Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Hanji Phi    21/08/2018    1 recensioni
Reincarnation AU | long | Eren/Levi | Raiting: arancione
Trama:
Eren sa che il suo concetto di 'incubo' non equivale a quello delle persone che lo circondano. Sono incubi che ti abbracciano dolcemente nel sonno, che avvolgono le loro spire su di te e ti tolgono il respiro, che ti privano di una vita normale restituendone una fatta di immagini spezzate, visi familiari, mostri orrendi o amichevoli, incubi che si espandono all'infinito come un mondo parallelo, che sembrano tutto fuorché un'illusione.
Incubi così orribili ma irrimediabilmente suoi, che a volte assumono le sembianze di un uomo dai capelli corvini e occhi grigi come il cielo in tempesta.
Non è un caso che Levi piombi nella sua vita in un giorno di pioggia, forse.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Isabel Magnolia, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Author's nest
Sono tornata! :D
Come promesso nel mini epilogo di choice, eccomi qui con una nuova storia!
like a blank page è una piccola creatura che ha iniziato a prendere vita all'incirca un annetto e mezzo fa, quando ho preso la decisione di imbarcarmi nella stesura di una long dopo tanto tempo. Faccio parte di questo fandom da circa 5 anni, e poche cose mi danno tanta soddisfazione quanto leggere e scrivere di questi due. Spero di render loro giustizia! Alcuni di voi probabilmente arriveranno qui dopo aver letto la mia mini-long; in tal caso, bentornati! In choice, come avevo già accennato nel recentemente postato epilogo, si svolgono fatti legati a questa fan fiction, ma non è necessario leggerla per capire cosa succederà in questa. In quanto reincarnation au, le vite di Eren e Levi in like a blank page saranno inevitabilmente influenzate dal loro passato, e parte di quel passato è riportato in choice, tutto qui.
Domande, critiche e commenti sono assolutamente ben accetti! Voglio davvero sapere cosa ne pensate!
Baci,
Hanji Phi

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Eren aprì gli occhi e lasciò andare un lungo, sofferto sospiro.
Un leggero venticello gli accarezzava il viso e gli schiariva la vista, e lentamente la sua visuale smise di essere tinta di rosso e nero e polvere. I nervi si ridestarono con la consapevolezza di essere sveglio, la presa spasmodica sul lenzuolo ai suoi fianchi si fece meno ferrea, e nei polpastrelli, poi le dita, le nocche e tutte le mani tornò ad affluire il sangue, in modo tanto prepotente che non riuscì a muoverle subito. Pochi secondi dopo, anche il resto dei muscoli smisero di essere rigidi e stressati dall'interminabile sofferenza notturna, la sua erezione palesava dolorosamente la propria presenza fra le sue gambe e dalla bocca di Eren proruppe un lamento quando tentò di muoversi.
Odiava quel momento della giornata.
In qualche modo, riuscì ad alzarsi e a raccattare un paio di mutande e dei pantaloni da sostituire al pigiama zuppo di sudore. Sotto la doccia si disfò di quello e dell'eccessiva vitalità della propria eccitazione, un problema persistente e ormai abituale dopo certi sonni troppo movimentati e sogni particolarmente vividi.
Eren era ben consapevole che la sua parasonnia lo seguisse da tanto di quel tempo da non essere sicuro che ci fosse stato un inizio diverso da quello coincidente con la propria nascita. Tuttavia, ad un certo punto all'età di quindici anni, gli era stato raccontato dai suoi genitori di quando avevano avuto la prima nottata tranquilla da quando il piccolo Eren era venuto al mondo.
Sua sorella, allora ventiduenne e impegnatissima con il college, era tornata a casa per l'occasione dopo che la madre aveva spifferato tutto, in preda alla gioia, dopo solo una settimana di sonni sereni e regolari in casa Jaeger.
Eren non aveva avuto il coraggio di vanificare quella gioia, e aveva sbuffato prima di unirsi ai festeggiamenti. L'aria in casa era stata diversa, albergava intorno a loro una leggerezza che non aveva mai avvertito, ma che gli aveva contorto le viscere per tutta la giornata, e la notte.
Quanto avevano sofferto i suoi familiari seguendo i disperati tentativi di un Eren bambino di raccapezzare quella mente frantumata ereditata dal peggior dio dei sogni? Quanto era stata oscura quella casa prima che i sorrisi di sua madre e sua sorella, la luce di sollievo e speranza negli occhi di Isabel e fra le rughe di preoccupazione dei suoi genitori la illuminassero per la prima volta?
Come aveva fatto a non rendersene conto? Quella nuova visione l'aveva accecato. Era stato al buio per tanto tempo, poiché tutte le volte che cercava di emergere i suoi sogni lo riportavano giù e da quel momento Eren aveva sperato, pregato di essere in grado di controllare la propria mente fintanto che avesse diviso quel tetto con le persone che più lo amavano.
I sogni non sarebbero mai andati via.
Ma almeno, con quelli, non sarebbe andata via nemmeno la ragione per cui avevano smesso di rappresentare unicamente un tormento.


La giornata inaugurale per la nuova pista di pattinaggio si prospettava più lunga di quanto Eren avesse temuto.
I suoi amici gli avevano assicurato che l'evento sarebbe iniziato all'orario prestabilito nella brochure, ma erano già le dieci passate e ancora, sull'estesa lastra di ghiaccio di fronte a lui, non c'era nessuno. Da dove era seduto lui, uno dei gradoni delle tribune che circondavano parzialmente il campo, tutto ciò che poteva vedere erano persone affaccendate a trovare un posto che non fosse troppo vicino ai bordi ma neanche troppo lontano, l'indecisione nei loro volti mentre salivano e scendevano più volte ai lati. Molte altre, come lui e Armin, ne avevano scelti alcuni a caso e si godevano quella fresca giornata di fine novembre, con un caldissimo cappuccino fra le mani guantate a riscaldarli.
-Scusate, questi posti sono occupati?-
Eren alzò lo sguardo verso la bionda carina che si era fermata al lato del gradone e che guardava nella sua direzione. Era finemente truccata e aveva grandi occhi azzurri, con cui stava, apparentemente, studiando Eren con una certa attenzione. Non che la cosa lo mettesse d'umore migliore. Non era sicuro ci fosse qualcosa, in quella giornata, che avrebbe sortito quell'effetto. Era lì solo per vedere Mikasa e solo perché Armin l'aveva costretto a venire, trascinandolo letteralmente fuori di casa. La sua idea era stata quella di arringargli scuse improbabili per farlo sentire in colpa, ma Eren ne aveva ascoltato metà e non era sicuro di aver ben capito il resto.
Dopo aver passato un'altra delle sue nottatacce non era proprio in vena di mettersi a discutere.
-Ah, uhm, si, si, mi dispiace, sono occupati- disse Armin dietro di lui, sporgendosi in avanti per parlare alla ragazza e lanciarle quasi uno sguardo di scuse per l'atteggiamento indisponente dell'amico.
La tipa parve un po' offesa dall'indifferenza di Eren, forse credeva di essere abbastanza in ghingheri da attrarre la sua attenzione, ma non appena Armin ebbe pronunciato quelle parole, Eren annuì in consenso con l'altro e si girò di nuovo verso la pista, mentre quella andava via.
-Potevi anche risponderle, sai?- bisbigliò il biondo accanto a lui, prendendo un sorso di cappuccino dal suo bicchiere. Il tono che aveva usato era più rassegnato che ostile, ed Eren sapeva bene che Armin non era capace di suonare davvero accusatorio in casi simili.
Storse visibilmente la bocca e si astenne dal rispondere, imitandolo e indugiando un po' nel calore della bevanda che gli scorreva in gola.
-Hai ancora sonno?-
-No, sono sveglio- borbottò Eren, già pentito di aver messo piede fuori di casa.
Armin sospirò, scoccandogli un'occhiata preoccupata.
-Mi dispiace se stamattina sono stato così insistente-
-Armin, non è colpa tua, davvero, non preoccuparti. E poi si tratta di Mikasa, sarei venuto comunque- lo interruppe Eren, bevendo un altro po' della propria bevanda calda e rassicurando l'amico con un sorriso.
-Diciamo pure che sarei arrivato in ritardo se tu non fossi venuto, e lei avrebbe iniziato a fare quelle scenette da madre preoccupata che preferirei evitare- continuò, alzando gli occhi al cielo al solo pensiero.
Scosse il bicchiere per farsi un'idea di quanto cappuccino fosse rimasto e si preparò ad alzarsi per acquistarne un altro di lì a poco.
-A volte non so se essere più preoccupato per te e la tua testa calda o per lei e la possibilità che un giorno impazzisca a forza di andarti dietro in quel modo- stava dicendo il biondo, sorridendo dolcemente come faceva quasi sempre parlando dei propri amici.
Eren annuì, mettendosi in piedi e dandogli una pacca sulla spalla.
-Ti sono debitore comunque. Vado a comprare un altro di questa roba, spero che la caffeina entri presto in circolo.-
Si allontanò dal suo posto e prese a scendere gli scalini verso il basso, udendo Armin urlargli dietro: -sbrigati, Jean e gli altri arriveranno fra poco e lo spettacolo inizierà a momenti!-
Alzò un braccio e agitò la mano sopra la testa per far segno che si, aveva capito e sarebbe arrivato in tempo.
La pista era all'aperto, e gli organizzatori erano stati fortunati ad aver beccato una giornata tanto bella. Mentre Eren andava verso il caffé all'angolo della strada di fronte, dove aveva precedentemente acquistato il primo cappuccino e stava per fare lo stesso col secondo, non poté trattenersi dal prendere una lunga boccata d'aria fresca e relativamente pulita e lasciare che i nervi si sciogliessero un po' in quella piccola camminata.
Era indubbiamente stanco e poco disposto alla compagnia, ma non si sentiva poi così in collera per aver lasciato la propria camera. Al contrario, uscire gli aveva sempre dato una piacevole sensazione di serenità e quiete, due cose che in quel piccolo spazio claustrofobico e buio non aveva mai conosciuto.
Era abbastanza masochista da desiderare, però, di rimanerci, ad occhi chiusi.
Ma quel giorno, la squadra di pattinaggio a cui apparteneva la sua amica d'infanzia avrebbe inaugurato la pista comunale, una farsa organizzata per affascinare le famiglie e i bambini e invogliarli ad iscriversi, come diceva lei. Sapeva già che Mikasa fosse piuttosto brava con quegli stivaletti e in equilibrio sulle lame, aveva visto le gare a cui aveva partecipato e come era riuscita a vincere tutti i premi ordinatamente in fila sulle mensole nella sua camera. Per quello, anche se era solo una manifestazione, era conscio che non avrebbe potuto farle pesare la propria assenza.
La porta del locale si richiuse dietro le sue spalle e si diresse velocemente verso il bancone, ordinando al simpatico cameriere in piedi accanto ai macchinari per il caffé, lo stesso con cui avevano parlato lui e Armin mezz'ora prima, un cappuccino con doppio espresso da portare via.
-Brutta nottata? Sembra che tu stia dormendo in piedi- disse il ragazzo, afferrando un bicchiere e facendo un cenno col mento alla sua faccia. Probabilmente voleva indicare le sottili ma evidenti borse sotto gli occhi che Eren odiava tanto su di sé.
-Qualcosa del genere- rispose, non concedendo di più e distogliendo lo sguardo prima che quello gli facesse altre domande.
Fuori dal caffé, i marciapiedi erano gremiti di persone e le macchine strombazzavano nella rumorosa routine cittadina, tutto sempre identico a se stesso indipendentemente dal giorno o dal periodo dell'anno. In inverno era anche peggio. Avrebbe voluto mescolarsi a loro, riuscire ad adattarsi come una qualunque persona era in grado di fare, sentire tutti quei caotici suoni senza sentirli davvero, ormai parte di una monotonia consolidata.
Eppure... Eren li udiva chiaramente. E insieme,
il rumore sordo di passi pesanti che scuotono il terreno, l'aria tesa, secca, immobile, provengono da ogni parte, non c'è una fonte. Sono ovunque. Mi circondano. Devo
-Ecco a te-
Sobbalzò sul posto e si ritrovò il bicchiere di cartone proprio sul ripiano in marmo di fronte a sé. Prese un respiro profondo e lo afferrò, ringraziando il barista che lo guardava accigliato e avviandosi verso la cassa per pagare e uscire il più in fretta possibile.


-Ti ci è voluto un po'!-
-Che cavolo ci posso fare io se quel barista è più lento di te!- esclamò malamente di rimando verso il ragazzo coi capelli chiari che aveva occupato l'altro posto accanto ad Armin, rizzando le spalle e indossando la solita espressione ostilmente giocosa con cui era ormai abituato ad affrontare Eren.
-Ehi! Almeno i miei cappuccini sono ottimi-
-Se, certo. Quando riesci a farli senza chiedermi aiuto- ribatté prontamente Eren, ghignando divertito e osservando come le punte delle orecchie di Jean diventarono rosse.
-Mai una volta che si possa uscire senza sentirli litigare- disse Connie agitando le braccia e sbuffando pesantemente, mentre Armin se la rideva sotto i baffi e cercava di impedire a Jean di assalire Eren.
-E' successo una volta sola!- aggiunse il primo, allungandosi verso il nemico di diatriba e incurante di essere quasi completamente sdraiato sulle gambe di Armin.
-Ah?! Ma se mi chiami almeno tre o quattro volte ad ogni turno!-
-Se volete risolvere la cosa, propongo una sfida a chi cucina il miglior tacchino per il Ringraziamento!- s'intromise Sasha, occhi luminosi e narici dilatate al solo parlare di cibo.
Connie si rivolse nella sua direzione e la guardò come se volesse dirle, perché con te tutto sfocia sempre nel cibo? -Fammi indovinare, tu faresti da giudice-
La ragazza annuì e i capelli, raccolti nella solita coda, si mossero seguendo il movimento della testa e colpirono due volte la faccia di Connie, che iniziò a protestare rumorosamente.
I ragazzi scoppiarono a ridere e presero a dire scemenze, fermandosi solo quando una voce poco più in là nel gradone si rivolse a loro.
-Cosa avete da discutere con tanta foga da fare tutto questo baccano?-
Il gruppo si girò e sul viso di Armin spuntò un gran sorriso.
-Mikasa!-
La ragazza si avvicinò loro e si bloccò di fronte ad Eren.
-Bastardo fortunato- sentì dire a Jean sottovoce in modo astioso, ma lei l'aveva sentito perfettamente e gli scoccò un'occhiata gelida.
-Non c'è bisogno che vieni a controllare, sono qui e sto bene- borbottò il ragazzo, portando alle labbra il bicchiere che aveva quasi dimenticato di avere. Fortunatamente era ancora caldo, e la lingua di Eren si bruciò leggermente, ma non ci fece troppo caso.
-Permettimi di preoccuparmi, sono tua amica. Hai un aspetto orrendo- rispose lei, guardandolo con aria a metà fra il critico e l'apprensivo, un atteggiamento per il quale Eren non smetteva di lamentarsi. Mikasa, tuttavia, soprassedeva le sue reazioni e lo teneva sempre d'occhio.
-Tante grazie- borbottò il diretto interessato, guardando altrove.
-Stai benissimo vestita così!- disse Armin, dando voce a quello che pensavano tutti e alludendo all'abito di scena che Mikasa indossava -un body rosso scuro e una gonnellina leggera dello stesso colore, decorato finemente con ricami e fronzoli argento qua e là, che nel complesso le davano l'aspetto di una principessa esotica e mettevano in mostra le lunghe gambe e la vita sottile.
-Non muori di freddo?- chiese Connie, sporgendosi un po', mentre Jean non faceva altro che guardarla imbambolato.
Eren gli diede una gomitata, intimandogli di smetterla di sbavarle addosso. Era pur sempre una dei suoi amici più cari, spettava a lui proteggerla da tipi come Jean. Non che fosse un cattivo ragazzo, o che Mikasa non sapesse difendersi da sola. Sorrise al pensiero.
-Non esattamente. Ho fatto il riscaldamento e non ci bado più molto. Stiamo per cominciare, comunque, perciò sono venuta solo per un saluto veloce-
Dopo aver lanciato un'occhiataccia a Eren, Jean pareva essersi riscosso e il rossore delle sue orecchie si era esteso anche ad una lieve spruzzata sulle sue guance. -Allora ci vediamo dopo!- proclamò, facendo ridere Armin, Eren e Connie accanto a lui.
-Aspettatemi all'uscita- disse Mikasa, prima di salutarli con la mano e scendere dai gradoni, avviandosi verso la sezione delle tribune dove le sue compagne si stavano raccogliendo.
-Amo questo evento. Gonnelline svolazzanti e ragazze che si muovono di qua e di là...-
-Ah, Jean, credevo ti interessasse solo la gonnellina di Mikasa!-
-Ehi! Non parlate di lei così davanti a me, okay?- avvisò Eren, scocciato dalla sfacciataggine di Connie e Jean e dal modo in cui i loro pensieri viravano sempre sullo stesso argomento.
-E dai, Jaeger, sembri essere l'unico a non esserti accorto che esiste un mondo, fuori dalla tua testa, in cui le donne non sono solo la tua mamma o tua sorella o-
Eren passò un braccio dietro Armin e afferrò il collo di Jean, spingendolo in avanti e costringendolo col viso contro le ginocchia.
-Eren, mi schiacci!- protestò il biondo, mentre Connie e Sasha ridevano più in là.
-Ripetilo, brutto idiota!-
-Sei pazzo, Jaeger!-
-E smettila di chiamarmi per cognome- aggiunse, lasciando andare la presa ed evitando per un soffio il pugno di Jean.
Avrebbero volentieri continuato se Armin non li avesse bloccati, facendo loro notare come la gente lì intorno li stesse guardando male. Nonostante quelle discussioni fossero all'ordine dal giorno, le litigate fra loro, indipendentemente dal tema, erano una costante per quel gruppo di amici che non destava preoccupazioni. Sapevano che la cosa non sarebbe mai diventata troppo seria, perché erano finiti i tempi in cui Jean ed Eren si picchiavano tenacemente con un più che evidente odio reciproco. Quegli altalenanti guazzabugli si spegnevano con la stessa velocità con cui nascevano, e tanti saluti.
-Buongiorno a tutti!-
Una voce pimpante e allegra dal centro della pista annunciò finalmente, con quasi un'ora di ritardo, l'inizio della manifestazione e il programma della mattinata. Si sarebbero esibiti tre gruppi, dalle bambine più piccole al corso avanzato, e agli occhi di Eren fu finalmente chiaro perché la maggior parte delle persone sedute sulle gradinate fossero più evidentemente coppie sposate e genitori.
Ci vollero ancora alcuni minuti, poi la prima esibizione iniziò e una musica simile ad una marcia si diffuse nell'aria, introducendo le piccole ballerine.
-Sono così carine! Le mangerei a colazione!- sentì dire a Sasha, qualche posto più in là, gli occhi fissi sulla pista e un sorriso che era vagamente intenerito e distratto, come se stesse veramente pensando di mangiarsele per colazione. Per lei, ogni essere vivente era degno di essere mangiato, ma probabilmente crescere in un paesino periferico di pescatori e cacciatori faceva quell'effetto.
Agli spettacoli di danza s'intervallarono intrattenimenti di ogni tipo per il pubblico, pattinatori provenienti da scuole diverse che proponevano ogni sorta di spettacolo, dai balli di coppia ai giochi di prestigio alle imitazioni di personaggi famosi o gli stereotipi della società.
Fu tutto abbastanza divertente, e per un po' anche utile alla mente di Eren per ignorare ogni altro pensiero. Lo rendeva nervoso, e irrequieto, l'impressione di non star muovendo un solo passo nella sua vita, come se fosse in attesa di qualcosa che portasse con sé la voglia di prendere decisioni importanti. Avrebbe tanto voluto sapere quando sarebbe successo.
Poi la pista si svuotò e Mikasa prese il posto di quelli che l'avevano preceduta. Jean e gli altri, Eren compreso, iniziarono a fischiare e applaudire e fare il tifo per lei, fermandosi solo quando la videro chiaramente ridere mentre cercava di concentrarsi.
Eren conosceva la canzone su cui avrebbe ballato, Mikasa l'aveva rivelato solo a loro due quando Armin aveva insistito per saperlo. Era una base, senza parole, un po' malinconica e un po' combattiva, elegante e piacevole, quasi tutte qualità che Eren aveva riconosciuto nella sua amica e che gli avevano dato la sensazione di aver perfettamente compreso perché lei l'avesse scelta.
Ovviamente, Mikasa sembrava avere un talento naturale per il pattinaggio, come per qualsiasi altra attività fisica la vita le avesse mai proposto di affrontare. Eppure, quella disciplina in particolare le calzava a pennello. C'era qualcosa, che nella realtà a Eren sfuggiva sempre, e che si realizzava solo se la realtà spariva. Lei era lì, sul ghiaccio, e si muoveva guidata dalla musica stessa, trainando a sua volta la melodia con sé, e il cielo era limpido dietro di lei e sembrava quasi che lei stesse ballando col cielo come sfondo
e Mikasa non è più sui pattini, ma in uniforme, ha due lame nelle mani e i cavi del dispositivo per la manovra tridimensionale la portano su su su e lei fende l'aria come se le appartenesse e decapita i nemici come se lo facesse da tutta la vita. Il cielo non è più così azzurro, nuvole di vapore ostruiscono la vista è il sangue che evapora...
poi Eren sbatté le palpebre e Mikasa fece un triplo salto, cadendo in perfetto equilibro. Tutti applaudirono mentre la canzone sfumava e lei si fermava seguendo la scia delle ultime note, sorridendo elegantemente al pubblico.
L'aveva vista di nuovo. Sapeva significassero qualcosa, quelle intrusioni, tutte le cose che riusciva a vedere e che uscivano fuori dai suoi sogni. Sapeva anche che quel tutto non era destinato a rimanere per sempre nella sua testa, ma non sapeva se e in quale forma avrebbe spezzato decisivamente la superficie della sua mente.
Forse era quello il motivo per cui gli piaceva tanto guardare Mikasa sui pattini.
Il telefono squillò mentre Eren e gli altri aspettavano Mikasa fuori dalla pista, e sapeva di chi si trattava prima ancora di tirarlo fuori dalla tasca. Vedendolo, Armin gli fece un sorriso tirato e incoraggiante, intuendo anche lui che a chiamare fosse Carla, la madre di Eren.
-Tesoro! Com'è andata la manifestazione?-
Eren sbuffò senza emettere un suono, limitandosi ad arricciare le labbra, e guardò il suo migliore amico per un secondo, allontanandosi poi di qualche passo dal gruppo.
-Bene, mamma, Mikasa è stata fantastica- rispose subito in automatico, fermandosi accanto ad una panchina e arrampicandosi sopra quella fino a poggiare il sedere sullo schienale.
-Non avevo dubbi. E' una ragazza meravigliosa e piena di talento fin da quando era piccola- replicò Carla, emettendo un piccolissimo sospiro che fece sbuffare sul serio Eren.
-Non ti permettere, giovanotto. Mikasa-
-è deliziosa e si preoccupa per te e siamo come fratello e sorella. Si, lo so, mamma- la bloccò, prima che potesse continuare a sproloquiare a piacimento, impedendo così ad Eren di tornare indietro dai suoi amici. Che, tra l'altro, gli stavano facendo segnali strani con le mani, indicando Mikasa che aveva, finalmente, raggiunto il resto del gruppo con un outfit più sobrio e adatto ad andarsene in giro per la città, come avrebbero fatto di lì a poco.
-Ti va invece di dirmi perché hai chiamato, così torno dalla nostra "meravigliosa" Mikasa?-
Alzò il braccio verso di loro, facendo segno che gli serviva un solo minuto, e Jean portò la mano all'orecchio facendo finta di parlare con qualcuno e scimmiottando "Mammina!" con una voce che avrebbe dovuto essere l'imitazione di quella di Eren. Prima che il diretto interessato potesse anche solo guardarlo male, Mikasa gli rifilò una discreta gomitata al fianco che parve causargli molto dolore, perché se l'afferrò saldamente e imprecò fra sé.
Mikasa lanciò a Jean uno sguardo soddisfatto ed Eren scoppiò a ridere.
-Che succede?-
Visualizzò l'immagine della madre che tratteneva un sorriso alla giocosa sfacciataggine del figlio e tentava di trovare un modo per rimproverarlo senza riuscirci. La udì, piuttosto, borbottare qualcosa insieme al rumore, in sottofondo, di acciaio che batteva su altro acciaio. Probabilmente era in cucina per ultimare i preparativi per il Ringraziamento del giorno seguente.
-Tua sorella ha detto che torna oggi pomeriggio. Oh, porterà anche un amico!- e il tono agitato di sua madre chiariva bene quel che si aspettava.
-Certo, un amico- ripeté Eren, facendo ridere apertamente sua madre.
-Chi lo sa, in qualunque modo vorrà presentarcelo sarà comunque nostro ospite. Sbrigati a tornare a casa, okay?-
-Sicuro! Ma probabilmente Isabel arriverà prima di me!- esclamò, saltando già dalla panchina e rifilando un veloce: -Ti mando un messaggio quando sto per arrivare!-
-Non fare tardi- fece in tempo a dire sua madre, prima che Eren chiudesse la chiamata e si avvicinasse di nuovo ai suoi amici.
-Tieni duro, Jean!- disse al ragazzo che continuava a massaggiarsi il fianco e che gli scoccò un'occhiataccia. Probabilmente aveva anche compreso il doppio senso.
-Taci, Jaeger- replicò lui, astioso, e tutti scoppiarono a ridere.
E poi dicevano che Eren non era in grado di fare battute.
   
 
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