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Autore: Vanya Imyarek    23/08/2018    4 recensioni
Italia, 2016 d.C: in una piccola cittadina di provincia, la sedicenne Corinna Saltieri scompare senza lasciare alcuna traccia di sé. Nello stesso giorno, si ritrova uno strano campo energetico nella città, che causa guasti e disguidi di lieve entità prima di sparire del tutto.
Tahuantinsuyu, 1594 f.A: dopo millenni di accordo e devozione, gli dei negano all'umanità la capacità di usare la loro magia, rifiutando di far sentire di nuovo la propria voce ai loro fedeli e sacerdoti. L'Impero deve riorganizzarsi da capo, imparando a usare il proprio ingegno sulla natura invece di richiedere la facoltà di esserne assecondati. Gli unici a saperne davvero il motivo sono la giovanissima coppia imperiale, un sacerdote straniero, e un albero.
Tahuantinsuyu, 1896 f.A: una giovane nobildonna, dopo aver infranto un'importante tabù in un'impeto di rabbia, scopre casualmente un manoscritto di cui tutti ignoravano l'esistenza, e si troverà alla ricerca di una storia un tempo fatta dimenticare.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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                        CAPITOLO 20

         DOVE  INIZIA  LA  LOTTA  PER  LA  LIBERTA’

 

 

 

                                                      Dal Manoscritto di Corinna

 

Il resto della giornata fu semplicemente orribile.

 Dovemmo restare in quel maledetto cortile di Tempio, mentre l’Imperatrice discuteva con Waray e le donne al suo seguito non facevano fondamentalmente nulla, ma mantenevano una grande aria di importanza in tutto ciò. Sembrava che non fossero lì per la festa religiosa quanto per riaffermare il loro potere e prestigio, discutendo di politica e religione in termini così vaghi e superficiali che avrei potuto riderne anch’io, parlando di chi e come fosse imparentata con un Sacerdote di alto rango, e come Waray avesse assolutamente ragione a voler proibire a quei miserabili schiavi di diventare addirittura Sacerdoti (‘Mi sorprendo come il nostro Impero sia durato tanti secoli con simili leggi!’).

 La peggiore di tutte era una donna che avevo visto alcune volte nel circolo di Llyra, accompagnata dai suoi gemellini lamentosi: uno degli altri schiavi mi spiegò in quell’occasione che era la sorella di Waray. Quindi non solo ci toccava continuare nei nostri lavori di schiavi dopo aver visto dare un brutto colpo alle nostre possibilità di uscire da quella vita, dovevamo pure farlo per questa donna che lo sapeva benissimo e ci elargiva un sorriso arrogante a ogni singolo ordine. Almeno in questa circostanza scoprii un buon numero di miei ‘colleghi’, sia del palazzo che di altre famiglie, che avevano sperato nel mio stesso riscatto e ne erano stati delusi, e si applicò parzialmente il principio del ‘mal comune mezzo gaudio’.

 Parzialmente, dico, perché loro non erano appena stati buttati via come stracci vecchi da qualcuno che avevano rischiato la vita per aiutare. Quasi non riuscivo a credere a quello che avevo sentito da Simay. Davvero non c’erano possibilità che io avessi frainteso, o che non avessi mai davvero parlato con lui e che quella fosse una mia allucinazione paranoica?

 A scriverla, mi rendo conto che fosse una teoria davvero stupida, ma volevo disperatamente crederci. Tutte le mie possibilità di tornare a casa, dalla mia famiglia, alla mia vita normale, dipendevano da quel sacerdozio. L’idea di morire lì, come una schiava tra tante, per il capriccio di un dio, mi toglieva quasi il respiro per la paura. E malgrado tutto questo, io avevo fatto proprio le cose più pericolose che avessi fatto in vita mia! Mi ero infiltrata in uno intrico politico come non ne avevo mai visti, avevo derubato un’Imperatrice che aveva diritto di vita e di morte su di me, mi ero ritrovata faccia a faccia con una persona capace di controllare il maledettissimo elemento del fuoco con la forza del pensiero. Avevo rivelato a Simay di quella lettera perché non mi andava di lasciar morire una persona, non per una qualsiasi ricompensa: erano stati lui e Qillalla a offrirmela.

 E dopo tutto quello che avevo passato, dopo tutti i rischi che avevo corso per aiutarli, all’improvviso decidevano che darmi quella ricompensa non era più conveniente, e me la facevano sparire da sotto gli occhi. E il modo in cui me l’avevano detto, poi – come se fosse impensabile da parte mia aspettarmi che mantenessero la parola, a prescindere dal cambio di circostanze! Simay a blaterare della sua dea, Qillalla a rinfacciarmi di non essere una vera devota … bella posizione da cui criticarmi, quella di nobili che non erano stati altro che serviti e non avevano idea di cosa volesse dire essere privati della propria vita, della propria famiglia e libertà, ed essere ridotti al rango di oggetti di cui qualcuno potesse usufruire a piacimento.

 Chissà, magari progettavano una cosa simile fin dall’inizio. Non avevano mai davvero considerato di aiutarmi, serviva una spia a palazzo e una ricompensa sarebbe stata più sicura dell’affidarsi al mio buon cuore, tanto non era che le emozioni di una schiava importassero o … no, stavo esagerando. Appena prima della nomina di Waray e tutto quello che ne era seguito, Simay mi aveva detto di aver contattato il Tempio di Pachtu, e raccomandato il mio nome. E se avessero voluto rinunciare ai miei servizi di spia, quel preciso momento, con un nuovo Sommo Sacerdote che era un’emerita incognita per la sicurezza di Simay, Llyra sempre decisa a farlo fuori e l’Incendiario in piena attività, sarebbe stato il momento peggiore. Se fossero stati così scemi da farlo intenzionalmente, avrebbero meritato di farsi ammazzare da uno qualsiasi di quelli menzionati sopra.

 Ma alla fine, non aveva importanza. Io avevo chiuso con loro. Basta, erano un vicolo cieco per quanto riguardava il ritorno a casa, ora mi sarei dedicata a quell’obiettivo senza ulteriori distrazioni.

 C’era stato, in quel giorno, qualcosa che mi aveva lasciato un poco di speranza: l’atteggiamento assolutamente furioso di quella che avevo capito essere una Sacerdotessa del Tempio di Pachtu alle dichiarazioni di Waray. Certo, probabilmente si preoccupava più delle ingerenze di un altro Tempio negli affari del suo e della relativa perdita di potere che non dei diritti di noi schiavi, ma l’avevo vista soppesare me e gli altri con espressione seria e interessata. A pensarci bene, se io avessi voluto riaffermare il mio potere contro qualcuno che si fosse intromesso in mie competenze, avrei fatto esattamente quello che lui voleva impedirmi di fare, in questo caso aiutare gli schiavi. Potevo sperare in qualche rappresentante di quel Tempio che mi avvicinasse per informarmi di cosa ne sarebbe stato della mia richiesta?

 Simay aveva detto qualcosa a proposito di ‘dopo il ritorno dell’Imperatore’. Oh, splendido. Quindi ero costretta ad aspettare e sperare, senza fare nulla. Anzi, non è esatto: godermi le occhiate di derisione e disprezzo e ascoltare le frecciatine delle amiche di Llyra per tutto il pomeriggio costituisce un qualcosa da fare nell’attesa.

 Per giunta Dylla decise di rendere nota la sua posizione in merito dandomi anche meno tregua del solito, e per motivi che non seppi spiegarmi, Namina abbandonò la sua solita posizione di apatia nei miei confronti per adottarne una di aggressività mai vista; quasi arrivammo alle mani, e io naturalmente fui punita molto più severamente di lei.

 Il mio unico conforto fu scoprire che una delle altre aspiranti al sacerdozio dell’Energia, una ragazza poco più grande di me di nome Atna, viveva a sua volta al palazzo, anche se in un casermone diverso e con compiti diversi. Almeno avrei avuto qualcuno che facesse da eco alle mie lamentele.

 Ma complessivamente, il resto della giornata della consacrazione di Waray fu un disastro per me.

 

Quasi non ci credetti quando scoprii che la mia attesa sarebbe durata così poco. Del resto, Simay aveva parlato di preparativi per il rientro di Manco, di questioni più pressanti per le Sacerdotesse di Pachtu; ma effettivamente era logico aspettarsi che i recenti eventi avessero cambiato le cose.

 Il mattino stesso dopo quell’orribile giorno della consacrazione, un inviato del Tempio dei Fulmini avvicinò sia me che Atna, strappandoci alle angherie di nobili e superiori con loro sommo scorno.

 “Rendetevi conto delle circostanze eccezionali” fu la primissima cosa che ci disse. “La nostra autorità, il nostro privilegio di cambiare le posizioni sociali non aveva mai ricevuto una simile sfida prima d’ora, né da un potere terreno né sacro. Non abbiamo idea di cosa sia saltato in testa a Waray, non sappiamo come intende procedere, sappiamo solo che dobbiamo mantenere alta la nostra dignità. Il che significa che voi due dovrete passare la prova. Non ne va solo della vostra libertà, ne va del potere di tutto il Tempio, dell’onore del dio”

 Potrete indovinare di quale delle due parti mi importasse di più, e tutto quello che avevo tratto da quel discorso era che non solo il Tempio aveva abbreviato le liste di attesa, ma probabilmente avremmo potuto aspettarci qualche aiutino nelle nostre imprese. Mi sentii improvvisamente molto più rincuorata. Magari l’elezione di Waray non era stato un disastro completo, dopotutto!

“Ci rendiamo conto della gravità della situazione” Atna stava intanto rispondendo. Mi concentrai di nuovo sull’inviato. “Faremo del nostro meglio per non incasinare questa … cioè …”

 “Non ci serve essere ordinati per fare onore al dio al massimo delle nostre capacità” la interruppi con il mio migliore sorriso. Atna mi guardò male. Certo, non era stato molto cortese interromperla a quel modo, ma almeno io sapevo fingere un linguaggio forbito. L’inviato si limitò ad annuire.

 “Come mi auguro sappiate, avrete delle prove da superare, per dimostrare la vostra attitudine e la benevolenza che il dio ha per voi. Se siete nelle sue grazie, dovreste riuscirvi senza difficoltà. Per ognuna vi sarà richiesto di portare al Tempio una prova del vostro successo, che offrirete come sacrificio. Se verrà accettato, vi sarà comunicata la prova successiva”

 Bene, c’era da aspettarsi che volessero delle prove. Fin qui, potevo sentirmi relativamente tranquilla.

 “Il tempo massimo che avrete per portare a termine tutte le prove sarà un ciclo lunare. Amministrate con saggezza questo tempo”

 “E se non facciamo in tempo?” chiesi io.

 “Significa che non siete in grazia del dio, e la prova verrà considerata fallita. Tornerete alla vostra vita di schiavi”

 “Uh. Ci sarà permesso di riprovare?”

 “L’anima dell’uomo è in completo mutamento, chi non può comunicare con il sacro può sempre imparare a farlo. E’ un sì”

 “A distanza di dieci anni, però” mugugnò Atna. Io la guardai inorridita. L’inviato non negò.

 Mi pareva ben strano avere tutta quella fortuna! Già mi infastidiva dover ritardare il ritorno a casa di un altro mese, figurarsi un decennio. Dovevo passare quella prova al primo tentativo.

 “Se non ci sono altre domande, vi esporrò ora il vostro primo compito” continuò l’uomo. Io ascoltai, attentissima, con un lieve principio di tachicardia. “Riempite tre tazze di linfa di shillqui e portatele al Tempio”

 Ehm, bene. Non avevo idea di cosa fossero gli shillqui, alberi a giudicare dalla frase, ma non sembrava un compito particolarmente arduo. No, un momento, Atna aveva afflosciato le spalle e assunto un’espressione decisamente intimorita. Non era un buon segno, affatto. Preferii però non mostrare la mia ignoranza all’inviato del Tempio, e annuire con tutta l’aria di chi sa a cosa sta andando incontro e non ne è intimorita.

 “Non si accettano acquisti commerciali, dovrete essere voi stessi a incidere l’albero e a farla stillare. Saremo a conoscenza di ogni infrazione alla regola. Sgarrate, e la vostra richiesta di iniziazione sarà immediatamente scartata”

 No, non era possibile che il compito fosse così semplice. Non ci sarebbe stata tutta questa insistenza sul rispetto delle regole, altrimenti.

 “Pregherò il dio affinché possa trovarvi degne” concluse l’inviato, e se ne andò, mollandoci lì con vari gradi di preoccupazione e confusione.

 Mi voltai subito verso Atna. “Che accidente sono gli shillqui?”

 Lei mi guardò incredulo. “Come fai a non conoscerli? Da dove vieni tu li chiamano con un altro nome?”

 “Come faccio a saperlo se non mi spieghi quali sono?”

 “Sono quegli alberi che si muovono incessantemente”

 Oh. Li ricordai immediatamente dal mio viaggio verso Alcanta, quando ancora ero in mano agli schiavisti. Ricordai che era stato necessario creare tunnel in pietra per proteggere i viaggiatori dai loro attacchi.

 E io sarei dovuta andare da sola, senza alcuna assistenza, da uno di quei cosi, avvicinarmi abbastanza da tagliare la corteccia, e stare in qualche modo ferma abbastanza perché quella colasse in quattro tazze. Ma non avrebbero dovuto cominciare con un compito facile? Dannazione, Waray non avrebbe dovuto neppure preoccuparsi della mobilità sociale, mi sarei sorpresa se qualcuno fosse mai riuscito a passare quelle prove!

 “Li conosci” concluse Atna, guardandomi con simpatia. “Ti capisco benissimo. Purtroppo non possiamo aiutarci a vicenda: è una prova in cui ognuna sarà singolarmente giudicato da Pachtu”

 “Fammi indovinare, avranno un modo di sapere pure quello”

 “Senz’altro”

 Non vedevo come fosse possibile a meno di non mettere spie accanto a ogni singolo albero shillqui della zona, ma dopo un breve dibattito interiore, decisi di non cercare di convincere Atna a ignorare le regole e lavorare in coppia. Con tutti i fanatici religiosi che avevo incontrato fino a quel momento, probabilmente sarei solo riuscita ad alienarmela, e probabilmente farmi denunciare alle Sacerdotesse. Meglio non rischiare.

 E così sospirai, e tornai ai miei soliti lavori prima che qualcuno si mettesse a strepitare, la mente tutta presa da strategie di guerra contro delle piante.

 

La prima cosa da fare era capire dove fossero gli shillqui.

 Ovviamente non ne avrei trovati nel bel mezzo di quella grande città, quindi avrei dovuto assentarmi da palazzo abbastanza a lungo, tra andata, raccolta e ritorno. Questo nel bel mezzo di quei folli preparativi, che dovevano durare ancora per un paio di settimane. Non avevo nessuna intenzione di aspettare fino a quando si fossero calmate le acque: se quella era la prima prova, probabilmente le altre sarebbero state anche più lunghe da sbrigare. Decisi quindi di chiedere aiuto all’unica persona amica che mi fosse rimasta in quel maledetto mondo.

 Già incontrare Alasu fu un’impresa, altro che raggiungere gli shillqui. Le dame furono una vera tortura quel giorno: gli ordini arrivavano sempre a me, spesso e volentieri nello stesso momento, tutte pretendevano di essere servite per prima, Tabllay aveva portato il malefico pargolo e pretendeva che lo intrattenessi, ma questo cozzava contro gli ordini di assentarmi che ricevevo, e nessuna sembrava realizzare quanto fosse ridicola la situazione. Fu un pomeriggio semplicemente d’inferno.

 Quale frutto sulla torta, chi fu l’artigiano presso cui dovetti portare e ritirare il maggior numero di ordini? Ma Sayre, naturalmente. E a quel punto della giornata ero così distrutta che non riuscii neppure a insultarlo o a fare del sarcasmo, potei stare solo il più silenziosa possibile e guardarlo storto.

 Lui cercò di atteggiarsi a un’assoluta normalità, come se non fosse mai successo nulla, azzardandosi addirittura a chiedermi come stessi: fu l’unico momento in cui riuscii a fulminarlo con lo sguardo, e lui decise saggiamente di tacere e limitarsi a consegnarmi i gioielli che erano stati richiesti. E ciò non fece altro che peggiorare ancora di più il mio umore, ricordandomi di come fino a poco tempo prima le visite alla sua officina fossero tra le più divertenti che potessi fare. Tutte bugie … non avevo raccolto altro, da quando avevo messo piede a Tahuantinsuyu. Che vita orribile.

 L’unico momento di sollievo venne alla sera, quando Namina piombò sul gruppo annunciando qualcosa riguardo a un’infestazione di fylles sulla parete destra del muro del giardino. Una delle dame ebbe un vero e proprio attacco isterico, urlando e balbettando e cercando di raccattare in fretta le sue cose con l’unico risultato di sparpagliarle dappertutto, altre si misero a rimproverarla per lo scarso contegno, altre ancora rimproverarono le critiche perché una fobia così grave non è una da trattare con leggerezza, e insomma si scatenò il caos. A me fu prontamente ordinato di andare a gestire le fylles, ma prima che potessi anche solo protestare che non avevo idea di che cosa fossero, Namina intervenne assumendosi la responsabilità dell’infestazione (curare il giardino era una delle sue responsabilità principali, dopotutto) e andando al posto mio.

 Tra un incarico improvvisamente sfumato e la troppa confusione perché me ne fossero dati altri, mi ritrovai temporaneamente ignorata da quelle donne e dalle altre schiave: ne approfittai subito per correre verso la bottega degli artigiani. Alasu e suo padre stavano chiudendo bottega; il farmacista si affrettò a dire che a meno che non fosse un’emergenza non poteva darmi nulla, Alasu si illuminò e si limitò a salutarmi. Dopo l’isolamento che avevo sentito negli ultimi due giorni, un benvenuto così allegro e sentito fu un vero toccasana.

 “Nessuna ordinazione” risposi con il mio miglior sorriso. “Volevo solo chiedere un’informazione ad Alasu”

 Yzda si limitò a scrollare le spalle e a fare un cenno a sua figlia. Lei gli sorrise e mi accompagnò fuori dalla bottega. “Che cosa ti serve?”

 “Sai, io avevo fatto domanda per accedere al sacerdozio di Energia” esordii.

 Lei sgranò gli occhi. “Davvero? Ma … scusa, non avevo pensato che fossi una persona religiosa”

 “Diciamo che dipende dal tipo di culto” non era bello mentire così all’unica persona che ancora mi sorridesse, ma dato il fanatismo religioso di Tahuantinsuyu mi conveniva non rischiare. “Per fortuna l’annuncio di Waray li ha messi tutti sul piede di guerra, adesso sono più determinati che mai a far entrare gli schiavi. Ma per accedere al noviziato, è necessario superare un certo numero di prove”

 “Lo so, l’ho visto succedere abbastanza spesso”

 “Ottimo, così puoi farmi da informatrice. Il mio primo compito è riempire quattro tazze di linfa di shillqui”

 “Sì, è tradizione. Devo avvertirti, ho visto pochi passare effettivamente quelle prove, per quanto ci abbiano provato …”

 “E io andrò a incrementare quei pochi. Il piccolo problema è che finora non ho visto molto di Alcanta a parte il palazzo, non ho idea di dove trovare gli shillqui. Non se li terranno nei cortili di casa, no?”

 “Davvero no. Però crescono abbastanza vicini al Tempio dei Fulmini. Segui la terza via sulla destra che parte dalla piazza davanti al Tempio, e arriverai in poco meno di mezz’ora”

 “Ma io non so neppure dove sia il Tempio di Pachtu! …Ho fatto portare la richiesta a un novizio di Achesay a cui ho fatto un favore, se è quello che ti sorprende”

 “Oh. Giusto. Dunque … sarebbe tutto molto più facile se avessimo una mappa … aspetta, tu conosci la strada per il Tempio della Terra?”

 “Fin troppo bene” brontolai.

 Lei non fece commenti. “Bene. Quando sarai arrivata innanzi all’ingresso principale, gira sulla strada principale sulla sinistra: ti porterà al Tempio di Tumbe. Da lì troverai una biforcazione: prendendo la strada sulla destra arriverai al Tempio dei Fulmini, prendendo la sinistra invece al Tempio di Qisna, che ti consiglio caldamente di evitare”

 Ricordai quello che, settimane prima, Simay mi aveva raccontato della religione locale. “Avete connesso le strade tra i Templi in base alle parentele?”

 “Esatto. I Templi sono il modo più semplice di orientarsi nella città, se sei nuovo. In effetti, ci sarebbe una strada più veloce per raggiungere il bosco sacro degli shillqui a partire dal Tempio di Achesay, ma dovresti infilarti in un vero labirinto di viuzze strette”

 “Vada per quella più lunga” decisi. “Sono contenta di averti aiutata! Ti serve altro?”

 Ora, Alasu aveva detto quella frase certamente in completa innocenza, ma mi fece improvvisamente sentire una persona davvero egoista. Ora che ci pensavo, quasi tutte le nostre interazioni recentemente avevano coinvolto lei che perdeva tempo e impegno per aiutare me. Certo, mi ero trovata nel bel mezzo di una situazione incredibilmente caotica, ma neppure lei doveva starsela passando troppo bene. Del resto, siccome il nostro intervento, salvo i danni a Pacha, era stato completamente inutile, lei sarebbe stata ancora costretta a dare quelle erbe alle donne dell’harem qualora l’Imperatore fosse tornato …

 “No, grazie. Piuttosto, come stai tu?”

 Lei sgranò appena gli occhi, in un’espressione di gradita sorpresa che mi fece sentire ancora più in colpa. Poi sospirò. “E’ … difficile da dire, ecco. Mio padre sta cercando di combinarmi un matrimonio …”

 “Come?!” intervenni. “Perché? Ma quanti anni hai?”

 Reazione piuttosto stupida, in retrospettiva: nel mio mondo non ero aliena al concetto di ‘matrimonio combinato’, fino a non molti anni prima si usava anche nella mia Italia e ancora nel momento della mia scomparsa si usava in altre parti del mondo. Ma era caduto in disuso, e io ero molto più familiare a matrimoni basati esclusivamente sull’amore. Non avevo mai incontrato qualcuno che avesse un promesso sposo o sposa, o nel processo di procurarseli.

 “Quest’autunno compirò diciassette anni” mi spiegò lei, guardandomi con tanto d’occhi a un simile commento. “E’ solo naturale, ormai ho l’età giusta per avere figli. Dalle tue parti non si combinano i matrimoni?”

 “No” su questo potevo essere sincera. “Sono i diretti interessati che decidono di sposarsi tra loro. La famiglia può approvare o meno, ma questo conta solo su un piano sentimentale, non giuridico o cose simili”

 “Ma pensa …” commentò lei, come se non avesse mai sentito nulla di così strano. Scosse appena la testa. “Io non riuscirei mai a procurarmi un marito, da sola. Per fortuna ho mio padre che mi aiuta, perché il candidato principale finora non si è mostrato esattamente entusiasta”

 “Cazzi suoi, è lui che ci perde” evviva me, ero riuscita a portarle un accenno di sorriso in volto. “Ma onestamente, che te ne frega se questo non ti vuole? Chiedi a tuo padre di trovartene uno più intelligente! Oppure il problema è che non vuoi sposarti proprio?”

 “Io devo sposarmi” replicò lei. “E’ la legge”

 “Come, scusa?”

 “L’Impero ha bisogno di offrire nuove braccia e menti per mantenere la sua struttura, e di devoti perché gli dei continuino ad accordarci il loro favore. E le famiglie hanno bisogno di eredi legittimi a cui lasciare il proprio posto nella società, o per avere la possibilità di elevarsi. Quindi non è possibile restare non sposati, nel senso che se tu o la tua famiglia non riuscite a trovare un buon partito, esiste un organo burocratico apposito che in base alla tua famiglia di origine e posizione sociale ti organizzerà un matrimonio con una persona adatta”

 Anche nel mio mondo, non avevo mai sentito parlare di un sistema simile. La cosa che più vi si avvicinava erano gruppi di persone che combinavano appuntamenti tra persone in cerca d’amore in base a caratteristiche comuni, ma era quasi un gioco, nulla di vincolante! Essere costrette dalla famiglia a sposare uno sconosciuto non pareva una bella prospettiva, ma essere obbligate per legge, dallo Stato … bene, qui a Tahuantinsuyu erano riusciti a inventarsi qualcosa di peggiore.

 “Sembri sconvolta” osservò Alasu. “Abbiamo davvero tradizioni diverse … se ti può consolare, in questi casi ti danno una sorta di periodo di prova in cui vivere insieme, per capire se riuscirete ad andare abbastanza d’accordo, se non proprio ad amarvi. Se non funziona, gli addetti ai censimenti ti troveranno qualcun altro”

 Un poco meno peggio di quel che avessi immaginato, ma lo stesso, la situazione non era ideale. Anche perché qui era Alasu a non volere un matrimonio così presto, legge o non legge. Rifiutava di opporsi perché, come al solito, in questo mondo le regole erano tutto … davvero, dovevo insegnare a vivere un po’ a questa ragazza.

 “Senti, se vuoi la mia opinione … puoi anche fregartene”

 “Come?”

 “Senza offesa, ma tu sei decisamente troppo docile. Aiuti tuo padre tutto il santo giorno, te la sbrighi con clienti deficienti, ti assumi colpe che non sono tue … non pensare che mi sia dimenticata di quel piccolo incidente il primo giorno che ti ho vista”

 “Te ne ricordi?” sembrava genuinamente stupita.

 “E’ stato poco più di cosa, un mese fa? Comunque, devi pensare anche a te stessa. Sbaglio, o non ti ho mai vista divertirti o fare casino con qualcuno della nostra età, al massimo dare loro delle medicine. Davvero il tuo lavoro ti lascia così poco tempo?”

 “La bottega deve restare aperta dall’alba al tramonto per tutti i giorni …” rispose lei con una certa esitazione.

 “E la sera?”

 “Devo rassettare la casa e cucinare la cena per mio padre”

 Buttai un’occhiata alla bottega del farmacista. Da quel che avevo capito, casa e bottega coincidevano per tutti gli artigiani, e a giudicare dalle dimensioni delle case, lo spazio abitativo non poteva essere più di una stanza.

 “Mi sembra qualcosa che può facilmente sbrigarsi lui da solo” commentai.

 “Ma lui si prende cura di me. Non mi sembra giusto non ripagarlo in qualche modo”

 “Da dove vengo io, occuparsi dei figli è un dovere dei genitori. E comunque lavori come una matta tutto il giorno, qualche momento di libertà la sera non gli causerà danni atroci!”

 “Non lo so” dannazione, sembrava ancora così insicura. Come faceva a non rendersi conto di che ragionamenti autolesionistici stesse facendo, pensavo? “Lui mi ha sempre detto che non gli sarebbe dispiaciuto se fossi andata a chiacchierare e svagarmi con altre ragazze della mia età” ragionò lei. “Ha solo detto che avrei dovuto evitare luoghi equivoci come le locande e taverne, e ovviamente rifiutare la compagnia maschile”

 E a questo punto tacque, mordendosi il labbro. Aha! Avevo capito tutto.

“E tu hai trovato un ragazzo che ti piace” Lei sgranò gli occhi e mi guardò allarmata. “E che non è il promesso sposo che tuo padre ha in mente”

 “E’ una cosa che succede a molte ragazze …” mormorò lei, guardando a terra imbarazzatissima.

 “E allora corri a provarci! Goditi un po’ la vita prima di farti cacciare nella casa di un qualche sconosciuto! Te lo meriti!”

 “Non lo so” fu la risposta. “Mio padre ha sempre detto che avrei dovuto svagarmi di più, trovare amiche tra le ragazze, forse anche qualche innocuo corteggiatore … ma quando gli rispondevo che queste cose non mi interessavano lui mi riempiva di complimenti, su come fossi saggia e giudiziosa e non avrei mai dovuto perdere queste qualità, sarebbero state la gioia di ogni marito …”

 “Uno sporco trucchetto per poterti punire e dare una lezione su cose che lui stesso ti ha incoraggiata a fare” commentai.

 “No, lui …”

 “Non vedo altra spiegazione per il suo comportamento. Senti, io sarò completamente onesta con te: sei una ragazza fantastica, dolce e gentile, e queste caratteristiche le avrai a prescindere da quello che fai. Ma mostra un po’ di spina dorsale, per carità! Così, a stare sempre chiusa tra casa e bottega, sembri una vera noia, e non lo sei”

 “Quindi tu mi preferiresti se fossi più frivola …”

 “Divertirsi una volta tanto non è essere frivole! E comunque sì, saresti al tuo meglio così. E ci tengo ad aggiungere che in quanto ragazza tua coetanea, la mia opinione è chiaramente superiore!”

 Lei sorrise con un po’ più di sicurezza. “E va bene. Proverò a fare come dici tu”

 Con tempismo impeccabile, dalla bottega provenne la voce di Yzda, che ordinava alla figlia di tornare dentro. Lei guardò nella sua direzione, mosse un mezzo passo verso di essa, poi si voltò con decisione a guardarmi.

 “Bene, spero che la tua missione vada bene. Tienimi informata, mi raccomando”

 “Alasu!”

 “Stanne sicura. E se tu dovessi avere bisogno di qualche aiuto … sono disposta a fornire tutto quello possibile a una schiava”

 “Alasu?”

 “Grazie. Ne avrò bisogno, credo”

 Yzda fece capolino dalla bottega, guardandoci storto; Alasu sospirò e mi rivolse un cenno di saluto, prima di dirigersi verso il padre. Io ricambiai l’occhiataccia dell’uomo. Tanto quel bacchettone avrebbe avuto presto molte più gatte da pelare di una mancata risposta.

 

Procurarmi la strumentazione necessaria alla mia impresa fu decisamente meno piacevole.

 Innanzitutto, l’unico posto in cui avrei potuto procurarmi facilmente tazze e coltelli erano le cucine: ma quando le chiesi in prestito al cuoco, spiegandogli la situazione, lui mi disse semplicemente di no. Passò poi a distribuire cibo agli altri schiavi, senza più degnarmi di uno sguardo o fornirmi uno straccio di motivazione malgrado le mie proteste.

 Tutte le mie conclusioni all’epoca furono ‘stronzo’ e la decisione di rispolverare i talenti da scassinatrice che avevo rivelato con quella benedetta lettera. Neppure a dirlo, fu un processo lungo e laborioso anche quello: per i due giorni successivi parve che le donne della corte si stessero impegnando a mandarmi a fare qualunque commissione che non fosse portare loro cose dalla cucina.

 La notte del primo giorno tentai una sortita mentre tutti dormivano: per fortuna vidi la guardia prima che lei potesse vedere me, e potei tornare difilato nel mio capannone. Ma era normale che ce ne fosse una? Quando ero rimasta a lavorare di notte o prima dell’alba, non ricordavo di averne viste.

 Fu a quel punto che iniziai seriamente a sospettare che qualcuno stesse cercando di sabotarmi. Tutte quelle coincidenze sfortunate … chi aveva abbastanza potere in quel palazzo da poterselo permettere? La risposta più logica era Llyra, ma perché mai avrebbe voluto farlo? Ero solo una schiava come tante … vero? Lei non sapeva, in qualche modo, che ero stata io a portare via la lettera?

 No, non aveva senso: se l’avesse saputo, sarei morta a quel punto. Se non giustiziata ufficialmente, perlomeno in un tragico incidente … ma che pensiero confortante. Non mi avrebbe lasciata libera di fare quello che volevo, soprattutto non avrebbe cercato di trattenermi in una posizione dove avessi potuto spiare la corte, se ancora mi credeva in combutta con Simay.

 No, una spiegazione più decente era di tipo politico: la presa di posizione di Waray aveva ricevuto appoggi dai più classisti, ma anche opposizioni dal Tempio di Pachtu e dalle persone legate ad esso: magari l’Imperatrice cercava di mantenere le cose in stallo, intanto che capiva come muoversi. Così aveva molto più senso.

 Sì, ma io intanto rimanevo senza armamentario! Forse avrei potuto convincere uno degli altri schiavi ad aiutarmi, ma in primo luogo, stavo pagando lo scotto di non essermi fatta neppure un amico tra loro, e in secondo, anche se li avessi avuti l’amore di Tahuantinsuyu per le regole si sarebbe comunque messo di mezzo. Passai tutto il giorno successivo a lavorare come una bestia da soma e al contempo cercare di capire come eludere la guardia: magari creare un diversivo? No, probabilmente si sarebbe aspettato qualcosa del genere … ma potevo sempre provare, no? Forse se fossi piombata lì all’improvviso avvertendolo di un cambio nei suoi doveri sarebbe stato troppo ansioso di obbedire per riflettere seriamente …

 Non ce ne fu neppure bisogno. Quando tentai di mettere in atto il mio piano, il solerte vigilante si era addormentato. Finalmente una piccola botta di fortuna! Ne avevo tanto bisogno che mi accontentai della sua esistenza, senza proteste per il ritardo.

 E benedissi anche l’usanza locale di usare tende al posto delle porte: fu molto più facile intrufolarsi nella cucina senza far rumore. Ci vedevo pochissimo, ma riuscii a discriminare un coltello e tre belle coppe – quelle in bronzo, non pregiate come quelle d’oro la cui scomparsa sarebbe stata notata e non fragili come quelle in ceramica, considerato quello cui dovevo andare contro. Nel giro di dieci minuti ero di nuovo nel mio letto, gli tensili nascosti nel cuscino. Più facile del previsto, e dati i miei sospetti di sabotaggio non riflettei più di tanto sulla mia buona sorte: era prevedibile non averne.

 Il mio brillante piano di evasione guardie mi tornò utile pochi giorni dopo: erano arrivati nuovi ordini, l’arrivo dell’Imperatore era ormai imminente, le ultime preparazioni fervevano, e in tutto questo il viavai fuori e dentro le porte era così inteso che notai perfino quel ladruncolo che aveva involontariamente rivelato l’innocenza di Alasu sgattaiolare nel cortile senza che nessuno lo notasse. Gli rivolsi un cenno di salutò e lui ricambiò con un sorriso a trentadue denti. Dopo quello che avevo passato negli ultimi giorni, non potevo che augurargli fruttuose ruberie.

 Avendo passato gli ultimi giorni a rimuginare le indicazioni di Alasu, mi fu abbastanza facile orientarmi anche nel caos della città e raggiungere il bosco degli shillqui. A quel punto di sicuro a palazzo si erano accorti della mia assenza, ma era un problema che avrei potuto gestire dopo. Adesso ero più preoccupata dalla foresta di alberi in preda alle convulsioni che mi trovavo davanti.

 Per quanto mi sforzassi, non riuscii a distinguere alcun ciclo ripetitivo nei loro movimenti: completamente erratici, spesso interrotti e deviati a metà, quasi sempre si colpivano tra loro in quella frenesia, non sembravano mai diminuire il ritmo. Pareva stessero cercando di esprimere un’energia sconfinata senza esploderne: mi fu molto chiaro perché fossero sacri a quella particolare divinità.

 Bene, la mia possibilità migliore era lanciarmi verso il tronco e restare il più appiccicata possibile ad esso mentre raccoglievo la linfa. Almeno lì sarei dovuta essere al sicuro, quei dannati cosi non erano così invasati da voler colpire anche sé stessi. Un piano meraviglioso in teoria, in pratica fui centrata in pieno da un ramo e scagliata a due metri di distanza al primo tentativo.

 Per alcuni istanti non riuscii a fare assolutamente nulla, paralizzata dal dolore. E avevo pensato che le frustate degli schiavisti e le botte di Dylla fossero una brutta cosa? Essere beccata da un albero di quelle dimensioni era mille volte peggio. Mi riscossi solo quando vidi un altro ramo pronto ad abbattersi su di me, rotolando verso l’esterno in modo da esserne solo sfiorata.

 Imprecai. Mi trovavo appena fuori dalla portata dei rami, e quelli continuavano ad agitarsi come una cortina di fruste davanti al mio obiettivo. Ritentai.

 Questa volta il ramo mi colpì sul fianco, mandandomi dritta contro un altro che mi rispedì nella direzione da cui ero venuta. Mi ritrovai distesa a pancia a terra, e un ramo ritenne opportuno schiantarsi sulla mia schiena. Cacciai un urlo, non mi ero mai sentita così male in vita mia, ero sicura di essermi rotta qualcosa. Non ne sarei mai uscita viva – no, dovevo continuare a provarci, era la mia unica possibilità. Di avere successo in quell’impresa, e tornare a casa. Presi a strisciare verso i tronchi, con una lentezza esasperante e la sensazione che mi si stesse per spezzare la schiena a ogni passo. Sobbalzai ogni volta che un ramo si schiantava al suolo vicino a me, ma per qualche istante, fui miracolosamente ignorata.

 Poi, quando decisi che forse potevo azzardarmi a rialzarmi e correre più velocemente, un ramo mi centrò sul lato destro della faccia, ricacciandomi all’indietro. E prima avevo pensato di non aver mai provato tanto dolore fisico in vita mia? Dovevo solo aspettare che mi prendessero la faccia.

 Per qualche istante rimasi lì a terra, incapace di concretizzare qualunque cosa non fosse quel bruciore folle. Poi cercai di farmi forza e rialzarmi, e scoprii che non vedevo più niente dall’occhio destro. Mio Dio no, non era possibile, cosa sarebbe successo, cos’avrei fatto, non potevo andare avanti così – dovevo calmarmi. Il panico non mi avrebbe portata da nessuna parte. E neppure stare lì impalata come ad aspettare che il mio occhio guarisse o le tazze si riempissero da sole.

 Non era detto che fosse un danno davvero grave: durante le ore di ginnastica alla mia vecchia scuola avevo visto diversi ragazzi colpiti violentemente da una palla su un occhio, non riuscivano a vedere per qualche minuto, e poi la loro condizione tornava alla normalità. Il mio era uno di quei casi, cercai di dirmi, mentre cercavo di allontanare le informazioni riguardo a un cantante che dopo una pallonata particolarmente forte era rimasto cieco a vita.

 Quei dannatissimi rami continuavano ad agitarsi imperterriti. Forse uno doveva proprio mettersi a pregare per oltrepassarli? Sembrava avere senso, per una futura Sacerdotessa …

 Ehi, stronzo! Iniziai i miei devoti pensieri. Sono in questa merda per colpa tua. Mi sono ficcata in un casino dinastico, mi sono fatta mollare come uno straccio vecchio da quelli che credevo miei amici, mi sono trovata davanti quel tuo parente psicopatico che va in giro a dare fuoco alle cose. Sto cercando di consacrarmi al tuo servizio, e mi sto facendo picchiare da delle piante. L’esperimento è riuscito? Ti sei divertito abbastanza? E allora ti va di darmi una mano, porco cazzo?

 Dovevo solo tentare, a questo punto. Ripresi la corsa, un ramo mi centrò in pieno il lato sinistro del corpo. Feci in tempo a percepire un crack e un dolore lancinante prima di ritrovarmi per l’ennesima volta a terra. Pareva che la mia umile preghierina non avesse funzionato, anzi, semmai aveva reso Pachtu ancora più sadico.

 Forse avrei dovuto tentare con qualcosa di davvero devoto, ma non ne avevo ne la voglia né l’energia. Tutto quello che mi sentii disposta a fare fu rotolare verso gli alberi dalla mia posizione distesa a terra.

 E sì! Ce l’avevo fatta! Per qualche botta di fortuna nessun altro ramo mi aveva lanciata via, ed ero riuscita a raggiungere il tronco. Evviva! Ora dovevo fare in fretta: incidere la corteccia e raccogliere i frutti del mio lavoro.

 Ci volle semplicemente un’eternità. Suppongo che in realtà la linfa scorresse abbastanza in fretta, ma io volevo solo togliermi da lì e raggiungere un qualche posto con un medico: non appena ero stata in condizione di rilassami mi ero resa conto di avere la faccia bagnata, e mi era bastato portarci la mano per un attimo per scoprire che stavo sanguinando. Oh, bene, una ferita alla testa. Probabilmente il mio viso sembrava una maschera di sangue … non sarebbe stata un’emorragia troppo grave, vero? Non sarei svenuta lì, per poi morire per assenza di soccorsi, vero? Perché quel dannato liquido non scorreva più in fretta?

 Una tazza completa, la seconda da riempire. Forza, potevo resistere, dovevo finire quel maledetto compito … seconda tazza finita, la terza … era un certo miracolo non essere ancora svenuta, perché iniziavo a sentirmi la testa leggera. No, non sarei crollata lì, non sarei crollata finché non fossi arrivata al Tempio e avessi compiuto quel sacrificio. Stava per finire la terza, c’ero quasi … finito!

 Ora dovevo solo tornare indietro, ripetendo il percorso tra i rami. Mi venne di nuovo da piangere al pensiero, ma per la prima volta in tutta la giornata, qualcosa mi andò davvero bene. A quanto pareva, perdere tanta linfa in un colpo non aveva fatto troppo bene al mio albero: i suoi rami si agitavano ancora, ma molto più debolmente rispetto a prima. I rami dei suoi vicini ovviamente mantenevano il loro vigore inalterato, ma erano abbastanza lontani per poter essere evitati con un po’ di attenzione. Mi lanciai di corsa, destreggiandomi tra i rami che, a parte un patetico colpetto, non riuscirono neanche a toccarmi.

 Ed ero libera! Ora dovevo solo correre al Tempio. Lì mi avrebbero curata, giusto? Malgrado le mie condizioni, non riuscii a smettere di correre per un attimo, raggiungendo in fretta la piazza e oltrepassando la folla di credenti che mi guardavano con vari gradi di disgusto o simpatia. Nel tempio c’erano solo un paio di attendenti in tunica candida, che sgranarono gli occhi al vedermi.

 “Ho passato la prima prova!” annunciai. “Ecco qui, vi giuro che non ho barato …”

 “Quello lo vediamo da noi” disse una con un filo di voce.

 L’altra, più anziana e probabilmente più abituata a vedere entrare gente mezzo massacrata, prese le redini della situazione. “Versa una sola delle tue tazze sull’altare, sarà il tuo primo sacrificio. Le altre tienile, ti serviranno per le prove successive. Poi segui Seqa, ti porterà in infermeria. Ti serve una mano per camminare?”

 Mi sentivo stranamente bene data la situazione, quindi cedetti all’orgoglio e rifiutai. Raggiunsi con successo l’altare e vi versai sopra il contenuto di una di quelle sudate tazze, cercando di pensare ad Energia nei termini più devoti possibile. Non accadde nulla di particolarmente mistico: tutto quello che vidi fu una lastra di pietra bagnata.

 “Da questa parte, forza” il tono dolce di Seqa mi sorprese, era una bella differenza da quello altezzoso che avevo spesso sentito ai Sacerdoti fino a quel momento.

 Non ebbi problemi a obbedirle, se non che crollai a metà strada. Per quanto mi sforzassi, non riuscii a rimettermi in piedi: faticavo perfino a tenere gli occhi aperti. Volevo solo mettermi lì a dormire sul pavimento … sentii la voce agitata di Seqa, quella dell’attendente più anziana che commentava qualcosa a proposito di ‘non avere più bisogno del supporto del dio’, e poi le due donne mi afferrarono per le braccia e iniziarono a trasportarmi di peso in infermeria. Andavano a mettermi le mani proprio su qualche ferita, ma non avevo la forza di protestare.

 Dallo stato confusionale in cui mi trovavo, ricordo vagamente qualcuno che mi ripuliva il volto con acqua fresca, grattando via il sangue rappreso, qualcuno che mi ricopriva di bende l’occhio ferito, qualcun altro che mi tastava le braccia e le gambe, dicendo che non c’era niente di rotto lì. Non sarebbe stato neanche necessario cercare un Kisnar: ero solo piena di lividi, e lo sarei stata per molto tempo. L’unica cosa che rischiava seriamente era l’occhio: mi dissero di farmi controllare quotidianamente dal primo farmacista su cui potessi fare affidamento, per capire se sarebbe guarito o sarebbe stato necessario rimuoverlo per evitare un’infezione.

Ero così stravolta che non mi soffermai neppure sul rischio di rimanere guercia a vita. Ero stanca, volevo solo crollare da qualche parte, ma ero anche distratta dal fatto che … dopo tanto tempo ad essere trattata come uno scarto della società, da punire in caso di errori e ignorare in caso di servizi impeccabili, sentirmi rivolgere parole e raccomandazioni tanto gentili mi fece quasi venire un groppo in gola.

 Mi sforzai di non farlo notare e prendere lo stesso la parola. “E la prossima prova? Potrò farla in queste condizioni?”

 “Ti avremmo detto di tentarla in ogni caso” rispose la Sacerdotessa che mi faceva da infermiera. “Ma siamo felici di vederti tanto intenzionata a riuscire. Dunque, questa sarà la tua seconda prova: cacciare un huytey, strappargli la testa e portarla qui come offerta”

 “Eh?”

 “Lo so che non ti senti in grado di tagliare una verdura al momento” disse la donna con un sorriso incoraggiante. “Ed è per questo che ti servirà una delle tue tazze di latte di shillqui. Ti infonderà l’energia necessaria”

 Cioè mi sarei dovuta drogare? Quella roba non dava dipendenza, vero? No, perché oltre ai soliti problemi, avrei rischiato di ritrovarmi nel mio mondo con crisi di astinenza per qualcosa che letteralmente non esisteva lì … no, inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Era solo una tazza, dopotutto, e le Sacerdotesse qui sembravano perfettamente lucide e in controllo di sé. Piuttosto, il problema sarebbe stato dare la caccia all’huytey, specie perché non avevo la minima idea di che cosa fosse. Altre informazioni da chiedere ad Alasu, poveretta … qui come minimo avrei dovuto presentarla al più figo della città (escluso Sayre ovviamente) per sdebitarmi.

 Certo che ‘strappare’ una testa …

 “Ma potrò usare un’arma, vero? Un coltello da cucina o …”

 “No, no” si affrettò a correggermi la Sacerdotessa. “Dovrai strapparla a mani nude”

 Io la fissai senza riuscire a dire niente.

 Lei mi sorrise incoraggiante.

 In quel momento giunsi all’insindacabile conclusione che quel culto fosse pieno di pazzi furiosi, e che la cosa mi piacesse molto meno di quanto avrebbe fatto in circostanze più sicure.

 

La cosa più sorprendente fu l’assenza di punizioni fisiche al mio ritorno.

 Dylla si era fermata non appena mi aveva guardata bene, per sospirare e commentare che quando gli schiavi cercavano di affrontare le prove di Pachtu senza permesso andava sempre a finire così: non le restava molto di intero da punire. Si limitò a consegnarmi un enorme carico di lavanderia, che riuscii a svolgere senza fiatare malgrado il dolore a tutti gli arti. Se fossi riuscita a superare tutte quelle dannate prove, sarei stata definitivamente fuori di lì, lamentarsi e ribellarsi non aveva più neppure senso …

 E naturalmente, il giorno dopo dovetti assistere al trionfale ingresso dell’Imperatore in città. Dovevo ammettere, ero curiosa, Non aiutavo più Simay, ma avevo passato diverse settimane a cercare di gestire i risultati degli sbalzi ormonali di quell’uomo: volevo vedere almeno che faccia avesse, che tipo fosse. Forse ci sarebbe stata una somiglianza con Simay abbastanza forte da fornire di per sé una prova della loro parentela?

 Fui così sollevata quando la parata imperiale fece il suo ingresso nel palazzo: fino a quel momento avevo dovuto correre in giro portando rinfreschi e riferendo messaggi tra gente che non riusciva a trovarsi a vicenda, ma ora si richiedeva a tutti di accalcarsi rispettosamente ai margini del cortile degli Artigiani, senza intralciare il percorso. Certo, in quanto schiava io dovevo stare in fondo alla fila, praticamente schiacciata contro il muro dalla massa di persone davanti, ma i Mekilo erano abbastanza alti da permettermi una buona visuale. L’Imperatore Manco fu il primo a fare il suo ingresso.

 Era davvero poco impressionante. Non era particolarmente alto o imponente. Non aveva alcunché di carismatico, non emanava alcuna aria di forza e potere se lo guardavi escludendo lo sfarzo da cui era circondato. Sembrava qualcuno che si stesse sforzando di mantenere un aspetto regale senza essere ben sicuro di cosa fosse la regalità: la sua postura impettita e la sua espressione seria sembravano decisamente forzate. Avevo visto Llyra di persona solo poche volte da quando avevo preso a lavorare lì, ma erano state sufficienti per mettermi in chiaro che suo marito non poteva neanche essere paragonato a lei. Era così strano vedere un uomo dall’aspetto così comune seduto in una portantina così sfarzosa, osannato da una popolazione festante!

 Ebbene, quello era il padre di Simay. Probabilmente la processione era sfilata presso il Tempio di Achesay, e lui aveva avuto modo di vederlo. Chissà che ne aveva pensato?

 Al passo saltellante dei Mekilo, Manco si allontanò dal mio campo visivo, rimpiazzato da altri componenti della sfilata. Su portantine dall’aspetto molto più sobrio, rivestite di placche di metallo, vedevo uomini in armatura, evidentemente i generali. Mi colpì il fatto che ognuno sembrava avere un’armatura diversa: simboleggiava differenze di rango, o questo impero non aveva un’uniforme standard per i suoi soldati? Comunque stessero le cose, molti di quegli uomini sembravano molto più imponenti dell’Imperatore stesso.

 Finiti gli ufficiali, fu il turno delle spoglie di guerra: in una serie di esclamazioni affascinate dagli astanti, vidi passare Mekilo con gabbie cariche di armi, abiti dai colori sgargianti, monili e gemme molto più stravaganti di quelli che di solito si vedevano a Tahuantinsuyu, oltre a un certo numero di oggetti che non avevo mai visto in vita mia. E soprattutto, schiavi.

 Uomini dall’aria incredibilmente forte, donne che dovevano essere considerate molto belle (alcune anche più giovani di me, a quanto potevo vedere), perfino alcuni bambini: tutti si stringevano attorno a tutti, cercando di farsi coraggio come meglio potevano. La folla li indicava e commentava non diversamente da come aveva fatto con gli oggetti. Dovetti letteralmente mordermi la lingua per non mettermi a insultare tutti.

 E quello spettacolo di squallore umano riuscì a far risaltare ancora di più il carico dell’ultima gabbia. Conteneva un singolo schiavo, cosa di per sé già strana, ma se venivano presi in considerazione i gioielli che ancora indossava e i colori vivaci dell’unico indumento che portava, una specie di gonnellino, si poteva concludere che fosse un prigioniero importante. Un personaggio altolocato da qualunque posto fosse appena stato conquistato, lasciato adorno per far meglio risaltare i suoi carcerieri, non lui stesso.

 Ma la cosa che più colpiva era l’aria di assoluta calma che lo circondava: stava seduto composto in ginocchio, a spalle dritte, e osservava i soggetti che lo segnavano a dito come se fosse lui a osservare qualche curiosità. Be’, conclusi, quel soggetto si era piazzato decisamente in alto nella mia stima per il contegno, ma c’era da vedere quanto avrebbe retto alla vera e propria schiavitù di Tahuantinsuyu, povero disgraziato …

 O disgraziata? Sulle prime avevo pensato che fosse un uomo, era a torso nudo e lì non c’era niente che facesse pensare il contrario, ma a vederne la figura più da vicino … aveva un che di esile e delicato, fin troppo per essere considerata davvero mascolina. A guardare bene il viso … niente barba, un certo genere di lineamenti che sembravano adattarsi perfettamente a comunque volessi interpretarli. Magari era una donna davvero molto piatta? La spiegazione non mi convinceva completamente.

 Ma insomma, era un uomo o una donna? Sarei sembrata molto stupida a chiederglielo …?

 

 

 

 

 

GLOSSARIO (e qualche trivia):

Mekilo: essere simile a uno scoiattolo, solo molto più grande, con zampe molto più lunghe e la coda in fiamme. Essendo un animale legato al fuoco, non è considerato sacro a nessun dio, ma sfruttabile da tutto il genere umano. Viene usato soprattutto per trasportare merci e persone.

Occlo: bovino ricoperto di squame e con protuberanze lunghe e sottili, simili a serpenti che stanno al posto delle corna e da cui esce fuoco. Anch’esso animale legato al fuoco, ma per la sua pericolosità e la capacità di controllare i loro getti di fuoco sono quasi esclusivamente cavalcature da battaglia.

Kutluqun: capre anfibie con alghe al posto della pelliccia. Sono considerate sacre al dio Tumbe, e per questo, per allevarle o catturarne di selvatiche, è necessaria l’autorizzazione di un sacerdote di quel dio.

Lymplis: pesci volanti, con le pinne coperte di piume. Sono sacri alla dea Chicosi, dunque è necessaria l’autorizzazione di un suo sacerdote per possederne uno. Malgrado ciò, sono popolari come animali da compagnia presso la nobiltà.

Kyllu: uccelli simili a cigni, fluorescenti. Sono sacri al dio Achemay, e allevati solo all’interno del palazzo imperiale. Il loro piumaggio è usato per decorare le corone dei sovrani.

Lilque: creature con corpi simili a quelli degli esseri umani, ma con code di serpente al posto delle gambe. Servitori del dio Thumbe, vivono presso il mare, i laghi e in qualche caso i fiumi, quasi mai in corsi d’acqua più piccoli.

Duheviq: piante dalla capacità di mutare il proprio aspetto, assumendo qualsiasi forma desiderino. Originariamente questo veniva usato per catturare prede dei cui fluidi nutrirsi, ma con l’avanzare della società umana, ne hanno approfittato per integrarvisi. Un tempo servitori della dea Achesay, organizzati in tribù-foreste rigidamente isolate dagli esseri umani; solo i sacerdoti della dea potevano avvicinarli senza essere bollati come cibo. Al tempo di Choqo, mentre i più anziani vivono ancora tradizionalmente, i più giovani hanno preso a mescolarsi con le popolazioni umane, finendo spesso vittime di discriminazioni e relegati ai lavori meno nobili o remunerativi. Mantengono comunque un rigido codice di valori, di cui la fedeltà è il più alto.

Shillqui: piante in cui scorre un liquido per aspetto e consistenza simile al miele, che causa a tutto l’albero di agitarsi violentemente. Se bevuto, questo liquido dà gli stessi effetti agi esseri umani, ma è difficilissimo metterci le mani sopra. Pianta sacra a Pachtu, i suoi sacerdoti ne devono bere la linfa durante le cerimonie.

Likri: fiori simili a gigli rossi, dalle temperature bollenti, che esalano un fumo sottile. Se tuffati in acqua gelida e canditi, sono considerati ottimi per la pasticceria, ed essendo legati al fuoco, l’unico limite al coglierli è potersi permettere buoni guanti protettivi.

Sangue della Terra: erba che influenza la circolazione sanguigna, usato per diversi effetti nelle gravidanze.

Zullma: pianta le cui varie componenti hanno diversi usi; le radici sono considerate un potente lassativo.

Kiquicos: erba di colore blu, parassitaria dei Duheviq. Pericolosa per le sue capacità di depistare animali e viandanti, ma molto ricercata per le sue molteplici virtù.

Guyla: praticamente un Moment.

Tably: erba che secondo le credenze popolari risolve l’insonnia e i problemi di incubi frequenti.

Ago di Luce: essere a metà tra lo stato animale e quello vegetale, si nutre di sangue, ma può essere utilizzato per aspirare anche altri fluidi corporei.

AQI: esseri simili a tassi dal pelo violaceo, che emanano ormoni che fanno marcire le sostanze inorganiche attorno a loro. Soggetti a disinfestazioni a tappeto e contenuti in gabbie speciali, sono frequentemente offerti in sacrificio, con la testa dedicata a Chicosi, il cuore ad Achemay, e il resto del corpo, a seconda che l’animale sia maschio o femmina, a Tumbe o Achesay.

Fylles: insetti con ali a forma di fiore e polline al centro del corpo. Poiché si nutrono di altri insetti, sono molto usati dagli agricoltori, anche se prima necessitano di un permesso di un Sacerdote di Chicosi.

 

Qillori: cristalli di colore azzurro chiaro, molto usati in oreficeria.

Achemairi: cristalli di colore dorato, anch’essi comuni per l’oreficeria.

Tablyk: pietra di colore rosato, usata nell’oreficeria.

Kislyk: pietra dall’aspetto simile alla tablyk, ma molto più dannosa.

 

Notte: entità primordiale da cui tutto il mondo ha avuto origine.

Achemay: dio del sole, entità più importante del pantheon Soqar.

Achesay: dea della terra.

Chicosi: dea dell’aria.

Tumbe: dio del mare, dei fiumi e dei laghi.

Sulema: dea del fuoco.

Pachtu: dio dei fulmini e della vita.

Qisna: dea della morte e delle paludi.

Supay: esseri più collegati al folklore che alla religione vera e propria, sono creature della Notte,

incaricati di torturare le anime dei peccatori che lì vengono gettate.

 

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

vorrei attirare l’attenzione su due cose di questo capitolo. La prima è che abbiamo avuto la prima scena d’azione in più di un anno e mezzo di pubblicazioni, e consiste nella protagonista che si fa picchiare da delle piante. La seconda è che finalmente, dopo più di un anno e mezzo di gente che ne diceva peste e corna di lui/lei, da Yrchlle con furore arriva finalmente Malitzin, che avrà per intero tutto il prossimo capitolo. Sono davvero curiosa di sapere cosa ne penserete di lui/lei … e preparatevi, perché ha ufficialmente inizio la Tragicommedia dei Pronomi.

Annuncio inoltre che il primo capitolo dello spin-off dedicato a Simay ed Etahuepa, intitolato Family Man (sì, il titolo della storia principale è in italiano e quelli degli spin-off in inglese, perché chissenefrega della logica) è appena uscito. Detto questo, ringrazio davvero tutti quelli che avranno voluto leggere e recensire!

 


  
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