n.d.t: come promesso, sono tornata con un
nuovo capitolo! E
non dopo… 10 mesi di hiatus come l’ultima volta.
Spero mi perdonerete. Ad ogni
modo, ecco a voi alcune PRECISAZIONI RIGUARDO LA STORIA importanti
(vedi
capslock per attirare l’attenzione) per questo e i capitoli a
venire: guardando
le date di pubblicazione della fanfiction e dei capitoli del manga,
l’autrice
l’ha conclusa quando più o meno era stato
pubblicato il capitolo 60. Per questo
motivo, avvenimenti come il colpo di Stato o l’arco di
Shiganshina (lettori del
manga, you know what I mean) non
erano ancora noti all’autrice, o ha scelto di ignorarli per
mantenere la storia
come l’aveva pensata. Detto questo vi lascio al capitolo,
spero che la mia
traduzione vi piaccia!
Riuniti
Armin era davvero sul punto di
arrabbiarsi, il che per lui
significava infastidirsi e dire al massimo “Non posso credere
che tu sia stato
così irragionevole”. Marciava di fronte a Eren,
facendo sembrare la piccola
stanzetta del dormitorio ancora più piccola.
“Tu hai incontrato
quell’uomo, il soldato più forte
dell’umanità, uno degli ufficiali più
prestigiosi dell’Armata Ricognitiva per
strada e non ci hai chiamati? Ti ha
detto che conosceva alcuni degli
altri, tra cui quella che cercavamo da
mesi e non ci hai chiamati?
Che
cosa stavi pensando? Questa era la svolta che stavamo aspettando! E se
venisse
preso sotto da una macchina o qualcosa del genere?”
Eren portò le gambe
sopra il letto, si sentiva colpevole.
Cosa avrebbe potuto dire? Che la cosa non gli era nemmeno venuta in
mente?
“Non è
come con te e Mikasa,” disse dispiaciuto. “Non era
uno dei miei migliori amici nell’altra vita. Sarebbe stato
imbarazzante.”
Armin si accigliò e
si fermò di fronte ad Eren, fissandolo
incredulo. La rabbia nella sua voce si mutò in
preoccupazione. “Non credi che
rinascere insieme possa far superare l’imbarazzo? Avresti
potuto chiedergli di
volare sulla luna con lui e forse lo avrebbe fatto.”
“Cosa?”
“Pensaci. Se ti
avesse chiesto di andare da qualche parte o
fare qualcosa con lui, ti saresti rifiutato?”
Eren scosse la testa, pensando
che avrebbe avuto ben altre
ragioni per accettare.
“Esattamente. Non
importa quanto eravate poco legati
nell’altra vita, ora avete qualcosa di grande che vi lega. E
poi, avete passato
un sacco di tempo insieme, quindi sono sicuro che ti considerasse molto
più che
un semplice conoscente.”
“Mi
dispiace,” disse Eren.
Armin sospirò.
“Non sono arrabbiato Eren, solo…”
“…
deluso,” disse Eren, attirandosi un’occhiata di
rimprovero, che diventò presto un sorriso quando Eren
scoppiò a ridere.
Armin si buttò su
letto vicino a lui.
“Credo che sia stato
innamorato di Annie,” disse Armin
guardando il soffitto. Lo disse come se non fosse più di
tanto importante, al
punto che Eren non era sicuro di aver sentito bene.
“Cosa?”
“Beh, dopo aver
sentito quella teoria sull’età, mi sento
frustrato. Più di quanto dovrei esserlo, a pensare che lei
potrebbe essere molto
più giovane. Quindi penso che forse mi importi di
più di quanto dovrebbe.”
Eren aspettò che il
suo amico aggiungesse qualcosa.
“Credo che lei mi
facesse sentire speciale. Era il nostro
nemico, ma mi faceva sentire come se fossi importante. Avrebbe potuto
uccidermi
mille volte, ma non lo ha fatto. Inoltre, sembrava che le importasse di
cosa io
pensassi di lei, perfino quando diceva chiaro e tondo che non le
importava
degli altri. In quella vita, era importante. Per così tanto
tempo ho pensato di
essere un peso inutile.”
“Non lo sei mai
stato. Tu lo sai.”
“Lo so ora.”
Eren circondò le
gambe con le proprie braccia. “Sai, il
fatto che ti avrebbe
potuto uccidere mille volte ma non lo ha fatto, non
è
proprio il miglior presupposto per una relazione.”
Armin rise.
“Già. E tu?”
“Non siamo in una
gara. Vuoi Annie, puoi tenertela.”
“Sai che non intendo
quello.”
Eren guardò la porta
chiedendosi quando Mikasa sarebbe
tornata da lezione. Per un qualche motivo, era più
preoccupato che lei lo
venisse a sapere, piuttosto che Armin. Probabilmente perché
nei suoi ricordi
lei odiava Levi.
Ne aveva motivo.
“Come fai sempre a
capirlo?” chiese di rimando Eren.
“Diciamo che lo si
capisce da come sei rimasto completamente
incantato da lui. Questo, e poi, con qualunque altro avresti rotto le
scatole
fino a obbligare il malcapitato a incontrarci. Levi lo hai lasciato
andare, questo
perché lo hai sempre messo una spanna sopra gli altri esseri
umani normali.”
Il viso di Eren andò
in fiamme. “Non volevo.”
“Ah, sì?
Aveva detto che doveva andare?”
“Non esattamente. Ma
stava saltando il lavoro e sembrava ne
svolga uno importante.”
“Che cosa ha detto, esattamente?”
Diventò ancora
più rosso. “Che non doveva per forza
andare.”
Armin non disse nulla, ma la
sua espressione d’intesa
parlava per lui.
“Andiamo,”
disse Eren, imbarazzato. “Non credo che gli
farebbe piacere un ragazzino qualsiasi innamorato come una scolaretta
di lui.”
“Non sei un ragazzino
qualsiasi, Eren,” gli disse l’amico.
“Sei l’opposto di un ragazzino qualsiasi. A
prescindere dai suoi sentimenti, ci
andrebbe piano con te. Abbiamo tutti passato un inferno, non
riserveremmo la
stessa sorte l’uno all’altro.”
Ci fu un rumore alla porta, un
rumore sospetto che sembrava
quello di un corpo che cadeva contro il metallo, e Mikasa la
spalancò un
momento dopo, prima che uno dei due potesse rispondere. Aveva il viso
arrossato per la
corsa.
“Hai detto di aver
trovato Levi?” chiese, con in mano il
telefono. “Il capitano? Cosa mi sono persa?”
Dopo
tutto, lei ci teneva.
Sorridendo di fronte al suo entusiasmo, Eren le spiegò tutto.
“Moccioso.”
La voce dall’altro
capo del telefono era piatta, senza alcun
segno di agitazione o nervosismo. Decisamente il contrario di Eren, che
aveva
quasi fatto cadere il telefono quando la chiamata era iniziata.
“Ehi, ehm…
Levi.”
“Vuoi ancora
chiamarmi capitano?”
Eren arrossì.
“Prima o poi mi ci abituerò.”
“Non farlo,
è lusingante. Mi dà l’impressione che
possa
ancora darti degli ordini. Che c’è?”
Tu
puoi ancora darmi
degli ordini, pensò Eren, prima di portare una
mano alla bocca. Non lo
avrebbe mai detto, per nessun motivo. Stupida, bellissima voce, stava
cercando
di ritrasformarlo in un cadetto quindicenne ossessionato dal compiacere
il suo
superiore. In questo mondo, lui e Levi erano dei pari.
Beh, in teoria.
“Moccioso? Andiamo.
Sei stato tu a chiamarmi.”
“Possiamo
incontrarci?” chiese Eren. Calò il silenzio
dall’altro capo del telefono, quindi si affrettò a
spiegarsi meglio. “L’ho
detto a Mikasa e Armin. Si chiedevano se magari ci potessimo riunire
tutti
insieme. Tutti quelli che vivono qui.”
“Sì, stavo
pensando a qualcosa del genere. Hange ed Erwin
sono entusiasti. Beh, Hange è entusiasta, Erwin è
semplicemente contento. Siete
tutti liberi domani sera? Si è offerto di invitarci a casa
sua.”
Eren era abbastanza sicuro che
Mikasa avesse lezioni di arti
marziali il venerdì sera, ma aveva detto che avrebbe potuto
disdire qualsiasi
impegno in caso di un raduno. “Sì, siamo tutti
liberi. Ma Erwin non ha una
famiglia?”
“È
sposato. Non preoccuparti, se ci ha invitati, va bene.”
Eren non sapeva se fosse vero,
ma non fece domande.
Continuarono a progettare i dettagli insieme. Mentre parlavano, Eren
ripensò a
ciò che aveva detto Armin, chiedendosi se davvero
l’altro ci tenesse a lui solo
perché avevano passato lo stesso schifoso inferno. Sembrava
impossibile. Levi
appariva così inavvicinabile, così tanto
superiore a lui.
Eppure eccolo lì, ad
organizzare un raduno con tutti gli
altri. Forse c’era qualcosa di vero in tutto ciò.
O forse era semplicemente
annoiato.
Mentre si avviavano verso la
casa di Erwin a Westchester,
Eren si era sempre più ammutolito. Armin e Mikasa
probabilmente lo notarono, ma
non dissero nulla. Quando salirono sul gradino di casa, Mikasa gli
strinse la
mano sorridendogli, e lui gliela strinse di rimando. Era felice che lei
fosse
lì.
Ma quando la porta si
aprì, si dimenticò della sua
agitazione: una pazzoide si fiondò su di loro e li
abbracciò così forte quasi
da sollevarli tutti e tre assieme.
“Il golden
trio!”
esclamò Hange, stringendoli più forte.
“I miei nuovi bellissimi, meravigliosi
soggetti per la mia ricerca.”
“Amici,
Hange,”
corresse un uomo alto che stava dietro Hange. Sorrideva. “Per
favore, cerca di
chiamarli amici. Non vorrai che scappino via.”
Eren era contento che Hange lo
stesse ancora abbracciando,
perché l’istinto a fare il saluto quando vide
Erwin era troppo forte da poterlo
ignorare. Lei mollò la presa subito dopo.
“I miei nuovi amici,”
disse. I suoi occhi, grandi e vigili, ricordarono a Eren Dobby.
“Venite,”
disse Erwin, facendo spostare Hange di lato. “Levi
è dentro.”
Tutti lo seguirono, lasciando
le scarpe e i cappotti
nell’ingresso e guardandosi attorno incuriositi nel salotto.
Era accogliente,
con un deciso tocco femminile. Sopra la mensola del camino era appesa
una foto
di matrimonio incorniciata e la donna raffigurata era in piedi sulla
porta
della stanza accanto: indossava un grembiule con una stampa di ciliegie
e
sembrava la sua gemella un po’ meno elegante.
“Altri
svitati?” chiese, sorridendo a Erwin. Osservandola,
Eren ricordò le parole di Levi: è
il suo
paradiso personale. Ne capiva il perché. Era un
bel po’ più bassa di suo
marito, con i capelli castano chiaro ricci acconciati su una spalla e
un viso
dolce a forma di cuore.
Inoltre, era incinta. Molto
incinta.
“Questa è
mia moglie, Marie,” disse Erwin, cercando di non
far sembrare che si stesse vantando. “Marie, questo
è il golden trio. Armin,
Eren, Mikasa.”
“Svitati?”
chiese Mikasa,
“È
una battuta,” disse una voce proveniente dalla cucina. Un
momento dopo apparve Levi, vestito in modo molto casual con jeans e una
maglia
nera a maniche lunghe. “Per favore, non ucciderla. Ricordo
che in quello eri
molto brava.”
Mikasa aprì la bocca
per replicare, ma Armin la batté sul
tempo. “È
bello rivederti, Capitano,” disse sorridente.
Levi gli passò una
mano sul viso ed Eren non riusciva a
capire se la sua espressione fosse contenta o infastidita.
“Ciao, moccioso.
Sentiti libero di usare il mio vero nome.”
“Non possiamo farne a
meno,” disse Armin. “Per così tanto
tempo avevate solo dei soprannomi.” Li indicò uno
alla volta. “Capitano,
comandante, scienziata pazza. Posso mostrarvi le liste, se
volete.”
Hange rise. “Tutta
quella faticaccia a fare la Caposquadra e
finisco con l’essere chiamata scienziata
pazza. Non avrei dovuto impegnarmi così
tanto.”
“Te lo
meriti,” disse Levi. “Sei un’eccentrica
del cazzo.”
“Grazie, Capitano.”
Marie sollevò una
mano. “Credo che ora io debba uscire di
scena. Il cibo è in cucina. Io sarò in sala da
pranzo a litigare con la mia
macchina da cucire.”
Non dovette nominare il cibo
due volte. Si spostarono tutti
in cucina e riempirono i piatti con finger food preparati a regola
d’arte, una
vasta scelta di pizzette e verdure, e molti altri stuzzichini. Eren fu
più
lento degli altri, distratto dalla vista di Erwin e sua moglie insieme
nella
stanza accanto. La porta che dava sulla sala da pranzo era aperta ed
Erwin stava
stringendo la moglie in un abbraccio. La baciò incurante
degli altri, più come
un soldato che andava in guerra che come un marito che stava per
lasciare la
stanza. Una mano accarezzava il pancione, l’altra era tra i
suoi capelli. Eren
si chiese come fosse possibile amare in questo modo, come essere
così intimi
con qualcuno che non condivideva i ricordi di un mondo circondato dalle
mura. Avvertì un leggero fastidio alla gola.
“Ehi,”
disse qualcuno, tirandogli una gomitata sul fianco.
Gli si mozzò il fiato quando vide che era Levi. “È da maleducati
fissare.”
Eren arrossì
violentemente, girandosi subito verso il cibo.
Ne mise un po’ sul suo piatto senza guardare, pronto alla
fuga, nonostante la
voce di Levi fosse stata gentile. Sapeva di essere ancora rosso in
faccia
quando tornò in salotto, ma Levi non sembrava affatto
imbarazzato mentre era
entrato e aveva preso posto sul divano. Eren si sedette sul pavimento,
dall’altro lato del tavolino.
“Dovete raccontarmi
tutto,” stava dicendo Hange a Mikasa e
Armin. “Su questa vita e l’altra. Siete arrivati
alla cantina? Ucciderei pur di
sapere cosa c’era lì dentro.”
Armin scosse la testa.
“Le cose tecniche non mi sono chiare.
Ricordo alcuni flash.”
“Persone e
sensazioni, giusto?” disse Hange, e Armin annuì.
“Anche noi. È come se il mondo non volesse
che noi ricordiamo. Stupido mondo.”
“Oppure vuole che ci
concentriamo sulle cose importanti,”
disse Mikasa. Stava fissando il suo piatto. “Come la
possibilità che abbiamo
questa volta di vivere una vita vera e le persone con cui vorremmo
trascorrerla.”
“Stronzate
sentimentali,” disse Levi, facendo girare tutti
verso di lui. “Al mondo non importa di cosa noi facciamo.
Certo, sarebbe una
bella teoria, ma sei tu quella che decide. Non c’è
nessun disegno. Chiunque
dica il contrario sta mentendo a sé stesso.”
Eren si aspettava che Mikasa si
irritasse, invece annuì e
disse, “Questo è un altro modo di vederla, ma
secondo me si riduce alla stessa
cosa. Sono molto grata per questa possibilità.”
“Eren è
morto prima di te, non è vero?” chiese
all’improvviso Hange. Si sporse più in avanti sul
divano, aveva i gomiti
appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo serio. “Te lo
ricordi.”
Eren guardò Mikasa,
sbarrò gli occhi. Non aveva mai parlato
di niente del genere. Non ricordava esattamente di quando fosse morto;
ricordava battaglie interminabili, molte delle quali sarebbero potute
essere le
ultime, ma non aveva mai pensato a cosa la sua morte fosse significata
per gli
altri.
“Come ho
detto,” disse Mikasa. “Sono grata.”
Dal suo sguardo, si
intuì che Levi era d’accordo,
ma non le disse nulla. “Ad ogni modo,”
disse
invece, “Questa è la peggior conversazione a
tavola a cui abbia mai
partecipato.”
Hange ridacchiò.
“Disse quello che pensa si possano dire
battute sulla merda nelle conversazioni educate.”
Armin tossì, anche
se sembrava vagamente una risata, ed Eren
sorrise senza nemmeno accorgersi. Il momento imbarazzante
finì quando Erwin
entrò nella stanza e si sedette nella grande poltrona, che
sembrava fatta
apposta per lui.
“Erwin,
onestamente,” disse Levi una volta che Erwin era
seduto, “Non riesci a tenere le mani lontane da lei per
cinque secondi? Hai
degli ospiti.”
Erwin in tutta risposta
arricciò il naso, era molto diverso
dal comandante che tutti ricordavano. “Solo perché
tu sei un guastafeste con
cui nessuno sano di mente starebbe insieme, non significa che noi non
possiamo
essere felici.”
“Oh, grazie. Vorresti
anche insultare il mio senso
dell’umorismo? Hange stava giusto iniziando.”
“Il tuo umorismo
è di merda,” disse Erwin.
“Letteralmente.”
Questa volta, Armin non
trattenne la sua risata, neppure
Eren riuscì a non muovere le spalle mentre si nascondeva la
bocca con le mani. Fu
contento di vedere che anche Mikasa stava ridendo.
Aveva forse perdonato Levi per
ciò che aveva fatto nella
vita precedente?
“Che hanno detto
quelli della squadra speciale quando hai
detto loro di aver trovato Eren?” chiese Hange a Levi. A
quanto pareva, era un
argomento adatto di cui parlare a cena.
“Ne sono stati
felici. Penso che ognuno di loro si senta
ancora in colpa per non essere stati in grado di proteggerlo.”
“Loro
si sentono
in colpa?” chiese incredulo Eren. Li ricordava nella foresta,
con i corpi
schiacciati e distrutti dal gigante femmina. Era sicuro che non lo
avrebbe mai
dimenticato.
“Non ho detto che
dovrebbero, ho detto che effettivamente si
sentono in colpa.”
Armin aveva la bocca serrata.
Eren pensò a chi fosse in
realtà il gigante femmina e decise di mollare completamente
la conversazione.
Fu Hange a riprenderla in mano.
“Dico davvero, voi
dovete raccontarmi tutti i vostri
ricordi,” disse. “Non qui a cena, ma se mi
permetterete di farvi qualche
domanda prima o poi, mi aiutereste moltissimo con la mia
ricerca.”
Lo sguardo di Eren si
spostò sulla sua espressione seria.
“Io in realtà non ricordo molto.”
Lei scosse la testa.
“Nessun problema. Ho avuto degli ottimi
risultati con l’utilizzo
dell’ipnosi…”
“Hange,”
disse Erwin interrompendoli. “Non credo sia
qualcosa che debbano prendere in considerazione adesso.”
Eren guardò il
comandante con riconoscenza. Dopo la
rivelazione del giorno prima, non era sicuro di quanto volesse
ricordare.
Lo sguardo da pazzoide di Hange
scemò in un istante. Per
ripicca, iniziò a parlare della sua ricerca, o meglio, della
parte ufficiosa,
in cui aveva utilizzato Erwin e Levi come soggetti per i test. Eren
rimase
sorpreso che Levi avesse voluto prenderne parte.
“Ovviamente, non
significa molto,” ripeteva lei. “Non posso
trarre conclusioni da due sole persone. Beh, tre, se contate
me.”
“Hanno afferrato il
concetto,” disse Levi dopo la quarta
volta.
Poi venne il momento di
raccontare la propria vita e tutti,
tranne Levi, riportarono numerosi aneddoti. Grazie ad Erwin e Hange,
appresero
che Levi era cresciuto in Francia e che, da quando era adolescente fino
ai
vent’anni circa, aveva vinto molti campionati internazionali
di arti marziali.
La cosa scioccò Eren, dal momento che non riusciva ad
immaginare che Levi si
fosse iscritto per puro divertimento. L’unica spiegazione che
potesse avere
senso era che Levi avesse cercato di far sapere dove fosse.
Il che voleva dire che voleva
essere trovato.
Da quel momento, Eren per un
po’ perse il filo della
conversazione: era diviso tra la soddisfazione per aver avuto la prova
che a
Levi ciò importava, e la frustrazione per non averlo trovato
in quel modo. Ovviamente avrebbe
dovuto cercare tra i
campioni di arti marziali. Perché non ci aveva pensato?
La serata passò
velocemente e presto Marie tornò in salotto
per ricordare a tutti che era ora di andare a dormire. Si alzarono in
piedi e
si scambiarono i numeri di telefono e gli indirizzi email,
freneticamente, come
se da un giorno all’altro avrebbero potuto perdere le loro
tracce. Eren avvertì
una leggera fitta quando capì che così non
avrebbe avuto più scuse per chiamare
Levi, ma il suo disappunto scomparve quando si trovò da solo
insieme a lui
sulla porta d’entrata, mentre si abbottonavano i cappotti e
gli altri si
stavano congedando nel salotto. Si affrettò a intavolare una
conversazione, determinato
a non perdersi quella possibilità di parlare insieme.
“Fra poco
sarà il tuo compleanno, vero?”
Levi alzò la testa,
quasi sorpreso di vedere Eren davanti a
lui. Subito dopo la sua espressione si rilassò.
“Vorresti farmi una
torta?”
“È
un sì? Quale giorno?”
“No. A meno che valga
ancora il mio vecchio compleanno. In
tal caso, il venticinque, e alla vaniglia, grazie.”
Eren arrossì un
poco. Giusto. Erano tutti nati una seconda
volta, anche se non riusciva ad immaginare che Levi fosse nato in un
mese più
caldo di quello. Al venticinque mancava solo una settimana e mezza ed
Eren
aveva lezioni fino al ventuno.
“Ti posso sempre
preparare qualcosa, se vuoi,” disse
guardando il pavimento. Poi riformulò. “Anche
se… condivido la cucina con altri
cento ragazzi del college. Non credo che rispetti i tuoi standard e mi
ci
vorrebbero mesi per pulirla a dovere.”
Il capitano lo
guardò compiaciuto. “Oh? Almeno ricordi
ancora delle cose importanti. Quindici anni senza sapere come pulire
decentemente sono sufficienti per non so quante vite.”
“Non saprei come
avrei potuto dimenticarmene…” iniziò
Eren,
prima che un dettaglio della frase di Levi lo fermasse.
“Aspetta. Quali sono le
cose importanti che non ricordo, se ne ricordo solo alcune?”
Levi distolse lo sguardo per un
momento, prima che una mano
da dietro afferrasse la spalla di Eren.
“Un sacco,”
disse Hange. “Ed è per questo che dovresti farti
ipnotizzare da me qualche volta. Se passerò
un’altra vita senza scoprire cosa
c’era in quella cantina, allora sarò davvero
degna del mio soprannome.”
Eren si girò e vide
il resto del gruppo in piedi dietro
Hange, pronti a prendere i cappotti ed andarsene. Lui e Levi uscirono
per fare
loro spazio nell’ingresso ed Eren pensò che
significasse la fine di quel
momento privato tra loro due, finché Levi lo
guardò con le guance pallide che
cominciavano a diventare rosa per il freddo.
“Ti
manderò un messaggio con il mio indirizzo,” disse.
“Se
avrai bisogno di una cucina decente o… solo per parlare.
Anche per gli altri.”
Eren dovette ricordarsi di
respirare, non era sicuro di cosa
significasse. “Tutto pur di avere una torta di
compleanno,” disse a voce bassa.
“Non sapevo amassi i dolci.”
“Non io,
tu.”
Quell’affermazione,
calma e veritiera, fu il colpo di grazia
per Eren e le sue già ridotte capacità oratorie. Non io, tu. Nessuna domanda,
né esitazione. Levi era certo che Eren
conoscesse i suoi gusti e c’era una tale confidenza in questo
che Eren iniziò a
dubitare dei suoi ricordi. Ma no. Eren era sicuro, anzi più
che sicuro, che lui
e Levi non fossero stati così tanto intimi. Ricordava di
aver passato delle
notti brancolando nel buio con alcune persone, ma non con il capitano.
Non con
qualcuno di cui gli importava. Allora perché Levi era
così sicuro di sé?
L’arrivo degli altri
salvò nuovamente Eren dal silenzio
imbarazzante. Tutti e cinque salutarono Erwin e Marie mentre
percorrevano il
vialetto del giardino e imboccavano la strada verso la metropolitana.
Levi ed
Hange li lasciarono per prendere un’altra linea,
così Eren fu di nuovo solo con
i suoi amici. Sospirò mentre si sedeva sul sedile del treno,
tra Armin e
Mikasa.
“È
stato molto divertente,” disse Armin mentre le ruote
iniziavano a girare e il treno partiva. Eren e Mikasa annuirono.
“Chissà se li
rivedremo.”
“Da come ci guardava
Hange?” disse Mikasa. “Presto.”
Eren era d’accordo,
ma non disse nulla. Nessuno di loro
aveva ancora voglia di parlare di quanto scoperto; era troppo presto,
anche se
non si era parlato di cattive notizie. Avevano bisogno di elaborare
tutto ciò
ed Eren non aveva dimenticato la rivelazione di Hange: Mikasa lo aveva
visto
morire, o almeno, era sopravvissuta a lui. In quei undici anni
trascorsi insieme
in quella nuova vita, non ne aveva mai parlato.
Quando arrivarono a casa, tutti
e tre erano esausti e non si
reggevano in piedi. Mikasa mormorò un ciao prima di andare
in camera sua, Armin
ed Eren crollarono dentro la loro un momento dopo. Eren stava
indossando il suo
pigiama quando il telefono vibrò ad un messaggio di Levi: il
suo indirizzo, non
una parola di più.
Eren cercò di non
pensarci troppo, ma mentre si metteva a
letto si ritrovò ad aspettare in silenzio il suono della
vibrazione del
telefono di Armin ad un messaggio simile.
Non
arrivò mai.