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Autore: Jeo 95    21/08/2018    2 recensioni
(All27-Family centic)
Disperati. Distrutti. Pronti a tutto pur di riavere ciò che hanno perduto, ciò che gli è stato tolto ingiustamente, e che non sono disposti a lasciarsi alle spalle.
A costo di perdere sè stessi, faranno tutto ciò che è in loro potere per salvare la vita di colui senza il quale non possono vivere.
Perchè un Cielo senza Elementi può vivere ugualmente.
Ma gli Elementi senza un Cielo non possono far altro che perire.
***
(Titolo provvisorio)
Genere: Angst, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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N.d.A.- Chaossu! Chiedo venia se non ho postato prima, ma sono stata senza wifi per due settimane, e non ho potuto farci nulla purtroppo >-<
Spero che la pazienza sia stata ripagata, e che il capitolo vi soddisfi abbastanza da farvi dimenticare il mio enorme ritardo!
Ammetto che io stessa non sono soddisfattissima del risultato, cioè avrebbe potuto uscire meglio... spero di redimermi con i prossimi aggiornamenti!
Grazie a tutti
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Quando avevano concordato che il viaggio nel tempo fosse una buona idea per ritrovare il proprio Cielo, nessuno di loro aveva realmente messo in conto le possibilità che si sarebbero aperte con quella decisione.

Massaggiandosi la parte colpita con irritazione, Hayato non poteva ancora credere a quello che aveva appena visto, a chi nello specifico gli era appena passato davanti, mozzandogli il fiato. La mente aveva smesso di pensare razionalmente, mentre continuava a maledire il ragazzino che gli aveva tirato un calcio senza alcun motivo.

Fastidiosi come sempre, al di là del tempo e dell'età. Anzi, ora che erano mocciosi -Dei, quale combinazione peggiore?- Hayato sentiva di poter sopportare la loro presenza ancor meno di quanto faceva con le loro versioni adulte.

Non capiva.

Che. Cazzo. Ci. Facevano. Lì?

Yosh! Questo è stato estremamente inaspettato!

Le urla di Ryohei lo irritarono.

«Smettila di urlare! Piuttosto, perché cazzo Squalo e Bronco sono in questa scuola?!»

Se ci avesse riflettuto con attenzione, Hayato avrebbe ricordato che Dino lo aveva raccontato un volta -se avesse prestato le dovute attenzioni a Cavallone, cosa che non faceva praticamente mai- di come lui e Squalo fossero stati compagni di scuola, amici d'infanzia addirittura, nello stesso istituto frequentato da ogni bambino con evidenti rapporti alla mala. A quanto pare lo stesso che Aria aveva appena iniziato a frequentare.

Solo a pensarci, Hayato sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.

Non solo doveva passare del tempo a scuola, circondato da ragazzini irritanti, ma doveva oltretutto convivere con la costante presenza del più rumoroso dei Varia -futuri Varia, si corresse- e con Bronco l'idiota piagnone. Grandioso, non vedeva l'ora.

La giornata trascorse tranquilla, quasi noiosa avrebbe osato dire, ma ringraziò che fosse finalmente finita. Aria lo salutò con un sorriso alla fine delle lezioni, prendendolo per mano e guidandolo verso la limousine che li attendeva oltre i cancelli dell'istituto.

Sentendo la mano della bambina stringere la sua si era irrigidito -non era abituato a quei contatti, ci sarebbe voluto del tempo, molto tempo- ma si rilassò, contagiato dalla calma che le Fiamme del Cielo di Aria gli trasmettevano.

Non incontrò più Squalo e Dino durante la giornata, e di questo ne fu grato.

Hmn. La prossima volta morderò l'erbivoro a morte.

Forse non era un'idea così cattiva, stava iniziando a considerarla un'opzione valida.

Come promesso, una volta usciti da scuola, Hayato aveva accompagnato Aria in giro per Venezia, alla ricerca di qualcosa di cui ancora non era stato messo al corrente.

Ad ogni vetrina della lunga via commerciale, gli occhi della giovane brillavano di gioia, mentre passava da un negozio all'altro curiosamente, sempre sotto l'occhio vigile della sua fidata guardia del corpo.

C'era pace in città -insolito per la caotica Venezia, dove turisti andavano e venivano ogni giorno- e l'aria salmastra portata dal mare era un toccasana per i polmoni.

Mani in tasca -la sacca di Shigure Kintoki sempre a portata, pronta ad ogni evenienza- Hayato seguì Aria pochi passi indietro, gettano l'occhio qua e là tra le bancarelle, senza però mai perdere di vista la ragazza.

Il piacevole profumo di pane e dolci gli invase le narici, mentre si avvicinavano sempre di più ad una piccola bottega -non troppo grande, semplice nella sua struttura, eppure accogliente come pochi altri locali nel quartiere- dall'aria fin troppo famigliare. E Aria si stava dirigendo proprio verso quella bottega.

Un nodo allo stomaco lo impietrì, e per un attimo Hayato non riuscì a respirare. Il solo gesto di inspirare sembrava causargli più dolore di quanto non volesse lasciar vedere -aria aria aria, aveva bisogno d'aria- nel ricordare perché quel posto gli sembrasse così famigliare.

«Sei troppo ansioso, Hayato-kun.»

Una voce -la sua voce, quella voce che non avrebbe più sentito- gli risuonò nella mente, e stavolta era sicuro non si trattasse dei Guardiani. Era un eco, un ricordo lontano che faceva male -perché respirare faceva così male? Stava soffocando, aveva bisogno d'aria- ma che non poteva in alcun modo ignorare. Si porto una mano sopra i vestiti, nel punto in cui era sicuro ci fosse il cuore, e strinse il tessuto con quanta forza aveva.

«E va bene, mi arrendo. Una pausa al forno di Lucia-san non mi farà male.»

Strinse con più forza i vestiti, l'aria sempre più rarefatta. Stava soffocando, ancora una volta incapace di reagire davanti alla realtà.

Respira. Non lasciarti sovrastare.

Ma Hayato non lo sentiva, non sentiva nessuno di loro, non vedeva -quando si era fatto buio? Perché non riusciva a vedere più nulla davanti a sé?- tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi era il dolore che i ricordi portavano a galla. Ancora una volta si stava mostrando debole, inadatto, e la frustrazione tornò a bruciargli come quel giorno, quando il Cielo aveva smesso di abbracciare i suoi elementi.

Erbivoro, datti un contegno.

E faceva male, dannazione se faceva male affrontare i propri ricordi senza collassare, anche quando altre sette persone erano lì pronte a sostenerlo, a capirlo, a condividere il suo stesso dolore. In quel momento però, Hayato era solo, perso, in un mondo in cui il Cielo aveva smesso di esistere.

«H-Hayato-kun...?» tendendo una mano verso il braccio del ragazzo, Aria lo osservava con preoccupazione.

Si era accorta che qualcosa non andava solo poco prima, troppo impegnata a guardare i dolci del forno con emozione -non doveva distrarsi, non doveva lasciarlo solo- e solo quando si era girata a richiamarlo, Aria aveva capito che qualcosa non andava.

Tremava, bianco come un cad-no, non doveva nemmeno pensarla quella parola- come un lenzuolo, e non respirava bene. Sembrava potesse rompersi da un momento all'altro, sotto il tocco delle sue piccole dita che gli avevano sfiorato il braccio.

Hayato si irrigidì sotto il suo tocco, per poi rilassarsi e distendere i muscoli, scacciando quella brutta sensazione che pungeva Aria proprio sotto la pelle, tra la punta delle dita, lì dove le Fiamme premevano forte per uscire e abbracciarlo -accoglierlo, avvolgerlo nel suo Cielo per proteggerlo.

Le prese la mano tra la sua -così grande e forte, ma gentile e confortevole- e la guardò negli occhi sorridendo, un sorriso che non gli aveva mai visto fare prima d'ora.

Aria boccheggiò quando riuscì finalmente a guardarlo negli occhi. Era sicura che gli occhi di Hayato fossero verdi -un verde chiaro, quasi grigio, che alle volte rispendeva di un rosso intenso, caotico, il rosso di una vera Tempesta- mentre ora erano marroni.

Erano caldi e piacevoli, un mare di cioccolato in cui lasciarsi trascinare e coccolare -una punta di azzurro li illuminava, un blu capace di tranquillizzare e rinfrescare come una Pioggia gentile.

Hayato -no, questo non era più Hayato, Aria lo sapeva- la guardò intensamente, senza mai smettere di sorridere.

«Non preoccuparti, va tutto bene Aria-chan!» ancora, Aria non sapeva come reagire a questo nuovo Hayato -no, non Hayato, non più- e per diversi secondi rimase immobile a guardarlo, cercando in lui quel qualcosa che non riusciva a capire, quella strana sensazione che il ragazzo davanti a lei fosse qualcun altro e non colui che l'aveva accompagnata fino a quel momento.

Non trovò nulla. Solo un caldo sorriso, una gentilezza smisurata, e una tristezza che non riusciva a spiegarsi. E per la prima volta realizzò che chiunque avesse davanti -perché ancora, quello non era più Hayato- non era poi così diverso dal ragazzo che conosceva.

Non chiese niente, gli sorrise rassicurante -il sorriso che sua madre le aveva sempre detto di mostrare, il sorriso che accoglie, comprende e perdona- e prendendolo per mano lo portò al forno, parlandogli dei suoi progetti, del perché aveva chiesto di uscire e di cosa le sarebbe piaciuto fare.

Non c'era fretta, si disse. Aspettando il ritorno di Hayato avrebbe parlato con questa persona, l'avrebbe conosciuta meglio e avrebbe capito il perché di quella tristezza.

Non c'era fretta, ripeté. Grazie ad Arashi, ora aveva tutto il tempo del mondo.

 

***

 

«Si... si... capisco che... lo so che è una richiesta importante, ma... no, non era mia intenzione... si lo so che è improvvisa, però...» Luce cercava di mostrarsi calma e composta, nascondendo la propria ansia dietro il telefono.

Resta seria, non lasciare che la tua voce suoni incerta, respira con calma, prendi fiato e mostrati tranquilla. Puoi farcela Luce.” continuava a ripetersi, nella speranza di darsi abbastanza forza da non crollare mentre era ancora nel bel mezzo delle trattative.

Tornò a concentrarsi sulle parole della persona dall'altro capo del telefono, che con altrettanta calma cercava di spiegarle perché si dimostrava così riluttante nell'accettare la sua proposta.

Luce capiva, sapeva di aver avanzato richieste egoiste anche se non ne aveva il diritto, e comprendeva anche i dubbi della persona con cui stava contrattando in quel momento.

Tuttavia non aveva intenzione di tirarsi indietro. Non stavolta.

Riprese a parlare, sperando che anche attraverso un telefono tutta la sua determinazione venisse trasmessa all'altra parte.«Allora, che ne dice di un meeting? Credo sia una questione troppo delicata da discutere al telefono... si, porterò anche il migliore dei miei Guardiani... si, sono sicura che andranno d'accordo... si, si! La ringrazio infinitamente! Allora non resta che definire i dettagli... ma certo, porterò anche mia figlia, è una questione delicata per cui... le assicuro che non se ne pentirà! Allora a presto.»

Riagganciando, Luce crollò esausta sulla propria poltrona. Le gambe molli non avevano più retto il suo stesso peso, schiacciate dalla pressione e dall'ansia di quella lunga chiamata che l'aveva tenuta in sospeso.

Per fortuna era finita meglio di quanto non si sarebbe aspettata.

Riprendendo il cellulare tra le mani tremanti -calma Luce, ormai ci siamo- compose velocemente un secondo numero, stringendo l'apparecchio con entrambe le mani tremanti. Non si era ancora ripresa dalla chiamata precedente, ma non poteva aspettare per comunicargli la notizia.

«Chaossu.»

Quando sentì il famigliare saluto dall'altra parte della cornetta, Luce si rilassò. I tremiti cessarono, e l'ansia parve dissolversi al solo sentire la voce di Reborn così vicina a lei nonostante la distanza. Erano passati solo pochi giorni dal loro ultimo incontro, eppure non riusciva a scacciare la sensazione di malinconia che l'accompagnava ogni volta che l'hitman era lontano.

Riacquistando la calma da Boss quale era, Luce spiegò a Reborn i dettagli della conversazione appena tenuta, delle sue intenzioni, e di come -secondo lei- fosse andata la conversazione. A conti fatti però, era abbastanza positiva a riguardo -e non solo perché aveva avuto una visione che sembrava lasciar intendere fosse riuscita nel suo intento.

«Sì, partirò tra due giorni per Padova, Hayato-kun e Aria verranno con me... si, porterò qualche altro uomo, mentre Gennaro gestirà le cose finché sarò via... te l'ho già detto Reborn, non accetterò un no come risposta.» e su questo non aveva ammesso obiezioni.«Inoltre credo sarà un buon metodo per rafforzare l'alleanza tra le Famiglie... ti preoccupi troppo, con Hayato-kun accanto starò bene.»

Luce conosceva bene ogni sfaccettatura di Reborn, ogni caratteristica peculiare, ogni comportamento ed espressione. Per questo non le sfuggì il tono irritato con cui aveva affermato che -non conoscendolo ancora di persona- voleva fare due chiacchiere con questo “Hayato-kun” per accertarsi che fosse davvero così affidabile come lo descriveva.

«Non ti facevo un tipo geloso, mio caro.» e la risposta la fece ridere ancora di più.

Si alzò dalla sedia e posò lo sguardo sul cielo immenso, così vasto da abbracciarli tutti sotto la sua immensa esistenza. Avrebbe voluto essere così vasta anche lei, abbracciare chiunque ne avesse bisogno, essere colei in grado di riportare l'armonia in coloro che l'avevano perduta, in coloro che non avevano mai avuto la possibilità di averla.

Un flash, due occhi marroni -dolci, intensi, così puri da non sembrare quasi reali- illuminati dalla luce arancione delle Fiamme del Cielo le riaffiorarono alla mente, ed un sorriso le sfiorò le labbra. Il ricordo di una visione di cui non credeva avrebbe mai visto la realizzazione.

Capì che non avrebbe mai potuto essere quel tipo di Cielo -non poteva, non era abbastanza grande, non era infinito- ma non le sarebbe dispiaciuto farne parte quando fosse stato il momento.

«Reborn...»

Fu un sussurro a fior di labbra, mentre l'hitman dall'altra parte restava in ascolto. Luce poteva sentire il respiro calmo dell'amato, che lasciava trasparire la sua impazienza. Sorrise. Solo lei avrebbe potuto percepire la differenza, perché solo lei riusciva a vedere oltre il velo che nascondeva le emozioni del killer.

«Io ce la farò.» e la determinazione del Cielo brillò negli occhi azzurri di Luce.

 

***

 

In altre circostanze, Takeshi non si sarebbe mai preso la libertà di sostituire Hayato in quel modo -all'improvviso, di forza, senza essersi prima consultato con il diretto interessato- ma visto la crisi a cui il compagno stava andando incontro, si era visto costretto ad improvvisare.

Tempesta-san non si è ancora ripreso.

Lo aveva informato Chrome dopo qualche ora, e Takeshi l'aveva semplicemente ringraziata, senza aggiungere nulla.

Avevano considerato quella possibilità -avevano speso sulla discussione una notte intera, aveva ancora il mal di testa a pensarci- ma non si erano mai soffermati sull'eventualità che una di queste “crisi” potesse capitare durante il giorno, all'aperto, alla sola vista di un negozio che ricordava vagamente quello in cui Hayato trascinava il Decimo ogni qual volta lo scopriva rintanato nel suo ufficio, da solo, dopo ore di lavoro senza mai una pausa.

Fino a quel momento erano capitate solo di notte, negli incubi che perseguitavano ognuno di loro sin da quando... da quando il Boss li aveva lasciati.

La notte dell'incidente -no, non era stato affatto un incidente, ma Takeshi non voleva soffermarsi su dettagli che avrebbero fatto più male che altro, specie in quel momento- era stata la peggiore che avessero mai passato. Erano rimasti insieme -perfino Kyoya non si era mosso, né aveva cercato di mordere a morte qualcuno per essersi radunati in gruppo- a piangere l'uno tra le braccia dell'altro, nella stanza che una volta era stata di Tsuna.

Nessun cadavere su cui piangere, nessuna bara da seppellire, niente ultime parole da dire. Era stato portato via tutto, e a loro non era rimasto che annegare insieme nell'oscurità senza Cielo.

Dopo quel giorno, nessuno era più riuscito a dormire serenamente. Nessuno era più riuscito a riposare senza la presenza di almeno uno degli altri Guardiani accanto. Erano diventati tutt'uno ancora prima di avere un corpo solo.

«Ti ringrazio per l'aiuto, Hayato-kun!» la voce di Aria lo distolse da quei ricordi lontani -male Takeshi, resta concentrato, non perderti anche tu.

Istintivamente le sorrise, issando meglio tra le braccia le due buste e assicurandosi che la sacca con Shigure Kintoki non gli ricadesse sulla spalla.«Maa maa, non è nulla Aria-chan!»

Avrebbe anche potuto provare ad imitare Hayato -il broncio, i modi, l'avventatezza ed la formalità che usava nel parlare ad un superiore che rispettava- ma non avrebbe potuto funzionare. Hayato era Hayato, Takeshi era Takeshi. Stesso corpo o no, non potevano pretendere di essere l'un l'altro.

Kfufufufu testa a polpo non sarà felice quando tornerà dal suo sonnellino.

Takeshi rise.«Maa maa, probabilmente hai ragione.» sicuramente aveva ragione, ma avrebbe pensato poi ad un modo per calmare Hayato e non farsi uccidere, per quanto potesse morire ora che era solo una Fiamma e nulla più.

Osservò le buste che teneva tra le mani, studiando gli ingredienti contenuti in ognuna di esse: uova, latte, zucchero, cioccolato... tutto il necessario per preparare qualcosa di dolce, una torta probabilmente.«Neh Aria-chan, per caso vuoi preparare un dolce o qualcosa di simile?»

Aria arrossì visibilmente, nascondendo il viso con la busta che stringeva tra le braccia, annuendo meccanicamente alla domanda del ragazzo.«Tra poco è il compleanno della mamma, e pensavo... si insomma... la torta al cioccolato è la sua preferita, quindi io volevo...»

Takeshi le scompigliò i capelli, regalandole un sorriso carico di dolcezza e -fu talmente breve che Aria non era certa di averlo visto- di quella che sembrava amara tristezza. Rimorso forse, la consapevolezza di non poter recuperare il tempo perduto.

«Sono certo che Luce-san sarà felicissima di ricevere una torta da parte tua!»

Poteva ancora ricordare i sorrisi di Tsuyoshi -quanto gli mancava il suo vecchio, chissà come se la passava durante quel tempo?- quelle volte in cui era Takeshi a preparargli il sushi, un evento che il ragazzo conservava soltanto per il compleanno del padre -escluse le volte in cui lavorava al ristorante, ovviamente.

Ogni volta che Takeshi gli presentava davanti i suoi piatti -le classiche ricette e i nuovi esperimenti che a volte venivano addirittura aggiunti al menù del TakeSushi- Tsuyoshi quasi piangeva per la gioia, mangiando fino all'ultimo boccone anche quando era evidente che non riuscisse più ad ingerire nulla. Tutto pur di soddisfare gli sforzi ed il lavoro del figlio.

Aria lo guardò, gli occhi illuminati di speranza.«Lo credi davvero?»

Takeshi sorrise ancora.«Certo! Se hai bisogno di una mano chiedi pure, non me la cavo affatto male in cucina!» non più, non dopo che il bimbo li aveva sottoposti tutti ad un corso intensivo di cucina per coprire casi speciali in cui avrebbero dovuto arrangiarsi per i pasti.

Con l'umore alle stelle ripresero la loro camminata verso il luogo in cui avevano lasciato la limousine ad aspettare -Aria aveva voluto andare a piedi, per respirare aria fresca e non attirare troppo l'attenzione dei civili- caricarono le loro borse e lasciarono che l'autista facesse strada tra le vie percorribili di Venezia, mentre Aria chiacchierava con Takeshi e gli chiedeva consigli, sull'esecuzione e sulla presentazione della torta.

Era incredibilmente normale e divertente, Takeshi si ritrovò ad apprezzare quel momento di serenità.

Aria aveva spostato lo sguardo fuori dal finestrino solo per un attimo -cosa sarebbe successo se non lo avesse fatto? Preferiva non pensare all'eventualità- dilatando leggermente lo sguardo come se si fosse appena materializzato davanti a lei un fantasma.

«Antonio, ferma la macchina per favore!» una frenata brusca, il suono delle ruote che sfrigolavano sull'asfalto, in un attimo arano fermi al bordo della strada.

Aprendo la portella dell'auto, Aria si gettò all'esterno ancora prima che Takeshi potesse fermarla, correndo verso una delle stradine che si erano lasciati indietro poco prima.

Yare yare, questa bambina è completamente pazza! Me la sono quasi fatta addosso!

«Maa maa mi chiedo cosa le sia preso all'improvviso.»

Afferrò Shigure Kintoki con la mano destra, lanciandosi all'inseguimento della giovane quanto più velocemente possibile, tracciando per quel che poteva il sentiero lasciato dalle Fiamme del Cielo che Aria rilasciava inconsciamente. Non era raro per i bambini -durante la sua vita precedente ne aveva conosciuti tanti così, i bersagli preferiti della mafia, bambini il cui potere della Volontà era così forte addirittura da lasciare una traccia al loro passaggio- e non era sempre una buona cosa.

Lanciò una veloce occhiata ai muri attorno a lui, abbandonando il sorriso che solitamente lo caratterizzava. C'erano graffiti -troppi per essere una sola Famiglia, forse piccoli gruppi in lotta tra loro- un chiaro marchio che reclamava il diritto ad un territorio e, di conseguenza, di tutti coloro che vi abitavano.

Male, molto male.

Corse ancora -più veloce, più veloce, doveva correre, fare in tempo, non poteva fallire ancora- riuscendo a raggiungere Aria prima che entrasse in un vicolo cieco, nascondendosi dietro un muro e attirandola a sé, sorridendole quando l'avvolse tremante nelle proprie braccia.

«H-Hayato-san...»

«Non dovresti scappare così Aria-chan, mi hai fatto prendere un colpo!» era comunque felice di averla raggiunta in tempo.

Gli occhi azzurri della bambina erano dilatati -spaventati, terrorizzati, imploranti- una tacita richiesta di aiuto che però Takeshi non riusciva a comprendere.

«D-Devi aiutarli Hayato-san! Li ho visti, sono qui! Se non li aiutiamo, loro gli faranno...»

Delle voci la interruppero, causandole un lungo brivido lungo la schiena. Erano voci profonde, voci sconosciute -spaventose, cavernose, pericolose- e istintivamente Aria si schiacciò ancora di più contro Takeshi, in cerca di conforto e sicurezza. Li trovò quando fresche Fiamme della Pioggia l'avvolsero, calmando il respiro e stabilizzando il suo cuore impazzito. All'improvviso era in pace.

Takeshi invece era pensieroso. Una strana sensazione gli scivolava lungo la schiena, mentre la presenza di Fiamme a lui note si faceva largo tra il gruppo di mafiosi che occupavano il vicolo in cui Aria stava per entrare.

Era strano. Sentiva di conoscere qualcuno in quel gruppo -nessuna delle facce lì presenti gli era vagamente familiare, eppure la costante presenza di quelle Fiamme note gli faceva presagire il contrario- ma non ricordava chi o dove potesse aver incontrato.

«Voooooi! Schifosa feccia! Lasciateci andare, o vi ucciderò tutti bastardi!»

Sobbalzò. Quella voce... No, non poteva essere... o si?

Fece segno ad Aria di non fiatare, sporgendosi appena oltre il muro per analizzare il gruppetto di mafiosi che si era radunato vicino ad un canale abbandonato, in un vicolo ancora più sconosciuto.

Estese appena le sue Fiamme -piano, con calma, impercettibili a persone di quel livello- fino a scontrarsi con un'onda impetuosa di Fiamme della Pioggia che conosceva bene. Erano Fiamme violente e furiose, che ruggivano e annegavano con forza, impossibili da confondere con qualsiasi altra.

Questo è un estremo problema!

«Maa maa hai proprio ragione Sempai...»

Quando uno degli uomini -quindici... no, almeno venti- si spostò appena sulla destra, Takeshi riuscì finalmente a vedere Squalo che affrontava uno dei mafiosi con la propria spada, difendendo un Dino inerme e spaventato, stretto dietro l'altro bambino in un disperato tentativo di darsi forza.

Anche da quella distanza, Takeshi poteva vedere i tremiti di paura del giovane Cavallone, mentre sussurrava qualcosa come “non voglio essere un mafioso, la mafia fa paura!”, ma di questo non ne era certo. La sua voce sottile era coperta dalle disgustose risate dei loro assalitori, e dalle urla di Squalo che minacciava di uccidere chiunque provasse ad avvicinarsi.

Nonostante la gravità evidente della situazione, Takeshi non poté evitare di sorridere nostalgico: in qualunque tempo andasse, Squalo non cambiava mai, il che era quasi una consolazione.

Sei così smielato che potrei vomitare.

Takeshi rise.«Non hai proprio peli sulla lingua, Mukuro.»

Un grido più acuto riportò la sua attenzione nel vicolo, dove uno degli uomini aveva colpito Squalo in viso, dopo che il bambino aveva ferito un paio dei suoi scagnozzi con la spada.

Sopprimendo un ringhiò, Takeshi si voltò sorridendo verso Aria -un sorriso strano, tetro, che prometteva morte e sofferenza a chiunque decidesse di mettersi sulla sua strada- avvisandola di nascondersi e di lasciare che fosse lui ad occuparsi della faccenda.

Incerta e preoccupata, alla fine annuì e rimase dietro il muro in silenzio, osservando mentre il giovane s'incamminava nel vicolo, senza mai perdere il sorriso. Un sorriso che Aria non avrebbe più voluto vedere su quel viso.

Perché colui-che-non-era-Hayato era un uomo buono, e quel sorriso non gli si addiceva per nulla.
 

***

 

Sputando sangue ai piedi di quegli stronzi che li avevano attaccati, Squalo ringhiò verso il grassone che lo aveva colpito, pulendosi il sangue all'angolo della bocca e tastando il terreno in cerca della spada che uno di quegli stronzi gli aveva rubato.

Distolse lo sguardo solo un istante -mai perdere di vista il nemico, se no riesci a prevedere le sue mosse sei morto- e ringhiò quando si rese conto che la spada era troppo lontano per poterla raggiungere, sul ciglio del canale, oltre quei venti energumeni che li guardavano viscidi, come se avessero trovato un qualcosa di incredibile valore.

Lo disgustavano quegli sguardi, se solo avesse avuto la sua spada avrebbe cavato gli occhi a tutti, invece era stato disarmato dopo aver colpito soltanto due uomini, nemmeno troppo gravemente per di più.

Quando si allenava con gli altri bambini dei Vongola, Squalo era certo di essere il più forte ed il più dotato, non c'era nessuno che potesse tenergli testa, inoltre era uno dei pochi ad aver già attivato le proprie Fiamme, riuscendo ad intorpidire i sensi dei suoi avversari poco prima di sferrare un attacco.

Non c'era dubbio che sul campo di addestramento, Squalo fosse il migliore. Sfortunatamente, ora erano nel mondo esterno, contro mafiosi avversari in carne ed ossa, costretti ad affrontare la dura e cruda realtà dei fatti.

«Smettila di sopravvalutarti, sei solo un ragazzino. Non dureresti due minuti contro dei veri mafiosi.»

Non aveva mai creduto davvero ai rimproveri di Visconti -il Guardiano della Nuvola del Nono, colui che addestrava le nuove reclute assieme a Coyote- dopotutto lui era un prodigio, come si permetteva di sottovalutarlo, quel vecchio maledetto?

Ora invece, in quella situazione critica in cui si era cacciato -trascinando con sé anche Dino- le parole di Visconti avevano senso.

Era solo un bambino dopotutto, Fiamme o meno, niente poteva competere con l'esperienza sul campo, e se avesse studiato con più attenzione gli attributi della Volontà, forse non sarebbero stati in grado di neutralizzare le sue Fiamme di Pioggia così facilmente.

«Fafafafafa, sembra che abbiamo catturato due prede interessanti!»

La presa di Dino si faceva sempre più forte sulla sua mano, mentre gli si stringeva sempre più addosso cercando di nascondere i tremiti di paura che gli scuotevano il corpo.

Squalo si morse il labbro inferiore a sangue, sputando di nuovo contro il tizio che sembrava il capo di tutti quegli stronzi.«Fottiti! Non sono la preda di nessuno, mi hai capito?! Vooooooi!»

Un calcio in pieno petto gli mozzò il fiato, scagliandolo contro il muro del vicolo. Sbattendo la testa contro la parete in pietra, Squalo per un istante non vide altro che nero, mentre il dolore iniziava a pervadergli tutto il corpo. Faceva male, cazzo se faceva male.

Urlò, stringendosi le mani sullo stomaco e reprimendo un secondo urlo, rifiutandosi di dare ancora più soddisfazione ai loro assalitori.

«SQUALO!»

Dino gli fu accanto in un secondo. Era talmente spaventato che prima di arrivare da lui era caduto almeno due volte, sbucciandosi le ginocchia e scoppiando in un pianto isterico che aveva cercato di trattenere fino a quel momento.

Nonostante la botta, con l'aiuto del giovane Cavallone -una volta che fu nuovamente in grado di vedere abbastanza bene- Squalo riuscì a mettersi seduto, incenerendo con lo sguardo il grassone che, sogghignando, lo guardava dall'alto al basso.

Era così... frustrante, non essere in grado di fare nulla.

Se solo fosse stato più grande...

Se solo fosse stato più forte...

Se solo fosse stato più abile...

Fanculo. Lui era Squalo, era forte, abile e presto avrebbe sconfitto anche il grande Tyr, reclamando per sé il titolo di “Imperatore della Spada”. Non si sarebbe fatto uccidere dalla feccia della mafia, era inaccettabile.

«Maa maa sembra ci sia una festa qui, vi dispiace se mi unisco?»

Corti e spettinati capelli biondi, vestito in giacca e cravatta con una spada di bambù poggiata sulla spalla, la mano sinistra invece lasciata libera lungo il fianco, questo era l'aspetto del giovane uomo che aveva appena fatto il suo ingresso nel vicolo, sorprendendo tutti quanti. Sorrideva, ma per qualche ragione quell'espressione fece gelare il sangue nelle vene di Squalo.

Sembrava quasi che le sue Fiamme lo stessero avvisando di non lasciarsi ingannare, di fare attenzione perché il giovane appena comparso davanti a loro era molto peggio dei tizi che lo circondavano. Per qualche ragione, Squalo credette al suo istinto.

«S-Squalo... q-quello n-non è...» fu ciò che Dino riuscì a sussurrare tra un singhiozzo e l'altro, ma fu abbastanza affinché Squalo capisse.

Era lo stesso uomo che aveva colpito fuori scuola, il biondino che l'aveva guardato come se avesse davanti un fantasma. Quello era di sicuro un mafioso, ormai non aveva più dubbi.

Sembrava però che i nemici bastardi non l'avessero capito -troppo stupidi forse per percepire la forza dell'avversario- limitandosi semplicemente a scoccargli sguardi taglienti, seccati, impazienti di ammazzare chiunque avesse osato interromperli.

«Ohi pezzo di merda, come hai osato interromperci?!»

«Ahahahah vi chiedo scusa! Sembravate divertirvi un sacco e volevo unirmi a voi!»

Squalo trattenne l'impulso di gridare. Quanto poteva essere idiota e fastidioso quel maledetto biondino?!

Il leader grassone si fece largo tra i suoi uomini, una pistola tra le mani rubata ad uno dei compari, puntandola dritta alla fronte dell'intruso.«Ora ti faccio un bel buco in testa, vediamo se avrai ancora voglia di ridere poi!»

Il giovane lanciò uno sguardo confuso all'arma, per poi spostarlo dubbioso sul grassone davanti a lui. Aveva abbassato la spada, lasciandola ciondolare lungo il fianco.

«Sai, non dovresti giocare con armi così pericolose.» un unico movimento, fluido, netto, il tonfo di qualcosa che si schianta al suolo, il sorriso coperto da un'espressione furiosa.«Rischi di farti male, se non sai usarle.»

Non ci furono grida, non subito almeno, ci vollero diversi secondi prima che il leader grassone si accorgesse di sanguinare, qualche minuto prima che notasse la sua mano stesa a terra -la pistola ancora stretta tra le dita immobili- mozzata dal polso con un taglio talmente netto e pulito da non sembrare reale.

«Ah... ha... ah...» e allora urlò.

Un urlo talmente forte e straziante da pietrificare i suoi stessi uomini. Crollò sulle ginocchia, poi si rotolò a terra in preda alla disperazione e al dolore, sotto lo sguardo attonito degli altri mafiosi, ora gelati dalla paura e dalla sorpresa.

Squalo e Dino osservavano immobili il giovane pulire la lama con un gesto secco, riportandola sulla spalla e sorridendo agli avversari spensieratamente, come se avesse la certezza che tra lui e loro ci fosse un abisso talmente incolmabile da non rappresentare alcuna minaccia.

L'arma di bambù che stringeva tra le dita poco prima era sparita, lasciando posto ad una lucente katana giapponese di splendida fattura, una lama talmente brillante da riflettere la luce stessa del sole.

«Maa maa non mi piace uccidere, il mio Boss non sarebbe contento se lo facessi.» sembrava combattuto, eppure non esitò ad incenerire con lo sguardo ognuno degli assalitori.«Tuttavia né io né lui possiamo perdonare chiunque tenti di assalire dei bambini. Preparatevi, è la vostra fine.»

Dino tremava ancora, mentre Squalo non riusciva a distogliere lo sguardo dalla danza che lo spadaccino stava eseguendo, tranciando di netto chiunque tentasse di opporsi, senza risparmiare nemmeno coloro che azzardavano la fuga.

Era semplicemente... stupefacente.

Squalo conosceva tanti stili diversi di spada -era la sua vita, la sua specialità, conoscerne quanto più possibile non era solo un dovere, era il suo orgoglio- e poteva dire con certezza che quello spadaccino non ne stava usando nessuno in particolare. Erano avversari patetici -inutile feccia indegna- che non meritava nemmeno di essere sterminata con vere tecniche di spada.

Nella leggiadra figura di quello spadaccino -elegante, ma gentile, eppure furioso come la più violenta delle Piogge- Squalo vide tutto ciò a cui ambiva, l'uomo, lo spadaccino che desiderava diventare un giorno.

Sistemò l'ultimo dei mafiosi evitando una coltellata alle spalle -un ultimo disperato tentativo da codardo per uscirne vivo- eseguendo un salto all'indietro e ripagandolo con la stessa moneta, tranciandogli il busto di netto dalla schiena.

Una volta finito ripulì la lama, che in un flebile fascio di luce si trasformò di nuovo in una spada di bambù. Si passò una mano sul viso, pulendo l'unico schizzo di sangue che l'aveva sfiorato, mentre i vestiti erano incredibilmente rimasti immacolati.

«Maa maa, per lo meno il completo è salvo. Hayato mi avrebbe ucciso se l'avessi sporcato di sangue.» lo sentirono dire all'improvviso.«Ahahahah non volevo causare tanto trambusto, ti prego di non mordermi a morte!»

Si voltò a guardarli, grattandosi la nuca a disagio, come a volersi scusare per la violenza a cui li aveva appena fatti assistere, sorridendo dolcemente mentre gli si avvicinava.

Ancor prima di capirlo, Squalo si ritrovò abbracciato da tiepide e gentili Fiamme della Pioggia che cercavano di rilassarlo, di calmarlo ed eliminare il dolore che le ferite gli causavano, mentre una luce gialla e altrettanto piacevole fuoriusciva da uno dei tanti anelli che l'uomo indossava.

«Non sono bravo come il Sempai con le Fiamme del Sole, ma dovrei essere in grado di limitare i danni.» confidò, lasciando che le gialle Fiamme del Sole gli avvolgessero le ferite, mentre con quelle della Pioggia sedava il dolore il tempo necessario affinché le ferite si rimarginassero e sparissero del tutto.

«H-Hayato-kun? Va tutto bene?» una seconda voce, lontana, probabilmente nascosta fuori dal vicolo, risuonò verso di loro, preoccupata ed ansiosa.

L'uomo sorrise, rispondendo senza staccarsi dal corpo ferito di Squalo.«Tutto bene Aria-chan, ma resta dove sei per favore! C'è stato un piccolo... incidente, ahahahahah.»

Squalo alzò un sopracciglio. Col cavolo che era un “incidente”.

Quel casino l'aveva fatto di proposito, e per quanto ad altri poteva sembrare terribile e disumano, per Squalo era stato un combattimento pieno di rivelazioni. Inoltre quella feccia se l'era meritato, anche se quello strano biondino non li avesse salvati, una volta saputo del rapimento di Dino, i Cavallone avrebbero raso al suolo chiunque avesse osato mettere le mani addosso al loro erede.

Dino poteva anche essere un codardo e debole frignone, ma la sua Famiglia lo adorava.

Ci vollero almeno dieci minuti di trattamento -diavolo, prima anche solo respirare faceva malissimo, muoversi era l'inferno- ma quando ebbe finito Squalo era di nuovo in piedi, quasi come nuovo. Qualche graffio era rimasto aperto, una o due contusioni non erano sparite del tutto, ma nel complesso stava bene.

«Mi spiace, più di così non posso fare. Purtroppo non sono molto bravo con le altre Fiamme.» rise di nuovo, e per qualche ragione quella risata irritò Squalo. Ammirava quel tipo -l'aveva ammesso davvero? Diavolo, l'inferno stava probabilmente gelando- ma c'era qualcosa di estremamente fastidioso nel modo in cui parlava e rideva che lo facevano incazzare senza motivo apparente.

Tuttavia non sarebbe stata un po' di irritazione a fermarlo.

Lo vide estrarre il cellulare e comporre velocemente un numero prima di posarselo sull'orecchio. «Ah! Gennaro-san? Qui è Ta... ehm, Hayato. Al momento sono in città con Aria, c'è stato un problema e ho... diciamo, terminato alcuni mafiosi.»

«Ma sei impazzito?!» fu un urlo talmente forte che oltrepassò il volume del telefono, e perfino Squalo e Dino furono in grado di udirlo.

«Ahahahahah mi dispiac.... eh? Sisi, la signorina sta bene! È solo che, come dire, ho dipinto le pareti di rosso e... ahahahah sono davvero spiacente! Ah manderai qualcuno? Ti ringrazio molto Gennaro-san! Allora noi riportiamo i due bimbi all'istituto e poi torniamo! A dopo!» e richiuse il telefono ancora prima che questo “Gennaro” potesse replicare in alcun modo, tornando a concentrarsi su di loro.

«Forza, è il momento di riportarvi a casa!» facendo cenno di seguirlo, Dino mosse incerto i primi passi verso il loro salvatore, mentre Squalo non si mosse.

Continuava a fissare la schiena di Hayato con insistenza, come a volerlo trapassare da parte a parte fino a scoprirne i più reconditi segreti. Alla fine decise.

«Voooooi, feccia bionda!» gridò, arrestando la camminata di Hayato e costringendolo a voltarsi.«Sei forte, per essere una feccia! Voglio che mi insegni!»

Lo vide strabuzzare gli occhi, aprirli e richiuderli velocemente diverse volte, stupito e -probabilmente- divertito dalla richiesta del bambino.«Eh?» fu tutto ciò che rispose.

«Mi hai sentito bene, feccia!» gridò ancora, un ghigno preoccupante stampato in volto.«Voglio che mi insegni la tua tecnica di spada! Voooooooi d'ora in poi sarò tuo allievo, prenditi cura di me, stupido biondino!»

Ed era una proposta che non accettava un “no” come risposta.

 


 

   
 
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