Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mysecretfanmoments    21/08/2018    5 recensioni
"Tu lo hai dimenticato," disse, la voce non nascondeva la sorpresa. "Ah. Ecco allora perché mi chiamavi capitano."
Reincarnation AU in cui Eren e Levi non hanno mai iniziato una relazione nella vita passata. (Altre coppie presenti: Erwin/Marie, accenno di Armin/Annie)
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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n.d.t: come promesso, sono tornata con un nuovo capitolo! E non dopo… 10 mesi di hiatus come l’ultima volta. Spero mi perdonerete. Ad ogni modo, ecco a voi alcune PRECISAZIONI RIGUARDO LA STORIA importanti (vedi capslock per attirare l’attenzione) per questo e i capitoli a venire: guardando le date di pubblicazione della fanfiction e dei capitoli del manga, l’autrice l’ha conclusa quando più o meno era stato pubblicato il capitolo 60. Per questo motivo, avvenimenti come il colpo di Stato o l’arco di Shiganshina (lettori del manga, you know what I mean) non erano ancora noti all’autrice, o ha scelto di ignorarli per mantenere la storia come l’aveva pensata. Detto questo vi lascio al capitolo, spero che la mia traduzione vi piaccia!

Riuniti

Armin era davvero sul punto di arrabbiarsi, il che per lui significava infastidirsi e dire al massimo “Non posso credere che tu sia stato così irragionevole”. Marciava di fronte a Eren, facendo sembrare la piccola stanzetta del dormitorio ancora più piccola.

“Tu hai incontrato quell’uomo, il soldato più forte dell’umanità, uno degli ufficiali più prestigiosi dell’Armata Ricognitiva per strada e non ci hai chiamati? Ti ha detto che conosceva alcuni degli altri, tra cui quella che cercavamo da mesi e non ci hai chiamati? Che cosa stavi pensando? Questa era la svolta che stavamo aspettando! E se venisse preso sotto da una macchina o qualcosa del genere?”

Eren portò le gambe sopra il letto, si sentiva colpevole. Cosa avrebbe potuto dire? Che la cosa non gli era nemmeno venuta in mente?

“Non è come con te e Mikasa,” disse dispiaciuto. “Non era uno dei miei migliori amici nell’altra vita. Sarebbe stato imbarazzante.”

Armin si accigliò e si fermò di fronte ad Eren, fissandolo incredulo. La rabbia nella sua voce si mutò in preoccupazione. “Non credi che rinascere insieme possa far superare l’imbarazzo? Avresti potuto chiedergli di volare sulla luna con lui e forse lo avrebbe fatto.”

“Cosa?”

“Pensaci. Se ti avesse chiesto di andare da qualche parte o fare qualcosa con lui, ti saresti rifiutato?”

Eren scosse la testa, pensando che avrebbe avuto ben altre ragioni per accettare.

“Esattamente. Non importa quanto eravate poco legati nell’altra vita, ora avete qualcosa di grande che vi lega. E poi, avete passato un sacco di tempo insieme, quindi sono sicuro che ti considerasse molto più che un semplice conoscente.”

“Mi dispiace,” disse Eren.

Armin sospirò. “Non sono arrabbiato Eren, solo…”

“… deluso,” disse Eren, attirandosi un’occhiata di rimprovero, che diventò presto un sorriso quando Eren scoppiò a ridere.

Armin si buttò su letto vicino a lui.

“Credo che sia stato innamorato di Annie,” disse Armin guardando il soffitto. Lo disse come se non fosse più di tanto importante, al punto che Eren non era sicuro di aver sentito bene.

“Cosa?”

“Beh, dopo aver sentito quella teoria sull’età, mi sento frustrato. Più di quanto dovrei esserlo, a pensare che lei potrebbe essere molto più giovane. Quindi penso che forse mi importi di più di quanto dovrebbe.”

Eren aspettò che il suo amico aggiungesse qualcosa.

“Credo che lei mi facesse sentire speciale. Era il nostro nemico, ma mi faceva sentire come se fossi importante. Avrebbe potuto uccidermi mille volte, ma non lo ha fatto. Inoltre, sembrava che le importasse di cosa io pensassi di lei, perfino quando diceva chiaro e tondo che non le importava degli altri. In quella vita, era importante. Per così tanto tempo ho pensato di essere un peso inutile.”

“Non lo sei mai stato. Tu lo sai.”

“Lo so ora.”

Eren circondò le gambe con le proprie braccia. “Sai, il fatto che ti avrebbe potuto uccidere mille volte ma non lo ha fatto, non è proprio il miglior presupposto per una relazione.”

Armin rise. “Già. E tu?”

“Non siamo in una gara. Vuoi Annie, puoi tenertela.”

“Sai che non intendo quello.”

Eren guardò la porta chiedendosi quando Mikasa sarebbe tornata da lezione. Per un qualche motivo, era più preoccupato che lei lo venisse a sapere, piuttosto che Armin. Probabilmente perché nei suoi ricordi lei odiava Levi.

Ne aveva motivo.

“Come fai sempre a capirlo?” chiese di rimando Eren.

“Diciamo che lo si capisce da come sei rimasto completamente incantato da lui. Questo, e poi, con qualunque altro avresti rotto le scatole fino a obbligare il malcapitato a incontrarci. Levi lo hai lasciato andare, questo perché lo hai sempre messo una spanna sopra gli altri esseri umani normali.”

Il viso di Eren andò in fiamme. “Non volevo.”

“Ah, sì? Aveva detto che doveva andare?”

“Non esattamente. Ma stava saltando il lavoro e sembrava ne svolga uno importante.”

“Che cosa ha detto, esattamente?”

Diventò ancora più rosso. “Che non doveva per forza andare.”

Armin non disse nulla, ma la sua espressione d’intesa parlava per lui.

“Andiamo,” disse Eren, imbarazzato. “Non credo che gli farebbe piacere un ragazzino qualsiasi innamorato come una scolaretta di lui.”

“Non sei un ragazzino qualsiasi, Eren,” gli disse l’amico. “Sei l’opposto di un ragazzino qualsiasi. A prescindere dai suoi sentimenti, ci andrebbe piano con te. Abbiamo tutti passato un inferno, non riserveremmo la stessa sorte l’uno all’altro.”

Ci fu un rumore alla porta, un rumore sospetto che sembrava quello di un corpo che cadeva contro il metallo, e Mikasa la spalancò un momento dopo, prima che uno dei due potesse rispondere. Aveva il viso arrossato per la corsa.

“Hai detto di aver trovato Levi?” chiese, con in mano il telefono. “Il capitano? Cosa mi sono persa?”

Dopo tutto, lei ci teneva. Sorridendo di fronte al suo entusiasmo, Eren le spiegò tutto.

 

 

“Moccioso.”

La voce dall’altro capo del telefono era piatta, senza alcun segno di agitazione o nervosismo. Decisamente il contrario di Eren, che aveva quasi fatto cadere il telefono quando la chiamata era iniziata.

“Ehi, ehm… Levi.”

“Vuoi ancora chiamarmi capitano?”

Eren arrossì. “Prima o poi mi ci abituerò.”

“Non farlo, è lusingante. Mi dà l’impressione che possa ancora darti degli ordini. Che c’è?”

Tu puoi ancora darmi degli ordini, pensò Eren, prima di portare una mano alla bocca. Non lo avrebbe mai detto, per nessun motivo. Stupida, bellissima voce, stava cercando di ritrasformarlo in un cadetto quindicenne ossessionato dal compiacere il suo superiore. In questo mondo, lui e Levi erano dei pari.

Beh, in teoria.

“Moccioso? Andiamo. Sei stato tu a chiamarmi.”

“Possiamo incontrarci?” chiese Eren. Calò il silenzio dall’altro capo del telefono, quindi si affrettò a spiegarsi meglio. “L’ho detto a Mikasa e Armin. Si chiedevano se magari ci potessimo riunire tutti insieme. Tutti quelli che vivono qui.”

“Sì, stavo pensando a qualcosa del genere. Hange ed Erwin sono entusiasti. Beh, Hange è entusiasta, Erwin è semplicemente contento. Siete tutti liberi domani sera? Si è offerto di invitarci a casa sua.”

Eren era abbastanza sicuro che Mikasa avesse lezioni di arti marziali il venerdì sera, ma aveva detto che avrebbe potuto disdire qualsiasi impegno in caso di un raduno. “Sì, siamo tutti liberi. Ma Erwin non ha una famiglia?”

È sposato. Non preoccuparti, se ci ha invitati, va bene.”

Eren non sapeva se fosse vero, ma non fece domande. Continuarono a progettare i dettagli insieme. Mentre parlavano, Eren ripensò a ciò che aveva detto Armin, chiedendosi se davvero l’altro ci tenesse a lui solo perché avevano passato lo stesso schifoso inferno. Sembrava impossibile. Levi appariva così inavvicinabile, così tanto superiore a lui.

Eppure eccolo lì, ad organizzare un raduno con tutti gli altri. Forse c’era qualcosa di vero in tutto ciò.

O forse era semplicemente annoiato.

 

 

Mentre si avviavano verso la casa di Erwin a Westchester, Eren si era sempre più ammutolito. Armin e Mikasa probabilmente lo notarono, ma non dissero nulla. Quando salirono sul gradino di casa, Mikasa gli strinse la mano sorridendogli, e lui gliela strinse di rimando. Era felice che lei fosse lì.

Ma quando la porta si aprì, si dimenticò della sua agitazione: una pazzoide si fiondò su di loro e li abbracciò così forte quasi da sollevarli tutti e tre assieme.

“Il golden trio!” esclamò Hange, stringendoli più forte. “I miei nuovi bellissimi, meravigliosi soggetti per la mia ricerca.”

Amici, Hange,” corresse un uomo alto che stava dietro Hange. Sorrideva. “Per favore, cerca di chiamarli amici. Non vorrai che scappino via.”

Eren era contento che Hange lo stesse ancora abbracciando, perché l’istinto a fare il saluto quando vide Erwin era troppo forte da poterlo ignorare. Lei mollò la presa subito dopo.

“I miei nuovi amici,” disse. I suoi occhi, grandi e vigili, ricordarono a Eren Dobby.

“Venite,” disse Erwin, facendo spostare Hange di lato. “Levi è dentro.”

Tutti lo seguirono, lasciando le scarpe e i cappotti nell’ingresso e guardandosi attorno incuriositi nel salotto. Era accogliente, con un deciso tocco femminile. Sopra la mensola del camino era appesa una foto di matrimonio incorniciata e la donna raffigurata era in piedi sulla porta della stanza accanto: indossava un grembiule con una stampa di ciliegie e sembrava la sua gemella un po’ meno elegante.

“Altri svitati?” chiese, sorridendo a Erwin. Osservandola, Eren ricordò le parole di Levi: è il suo paradiso personale. Ne capiva il perché. Era un bel po’ più bassa di suo marito, con i capelli castano chiaro ricci acconciati su una spalla e un viso dolce a forma di cuore.

Inoltre, era incinta. Molto incinta.

“Questa è mia moglie, Marie,” disse Erwin, cercando di non far sembrare che si stesse vantando. “Marie, questo è il golden trio. Armin, Eren, Mikasa.”

“Svitati?” chiese Mikasa,

È una battuta,” disse una voce proveniente dalla cucina. Un momento dopo apparve Levi, vestito in modo molto casual con jeans e una maglia nera a maniche lunghe. “Per favore, non ucciderla. Ricordo che in quello eri molto brava.”

Mikasa aprì la bocca per replicare, ma Armin la batté sul tempo. “È bello rivederti, Capitano,” disse sorridente.

Levi gli passò una mano sul viso ed Eren non riusciva a capire se la sua espressione fosse contenta o infastidita. “Ciao, moccioso. Sentiti libero di usare il mio vero nome.”

“Non possiamo farne a meno,” disse Armin. “Per così tanto tempo avevate solo dei soprannomi.” Li indicò uno alla volta. “Capitano, comandante, scienziata pazza. Posso mostrarvi le liste, se volete.”

Hange rise. “Tutta quella faticaccia a fare la Caposquadra e finisco con l’essere chiamata scienziata pazza. Non avrei dovuto impegnarmi così tanto.”

“Te lo meriti,” disse Levi. “Sei un’eccentrica del cazzo.”

“Grazie, Capitano.”

Marie sollevò una mano. “Credo che ora io debba uscire di scena. Il cibo è in cucina. Io sarò in sala da pranzo a litigare con la mia macchina da cucire.”

Non dovette nominare il cibo due volte. Si spostarono tutti in cucina e riempirono i piatti con finger food preparati a regola d’arte, una vasta scelta di pizzette e verdure, e molti altri stuzzichini. Eren fu più lento degli altri, distratto dalla vista di Erwin e sua moglie insieme nella stanza accanto. La porta che dava sulla sala da pranzo era aperta ed Erwin stava stringendo la moglie in un abbraccio. La baciò incurante degli altri, più come un soldato che andava in guerra che come un marito che stava per lasciare la stanza. Una mano accarezzava il pancione, l’altra era tra i suoi capelli. Eren si chiese come fosse possibile amare in questo modo, come essere così intimi con qualcuno che non condivideva i ricordi di un mondo circondato dalle mura. Avvertì un leggero fastidio alla gola.

“Ehi,” disse qualcuno, tirandogli una gomitata sul fianco. Gli si mozzò il fiato quando vide che era Levi. “È da maleducati fissare.”

Eren arrossì violentemente, girandosi subito verso il cibo. Ne mise un po’ sul suo piatto senza guardare, pronto alla fuga, nonostante la voce di Levi fosse stata gentile. Sapeva di essere ancora rosso in faccia quando tornò in salotto, ma Levi non sembrava affatto imbarazzato mentre era entrato e aveva preso posto sul divano. Eren si sedette sul pavimento, dall’altro lato del tavolino.

“Dovete raccontarmi tutto,” stava dicendo Hange a Mikasa e Armin. “Su questa vita e l’altra. Siete arrivati alla cantina? Ucciderei pur di sapere cosa c’era lì dentro.”

Armin scosse la testa. “Le cose tecniche non mi sono chiare. Ricordo alcuni flash.”

“Persone e sensazioni, giusto?” disse Hange, e Armin annuì. “Anche noi. È come se il mondo non volesse che noi ricordiamo. Stupido mondo.”

“Oppure vuole che ci concentriamo sulle cose importanti,” disse Mikasa. Stava fissando il suo piatto. “Come la possibilità che abbiamo questa volta di vivere una vita vera e le persone con cui vorremmo trascorrerla.”

“Stronzate sentimentali,” disse Levi, facendo girare tutti verso di lui. “Al mondo non importa di cosa noi facciamo. Certo, sarebbe una bella teoria, ma sei tu quella che decide. Non c’è nessun disegno. Chiunque dica il contrario sta mentendo a sé stesso.”

Eren si aspettava che Mikasa si irritasse, invece annuì e disse, “Questo è un altro modo di vederla, ma secondo me si riduce alla stessa cosa. Sono molto grata per questa possibilità.”

“Eren è morto prima di te, non è vero?” chiese all’improvviso Hange. Si sporse più in avanti sul divano, aveva i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo serio. “Te lo ricordi.”

Eren guardò Mikasa, sbarrò gli occhi. Non aveva mai parlato di niente del genere. Non ricordava esattamente di quando fosse morto; ricordava battaglie interminabili, molte delle quali sarebbero potute essere le ultime, ma non aveva mai pensato a cosa la sua morte fosse significata per gli altri.

“Come ho detto,” disse Mikasa. “Sono grata.”

Dal suo sguardo, si intuì che Levi era d’accordo,  ma non le disse nulla. “Ad ogni modo,” disse invece, “Questa è la peggior conversazione a tavola a cui abbia mai partecipato.”

Hange ridacchiò. “Disse quello che pensa si possano dire battute sulla merda nelle conversazioni educate.”

Armin tossì, anche se sembrava vagamente una risata, ed Eren sorrise senza nemmeno accorgersi. Il momento imbarazzante finì quando Erwin entrò nella stanza e si sedette nella grande poltrona, che sembrava fatta apposta per lui.

“Erwin, onestamente,” disse Levi una volta che Erwin era seduto, “Non riesci a tenere le mani lontane da lei per cinque secondi? Hai degli ospiti.”

Erwin in tutta risposta arricciò il naso, era molto diverso dal comandante che tutti ricordavano. “Solo perché tu sei un guastafeste con cui nessuno sano di mente starebbe insieme, non significa che noi non possiamo essere felici.”

“Oh, grazie. Vorresti anche insultare il mio senso dell’umorismo? Hange stava giusto iniziando.”

“Il tuo umorismo è di merda,” disse Erwin. “Letteralmente.”

Questa volta, Armin non trattenne la sua risata, neppure Eren riuscì a non muovere le spalle mentre si nascondeva la bocca con le mani. Fu contento di vedere che anche Mikasa stava ridendo.

Aveva forse perdonato Levi per ciò che aveva fatto nella vita precedente?

“Che hanno detto quelli della squadra speciale quando hai detto loro di aver trovato Eren?” chiese Hange a Levi. A quanto pareva, era un argomento adatto di cui parlare a cena.

“Ne sono stati felici. Penso che ognuno di loro si senta ancora in colpa per non essere stati in grado di proteggerlo.”

Loro si sentono in colpa?” chiese incredulo Eren. Li ricordava nella foresta, con i corpi schiacciati e distrutti dal gigante femmina. Era sicuro che non lo avrebbe mai dimenticato.

“Non ho detto che dovrebbero, ho detto che effettivamente si sentono in colpa.”

Armin aveva la bocca serrata. Eren pensò a chi fosse in realtà il gigante femmina e decise di mollare completamente la conversazione. Fu Hange a riprenderla in mano.

“Dico davvero, voi dovete raccontarmi tutti i vostri ricordi,” disse. “Non qui a cena, ma se mi permetterete di farvi qualche domanda prima o poi, mi aiutereste moltissimo con la mia ricerca.”

Lo sguardo di Eren si spostò sulla sua espressione seria. “Io in realtà non ricordo molto.”

Lei scosse la testa. “Nessun problema. Ho avuto degli ottimi risultati con l’utilizzo dell’ipnosi…”

“Hange,” disse Erwin interrompendoli. “Non credo sia qualcosa che debbano prendere in considerazione adesso.”

Eren guardò il comandante con riconoscenza. Dopo la rivelazione del giorno prima, non era sicuro di quanto volesse ricordare.

Lo sguardo da pazzoide di Hange scemò in un istante. Per ripicca, iniziò a parlare della sua ricerca, o meglio, della parte ufficiosa, in cui aveva utilizzato Erwin e Levi come soggetti per i test. Eren rimase sorpreso che Levi avesse voluto prenderne parte.

“Ovviamente, non significa molto,” ripeteva lei. “Non posso trarre conclusioni da due sole persone. Beh, tre, se contate me.”

“Hanno afferrato il concetto,” disse Levi dopo la quarta volta.

Poi venne il momento di raccontare la propria vita e tutti, tranne Levi, riportarono numerosi aneddoti. Grazie ad Erwin e Hange, appresero che Levi era cresciuto in Francia e che, da quando era adolescente fino ai vent’anni circa, aveva vinto molti campionati internazionali di arti marziali. La cosa scioccò Eren, dal momento che non riusciva ad immaginare che Levi si fosse iscritto per puro divertimento. L’unica spiegazione che potesse avere senso era che Levi avesse cercato di far sapere dove fosse.

Il che voleva dire che voleva essere trovato.

Da quel momento, Eren per un po’ perse il filo della conversazione: era diviso tra la soddisfazione per aver avuto la prova che a Levi ciò importava, e la frustrazione per non averlo trovato in quel modo. Ovviamente avrebbe dovuto cercare tra i campioni di arti marziali. Perché non ci aveva pensato?

La serata passò velocemente e presto Marie tornò in salotto per ricordare a tutti che era ora di andare a dormire. Si alzarono in piedi e si scambiarono i numeri di telefono e gli indirizzi email, freneticamente, come se da un giorno all’altro avrebbero potuto perdere le loro tracce. Eren avvertì una leggera fitta quando capì che così non avrebbe avuto più scuse per chiamare Levi, ma il suo disappunto scomparve quando si trovò da solo insieme a lui sulla porta d’entrata, mentre si abbottonavano i cappotti e gli altri si stavano congedando nel salotto. Si affrettò a intavolare una conversazione, determinato a non perdersi quella possibilità di parlare insieme.

“Fra poco sarà il tuo compleanno, vero?”

Levi alzò la testa, quasi sorpreso di vedere Eren davanti a lui. Subito dopo la sua espressione si rilassò.

“Vorresti farmi una torta?”

È un sì? Quale giorno?”

“No. A meno che valga ancora il mio vecchio compleanno. In tal caso, il venticinque, e alla vaniglia, grazie.”

Eren arrossì un poco. Giusto. Erano tutti nati una seconda volta, anche se non riusciva ad immaginare che Levi fosse nato in un mese più caldo di quello. Al venticinque mancava solo una settimana e mezza ed Eren aveva lezioni fino al ventuno.

“Ti posso sempre preparare qualcosa, se vuoi,” disse guardando il pavimento. Poi riformulò. “Anche se… condivido la cucina con altri cento ragazzi del college. Non credo che rispetti i tuoi standard e mi ci vorrebbero mesi per pulirla a dovere.”

Il capitano lo guardò compiaciuto. “Oh? Almeno ricordi ancora delle cose importanti. Quindici anni senza sapere come pulire decentemente sono sufficienti per non so quante vite.”

“Non saprei come avrei potuto dimenticarmene…” iniziò Eren, prima che un dettaglio della frase di Levi lo fermasse. “Aspetta. Quali sono le cose importanti che non ricordo, se ne ricordo solo alcune?”

Levi distolse lo sguardo per un momento, prima che una mano da dietro afferrasse la spalla di Eren.

“Un sacco,” disse Hange. “Ed è per questo che dovresti farti ipnotizzare da me qualche volta. Se passerò un’altra vita senza scoprire cosa c’era in quella cantina, allora sarò davvero degna del mio soprannome.”

Eren si girò e vide il resto del gruppo in piedi dietro Hange, pronti a prendere i cappotti ed andarsene. Lui e Levi uscirono per fare loro spazio nell’ingresso ed Eren pensò che significasse la fine di quel momento privato tra loro due, finché Levi lo guardò con le guance pallide che cominciavano a diventare rosa per il freddo.

“Ti manderò un messaggio con il mio indirizzo,” disse. “Se avrai bisogno di una cucina decente o… solo per parlare. Anche per gli altri.”

Eren dovette ricordarsi di respirare, non era sicuro di cosa significasse. “Tutto pur di avere una torta di compleanno,” disse a voce bassa. “Non sapevo amassi i dolci.”

“Non io, tu.”

Quell’affermazione, calma e veritiera, fu il colpo di grazia per Eren e le sue già ridotte capacità oratorie. Non io, tu. Nessuna domanda, né esitazione. Levi era certo che Eren conoscesse i suoi gusti e c’era una tale confidenza in questo che Eren iniziò a dubitare dei suoi ricordi. Ma no. Eren era sicuro, anzi più che sicuro, che lui e Levi non fossero stati così tanto intimi. Ricordava di aver passato delle notti brancolando nel buio con alcune persone, ma non con il capitano. Non con qualcuno di cui gli importava. Allora perché Levi era così sicuro di sé?

L’arrivo degli altri salvò nuovamente Eren dal silenzio imbarazzante. Tutti e cinque salutarono Erwin e Marie mentre percorrevano il vialetto del giardino e imboccavano la strada verso la metropolitana. Levi ed Hange li lasciarono per prendere un’altra linea, così Eren fu di nuovo solo con i suoi amici. Sospirò mentre si sedeva sul sedile del treno, tra Armin e Mikasa.

È stato molto divertente,” disse Armin mentre le ruote iniziavano a girare e il treno partiva. Eren e Mikasa annuirono. “Chissà se li rivedremo.”

“Da come ci guardava Hange?” disse Mikasa. “Presto.”

Eren era d’accordo, ma non disse nulla. Nessuno di loro aveva ancora voglia di parlare di quanto scoperto; era troppo presto, anche se non si era parlato di cattive notizie. Avevano bisogno di elaborare tutto ciò ed Eren non aveva dimenticato la rivelazione di Hange: Mikasa lo aveva visto morire, o almeno, era sopravvissuta a lui. In quei undici anni trascorsi insieme in quella nuova vita, non ne aveva mai parlato.

Quando arrivarono a casa, tutti e tre erano esausti e non si reggevano in piedi. Mikasa mormorò un ciao prima di andare in camera sua, Armin ed Eren crollarono dentro la loro un momento dopo. Eren stava indossando il suo pigiama quando il telefono vibrò ad un messaggio di Levi: il suo indirizzo, non una parola di più.

Eren cercò di non pensarci troppo, ma mentre si metteva a letto si ritrovò ad aspettare in silenzio il suono della vibrazione del telefono di Armin ad un messaggio simile.

Non arrivò mai.

   
 
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