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Autore: Elena 1990    26/08/2018    2 recensioni
La storia mai narrata del terribile imperatore dello spazio.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Attenzione!! Contenuti forti, linguaggio scurrile, tematiche delicate

Passato quel momento, dovetti fare i conti con ciò che sapevo da giorni, ma che nel cuore e nella mente rifiutavo come si respinge uno sciame di api assassine.
I suoi fiori, i suoi bellissimi fiori, soccombevano al gelo mentre io trascorrevo le giornate nella mia stanza, al buio, rifiutando di mangiare e chiudendo occhio a mala pena.
I servitori mi disturbavano raramente, sapendo quanto i miei scatti d'ira fossero terribili. Passavo ore e ore a pensare, ancor più tempo a non pensare affatto. A fissare il buio.
Vedete, noi siamo come certe specie terrestri, monogami per la vita. In alcune di esse, quando un partner muore, l'altro ne soffre al punto da lasciarsi andare.
Noi siamo così.
Non augurerei neanche al mio peggior nemico di perdere la propria compagna. É qualcosa che è riduttivo definire straziante. Un dolore che consuma fino alle ossa.
Ho udito di gente che sfiorò la follia, di gente che morì per il dolore, di altri che non sepppero accettare la realtà vivendo il resto della vita parlando al vento e chiamandolo col nome di lei o di lui. E di gente che semplicemente si lasciava andare.
Lei diceva sempre che la vera grandezza risiedeva nell'umiltà, nella pietà, nel perdono. Per lei avevo lasciato in vita molti dei miei nemici, li avevo lasciati andare che erano ormai sconfitti. Questo mi aveva reso grande agli occhi dei loro popoli. Mi vedevano come un re giusto, un sovrano potente ma che conosce la pietà.
Ma dov'era la mia grandezza? Mi sentivo come il vetro, avevo paura di sgretolarmi come un castello di sabbia asciutta muovendo un solo passo. Mi sentivo debole. Mi sentivo solo.
A cosa mi serviva l'impero, che me ne facevo della grandezza? La sua assenza inghiottiva tutto quanto come i buchi neri, da cui neanche la luce riesce a fuggire.
Smisi semplicemente di interessarmi di tutto il resto. Non mi importava del passare dei giorni, della servitù che dava di matto, dei generali spaesati, del popolo che ignorava tutto quanto.
Sorrisi nel buio, pensando che non me ne fregava un cazzo.
La porta cigolò.
-- Sire?
Una domestica.
-- Che vuoi? Non vedi che sono occupato?-- occupato a non fare un cazzo. É un lavoro che richiede molte energie.
-- I fiori signore.-- disse lei con tono stentoreo. -- Stanno appassendo. Cosa ne dobbiamo fare?
-- Levateli dalla mia vista.-- mormorai.
Lei esitò. -- Ma sire, la regina
I fiori della regina, come se io non lo sapessi, come se non conoscessi il suo amore per i fiori, come se ogni fottuto secondo non rammentassi tutto l'amore con cui li curava. Lo stesso che nutrivamo l'uno per l'altra.
Il calice di vino si infranse in mille pezzi contro il battente della porta e lei gridò.
-- FUORI!
Fuggì sbattendo la porta. Di nuovo con me stesso, caddi in ginocchio e piansi forte, ma in silenzio. Soffocando i singhiozzi, inspirando ed espirando profondamente, sussultando e tremando.
Perché non dovevano sentirmi.
La disperazione di un imperatore, non deve mai essere ascoltata.

Fuggii molte volte da quel giorno ma alla fine dovetti affrontarlo.
La porta cigolò di nuovo. Da quasi un mese ormai stavo seduto dinnanzi alle tende serrate, con l'unica compagnia di un calice di vino. Ero dimagrito e ovviamente non ero pulito. Vi lascio immaginare l'odore stantio di una camera che non viene aperta per un mese.
Sapevo che di tanto in tanto l'arieggiavano mentre dormivo. Che qualcuno mi metteva sotto le coperte quando esageravo col vino e mi addormentavo con la testa sullo scrittoio. Ma nonostante ciò, odorava ugualmente di chiuso.
-- Sire?
Era Zarbon, lo riconobbi dalla voce.
-- Sono occupato.-- la mia voce risuonò stanca ed impastata. Non lo nego, ero reduce da una bella sbornia mattutina.
-- Sire, il popolo chiede del suo imperatore. Chiede della regina. Nessuno sa niente. Esigono spiegazioni.
-- Loro esigono?-- ridacchiai. -- Io esigo. Loro implorano. Loro supplicano!-- calai il pugno sul tavolo rovesciando il calice. -- Sono il loro imperatore, non un cazzo di distributore automatico!
-- Avete ragione Sire.-- replicò lui. << Ma dovete capire
-- Io non devo capire un cazzo!-- sbraitai e poi mi alzai barcollando un poco. -- Ma andrò a parlare. Così la smetteranno di far andare quelle loro lingue come quei pulcini disgustosi che gridano alla madre tutto il giorno.
Come avrete capito, ero leggermente alticcio. Andavo avanti a vino rosso da un mese. Solo vino rosso e acqua. Smaltivo le sbornie con altre sbornie. Cominciavo a pensare che il mio sangue fosse alcol misto ad una bassissima percentuale di qualcos altro. Forse acqua.
-- Non preferireste sistemarvi prima, signore.
-- No. É già tanto che esco a parlare. Ma prima lo faccio prima me li levo.-- dissi e mi diressi barcollando fino alla balconata.
Mi sentivo addosso gli occhi e i nasi di tutta la servitù. Per caso intercettai una di quelle occhiate e mi fermai, voltandomi di scatto e inchiodandola con lo sguardo.
-- Che cazzo hai da guardare?
Lei abbassò lo sguardo e spazzò più veloce.
-- Ti ho fatto una domanda!
-- Nulla sire, nulla.-- balbettò lei.
-- Sarà meglio.-- dissi.
Una volta sulla balconata mi levai in aria con la telecinesi, preparandomi alla mia alcolica arringa.
-- Signori miei e signore mie. Soprattutto signore. Silenzio prego.-- esordii. -- Immagino voi siate qui per vederci chiaro in questa oscura situazione.-- risi. Lo trovavo divertente. Da ubriachi tutto è divertente. -- Vi ringrazio per la vostra premura nel rompermi i coglioni fino a questo punto, sinonimo del grande interesse che provate nei miei confronti. Dunque per sdebitarmi, vi spiegherò tutto, così potrò tornare ai miei affari e voi potrete tornare ai vostri.-- mi schiarii la voce ed improvvisamente, parlare divennne difficile.
Tutti credono sia facile, essere imperatore. Uno pensa ai soldi, al potere, ma raramente mette in conto tutto il resto.
Un imperatore ha un regno sulle spalle. E quel peso può schiacciare. Un imperatore non può mostrarsi debole. Un imperatore deve essere forte, perfetto, fiero, anche quando perde sua moglie, anche quando il mondo intero gli sta crollando addosso e intorno a lui non c' è che il buio, e un bicchiere di vino.
Diamine che avrei dato per un bicchiere di vino.
La folla cominciava a mormorare per il mio silenzio ed io, anche dal velo della mia ubriachezza capii cosa era giusto fare. Strinsi i pugni e recuperai il mio contegno almeno in parte. -- La regina. È.-- non riuscivo a dirlo, non osavo. Ma dovevo. Dovevo perché ero un imperatore. -- Morta.-- ripresi fiato. -- è così. Il mio popolo non ha più la sua regina. Io so quanto la amavate, e l'amavo anche io.-- dissi. -- So che chi l'ha uccisa complottava per il mio assassinio. Io vi dico sulla corona che porto, che ribalterò l'universo per trovare tutti coloro che hanno partecipato a questo deprecabile atto di ribellione.-- esclamai. -- Dite che non dovrebbero saperlo? Io spero che odano queste parole. Che sappiano che Lord Freezer li inseguirà come cani e li sventrerà come maiali, dovesse rincorrerli per quanto è lungo e largo l'universo. Dovessi inseguirli fin dentro un buco nero e stanarli al confine della singolarità li troverò, e gliela farò pagare!
La folla esplose in un grido di giubilo delirante, in molti acclamavano il mio nome, in tanti gridavano di volere giustizia per la regina.
-- Silenzio!-- gridai. -- Ora che sapete tornatevene a casa e lasciatemi piangere mia moglie, banda di lagnosi rompicoglioni che non siete altro!
Per motivi che non comprendo, la folla esultò di nuovo.
Atterrai sulla balconata e tornai dentro al palazzo. La testa girava. -- Zarbon, Dodoria, fate uscire tutti. Guardie, servitori, tutti.-- mormorai.
Loro mi fissarono perplessi.
-- Ma, grande Freezer-- cominciò Dodoria.
-- Uscite tutti!-- ordinai con le gambe che mi tremavano e la fronte sudata. -- FUORI!
Li vidi fuggire tutti dalla sala, finché rimasi solo con Zarbon e Dodoria.
-- Perché quell' ordine? Dovete dirci qualcosa in priva-- Ma io stavo già cadendo in avanti, in ginocchio sulle gambe che non mi reggevano. Regredii di colpo alla mia prima forma e Zarbon fermò appena in tempo la mia caduta.
-- Lord Freezer! Lord Freezer!
Essere imperatori è difficile. Significa piangere la tua sposa senza far rumore, affogando le tue lacrime nel vino. Signfica cacciare fuori tutti da una stanza per poi crollare a terra svenuto con solo i tuoi fidati a sostenerti, perché alla fine, per quanto ti sforzi, sei semplicemente un mortale.
  
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