Non sapevo che cosa fosse l'amore.
O per lo meno, era quello che credevo. Non ebbi relazioni tali da farmelo pensare e soprattutto provare.
Nonostante questo, provai sentimenti dolci verso il gentil sesso, e trovai in loro un riparo quando non sapevo dove andare. La donna non era la mia
valvola di sfogo, bensì il mio piccolo paradiso terrestre dove sentirmi
me stesso.
Leggevo Fiesta di
Hemingway, quando Adeline posò i suoi occhi scuri su di me. Mi guardò
intensamente per qualche istante, prima di pronunciare le fatidiche
parole, le quali mi lasciarono con l'amaro in bocca.
«Quando
arriviamo, mi devi accompagnare da Perry. Ha detto che ha una sorpresa
importante per me» disse, cercando di mascherare un sorriso sornione.
Odiavo quando cominciava un discorso tirando in mezzo quello zimbello.
Non
stavano ancora insieme. Perry ci aveva provato con lei per settimane
prima dell'inizio delle vacanze, ma Adeline era troppo impegnata con
gli esami universitari da accettare l'appuntamento del capitano della
squadra di soccer. Ma, ovviamente, appena pensavo che la loro relazione fosse
finita ancor prima di nascere, la mattina della vigilia di Natale,
Perry, si presentò sotto casa Morgan con un mazzo di fiori e una
macchina lucida di zecca. Ella si sentì in dovere di accettare. Si era
fatto mille miglia per chiederle un appuntamento e lei cedette subito,
come una falena attirata da una fioca luce.
«È
il tuo ragazzo, ancora hai paura di passare del tempo con lui?»
sbuffai, muovendo le gambe e facendo scivolare giù la sua mano. Non
sopportavo quel tocco, il suo. Stringerle la mano
era più intimo di
quanto lei pensasse, e non potevo farlo quando mi parlava di un altro.
Non perché non volessi, ma perché non ci riuscivo: era pur sempre un
gesto romantico, che lo facevo perché mi sentivo in dovere di farlo con
lei.
«Chase,
lo sai che non stiamo
insieme» ribatté, corrucciandosi. Le sue folte ciglia brune si
abbassarono, a guardare le sue mani scialbe.
Roteai
gli occhi al cielo, spostando lo sguardo da lei al paesaggio invernale
che scorreva sotto i nostri occhi. Odiavo chiunque mi mentisse. Per di
più, se era lei a farlo. «Allora, se non state ancora insieme, cosa
siete?»
Adeline
sospirò, prima di prendere con due dita il mio mento e girarmi verso il
suo viso. «Perry è un ragazzo fantastico, Chase. Credo che voi due
insieme andreste d'accordo.»
«Come
fai a dirlo?»
Sorrise,
spostando un ciuffo ribelle dalla mia fronte. «Lo so perché anche tu
sei un ragazzo fantastico.»
Mi
scaldarono le sue parole, e il vetro freddo del finestrino diventò
inspiegabilmente meno fastidioso contro la mia guancia. Adeline era
candida come la fioca neve che si posava sul terreno, abbracciando la
vegetazione, scaldandola dai geloni invernali, proteggendola dalle
intemperie. Lei era così pura, così maledettamente inavvicinabile
a me.
Cercai
di scacciare quel senso di malinconia che si era instaurato tra le mie
membra, e provai a pensare ad altro. Presi le cuffiette e continuai a
perdermi tra i miei pensieri, mentre Adeline parlava animatamente con
Lexi. Sentivo le parole, ma avevo la sensazione di non
capirle.
Adeline
era carismatica. Diceva di essere innamorata della vita, che niente
andava male nel suo mondo e che se qualcosa non sarebbe andato per il
verso giusto, lei lo avrebbe comunque superato. Aveva un sorriso
stupendo, era talmente grande che mi chiedevo come facesse ad allargare
così tanto la bocca. Così la continuai ad osservare per il restante
tempo passato in autobus; guardai come i suoi capelli mossi le
accarezzassero dolcemente il petto, come i suoi occhi zampettassero da
un viso all'altro in cerca di qualche faccia familiare. Non mi sarei
mai e poi mai immaginato che quello fosse il nostro ultimo viaggio
assieme.
La
portai a Ottawa da mia madre e il mio patrigno, all'inizio era restia
sul venire o no con me - credeva di essere d'intralcio - ma riuscii a
convincerla. Non volevo andare in Canada da solo, non perché avessi
paura, ma perché lì non conoscevo nessuno ed avevo un po' di problemi
con la lingua. Fu tutto così stupendo. Le insegnai a giocare ad Hockey,
pattinammo sui fiumi ghiacciati in piena notte, andammo a caccia nei
boschi, le feci vedere quanto può essere bella una cascata al tramonto;
le diedi tutto quello che avevo, non chiesi niente in cambio.
Lei
era audace. Se le dicevi di non fare una cosa stanne pur certo che
l'avrebbe fatto. E questo, ovviamente, ebbe le sue conseguenze. Sorrisi, pensandoci. Stavamo
attraversando un torrente in via di congelamento e lei non mi aveva
ascoltato; le dissi di calzare degli scarponi da trekking, ma si era
messa su delle semplici sneakers.
«Tranquillo
Chase, so quello che faccio.»
Appoggiò
male un piede su una roccia e scivolò; cascò di sedere dentro l'acqua
ghiacciata. Ricordo che rise, rise tanto da piangere nonostante stesse
congelando. Si slogò una caviglia e la portammo in ospedale.
Adeline
era fatta così, grazie a lei imparai ad apprezzare le piccole cose.
Diventai quasi la sua ombra: senza lei non ero più io. Mi cambiò in
meglio. Ero diventato un uomo; mettevo al primo
posto, per la
prima volta, gli altri e non io. Prendevo le decisioni in comune con
lei, non pensai più a me
stesso,
come fulcro centrale della mia vita. Ero
responsabile, protettivo; mi aveva cambiato radicalmente nell'uomo che
avevo sempre sognato di diventare. Le dovevo tutto.
Ad
ogni modo, ero abbastanza convinto che la mia ultima diapositiva sul Enterobius
Vermicularis fosse
grandiosa, finché Ashton Paul non piombò in camera mia staccando la
presa del computer. Mi prudevano le mani e mi chiesi che avessi fatto
di male nella vita per avere un compagno di stanza così stupido.
Nonostante il mio sguardo collerico, Ashton sembrava poco turbato e
continuava a picchiare sulla mia spalla cercando di ottenere la mia
attenzione. Fui costretto a mettermi l'anima in pace e ascoltarlo.
«Cosa
vuoi?» pronunciai, poco convinto, guardandolo di traverso.
Ashton
si aprì in un sorriso, mostrando tutti e trentatré i denti. «Io e te,
amico mio, siamo stati invitati alla festa dell'anno,» si bloccò per un
secondo e si alzò in piedi, spalancando le braccia «ma che dico anno,
questa è la festa del millennio.»
Alzai
gli occhi al cielo, poco convinto. Non amavo particolarmente le feste.
Non ci trovavo nulla di divertente nell'ubriacarsi e nel tornare a casa
con un disperato bisogno di rigettare. Per di più, al contrario di
quanto si pensasse, le feste non erano un modo per conoscere gente
nuova, anzi, era del tutto impossibile portare avanti un discorso in
mezzo a quel baccano. «E quando sarebbe questa festa?» domandai, per
renderlo partecipe della mia svogliatezza.
Non
ci andavo per rimorchiare, non l'avevo mai fatto. E non avrei di certo
cominciato ora. Preferivo qualcosa di più intimo, di più silenzioso.
«Questa
sera, a casa di Derek.»
Sgranai
gli occhi e scossi la testa. «Impossibile. Questa sera sono già
impegnato.»
Ashton
sbuffò spazientito e mi strattonò un braccio. Era ormai una settimana
che gli davo buca, e sapevo bene quanto ci rimanesse male, ma non erano
posti fatti per me. «Oh ti prego, hai qualcosa di meglio da fare che
passare il tempo con il tuo miglior amico?» Pregò, portandosi le mani
unite al petto.
«Sì,
dato che devo portare fuori Adeline.»
Ashton
si sedette sulla sedia girevole e si portò le ginocchia al petto. «Dio
mio Chase, lascia quella povera ragazza sola, per una sera, col suo
fidanzato. Lo sai amico, lei non è tua, non puoi pressarla così tanto»
aggiunse, guardandomi con sguardo supplichevole. Nei suoi occhi, però,
potevo notare anche un lieve accenno di dispiacere. Sapevo bene a cosa
stesse pensando.
Un
inspiegabile fastidio allo stomaco si propagò in tutto il mio corpo,
appena accennò il nome di Perry. Lui e Adeline si erano fidanzati
appena ritornammo al campus. Lei era così felice, quando me lo venne a
dire aveva le lacrime agli occhi e tanti morsi sparsi sul collo. Io, al
contrario, ero un calderone di gelosia. Ma, insomma, che altro avrei
potuto fare? Se io e lei non stavamo ancora insieme, pur motivo c'era.
Così,
Ashton mi convinse qualche minuto dopo. Ero abbastanza credulone, e
appena mi disse che mi avrebbe pagato per un mese tutte le pizze,
accettai. Palese dire che quelle pizze non arrivarono mai alla mia
bocca. Mi convinse di mettere il costume da bagno, un paio di bermuda e
una camicia semplice bianca, sbottonata, che faceva intravedere i peli
sul petto. Mi lanciò ai piedi anche un paio di infradito, consunte,
scollate.
«Facciamo
a gara chi è più vagabondo?» domandai, sistemandomi i polsini della
camicia. Mi sentivo un'idiota vestito così a gennaio. Sembrava stessimo
per partire per le Hawaii.
«A
casa sua si muore di caldo» si giustificò.
Roteai
gli occhi al soffitto e tirai la tendina della finestra. «E fuori,
invece, nevica.»
Ashton
sbuffò e mi lanciò le chiavi dell'auto e il portafoglio. «Guida te, io
non ho voglia.» E con questo uscì, sbattendo la porta.
Aveva
sempre la meglio su di me, pur non avessi voglia di andarci. Ashton era
così, e sapevo che senza di lui non sarei andato da nessuna parte. Ci
conoscevamo da così poco tempo, ma nutrivo molto affetto verso quel
ragazzo. Ci incontrammo la prima volta nell'aula magna del campus, io
ero al mio primo giorno, mentre lui era uno dei tanti accompagnatori.
Parlammo quel poco che potevamo: io troppo attento alle spiegazioni,
lui troppo indaffarato a rispondere alle domande che gli poneva la
gente. Non avrei mai e poi mai pensato che me lo sarei ritrovato in
camera, ed infine, come migliore amico.
Quando
dissi ad Adeline che non potevo uscire con lei, all'inizio, non sembrò
così dispiaciuta. E la cosa, debbo ammettere, mi diede abbastanza
fastidio. Potevo immaginare i suoi piani alternativi.
Nonostante
questo, la sua vena ironica non tardò ad arrivare. «Pensavo tu fossi
astemio e allergico al genere femminile» annunciò dall'altra parte
della cornetta, appena le diedi la notizia.
«Pensavo
tu volessi perdere la verginità dopo il matrimonio.»
Normalmente
non le rispondevo male, non le mancavo di rispetto, bensì lasciavo
perdere.
«Scusami,»
Adeline borbottò.
La
cosa mi piacque parecchio. Un certo effetto su lei sapevo benissimo di
averlo. Sorrisi beatamente e mi torturai le labbra,
rimangiandomi quello che stavo per dire. Decisi che l'avrei torturata
ancora un po'.
«Come
prego? Che cosa hai detto?» Feci finta di niente per farglielo ripetere.
Sbuffò.
«Ho detto mi dispiace, Chase. Non fare il prezioso» annunciò a denti
stretti.
Risi,
e mi beccai da lei un insulto alquanto sgradito. Lei non capiva, e
sapevo che ormai era troppo tardi per dirglielo. Odiavo Perry con ogni
parte del mio corpo, ma vederla felice mi rendeva incapace di parlare:
le avrei rovinato la vita.
Lasciai
che qualche secondo lo occupasse il silenzio e ripresi la cornetta,
portandomela all'orecchio. «Senti, ti va di andare ad una festa con me?»
«Mi
stai chiedendo di accompagnarti, Chase?»
«Insomma,
se ti va... mi piacerebbe, ci terrei che tu venissi,» borbogliai,
grattandomi la testa imbarazzato.
Ghignò,
facendomi sprofondare ancora di più nell'imbarazzo. «Passami a prendere
tra quaranta minuti.»
Adeline
era molto fiscale: un orologio svizzero. Mi preparai in fretta e furia,
indossando una camicia bianca, un paio di jeans neri e le Converse.
Ashton mi disse che così sarei passato inosservato, ma sinceramente non
avevo affatto voglia di farmi vedere dagli altri compagni di corso. Ci
andavo solo per lui, ora un po' meno svogliatamente.
Mi
lavai i denti e mi guardai allo specchio. Non mi ero mai piaciuto
granché. Ero troppo alto, troppo magro, i capelli erano castani, gli
occhi marroni: non avevo nulla di particolare, non avevo nessun segno
che mi distinguesse dagli altri. Mi sentivo inutile, inespressivo,
senza colori. Lei non avrebbe mai perso la testa per me.
Presi
le chiavi ed una giacca al volo. Chiamai Ashton ed insieme partimmo.
Il
tragitto era corto, ma quella sera una marea di macchine era in strada,
ed impiegammo più tempo del previsto. Quando arrivammo, lei ci stava
già aspettando fuori, sotto il portico, stretta in una giacca scura.
Suonai il clacson ed aspettai che corresse verso di noi.
Scesi
dalla macchina velocemente e le andai ad aprire la portiera. Le presi
la mano, facendomi scivolare una scarica lungo la schiena. Lei, di
questo, ovviamente non se ne accorse. Mi sorrise teneramente e con
altrettanta dolcezza, posò un umidiccio bacio sulla guancia.
«Ciao
Ashtonto,» echeggiò la sua
voce
nell'auto, appena prese posto. Lui, in risposta, la fulminò con lo
sguardo e non si sprecò nemmeno a ribattere.
Ashton
ed Adeline non andavano affatto d'accordo, dal primo giorno. Ricordo
che glielo presentai una mattina alla caffetteria del dormitorio
maschile. Lei era alquanto felice di conoscere il mio compagno di
stanza, il ragazzo simpatico di cui le parlavo spesso. Lui però,
affetto ancora dalla sbornia della sera prima, non fu esattamente
gentile con lei, prima ricoprendola di complimenti e successivamente
definendo il suo sesso inferiormente capace.
Oltre ad apparire come un alcolista, sembrò un misogino. La risposta di
ella non tardò ad arrivare, dando origine così ad un battibecco che non
ebbe presto fine. Erano entrambi teste calde, quindi non si sarebbero
mai e poi mai chiesti scusa.
«Chase,
per piacere alza il volume della radio, che sento starnazzare dal
bagagliaio» affermò scocciato.
Roteai
gli occhi al cielo, e come mi disse alzai il volume della radio. Gli
Imagine Dragons colmarono, almeno parzialmente, quell'aria di tensione.
«Io
non sono un'oca, ed ho un nome, babbeo!» Alzò la voce lei.
Li
odiavo, li odiavo tremendamente quando facevano così. Ma, li avrei
lasciati fare, se mi fossi messo in mezzo sarebbe stato ancor peggio.
Dopo
circa mezz'ora, finalmente arrivammo.
La
mega villa di Derek non era poi così lontana dall'università, ma quello
mi parve il viaggio più lungo di tutta la mia vita.
«Che
questa sia l'ultima volta che mi lasci in uno spazio piccolo con
quella. La prossima volta finisce che le insulto perfino il cane» mi
rinfacciò, sbraitando. Adeline gli era dietro, quindi sentì tutto.
«Oh
sì, sono io l'idiota qua, non di certo il tizio in costume da bagno e
con i braccioli con le paperelle» pronunciò, incrociando le braccia
sotto il seno.
Feci
finta di niente e mi diressi verso l'ingresso. Se la sarebbero sbrigata
assieme. L'unica cosa che mi preoccupava era il ritorno: Ashton ubriaco
era ancor meno gestibile e razionale di quanto lo era ora. L'interno
della casa di Crawford era moderno, profumava di abete rosso, le luci
colorate ad intermittenza ti facevano ricordare una discoteca. La sala
da pranzo, come il soggiorno e le scale che davano sul retro della
casa, pullulavano di gente.
«Vuoi
qualcosa da bere?» Le domandai, sovrastando le note di qualche canzone
dance del vecchio millennio. Ashton ormai s'era perso in mezzo alle
ragazze dell'ultimo anno.
«Una
Tequila se c'è, grazie» rispose, mentre si toglieva la giacca e si
immischiava nella massa.
La
osservai da lontano, ed a poco a poco la gente spariva, rimaneva solo
lei. Lei e il suo sorriso, la sua spigliatezza, i suoi grandi occhi da
cerbiatto, la sua caparbietà. Sembrava non avesse paura di niente
quella ragazza. Parlava, danzava, scherzava con tutti nonostante non
sapesse nemmeno il loro nome. Era così allegra, sembrava che Dio le
avesse dipinto il sole tra gli occhi, le labbra a rosa. Nessuno aveva
mai colto questo dettaglio di lei. Tutti si soffermavano sul suo
fisico, sui suoi voti e sul suo fidanzato. Non capivano che sotto alla
bellezza c'era altro, e tutto il resto diventava una scusa in più per
dirle che era perfetta. Perché quando una persona ti prende, è perfetta
in ogni cosa, in ogni dove, in ogni perché. Hai un miliardo di pensieri
martellanti in testa, ma niente e nessuno metterà in discussione lei.
Perché
lei, per te, oramai è tutto.
Lo sapevi,
Adeline, tu per me eri tutto.
Questa storia non è nuova. Inizialmente l'avevo pubblicata con il
titolo"Rocks" ed era su Harry Styles. Successivamente, non sentendola
più mia, l'ho archiviata. Da quasi un anno a questa parte, l'ho
ripresa, riarrangiata dal primo capitolo e continuata.
Chi mi ha seguita fin dall'inizio, troverà simile questo capitolo al
vecchio, ma i prossimi prenderanno una piega diversa.
Spero di non deludervi. Voglio stupirvi con qualcosa di nuovo, se mai
ci riuscirò
Mi trovate su
wattpad come whatlou.
Un bacio, Elena.