Maybe
if I told you the right words
At the right time you'd be mine
(Tracy Chapman)
Baby
can I hold you tonight
Gaara
era
fermo vicino alla seggiovia e la fissava più o meno come un
gatto avrebbe
squadrato un cane: con estrema diffidenza e una certa dose di astio.
Aveva gli
sci agganciati agli scarponi rigidi che gli bloccavano la caviglia,
un’aderente
calzamaglia sotto ai pantaloni, una maglietta termica sotto la giacca,
guanti e
caschetto; tutto fornitogli da Sasuke. Si sentiva più
imbottito di un panino,
ma perlomeno non avvertiva molto il freddo e gli abiti erano comodi,
anche se
inusuali. Il problema era che iniziava a sentirsi terrorizzato
all’idea che tra
poco sarebbe davvero stato sulle
piste, nella sua mente sfrecciavano già immagini di
incidenti mortali o in cui
finiva su una carrozzina. Era cresciuto in una località
vicino al mare, la
città in cui abitava ora era in collina e vicina a dei
boschi, che diavolo ci
faceva uno come lui sulla neve?
Sasuke
gli diede una bottarella sul braccio per riscuoterlo dalle sue
riflessioni e
gli indicò i seggiolini:
“Al
prossimo saliamo, è più semplice di quanto
sembri, non si tratta mica della
filovia.”
“E che
diavoleria sarebbe?”
“Diavoleria
è il termine giusto, è un filo che penzola con un
peso alla fine. Ti metti il
filo in mezzo alle gambe, stringi e sali così. Non ti dico
le volte che ci si
dà una botta sulle palle, c’è anche
qui, ma ho pensato di evitarla per la tua
prima volta.”
Gaara
apprezzò nuovamente le premure di Sasuke, cercò
di imitare i suoi gesti e di
accomodarsi al suo fianco sul seggiolino doppio che lentamente saliva
verso
l’alto. Guardò i propri piedi con gli sci ancorati
che penzolavano nel vuoto e
provò un po’ di timore, strinse più
forte le racchette tra le mani e pensò che
la cosa migliore fosse chiudere gli occhi finché non fossero
arrivati in cima.
Dopo qualche istante però Sasuke lo chiamò,
così sollevò le palpebre per
guardarlo armeggiare con un tubetto di crema bianca che poi gli
spalmò sul
viso. Fece un piccolo scatto all’indietro col collo,
guardandolo interrogativo.
“È solo
crema solare. Mi sono dimenticato di metterla prima di scendere dalla
macchina”
“A che
serve? Mica siamo al mare” domandò Gaara, pensando
che lo stesse prendendo in
giro. Nonostante ciò non si sottrasse e lasciò
che Sasuke gli passasse la mano
calda sul viso freddo e trovò piacevole quel contrasto,
tanto che si dispiacque
quando smise.
“Il sole
picchia forte anche qui, la neve lo riflette e aumenta la sua potenza,
la crema
è indispensabile specialmente per due con la pelle chiara
come la nostra. La
rimetteremo durante la giornata, voglio farti tornare a casa tutto
intero” gli
spiegò mentre se la spalmava a sua volta e poi riponeva il
tubetto in tasca,
affrettandosi a rimettere i guanti.
Gaara lo
ascoltò meravigliato, rendendosi conto di quante cose
ignorasse del mondo;
nonostante tutti i dubbi e le incertezze, capì che quel
weekend sarebbe stato
una cosa buona, una nuova esperienza che avrebbe ingrandito il suo
modesto
bagaglio.
“Non sono
così sicuro di tornare a casa tutto intero se insisti nel
volermi far sciare”
rispose dato che le sue visioni catastrofiche non erano finite, anzi
avvicinandosi alle piste aumentavano.
Sasuke
rise e gli posò una mano sul braccio, purtroppo con tutti
gli strati di vestiti
Gaara sentì solo la pressione esercitata
e nient’altro, lo guardò negli occhi
divertiti mentre parlava.
“Ma no,
inizieremo proprio dalle basi, solo sulle piste baby. Se ci sono io,
non ti
succederà niente, in famiglia abbiamo imparato a sciare
tutti da quando eravamo
piccoli; sono bravo, sai? Fidati di me”
Gaara
avvertì il sangue affluire alle guance, si augurò
che l’altro attribuisse la
colpa al freddo e non all’emozione provocatagli da quelle
parole. Maledetto
quell’Uchiha che diceva cose tanto sconcertanti con quel
sorriso leggero;
fidarsi di lui. Poteva davvero farlo?
“E allora
come mai Itachi era pieno di lividi dopo Natale? Mi ha fatto vedere le
foto,
era impressionante” gli fece notare, non ancora convinto.
“Che
cosa?!” esclamò Sasuke sconcertato, ma non ebbe
tempo di aggiungere altro
perché erano arrivati. Alzò la sbarra di
sicurezza e spiegò in fretta a Gaara
come poggiare gli sci per non cadere, augurandosi che andasse tutto
bene. Lo
vide scivolare lentamente in avanti, allontanandosi dalla seggiovia e
tenendo
istintivamente le ginocchia incrociate, il modo migliore per finire coi
piedi
all’aria. Fortunatamente non successe così lo
raggiunse in fretta, riprendendo
il discorso di prima:
“Itachi
ti ha fatto vedere le foto dei suoi lividi?”
Gaara che
era più interessato a guardarsi attorno, a capire se tenere
i piedi aperti o
uniti e un milione di altre cose nuove, rispose con un disinteressato:
“Sì, che
c’è di male?”
“C’è che…
oh, andiamo! Le foto del suo… mio fratello che ti mostra
certe cose!”
Gaara si
decise a guardare Sasuke: le guance erano rosse, stringeva forte le
racchette
tra le mani guantate e aveva un’espressione a metà
tra lo sbalordito e lo
sconvolto.
“Cos’hanno
di così terribile le foto del suo ginocchio, a parte fare
impressione per
essere quasi nero e gonfio?” domandò continuando a
non capire. Vide però
l’atteggiamento dell’altro cambiare, tirare un
sospiro di sollievo e alzare un
attimo gli occhi al cielo. “Sasuke… cosa credevi
che mi avesse mostrato
Itachi?”
L’Uchiha
minore fece una smorfia e disegnò qualcosa nella neve con la
punta della
racchetta, evidentemente imbarazzato e desideroso di non rispondere.
“Il suo
sedere” borbottò però alla fine.
Ricordava bene di come durante le vacanze
fosse entrato nella stanza che condividevano e lo aveva trovato coi
pantaloni
calati, a mettersi una crema contro gli ematomi sul fondoschiena
violaceo. Non
era stato un bello spettacolo.
Gaara
sgranò gli occhi e gli parve che fossero sul punto di uscire
dalle orbite, aprì
e richiuse la bocca un paio di volte, stette in silenzio qualche
istante e solo
dopo quasi un minuto riuscì a dire:
“Sei un
idiota! Come ti viene in mente che tuo fratello mi possa aver mostrato
le sue
chiappe? E poi ce lo vedi a fotografarsele? Itachi? Stai
fuori!”
Se solo
fosse stato in grado di muoversi agilmente sulla neve, si sarebbe
voltato e
allontanato, ma non era possibile, Sasuke era la sua guida e punto di
riferimento per quel giorno, quindi aggrottò le sopracciglia
e aggiunse con
voce stizzita “Ora se abbiamo finito con queste idee balorde,
vuoi insegnarmi a
non ammazzarmi?”
L’architetto
evidentemente imbarazzato si morse un labbro per poi annuire:
“È solo
che… lasciamo perdere, andiamo”
Nonostante
tutto Gaara fu colpito da quell’ennesima sfaccettatura del
suo carattere, da
come tutto il divertimento e l’aspettativa fossero scomparse
dal suo viso in un
battito di ciglia, e si dispiacque di essere stato così
duro. Inoltre, se solo
avesse saputo dei baci che si erano scambiati, non avrebbe proprio
potuto dargli
dello stupido.
La sua
reazione lo rese ancora più convinto a far rimanere segreti
quei due episodi,
semmai avesse avuto l’intenzione contraria. In fondo era
qualcosa che
riguardava solo lui e Itachi, avvenuto in un periodo in cui non sentiva
più
Sasuke; erano stati bei momenti e importanti per Gaara,
perché gli avevano
mostrato che non era ancora tutto perduto come si era convinto. Quei
due baci
erano lontani nella sua memoria, ammantati da quel velo di malinconia
che hanno
sempre i bei ricordi che non torneranno mai più,
perché era certo che non
sarebbe successo di nuovo.
Per quel
motivo posò una mano sulla spalla di Sasuke e la strinse
nonostante i guanti e
i vestiti ingombranti.
“Sono
nelle tue mani, maestro. Hai detto che mi avresti riportato a casa
tutto d’un
pezzo, giusto?”
Gli
sorrise dicendogli in pratica che si fidava di lui e gli occhi di
Sasuke
parvero rianimarsi: avrebbe fatto tesoro di quella concessione e
all’improvviso
le chiappe di Itachi erano dimenticate; in realtà non erano
mai esistite.
In
un
punto tranquillo vicino alla pista baby, Sasuke aveva fatto vedere a
Gaara il
movimento base che ogni principiante doveva imparare: lo spazzaneve. Si
trattava di allargare le gambe e far convergere le punte degli sci come
un
triangolo. A quel modo si poteva procedere in sicurezza, imparando a
mantenere
l’equilibrio, inclinando i piedi a dovere si riusciva ad
acquisire più o meno
velocità o a frenare, successivamente, imparando a
distribuire il peso del
corpo, si imparava a curvare e ad assumere un certo ritmo. Erano i
movimenti
che ogni sciatore doveva imparare a padroneggiare per poter iniziare a
scendere
dalle piste con gli sci paralleli e a lanciarsi, letteralmente, in
quello sport
impegnativo ed elettrizzante.
Gaara si
mostrò un buon allievo, molto accorto, anche se un paio di
volte finì comunque
a gambe all’aria; il battesimo della neve lo
chiamò Sasuke, ridendo. Anche se
doveva stare dietro a un principiante e non scorrazzava libero sulle
piste
rosse come suo solito, si stava divertendo. Gaara era testardo e si
impegnava,
era anche autoironico e più aperto ora che era impegnato in
qualcosa di diverso
dallo schermarsi e misurare le risposte.
A Sasuke
piacque quella libertà, il modo in cui stavano vicini e
interagivano, come due
persone qualsiasi. Si guardò attorno e vide altra gente fare
le stesse cose:
chiacchieravano, sciavano, si divertivano ed erano uguali a loro. Si
rese conto
che lui e Gaara non portavano scritto addosso che erano gay, sulle loro
sgargianti tute non era impresso il marchio della diversità
e Sasuke non lo
scorgeva nemmeno sugli altri.
Magari
quella bella signora bionda e atletica non era sposata con
l’uomo che le
tendeva gli occhiali da sole, bensì poteva avere una
relazione con la donna che
aveva di fianco. C’erano miliardi di possibilità
su quella terra e nessuna di
esse era sbagliata; cosa c’era di sbagliato
nell’amare? Era così importante il
genere?
No,
non lo è. Importa solo quello che provo io
e chi ho a fianco. Giusto, doc?
Giusto, Sasuke, giustissimo. Ti sei meritato un
cioccolatino anche oggi.
Il
ragazzo sorrise tra sé e sé per quel dialogo
immaginario col suo psicologo, ma
era certo che anche nella realtà le cose sarebbero andate
proprio così. Si rese
conto di essersi perso nei propri pensieri e aver perso di vista Gaara,
ma lo
individuò subito: stava scendendo con gli sci paralleli
dalla pista baby e
stava andando abbastanza bene, anche se al pari di una lumaca per i
suoi
standard. All’improvviso però lo vide perdere
l’equilibrio, forse aveva trovato
della neve più ghiacciata o un qualche altro ostacolo sotto
gli sci, fatto sta
che finì a gambe all’aria.
Sasuke si
affrettò a raggiungerlo e, togliendosi gli sci, si
inchinò al suo fianco per
aiutarlo dato che non si muoveva.
“Ehi,
stai bene? Che è successo, stavi andando benissimo”
Gaara,
sprofondato nella neve, senza dare alcun cenno di volersi alzare, si
tirò su
gli occhiali da sci e lo guardò, sorridendogli.
“Tutto
bene, un crampo alla gamba destra, però è lieve,
sta passando”
“Accidenti
– disse Sasuke prendendogli il polpaccio e iniziando a
massaggiarglielo – ti
sei fatto male da qualche altra parte?”
“No, sto
bene. Però mi sento così stanco che penso
rimarrò qui, mi vieni a riprendere
quando si scioglie la neve?” chiuse gli occhi avvertendo il
dolore scemare.
“Scemo – sbuffò
– e come pensi che sopravvivranno a lavoro senza di
te?”
“In
qualche modo, magari ci metterebbero qualche mese per capire come
stilare una
fattura, o come prenotarsi il ristorante da soli, ma ce la
farebbero” rise
piano.
“Non ci
pensare nemmeno, non voglio avere a che fare con Hiashi Hyuuga, quindi
tornerai
a casa con me domani. Martedì voglio vedere te alla
riunione”
Gaara
puntellò i gomiti e si alzò col busto per
guardarlo, ma Sasuke aveva la testa
china sulla sua gamba e intravide giusto qualche ciuffo di capelli
scuri al di
sotto del casco. In quel momento avrebbe voluto tirarselo addosso,
sprofondare
assieme a lui nella neve, farsi ricoprire e rimanere così,
celati agli occhi
del mondo, perché non esisteva altro all’infuori
di loro. Avrebbe voluto creare
una bolla in cui rifugiarsi assieme a lui, proprio lì in
mezzo alle neve
gelida, il posto più bello del mondo.
La sua
era stata solo un’affermazione scherzosa, eppure gli aveva
smosso dentro
qualcosa, perché significava che Sasuke voleva vederlo
ancora; erano insieme ma
già pensava a quando lo avrebbe rincontrato la volta
successiva. Si stese di
nuovo nella neve, sentendola fredda contro le guance, ma gli piaceva
stare
così, a fissare il cielo un po’ ingombro di nubi,
socchiudendo appena gli
occhi.
“Vorrà
dire che martedì troverai me in ufficio” gli
rispose.
Sasuke
alzò appena lo sguardo, ma non riuscì a decifrare
la sua espressione
apparentemente impassibile, così si limitò a
massaggiarlo un altro po’, per poi
domandare:
“Come va?
È passato?”
Gaara si
mise seduto e guardò l’altro inginocchiato davanti
a lui, senza occhialoni, che
lo guardava coi suoi occhi scuri. Annuì, per poi dire:
“Sì, ma
dopo questa alzo la bandiera bianca, credo di essere proprio cotto. Non
sono
abituato a fare tutto questo esercizio, passo la maggior parte delle
giornate
dietro a una scrivania”
In fondo
era pomeriggio, a pranzo avevano mangiato una barretta energetica per
non
appesantirsi e lui si era impegnato moltissimo, infatti era riuscito
addirittura a scendere con gli sci in parallelo e non a spazzaneve,
seppur con
lentezza.
“Ok,
allora torniamo a casa” disse Sasuke alzandosi e tendendogli
una mano.
Gaara la
afferrò, ma aveva una controproposta:
“Perché
non vai a farti qualche discesa decente, mi stai dietro da stamattina,
ti sarai
anche annoiato. Io vado a prendermi qualcosa di caldo, mi rilasso e ti
aspetto,
che ne dici?”
Sasuke lo
guardò pensieroso e tentato:
“In
realtà mi sono divertito, però non mi
dispiacerebbe effettivamente fare qualche
discesa. Sei sicuro di volermi aspettare?”
“E tu
cos’hai fatto tutto questo tempo? Non hai forse aspettato
me?”
Gaara
aveva inteso fare una battuta, ma le sue parole risuonarono molto
più serie e
cariche di significati di quanto potessero apparire.
Non
mi hai forse aspettato mentre cercavo di
fidarmi nuovamente di te? Non mi hai aspettato quando ero
così arrabbiato da
credere di non volerti vedere più? Non mi stai forse
aspettando ancora adesso?
Rimasero
a guardarsi, incurante degli schiamazzi della gente, del rumore della
neve
raschiata dalle tavole e del battito dei loro cuori al di sotto dei
vestiti
pesanti. Gaara fu il primo a riscuotersi e, prendendo le racchette,
disse:
“Vado, ci
vediamo tra un po’. Pensa solo a divertirti”
Sasuke lo
osservò allontanarsi con la sua andatura lenta e misurata,
si allontanava ma si
sentiva tranquillo perché lo avrebbe ritrovato facilmente,
non stava più
andando al di là della sua portata.
Gaara
era
seduto davanti al caminetto acceso e osservava il fuoco guizzare. Aveva
ignorato
il comodo divano o le poltrone e aveva preferito il tappeto soffice,
non per
vero freddo, quanto perché gli piaceva vedere le fiamme
scoppiettare e
diffondere nell’aria un gradevole aroma di legna.
Dopo che
Sasuke era tornato dalla sua sciata col viso colorito, l’aria
eccitata e un
sorriso sincero come quello di un bambino la mattina di Natale, erano
andati a
mangiare.
Si erano
riscoperti entrambi troppo affamati per tornare prima a casa per
cambiarsi,
così erano entrati nel ristorante con le loro tute da sci e
gli scarponi
ingombranti, scoprendo di non essere gli unici in quelle condizioni.
Sasuke
l’aveva trovato divertente perché con la sua
famiglia fare una cosa del genere
era impensabile, stava scoprendo che gli piaceva quel nuovo sapore che
sentiva
contro il palato, il gusto di essere libero e fare ciò che
desiderava.
Dopo cena
erano tornati allo chalet, Gaara era andato a fare una doccia e al suo
ritorno
aveva trovato il caminetto acceso, così ci si era piazzato
davanti aspettando
che Sasuke tornasse.
Si
sentiva piacevolmente rilassato, quasi intorpidito: non aveva nessun
motivo per
stare all’erta, non aveva bisogno di essere lucido e affilato
per tenere a
mente e badare alle mille diverse incombenze lavorative o,
semplicemente, non
doveva correre dietro a niente e nessuno. Doveva solo stare
lì a godersi il
tepore del fuoco. Forse era merito della cena abbondante o forse
dell’esercizio
fisico, fatto sta che non gli dispiaceva affatto sentirsi
così una volta tanto.
Udì una
porta aprirsi e poco dopo la voce di Sasuke alle sue spalle dire:
“Hai
freddo? Ci sono dei plaid se vuoi.”
“No, sto
bene. Mi andava solo di stare solo vicino al caminetto.”
Per non
apparire ripetitivo né patetico, non aggiunse che era la
prima volta che ne
vedeva uno dal vivo e gli piaceva più di quanto avesse mai
creduto.
Non si
voltò e avvertì l’architetto trafficare
con qualcosa, per poi ritrovarselo a
fianco che gli porgeva un elegante bicchiere a tulipano con del liquido
ambrato
che sprigionava un invitante aroma.
“Direi
che un po’ di brandy ci sta più che bene,
no?”
“Hai
ragione” concordò Gaara, accettando la sua offerta
e riconoscendo che quel
liquore era di una certa qualità.
Stettero
in silenzio, seduti vicini, cullati dalle fiamme del caminetto e dal
gustoso
brandy, non sentivano bisogno di parlare, per una volta
l’assenza di parole non
indicava tensione bensì un’intesa profonda:
stavano bene semplicemente grazie
alla loro vicinanza.
Quando
finì di bere, Gaara posò il bicchiere di fianco a
sé, portò le mani all’indietro
e vi si appoggiò, stendendo le gambe che aveva tenuto
piegate fino ad allora.
Voltò la testa per vedere le fiamme danzare tra i riflessi
scuri dei capelli
Uchiha e ne rimase affascinato.
“Sono
stato bene oggi, mi sono divertito molto. Grazie per questo weekend,
direi che
è stato il migliore regalo di compleanno ricevuto.”
Anche
Sasuke posò il bicchiere e lo guardò, pensando
che i suoi capelli erano ancora
più rossi e intensi del fuoco; in effetti era rimasto
scottato da loro, da lui.
“Sono
felice di averci azzeccato. Penso che questi due giorni abbiano fatto
bene a
entrambi, non ti ho mai visto così rilassato.”
Anche
quando in passato si erano frequentati quei quattro mesi, Gaara gli era
sempre
parso sì calmo, ma mai sereno o rilassato, sempre in
battaglia contro qualcosa
o qualcuno: se stesso, il tempo, il mondo che cercava in tutti i modi
di
mettergli i bastoni tra le ruote. Solo dopo il sesso riusciva a
scorgere sul
suo viso un accenno della tensione che si scioglieva, ma durava sempre
poco.
Occhieggiò
i suoi piedi bianchi, senza calzini, e i polpacci coperti da una
morbida tuta
scura e chiese:
“Come va
con la gamba? Ti ha fatto ancora male?”
Gaara
istintivamente la piegò e fissò su di essa
l’attenzione, perché era più
semplice piuttosto che fronteggiare la verità pronunciata
dall’altro: si
sentiva bene, rilassato, la testa era leggera e non più
oppressa da mille
preoccupazioni e il merito era della persona che gli sedeva a fianco.
“No, è
stato solo un crampo passeggero. Però ammetto che i muscoli
mi fanno un po’
male e di essere piuttosto stanco, non sono proprio abituato a fare
tanto
movimento.”
Sasuke
fece un accenno di sorriso e si sedette rivolto verso di lui, gli prese
un
piede e lo usò come perno per farlo voltare sul tappeto
morbido, così che si
trovarono a fronteggiarsi. Si posò una sua gamba in grembo e
iniziò a
massaggiarla piano, partendo dalla caviglia.
“M-ma che
fai?” domandò Gaara, colto di sorpresa.
“Hai
bisogno di occhiali?” lo punzecchiò Sasuke.
“Certo
che no, lo vedo che mi stai facendo un massaggio, la domanda
è perché” replicò
appena stizzito per quel sorrisetto strafottente che gli vedeva sulle
labbra.
“Per
sciogliere un po’ di tensione muscolare. Il weekend non
è finito, domani mica
vorrai poltrire al bar come oggi pomeriggio, mi auguro. Abbiamo quasi
tutta la
giornata a disposizione prima di ripartire.”
A poco a
poco sollevava il pantalone, scoprendo quel polpaccio magro e dalla
muscolatura
asciutta che si distingueva alla perfezione sotto la pelle chiara. Vi
dedicò
solo un’occhiata di sfuggita, perché in quel
momento il viso di Gaara, la sua
espressione di sfida, con quel mento sollevato, erano impagabili.
“Ah no? –
disse questi – E se volessi stare tutto il giorno a letto? Tu
che faresti?”
Sasuke
sorrise ancora, con quel suo modo particolare di tirare su solo un
angolo della
bocca, mentre gli occhi erano il vero fulcro di quel sorriso ironico e
spiazzante.
“Ti
tirerei fuori, perché non avremmo un buon motivo per stare
in mezzo alle
coperte.”
Il viso
di Gaara si fece serio, inarcò appena le sopracciglia con i
riflessi delle
fiamme e del divertimento che si riflettevano nelle iridi color
acquamarina.
“E se
invece lo avessimo?” lo provocò.
Sasuke si
umettò le labbra con la lingua e stette un attimo in
silenzio, con le mani che
strinsero un po’ più forte il suo ginocchio.
“Ma non
lo abbiamo… almeno mi sembra” replicò,
cauto.
In realtà
avrebbero avuto almeno un milione di motivi per non voler uscire dal
letto, se
fosse dipeso da lui, ma ci stava andando coi piedi di piombo sebbene
l’altro lo
stesse sfidando.
Gaara lo
guardò e decise che gli avrebbe cancellato quel sorriso
irritante dalla faccia:
quella volta avrebbe avuto lui l’ultima parola, non Sasuke.
Senza
ulteriori indugi, senza sprecare altro fiato o tempo, chinò
il busto in avanti
e lo baciò. Posò le labbra sulle sue e le
dischiuse con la lingua, sentendo
l’inebriante sapore di brandy che vi aleggiava e gli diede
alla testa, non facendogli
capire nient’altro. Doveva essere per forza colpa del liquore
perché, anche se
si erano già baciati, Gaara non aveva mai avvertito quella
potenza, i capelli
sulla nuca che si rizzavano, le braccia che parevano tremare per i
brividi e la
sua presenza così reale e vicina.
Cosa
sta succedendo?
Si
guardarono, coi respiri concitati, le labbra appena un po’
gonfie e umide.
Gaara si era messo in ginocchio davanti a lui senza nemmeno rendersene
conto,
mentre Sasuke aveva aperto le gambe per permettergli di avvicinarsi.
Gaara
alzò un braccio e la sua mano affondò tra i
capelli scuri, scostandogli la
frangia dalla fronte; non li tirò come aveva fatto altre
volte in passato, ma
fu un movimento dolce, accorto, di cura, qualcosa di nuovo come quello
che si
stavano trovando a riscoprire e condividere.
“Abbiamo
un motivo per non alzarci dal letto domani mattina” gli
disse, osservando i
suoi occhi scuri accendersi, tuttavia l’espressione rimase
guardinga, così come
la voce quando chiese:
“Solo
domani mattina?”
La mano
di Gaara scese a disegnargli la forma delle sopracciglia, il contorno
del naso
dritto e sottile, la curva dello zigomo in una riscoperta di quei
lineamenti
che gli parevano nuovi, come se non vi avesse mai indugiato sopra prima
di quel
momento.
“Domani
mattina è un inizio – sussurrò
baciandogli una guancia e spostandosi verso la
sua bocca – l’inizio di quello che
vogliamo.”
Le loro
labbra si sfioravano, i respiri si mescolavano, come se fossero
l’unico
ossigeno di cui avevano bisogno e Sasuke si stava perdendo nel suo
calore, tra
quei capelli di fiamma che lo bruciavano e gli avevano incendiato
qualcosa
dentro.
“Voglio
te” mormorò muovendo le labbra contro le sue ad
ogni lettera. Era sempre stato
schietto e sicuro dei propri bisogni, ma mai come allora. Quando
annullarono la
distanza già inesistente e il bacio assorbì tutta
la loro attenzione, Sasuke
sentì di avere tutto quello che gli serviva.
In quei
mesi aveva sognato di poter stringere di nuovo Gaara, aveva combattuto
contro
quei desideri e se stesso, ma aveva smesso di lottare, di negarsi
ciò che poteva
renderlo felice perché non avrebbe reso felice qualcun
altro. Ora che lo aveva
tra le braccia e lo baciava, capì di non essersi mai sentito
più completo e in
pace come allora, nonostante la mente e il cuore in subbuglio.
Fino a
quel momento i loro movimenti erano stati cauti, lenti, misurati, non
privi di
una certa grazia e morbidezza, ma dopo quel bacio fu tutto diverso.
Presero a
spogliarsi con urgenza, tentando però di continuare a
baciarsi, goffi e
impacciati come ragazzini alle prime esperienze. Risero quando una
ciocca di
capelli di Sasuke si incastrò nella cerniera della maglia, o
quando per poco
non diede una ginocchiata a Gaara mentre era intento a stendere le
gambe per
togliersi i pantaloni. Eppure anche quegli imprevisti non ruppero
l’atmosfera che
si era creata, bensì sembrarono intensificarla
perché erano insieme,
impazienti, si sorridevano e in futuro avrebbero ricordato ogni
secondo, ogni
movimento di quella serata davanti al caminetto in cui si erano
riscoperti due
ragazzini ubriachi di felicità.
Con solo
i boxer indosso, Gaara si mise sopra Sasuke, con le ginocchia allargate
attorno
ai suoi fianchi, il busto chinato che sfiorava quello
dell’altro. Gli stava
leccando il collo e stava arrivando vicino all’orecchio, in
quel posto speciale
e nascosto tra il lobo e la nuca, così sensibile e dove
sembrava essersi
raccolto tutto l’odore della pelle di Sasuke che gli diede
alla testa. Lo morse
piano, vi passò la lingua sopra, lo arrossò con
cura per poi sussurrare.
“Toccami,
Sasuke.”
Aveva
sentito le sue mani posarsi incerte sulle proprie anche e poi rimanere
bloccate,
ma dopo quelle parole presero a muoversi senza più indugi,
sicure di essere
desiderate.
Sasuke
era elettrizzato: Gaara si stava lasciando carezzare da lui, non gli
aveva
posto alcun veto, anzi lo voleva e lui esultava dentro di sé
per quel privilegio
concesso solo ad un altro uomo, lo sconosciuto che lo aveva avuto per
primo.
Sentì le cicatrici sottili sulle spalle e la schiena, le
riconobbe e le carezzò
con calma, come se facessero ancora male e lui potesse lenirle coi suoi
polpastrelli caldi. Avvertì le vertebre più
sporgenti di come ricordava e ciò
lo rese più consapevole del tempo passato, di come fossero
diversi dal Sasuke e
Gaara che si erano conosciuti per caso una sera e non erano stati
all’altezza
dei loro sentimenti. Era tutto diverso, stavolta sarebbe andato tutto
bene.
Continuarono
a baciarsi, a toccarsi, mai sazi, con la mente, le mani, le orecchie,
la bocca
e il naso completamente invasi dalla presenza dell’altro.
Anche il fuoco stava
morendo, ma loro non se ne accorgevano.
A un
certo punto, però, un brandello di lucidità si
fece largo nella testa confusa
di Sasuke che sentiva l’urgenza di avere qualcosa di
più: non gli bastava più
solo baciarsi e carezzarsi, nemmeno masturbarsi a vicenda era
lontanamente
sufficiente.
“Gaara… –
ansimò
tra le labbra gonfie – io… noi,
non abbiamo niente.”
L’altro
lo guardò interrogativo, non comprendendolo e per Sasuke fu
difficile trovare
saliva nella bocca secca e razionalità nella testa per fare
un discorso più
sensato. Si mise seduto, con l’altro a cavalcioni sopra di
sé, e trovò davvero
complicato non fissarlo e concentrarsi.
“Non ti
ho invitato con queste intenzioni. Sul serio, non credevo saremmo
arrivati a
questo punto e non ho lubrificante, né preservativi,
tu?”
Gaara
sbarrò gli occhi e gli posò la fronte su una
spalla:
“Cazzo,
non ci stavo pensando. In realtà non pensavo proprio a
niente – ammise – non ne
ho, non giro nemmeno con un preservativo nel portafogli,
perché è quello il
problema, più che il lubrificante.”
Si
guardarono negli occhi, incerti, consapevoli che non si sarebbero
accontentati
di niente di meno, entrambi volevano andare fino in fondo, ma in quella
casa
non c’era niente e l’idea di separarsi per
rivestirsi e uscire pareva
intollerabile.
“Dovresti
mettere i preservativi nella lista della spesa del custode”
scherzò Gaara
baciandogli il mento, perché non riusciva a stargli lontano
a lungo.
Nonostante
tutto Sasuke rise, anche se avevano le erezioni pulsanti, il desiderio
di
andare avanti e di non fermarsi, quell’intermezzo tanto
imbarazzante li faceva
ridere, era così squisitamente umano da essere terribilmente
dolce.
Nessuno
dei due credeva che sarebbero riusciti ad arrivare a quel punto, si
erano
sorpresi a vicenda e avevano abbattuto i muri residui che li avevano
divisi.
“Io non
ho mai fatto sesso non protetto – disse Sasuke mentre
l’altro continuava a
baciargli il collo – e tu?”
Gaara
sollevò la testa e poi la scosse, guardandolo:
“Anch’io,
mai fatto senza.”
Persino
Kankuro, nel suo egoismo adolescenziale, si era premurato di pensare
alle
protezioni adeguate.
Sasuke
chinò appena la testa, imbarazzato, con le orecchie rosse
che poco avevano a
che vedere col calore della stanza.
“Beh, per
stavolta allora potremmo anche fare senza… cioè,
credo. Cazzo, non ci sto
capendo più niente” sospirò, portandosi
una mano alla fronte e stendendosi poi
sul soffice tappeto.
“Credo
proprio che stavolta sarà speciale per vari
motivi” sorrise Gaara. Vedere
Sasuke così confuso e in qualche modo arrendevole era
veramente un privilegio,
ma lo capiva: era nelle sue stesse condizioni. Voleva solo entrare
dentro di
lui, sentirsi avvolgere e suggellare quell’intesa ritrovata.
Riprese a
baciargli il collo e poi un capezzolo, mentre più in basso
le sue mani lo
masturbavano, ma Sasuke non rimase certo passivo e fece lo stesso con
lui. Ci
volle poco per entrambi per giungere all’orgasmo, era da
troppo che lo
agognavano, tuttavia la loro fame non si placò,
sembrò anzi venire solo
pungolata e Gaara non indugiò ulteriormente: raccolse un
po’ di sperma e,
grazie ad esso, iniziò a penetrare Sasuke con le dita.
Lo fece
lentamente, dandogli il tempo di abituarsi ed eccitarsi nuovamente:
anche se
non se lo erano detti, era certo che non fosse stato a letto con
nessun’altro e
non voleva fargli male, il dolore non doveva entrare a far parte del
loro
bagaglio di ricordi per quella sera.
Si
riscoprì emozionato, persino spaventato da quella
responsabilità, ma senza
alcun desiderio di scansarla. Voleva Sasuke, voleva il suo corpo, i
suoi baci,
la sua bocca da cui potevano uscire anche parole crudeli, ma anche
argute,
divertenti, preziose. Voleva i suoi contrasti e le contraddizioni che
si
portava dietro, voleva conoscerle meglio, voleva tutto di Sasuke, le
sue paure
e la sua felicità.
Quando lo
penetrò gli sembrò di non aver mai sentito niente
di tanto intenso, la sua
carne era calda, lo stringeva in un modo che era così
intenso da essere quasi
doloroso, perché come poteva esistere qualcosa di tanto
bello? Come lo si
poteva affrontare senza impazzire? Era impossibile e fu quanto successe.
“Non ti permetterò
più di allontanarmi”
Ansimò
contro il suo orecchio e avvertì le sue mani stringergli i
capelli rossi, le
gambe allacciarsi attorno ai fianchi e le spinte con cui gli andava
incontro
divenire più imperanti, urgenti. Sasuke lo pretendeva e
Gaara non si tirò
indietro, continuò ad affondare e, quando vide il suo viso
distorcersi
nell’orgasmo, il torace rimanere bloccato qualche istante,
incapace di
respirare, si lasciò andare a sua volta. Chiuse gli occhi e
non pensò a niente,
era come un’anfora vuota che veniva riempita dalle
sensazioni, dagli stimoli,
dall’odore della pelle di Sasuke, dal suo corpo che lo
accoglieva. Era in mezzo
a una tempesta, l’acqua gli scrosciava addosso e lui si
riempì sempre di più,
il livello crebbe finché fu impossibile contenere le
emozioni e, semplicemente,
traboccò. Buttò la testa all’indietro e
si riversò nel suo corpo, gemette
mentre nella testa gli esplodevano i colori.
“I fuochi
d’artificio…” mormorò perso
in un altro mondo, in un ricordo dimenticato.
Era
scappato dal collegio, c’era una festa in paese quella sera,
lui e pochi altri
si erano piazzati vicino al punto dove i fuochi d’artificio
erano stati
disposti. Le sue orecchie erano state invase dal rumore degli scoppi,
gli occhi
lacrimavano per la forza devastante dei colori e delle esplosioni che
riverberavano
contro le retine. Si era perso in quello spettacolo che lo aveva
stordito,
conquistato, fatto innamorare con la sua potenza e
maestosità.
Quella
sera accadde lo stesso quando il suo orgasmo esplose: Gaara si
ritrovò di nuovo
nell’epicentro, schiantato e sopraffatto dal mondo che
scoppiava e andava a
pezzi attorno a lui.
Quasi
crollò addosso a Sasuke, stendendosi sopra al suo corpo
mentre ancora gli era
dentro e l’altro non lo scansò, bensì
gli passò le braccia attorno al collo e
lasciò che rimanesse così, a respirarlo.
Gaara si
sentì rimpicciolire e scivolare fuori, anche se contro la
sua volontà perché
non era mai stato così bello fare l’amore o
entrare dentro a qualcuno, perché
non era stato solo il suo cazzo a farsi largo dentro di lui,
né era stato solo
lo sperma a macchiare entrambi.
Lentamente
rotolò al suo fianco, con lo sguardo fisso al soffitto,
ancora incredulo.
Il fuoco
si era spento e la stanza era in penombra, con solo una lampada accesa,
ma a
lui sembrava di avere ancora gli occhi pieni di colori e luci.
Ad un
certo punto sentì Sasuke ridacchiare, girò una
testa pesantissima verso di lui,
vedendo in effetti la sua faccia divertita e le risa che sembravano
proprio non
volere smettere.
“Per
fortuna… per fortuna… che il tappeto è
bianco.”
Gaara
rimase interdetto qualche istante, poi afferrò il
significato della sua frase e
scoppiò a ridere a sua volta. Si tenne la pancia con le mani
e gli occhi chiari
si riempirono di lacrime, si voltò su un fianco per poggiare
una mano su una
spalla di Sasuke.
“Forse…
forse sarà meglio bruciarlo.”
L’architetto
continuò a ridere mentre annuiva e andarono avanti ancora
per un po’, finché le
loro risate non diminuirono fino a cessare, finendo a guardarsi con un
sorriso
in faccia e gli occhi lucidi. Entrambi si tesero verso
l’altro per darsi un
bacio, poco più che uno sfiorarsi di labbra, ma
più significativo e pieno di quanto
potesse sembrare.
Rimasero
a fissarsi qualche altro momento, poi Sasuke si sedette dicendo:
“Sarà
meglio che vada a fare un’altra doccia.”
“Perché
invece non facciamo il bagno insieme? La vasca è
grande” propose invece Gaara e
all’altro piacque la sua proposta.
Si
alzarono su gambe che sembravano di gelatina e poco dopo erano immersi
nell’acqua calda e piena di schiuma, l’uno di
fronte all’altro.
Gaara
sorrise, un sorriso segreto come di chi la sapesse lunga e Sasuke lo
guardò
interrogativo, finché non parlò:
“Sai,
ieri sera ero qui a fare il bagno e ho immaginato che ci fossi anche tu
con me.”
“Quindi
in pratica sto esaudendo una tua fantasia?”
domandò assottigliando gli occhi.
“Fantasia
è il nome giusto, dato che mi sono eccitato e poi
masturbato. Proprio qui,
pensando a te” gli rivelò Gaara senza alcun
imbarazzo ma con un’espressione
maliziosa che l’altro trovò eccitante.
Sasuke
quindi allargò le braccia, poggiandole sul bordo della vasca
e lo fissò con
sguardo attento, interessato, dicendo:
“Perché
non mi fai vedere allora?”
“Dovrei
masturbarmi per te?”
“Sì,
esaudiresti una delle mie fantasie”
Gaara
sorrise, scostando la schiuma da sopra al suo corpo:
“Direi
che mi sembra giusto. Un compromesso.”
“Un
ottimo compromesso” ribadì Sasuke senza perdersi
un solo suo movimento.
Ehi
doc, ho imparato persino a scendere a
compromessi, incredibile, vero? Forse mi merito una fabbrica di
cioccolato
fondente e non solo un cioccolatino.
Tuttavia
la mente si Sasuke smise presto di pensare al suo psicologo,
cioccolatini o
amenità varie, rapito dallo spettacolo davanti ai suoi
occhi; rapito da Gaara
che lo fece riscoprire un ostaggio privo di desiderio di essere
liberato.
L’angolino
oscuro:
Un capitolo interamente dedicato a Sasuke e
Gaara, ci voleva, no? Forse era già abbastanza chiaro dal
capitolo precedente
come sarebbe andata a finire, però fino a che non
è successo davvero nemmeno i
protagonisti avevano la certezza di ciò che sarebbe
accaduto, solo un
presentimento e quelli… non è sempre detto che si
realizzino.
Per quanto
riguarda il riferimento alle cicatrici di Gaara, è un
particolare che ho
spiegato nella OS di cui questa long è il sequel, se volete
leggerla è qui, ma
riassumendo sono dovute a delle punizioni subite in
orfanotrofio.
Per quanto riguarda la parte sulla neve, spero di non avere scritto
castronerie perché io non ho mai sciato in vita mia e quindi
mi sono fatta consigliare dalla mia Zucchetta Felice che è
più esperta e ho fatto qualche ricerca.Spero che il
capitolo e la storia in generale continui a piacervi e appassionarvi,
io mi
sono affezionata a questi due teste dure, ma non preoccupatevi:
torneranno
anche Itachi e Shisui.
Alla prossima!