indietro ben volentieri, ma un particolare costrinse i suoi occhi a rimanere inchiodati a quel massacro.
Una figura era fuori posto, l’unico essere umano vivo in mezzo alla morte. I suoi occhi azzurri erano spalancati dall’orrore.
“Axel … che cosa sta succedendo qui?”
La voce rotta dal pianto fece capire al n. VIII che il Roxas in piedi davanti a lui non era affatto un’illusione delle Stanze della Memoria.
 
Non fu in grado di quantificare quanto tempo rimase in quella posizione. I suoi occhi vagavano da Roxas alla pila di corpi, poi di nuovo a lui per tornare sul corridoio e sulle finestre tinte di rosso da cui anche la luce faticava a passare. Si resse allo stipite, le gambe che avevano ripreso a cedergli. Sarebbe svenuto più che volentieri, ma con Roxas in mezzo a quel massacro non poteva concedersi quel lusso. Riprese abbastanza fiato da rispondergli, ma un’altra voce interruppe il suo pensiero.
“Non ricordo di aver invitato nessun altro”.
Il suo accompagnatore uscì dalla stanza, portandosi con un solo passo accanto a lui. “Come sei entrato?”
Il ragazzo, già chiaramente in preda al panico, si fece ancora più piccolo e si segnò la fronte.
Un paio di anni nel Castello dell’Oblio erano riusciti a impedirgli di nominare gli dèi ed i santi ad ogni singola affermazione, ma non certo a levargli quei gesti radicati nel profondo del suo piccolo animo religioso. E suddetto piccolo animo religioso, osservò Axel, stava per andare in crisi alla vista di quel carnaio. Il tono minaccioso della guida d’altro canto non migliorava la questione.
“I … io ero in cucina con Demyx. Stavamo lavando i piatti e poi … e poi … ti giuro, Axel, ero lì fino ad un secondo fa!”
“Roxas, tranquillo”
Il n. VIII si accorse che non vi era assolutamente nulla di rassicurante nella propria voce. “Adesso usciamo di qui”.
“Nessuno può entrare senza invito. A meno che … a meno che non sia stata lei a farti entrare”.
Axel aveva smesso di capirci anche la benché minima cosa. Oltre al fatto di trovarsi per magia dentro le famose Stanze della Memoria tutto sembrava sfuggirgli di mano: all’improvviso il lungo viaggio fatto meno di qualche minuto prima iniziò a sembrargli una traversata persino ragionevole.
L’uomo in armatura fece un altro passo in direzione del n. XIII “E, se ti ha convocato lei, direi di concludere subito la questione”.
Qualcosa di nero gli avvolse il braccio destro, una versione in miniatura dei portali oscuri del Castello. Gli corse dalla spalla alla mano, e l’attimo dopo il guerriero impugno l’arma più strana che Axel avesse mai visto in vita sua.
 
Narratore: “Detto da uno che usa dei chackram e che vive in un Castello insieme a gente che impugna claymore, asce giganti, sei lance e delle carte potete capire da voi quanto la cosa sia assurda”.
 
La cosa idiota era che sembrava la versione deforme e gigante di una chiave. L’impugnatura, di colore azzurro, cozzava con l’armatura di bronzo e l’asta dell’arma, anch’essa di un marrone che, alla poca luce del corridoio, assumeva delle tinte rossastre. Vi era qualcosa di ridicolo nella forma di quell’arma, a parte il fatto che l’estremità aveva tre intagli per lato chiaramente appuntiti e l’intero oggetto sembrava abbastanza pesante da fracassare il cranio di chiunque con un solo colpo. L’uomo la maneggiava con la stessa disinvoltura con cui Lexaeus scuoteva a terra la propria arma.
Roxas, a quella vista, mandò un grido e fece due passi indietro, ma per poco non inciampò nei cadaveri.
Axel capì di non avere molta scelta.
“Senti, già il fatto che mi hai portato in questa specie di cimitero non ti fa proprio rientrare nelle mie simpatie …” disse cercando di sembrare più deciso di quanto fosse in realtà “… ma se fai un altro passo verso di lui giuro che quell’armatura del cazzo te la faccio fondere addosso. Vedi tu”.
L’altro si fermò, probabilmente a ponderare. “La tua questione è risolta, Lea. Rimuovo questo parassita e ti conduco subito all’uscita”.
“Ho capito l’antifona”.
Il n. VIII sospirò, sapendo che le cose non avrebbero preso una buona piega. Roxas era del tutto incapace con qualsiasi arma: il Superiore riteneva che fosse ancora troppo giovane per manovrare spade, coltelli o affini –l’unica decisione sensata che Axel avesse mai sentito dalle labbra del n. I- e quindi il n. XIII, oltre a qualche esercizio di corse e flessioni per irrobustirsi, non aveva la più pallida idea di come gestire un nemico armato di tutto punto.
O, per essere più precisi, il capo aveva dato l’ordine tassativo che Roxas non andasse mai in missione da solo e che spettasse ai suoi compagni il compito di difenderlo.
Ma Axel lo avrebbe fatto lo stesso, ordini del Superiore o meno.
Una lingua di fuoco saettò proprio sui cadaveri, frapponendosi tra Roxas ed il suo assalitore. “Volevi conoscermi meglio? Vedi di non farmi incazzare … se ci tieni a non essere fatto arrosto!”
“Lo terrò a mente, non temere …”
Gli bastò un solo movimento del braccio.
L’arma emise un secondo bagliore, più intenso, che per un istante Axel attribuì al riflesso delle fiamme. Ma il bagliore aumentò, e quando il n. VIII sentì il richiamo della magia scatenato dal suo avversario riuscì a tenere saldo il muro di fuoco solo per un paio di secondi prima che la strana arma saettasse in mezzo alla barriera magica e la dissolvesse con un solo fendente in un’esplosione di scintille e corpi carbonizzati. Niente incantesimi di acqua o di vento, solo una forte, aggressiva magia primordiale.
Mulinò ancora la chiave gigante, e ad ogni fendente anche le scintille più piccole svanirono senza lasciare traccia; quando l’ultimo colpo impattò a terra della sua barriera di fuoco non rimase nemmeno un pugno di cenere volante. “ … ma, come ti ho detto, sei troppo debole”.
Prima che potesse di nuovo avvicinarsi al ragazzo, Axel si fece avanti. Non c’era un pelo del suo corpo che non gli gridasse di girare i tacchi e farsi da parte, ma aspettò che la chiave si muovesse in avanti per saettare nella sua direzione, intrecciandone gli intagli con uno dei suoi chackram; l’arma per poco non gli colpì le dita.
Il peso dell’avversario lo spiazzò.
Axel non si era mai considerato forte, ed il suo fisico minuto non lo aveva mai aiutato in qualsiasi occasione in cui fosse la forza bruta a primeggiare. Grazie agli insegnamenti di Xaldin era però diventato piuttosto bravo a deflettere un attacco particolarmente potente per sbilanciare l’avversario a proprio favore, ma quando provò a flettere l’arma contro la parete subì l’effetto opposto: un secondo lampo nero corse ancora sull’avambraccio nemico, e prima che Axel potesse allontanarsi da lì trovò la propria arma imbrigliata nell’altra.
La magia lo attraversò dalla punta delle dita, arrivando fino al cuore. Per il dolore perse la presa su entrambi i chackram, ma non ebbe nemmeno il tempo di abbassarsi per tentare di riprenderli: si chinò giusto in tempo per evitare che la chiave gli spaccasse di netto il cranio, però la sua spalla prese l’impatto. Cadde a faccia in giù, in mezzo ai cadaveri, proprio al fianco di Roxas: il ragazzo era paralizzato dal terrore, e poteva solo ringraziare che non fosse già svenuto.
Dove diamine è Saïx quando serve?
La magia oscura attraversò il loro avversario una terza volta, ricoprendogli quasi tutta l’armatura. Axel vide Roxas annaspare in cerca d’aria, reagendo alla presenza dell’elemento opposto al suo. Si obbligò a rimettersi in piedi, sentendo il dolore della ferita al cranio non ancora rimarginata unirsi a quello della spalla; richiamò i chackram a sé, ma gli sembravano pesanti come macigni.
Quando l’uomo misterioso si trovò a soli tre passi da lui creò una barriera di fiamme nei limiti delle proprie forze, eppure l’altro le superò con una sola falcata, entrando dritto nel suo spazio vitale con la chiave puntata contro il n. XIII.
Fu in quel momento che una luce accecante riempì di bianco tutto il suo campo visivo.
Impiegò diversi secondi a trovare il coraggio di riaprirli, e fu felice di notare che anche il suo avversario non si era mosso, inchiodato a terra davanti alla massa candida e luminosa che sfavillava proprio davanti a lui. Era una luce innaturale, fredda, screziata di minuscole scintille che vi volteggiavano intorno rendendolo incapace di accorgersi di qualsiasi altra cosa che non fosse quel bagliore. Ricordava i portali oscuri del Castello dell’Oblio, ma questo era candido come la neve, sebbene non fosse l’unica cosa fuori posto in quella stanza.
Nelle mani di Roxas, infatti, erano comparse due chiavi giganti. Una bianca, quasi striata d’argento, ed una nera come la notte.
Entrambe si riflettevano nello sguardo carico di terrore del ragazzo, che le impugnava con le braccia tese fino allo spasmo, chiaramente incapace di capire cosa stesse succedendo. Era pallido, sudato, e qualunque cosa stesse facendo stava velocemente prosciugando tutte le sue forze; era ovvio che quelle strane chiavi fossero responsabili dell’apertura del nuovo portale, ma Axel capì che non era il momento di dedicarsi ai dettagli tecnici.
Vide il loro avversario riprendersi dalla sorpresa: seppur con lentezza, l’uomo corazzato si rialzò. Il n. VIII era certo che, sotto quell’elmo, gli occhi puntati verso il portale fossero pieni di dubbio. O rabbia.
“Come al solito” mormorò “Intervieni sempre al momento sbagliato!”
A chiunque fosse rivolta questa affermazione, Axel non ne era poi così interessato. Vi era una sola cosa da fare, e chiaramente avrebbe dovuto occuparsene lui.
Il loro avversario scattò di nuovo con l’arma in pugno, dritto verso Roxas, ma Axel gli lanciò un chackram addosso. Non servì a molto, ma gli diede il tempo sufficiente di scattare in avanti ed afferrare il n. XIII, con quelle strane chiavi ancora saldamente inchiodate ai palmi, e scaraventarlo in avanti verso la via di fuga con tutta la forza che aveva in corpo. Non era certo di dove conducesse quel passaggio, ma aveva un buon presentimento.
Prima di tuffarsi a sua volta si girò verso colui che era stato la sua guida, immobile come se fosse bastata l’assenza di Roxas a placare del tutto la sua furia. Erano ancora nelle Stanze della Memoria, in mezzo a quella carneficina non più distinguibile, e per un attimo sentì dentro di sé quella strana angoscia che lo aveva attraversato, quel senso di oppressione che il corpo martoriato di quel bambino senza nome gli aveva lasciato dentro.
“Il crocevia ti sta aspettando, Lea”.
Nonostante il tono profondo, al mago di fuoco parve di sentire un filo di ironia in quelle parole. “Ti aspetto all’Invocazione Suprema”.
Prima che l’uomo potesse ripensarci, però, Axel si era già tuffato nel portale.
 
Ci fu un click.
Uno solo, ma abbastanza forte da entrargli nel cervello.
Lo stesso rumore di una chiave che gira nella toppa, o di una serratura che viene sigillata.
Il suono si impossessò delle orecchie di Axel non appena i suoi piedi trovarono il bianco e familiare pavimento del Castello dell’Oblio. Scivolò fuori dal corridoio di luce con l’unico pensiero di mettersi in salvo, e davanti a lui vi era Roxas, ancora con quelle chiavi sproporzionate in mano puntate proprio nella sua direzione.
Ad un nuovo, più potente scintillio delle armi, il portale si chiuse di scatto.
Axel si trovò a fissare di nuovo i battenti delle Stanze della Memoria dall’esterno, i Sigilli ripristinati come non fossero mai stati rimossi. La testa gli girava come dopo la peggiore delle sbornie, e ci mise qualche istante a mettere a fuoco le figure sbalordite che stavano fissando lui ed il suo amico.
Xigbar stava osservando Roxas più o meno come si avesse visto il Cavaliere del Drago in persona. Il n. VI era in un angolo, contorto come se qualcosa lo avesse appena colpito in pieno petto, ed accanto a lui il n. IV stava facendo correre velocemente lo sguardo dal ragazzo a Roxas.
Poi apparve il n. I e, non appena i suoi occhi gialli si poggiarono sulle chiavi, il Radigata impallidì come se avesse visto un fantasma.
  
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