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Autore: Carme93    30/08/2018    0 recensioni
Anno 2021.
I Dodici della Profezia si preparano ad adempiere al loro destino, mentre la comunità magica piomba nel caos; ma è il tempo anche di affrontare i problemi e le discriminazioni sociali ignorate per secoli. E ancora una volta toccherà ai ragazzi far aprire gli occhi agli adulti. Ragazzi che a loro volta sono alle prese con i problemi tipici dell'adolescenza e della crescita.
Inoltre si ritroveranno a interagire anche con studenti stranieri e quindi con civiltà e realtà completamente diverse dalla loro. Questo li aiuterà a crescere, ma anche a trovare una soluzione per i loro problemi.
Questa fan fiction è la continuazione de "La maledizione del Torneo Tremaghi" e de "L'ombra del passato", la loro lettura non è obbligatoria ma consigliata.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo trentanovesimo
 
Tertium non datur
 
Immediatamente James si rese conto che vi era qualcosa che non andava: la loro voce aveva per un momento attirato l’attenzione della Selwyn e dei suoi uomini, ma non aveva avuto alcun effetto. Eppure, quando si erano esercitati nella Stanza delle Necessità, aveva percepito la magia fluire.
Essendo a conoscenza della Profezia, la Selwyn e Rosier indirizzarono le loro forze contro i Dodici. Niki e gli altri, però, furono pronti a difenderli proprio come Harry, Kingsley e Williams.
James cercò lo sguardo di Jack nel tentativo di comprendere che cosa stesse accadendo.
«Non possiamo usare il sonorus e la nenia allo stesso tempo» gridò Virginia a sorpresa, sovrastando il rumore degli incantesimi. Jack annuì e fece un cenno a James, che a sua volta si premurò di avvertire i compagni più vicini. Per pronunciare la nenia in modo efficace avrebbero avuto bisogno di tutte le loro energie.
«Riproviamo» urlò James per farsi sentire dagli altri.
I Dodici cominciarono con voce bassa e tremante tanto che, in mezzo al frastuono, a malapena si sentivano loro stessi. Percependo la magia scorrere dentro di loro, la voce divenne più sicura e si alzò di tono.
E, quando ripeterono per la seconda volta «Timeat quisquis malum agat. Timeat quisquis vulneraverit. Timeat quisquis occiderit. Non salutem inveniet! Timeat!», l’attenzione di coloro che combattevano si fissò su di loro.
La rabbia balenò sul volto di Bellatrix Selwyn, ma, pur volendolo, non riuscì a raggiungerli: gli Auror la tenevano sotto mira con la bacchetta, ma non solo vi era un’improvvisa debolezza in lei contro la quale tentava di combattere. Rosier era turbato e non lo nascondeva, ella, invece, strillava ordini ai suoi uomini sempre più disorientati da quello strano attacco.
«Demittite arma! Desinite pugnare!». Il tono dei Dodici era molto più alto e fermo. Queste poche parole rimbombarono come un ordine nell’Atrium affollatissimo, ma improvvisamente silenzioso.
Alcuni uomini della Selwyn, probabilmente i rapiti da Tristan de Cunha, furono i primi ad abbandonare la bacchetta; mentre i mercemaghi avevano un’espressione turbata come quella di Rosier.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Le ultime parole erano risuonate con una forza sorprendente, nonostante le avessero quasi sussurrate con un’inflessione minacciosa e cupa.
I mercemaghi e molti Neomangiamorte a questo punto lasciarono cadere le bacchette e si strinsero le mani sul cuore, quasi come se dovesse balzarli fuori a momenti e tentassero di trattenerlo nella cavità toracica. Jack conosceva quella sensazione, era la stessa che aveva provato a causa della triste canzone cantata da Kymia quella notte di molti mesi prima nella biblioteca di Hogwarts. Il Tassorosso, però, non ebbe pietà e non si fermò come aveva fatto la ragazza. No, continuò e con più sicurezza di prima.
«Non timor habendus est te, si pugnas bono».
La voce di Rose si levò più forte e sicura delle altre, era impregnata di rabbia al pensiero di come quell’insignificante donna di fronte a lei avesse tanto influenzato la sua vita negli ultimi anni. Al pensiero di come avesse messo al tappeto in modo così subdolo sua madre. Se Bellatrix Selwyn avesse avuto il coraggio di sfidare Hermione Weasley in un duello regolamentare, non avrebbe avuto vittoria facile. Non avrebbe dovuto far saltare in aria il Quartier Generale degli Auror rischiando di ferire suo padre. Si era ripromessa che nessuno, né suo padre men che meno sua madre, avrebbero mai deciso per lei: sarebbe stata l’unica artefice della sua vita. Figuriamoci se avrebbe mai permesso a una pazza rancorosa e desiderosa di vendetta di rovinarle i piani.
«Non timor habendus est te, si habes bonam causam».
Pensò a suo fratello e alla sua espressione sconvolta quando aveva seguito il padre al San Mungo. Pensò a quest’ultimo, tanto orgoglioso del suo ruolo di prestigio nel corpo Auror ma molto più felice quando giocava alla Tana con figli e nipoti. Pensò a sua madre e al suo maledetto attaccamento al lavoro, che, se non si fosse data una calmata, prima o poi l’avrebbe fatta rischiare grosso. Strinse la presa sulla mano di Scorpius prima di concludere:
«Non timor habendus est te, si cor tuum purum est!».
Aveva pronunciato la sua parte fissando la Selwyn dritta negli occhi e, con sua enorme soddisfazione, la vide infine distogliere lo sguardo colpita e stranita da quell’incantesimo sconosciuto e senz’altro insolito.
La runa tremò e si scaldò nella tasca della Grifondoro e contemporaneamente una corda luminosa circondò un’ormai sconvolta Selwyn e tutti i suoi uomini che ancora non avevano deposto la bacchetta.
Il calore della runa questa volta la fece sentire più potente e con decisione Rose riprese in coro con i compagni:
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Il tempo sembrava essersi fermato nella sala, ma i Dodici erano troppo concentrati a portare a termine il loro compito per notare l’effetto della nenia su tutti i presenti. Non avevano occhi che per i Neomangiamorte.
«Vitiis nemo sine nascitur».
Jack prese la parola e volse con disprezzo lo sguardo verso Dain Zabini, che aveva perso la maschera argentata, verso Goyle e verso tutti quegli stupidi purosangue che per anni non avevano fatto altro che giudicarlo. Non aveva colpa se suo padre era Mundungus Fletcher, un ladruncolo da quattro soldi e, certamente, non aveva chiesto lui di crescere nelle strade di Notturn Alley, evitato da tutta la gente per bene di Diagon Alley!
«Pugna tuis voluntatibus!».
Ed era quell’imperativo che aveva seguito fin da piccolo: avrebbe realizzato i suoi sogni, nonostante tutto e nonostante tutti. Kymia in quell’istante era al sicuro nel Dormitorio dei Tassorosso e non avrebbe permesso a nessuno di riportarla dalla sua famiglia. Non avrebbe più permesso che qualcun altro decidesse per lui.
«Per aspera ad astra!».
Non avrebbe smesso di combattere, sarebbe diventato un Auror e l’avrebbero rispettato per il suo talento. Ce l’avrebbe fatta, anche se avesse dovuto affrontare ancora mille difficoltà.
Jack si sentì vivo come mai: la magia lo passava da parte a parte e la runa bruciava senza scottarlo.
Un’altra corda luminosa si strinse intorno all’esile corpo della Selwyn e dei suoi alleati. Non l’avrebbero avuta vinta.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Molti Neomangiamorte erano caduti in ginocchio impotenti e non sembravano in grado di reagire in alcun modo.
«Elige bona. Ne elegeris mala» iniziò Albus. La sua voce tremò lievemente. Il Grifondoro teneva gli occhi fissi sul parquet dell’Atrium, ma, se qualcuno avesse potuto vederla, la sua espressione era decisa.
Era stato il primo a non discernere il bene dal male in ogni occasione, Albus ne era consapevole, ma altrettanto in quel momento fu conscio di quanto lo zio Neville gli aveva detto mesi prima: i concetti di bene e male non devono essere banalizzati. Il male l’aveva visto negli occhi di Parkinson mentre torturava Frank. E, Albus ne era certo, non avrebbe mai trovato la forza di suscitare tanto dolore in un’altra persona volontariamente.
«Neque delectus est elegere».
Chiudere gli occhi e far finta di non vedere non è la soluzione. E l’aveva capito grazie a Benedetta, che gli aveva dato il coraggio di mettersi contro tutti i suoi compagni di Casa. Perché era giusto e non farlo, rimanendo nelle grazie di persone di cui poi non gli interessava nulla, sarebbe stato troppo comodo. E all’interno stesso del Ministero vi erano persone che avevano chiuso non un occhio ma tutt’e due pur di non aver grane con la Selwyn e Rosier.
«Elige cum grano salis».
Quante volte si era lasciato trascinare da Rose? Quante volte era consapevole stessero sbagliando e non si era opposto? Troppe. Strinse comunque con forza la mano della cugina perché l’affetto che li legava non sarebbe stato scalfito neanche dalla Selwyn. Non l’avrebbe permesso. La runa, conservata nella tasca della divisa, bruciò, ma, a differenza delle altre volte, fu per il giovane Grifondoro come un fiotto di energia che lo rinvigorì e nel pronunciare il ritornello con gli amici non vi fu più segno dell’incertezza iniziale nelle sue parole.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Fu con coraggio, che soli pochi anni prima non avrebbe ritenuto possibile, che Jonathan prese la parola.
«Obliviscere bona qui feceris, memora mala».
Era stato così facile per i suoi compagni di Casa dimenticare tutte le volte in cui si erano serviti di lui per copiare o concludere i compiti, appena avevano scoperto la sua natura di lupo mannaro. Eppure era sempre lo stesso ragazzo.
«Memora quisquis tristitia affeceris».
E, con tutta la buona volontà, non avrebbe potuto dimenticare quel lupo che l’aveva morso da bambino. Che motivo aveva? Jonathan viveva le sue trasformazioni dove non avrebbe potuto nuocere a nessuno, grazie anche alla Pozione Antilupo.
«Memora quisquis vulneraverit».
L’emarginazione, a cui l’avevano sottoposto quell’anno i suoi compagni, l’aveva ferito terribilmente. I suoi genitori avevano fatto di tutto per nascondere la sua natura permettendogli di vivere sotto una campana di vetro. Solo ora comprendeva le richieste dei Magonò e si chiedeva come si sarebbero sentiti gli uomini di Tristan de Cunha una volta liberati dal giogo della Selwyn.
«Memora quisquis occiderit».
Quel passo della nenia fu un colpo duro per i Neomangiamorte, tanto che alcuni cominciarono a gridare come i preda a un incubo e a muovere la testa come se fossero impazziti; persino Rosier cadde in ginocchio sotto lo sguardo scioccato dalla sua signora che continuava, nonostante le magiche corde che la legavano, a resistere all’incantesimo.
«Ne esse oblitus!» concluse Jonathan fermamente, mentre la sua runa gli donava nuova energia e una quarta corda stringeva alla vita i loro avversari.
Immediatamente la voce dei Dodici, ben decisi a non lasciare ai Neomangiamorte un attimo di respiro, si levò: «Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Nessun errore sarebbe stato peggiore di dimenticare quello che, ancora una volta, i pregiudizi erano stati sul punto di scatenare. Eppure non erano trascorsi che ventiquattro anni da quando Harry Potter aveva sconfitto Lord Voldermort.
«Nosce te ipsum. Nosce amicos. Nosce mundum». Virginia quasi sospirò nel dirlo: ella aveva dato così tanta importanza negli anni precedenti alla scuola e, specialmente, alle richieste della madre, da dimenticarsi di sé stessa e degli altri. Grazie ad Albus prima e a Martha dopo era riuscita ad aprirsi e a farsi conoscere e apprezzare anche dagli altri compagni di classe.
«Sed intellige tuos modos!». E questa era un’altra lezione che aveva faticato ad apprendere: non solo tutti hanno i propri limiti, ma ella aveva tentato di mostrarsi migliore degli altri e aveva nascosto i suoi difetti e i suoi errori, permettendo che Dorcas si prendesse la colpa da sola. Rose Weasley non la sopportava per questo motivo, per la Grifondoro Virginia era sempre stata una secchione peggio di Jonathan e di Albus. Ed aveva avuto ragione. Ora, però, aveva degli amici di cui si fidava realmente e non avrebbe rischiato di perderli. La runa arse donandole nuova energia e sicurezza.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
I Neomangiamorte erano del tutto disorientati e smarriti, solo la Selwyn tentava ancora di liberarsi dalle corde magiche.
«Paenitet vos crudelitatem, ignoscemus si sinceri estis». La voce di Scorpius risuonò ferma, ma quasi dolce. Nessuno meglio di lui conosceva il valore del perdono concesso e, specialmente, di quello non concesso. Moltissime persone ancora guardavano dall’alto in basso la sua famiglia. Suo nonno aveva fatto scelte sbagliate, ma suo padre si era sforzato per anni a risalire la china e conferire nuova dignità ai Malfoy. Sforzi che molti avevano deriso e ostacolato. «Venia e corde venit». L’errore più grave commesso dalla comunità magica dopo la sconfitta di Voldermort: far finta di perdonare. L’ipocrisia aveva trionfato e aveva permesso al rancore di annidarsi nel cuore di persone che, come Bellatrix Selwyn, avevano perso insieme alla guerra tutte le ricchezze e avevano visti sconfitti i loro ideali. I Potter e i Weasley, però, avevano perdonato dal cuore proprio come diceva la nenia e Scorpius gliene sarebbe stato per sempre grato. Non avrebbe dimenticato quel primo settembre di quasi sei anni prima in cui James Potter l’aveva difeso, sapendo a malapena chi fosse, e gli aveva presentato suo fratello e sua cugina. Se non avesse avuto l’amicizia di Rose e Albus che fine avrebbe fatto? Avrebbe trascorso i suoi anni scolastici a litigare con tutti pur di difendere la sua famiglia? E alla fine non avrebbe rischiato di perdersi o di diventare più crudele di chi lo prendeva in giro? Probabilmente. Aveva visto con i suoi occhi quanto poco sarebbe bastato perché suo cugino Orion si lasciasse coinvolgere dagli aspiranti Neomangiamorte.
Non appena il Serpeverde aveva finito di parlare una nuova corda dorata aveva stretto i Neomangiamorte e una Selwyn sempre più stanca di combattere.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
«Omnia munda mundis» cominciò Emmanuel, scandendo ogni parola energicamente. Ormai i Dodici percepivano pienamente la magia che crepitava intorno a loro, così come tutti coloro che erano presenti nell’Atrium.
Nessuno meglio di Emmanuel poteva sapere che essere purosangue non significasse essere razzista o privi di valori. La verità è che era stato cresciuto secondo i migliori dettami purosangue, non con quelli traviati da Lord Voldemort e dai suoi seguaci nel corso del tempo. Suo nonno non aveva mai neanche pensato di allontanare, figuriamoci diseredare, le figlie che avevano scelto di sposare uomini non provenienti da famiglie altrettanto antiche come la loro. Mai. E aveva preferito morire che schierarsi al fianco di Bellatrix Selwyn. «Amicus meum manum stringit et ego non habeo timorem». Pronunciò le ultime parole quasi con sfida: potevano tentare di ferirlo quanto e come avessero voluto, ma finché avesse avuto i suoi amici accanto si sarebbe sentito forte, anche senza il potere della runa, persino senza la magia. E non pensò solo a Virginia, a cui dava effettivamente la mano, ma specialmente a Fabiana che in quel momento si stava senz’altro preoccupando per lui.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Il senso di debolezza derivante dalla solitudine che Emmanuel aveva tentato di imprimere alle sue parole sembrò far presa persino sulla Selwyn.
«Amor artium magicarum firmussissima est».
Dorcas, con la sua dolcezza velata di tristezza, espresse il nucleo centrale di tutta la nenia. La magia sembrò divenire ancora più potente e sopraffece i Neomangiamorte. Chi dei presenti aveva conosciuto Albus Silente non poté non ricordare che l’insegnamento più importante che aveva lasciato era proprio quello.
«Non timeo hominem malum. Amo».
Il suo amore per Jesse aveva visto oltre la strafottenza del Serpeverde, oltre i suoi tentativi di allontanarla e tenerla al sicuro. In quella guerra, però, erano tutti coinvolti ed ella aveva deciso da tempo di non tirarsi indietro. Aveva persino tentato di convincere suo padre a perdonare lo zio Marcus. Almeno concedergli una minuscola possibilità.
«Non timeo cor nigrum».
E dopotutto perché avrebbe dovuto? Un gruppo di ragazzini li stava sconfiggendo a parole.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Ormai i Dodici procedevano inarrestabili, sempre più tranquilli man mano che la magia li permeava.
«Violentia non opus est. Paenitet vos». Frank mantenne gli occhi bassi, ma il suo tono era fiducioso: aveva lottato per anni con Charles Calliance, Halley Hans e Alcyone Granbell chiedendosi che problemi avessero con lui e poi, durante le Olimpiadi Magiche, aveva stretto amicizia con i gemelli Nilsson, con Elliott Castle e Tobia, che l’avevano persino seguito in quella follia. A quel punto aveva compreso di non essere mai stato lui il problema, ma gli altri: se non apprezzavano la sua compagnia, non poteva certo costringerli, ma ciò non significava che lui valesse di meno. «Non timeo. Non timeo quia stringo manus amicorum». Ed era vero, proprio come quando aveva salvato Rose dal potere dei Fondatori che la stavano per schiacciare, anche in quel momento era certo di trovarsi al posto giusto.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Brian strinse vigorosamente la mano a James, sperando gli passasse un po’ del suo enorme coraggio. Il più grande ricambiò la stretta. «Non expedit neminem laedere». Anche se non subito, solitamente i cattivi pagavano per le loro azioni. Perfino il furbissimo Mike Zender aveva avuto la sua meritata punizione! «In medio stat virtus». Era stata dura crescere senza la mamma, la piccola Sophie era vivace e incontenibile, suo padre preso dal suo lavoro. Il ritorno di Maxi era stata una boccata d’aria, così come l’inizio della Scuola. E da quando Maxi frequentava la professoressa Dawson andava ancora meglio: non avrebbe mai sostituito la sua mamma, ma una donna in casa faceva una differenza enorme. «Gutta cavet lapidem». Per raggiungere i propri obiettivi, qualunque essi fossero, bisognava aver pazienza. Proprio come aveva detto anche Albus. La runa bruciò nella sua tasca, ma questa volta, ne era sicuro, dipendeva dal fatto che stesse agendo nel giusto modo.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
La Selwyn si era lentamente accasciata a terra, ma continuava a tenere la testa alta e fissarli con odio.
«Mundus coloratus est» prese la parola Roxi, la cui mano stringeva quella di Frank. Pensò al negozio del padre: i Neomangiamorte l’avevano rovinato durante il loro ultimo attacco, ma l’avrebbero ridipinto insieme e sarebbe stato ancora più bello. «Si tu video solum nigrum, ego tibi pingam!» lo disse divertita poichè immaginò il volto della Selwyn diventare di mille colori. La runa si scaldò e la Grifondoro scoppiò a ridere vedendo effettivamente il viso della loro avversaria divenire variopinto.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
La Selwyn ringhiò tentando di sollevarsi e iniziò a mordere l’orlo della tunica.
Roxi provò pietà per quella donna che con la sua cattiveria si era ridotta in quello stato e non riuscì a odiarla per aver ucciso suo nonno. L’avevano sconfitta e non le rimaneva nulla.
«Errare humanus est, sed perseverare diabolicum». La voce di James si levò dura e decisa. Il ragazzo si spostò verso la Selwyn, seguito dai compagni. «Reus iudicaris!» sentenziò, senza l’ombra di pietà nei profondi occhi nocciola.
«Reus! Reus! Reus!» gli fecero eco i compagni, facendo rimbombare l’Atrium. Un paio di Neomangiamorte urlarono, la Selwyn smise di mordere l’orlo della tunica e li fissò con occhi vacui. La pelle di molti combattenti si accapponò.
«Redde rationem!». L’ordine di James risuonò come una frustata e la Selwyn rabbrividì. Il ragazzo fissò con rabbia quella donna che negli ultimi anni aveva tentato in tutti i modi di rovinargli la vita: aveva pensato di poterlo usare come una marionetta durante il Torneo Tremaghi e divertirsi vedendolo morire, invece, ora, era lui a fissarla dall’alto in basso, ormai umiliata. Avevano vinto e non le avrebbe permesso di ferire ulteriormente le persone che amava.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt». Pronunciarono il ritornello per l’ultima volta e, infine, conclusero:
«Factum fieri infectum non potest.
Non plus ultra!
Tertium non datur!».
Per quanto sarebbe stato in loro potere, i Dodici non avrebbero mai più permesso che la comunità magica si cullasse su una falsa pace.
Un silenzio attonito e timoroso seguì la fine della nenia. Alcuni Neomangiamorte piangevano, altri sembravano aver perso i sensi.
I Dodici, provati dal potente incantesimo, tentarono di riprendere fiato.
Harry Potter fu il primo a riprendersi dal stato di trance in cui la nenia aveva lasciato i presenti e ordinò ai suoi uomini di occuparsi dei Neomangiamorte.
«Siete stati magnifici!» ruggì il Capo del Dipartimento Auror, attirando in un abbraccio, degno di Molly Weasley, i due figli maggiori. Nessuno dei due se ne lamentò.
L’Atrium iniziò a rianimarsi e i ragazzi furono raggiunti da Gabriel Fenwick e Adrian Wilson che abbracciarono le figlie con la stessa foga di Harry.
Brian non ebbe il tempo di preoccuparsi che suo padre e Maxi fecero la loro comparsa con il sorriso sul volto e corse da loro, cominciando a realizzare che avevano vinto e nessuna profezia pendeva più sul loro capo.
Il professor Schacklebolt si avvicinò a Jack e Jonathan per verificare come stessero; Frank, Roxi e Rose si erano uniti all’abbraccio tra Harry e i figli; Draco stava stritolando Scorpius come forse non aveva fatto, non in pubblico sicuramente; mentre Emmanuel si beava dell’improvvisa gentilezza dello zio Abraham, solitamente burbero e scontroso.
«Capitano!». Samuel Harper, leggermente claudicante, ruppe quella parentesi di tranquillità. Harry si voltò allarmato verso il giovane Auror, chiedendosi probabilmente che altro fosse accaduto. «Bellatrix Selwyn e Thomas Rosier sono morti».
Quelle poche e secche parole raggelarono i presenti.
«Morti?» ripetè James incredulo con un tuffo al cuore.
«La nenia non avrebbe dovuto ucciderli, ma al massimo stordirli fino a perdere i sensi» intervenne Albus.
«È morta avvelenata. Aveva della ricina in polvere nell’orlo della tunica. E, a quanto pare, non è l’unica: Rosier e altri Neomangiamorte hanno deciso che la sconfitta non sarebbe stata sopportabile».
«Papà!» gridò Jonathan, correndo da Anthony Goldstain spuntato alle spalle di Samuel Harper.
«Quando sei arrivato?» chiese perplesso Harry.
«Purtroppo solo ora. Al San Mungo abbiamo avuto il nostro bel daffare, ma non potevo non raggiungere mio figlio».
Improvvisamente James si sentì tirare la manica della divisa, si voltò e si trovò a dover abbassare lo sguardo su due occhioni che lo fissavano speranzosi.
«Avete sconfitto i cattivi?» chiese uno dei bambini che avevano portato via dall’Ufficio Misteri.
Il Grifondoro sentì salire un groppo in gola e dovette deglutire un paio di volte per non scoppiare a piangere davanti a tanta gente. Le immagini della sera gli erano tornate in mente tutte in una volta e cominciò a sentirsi veramente stanco.
«E questi bambini chi sono?» chiese Harry.
«Forse dovrebbe visitarli, signor Goldstain» intervenne Jack.
Il medimago annuì prontamente.
«Come stanno i miei genitori?» lo fermò Rose.
«Che cos’hanno?» chiese Albus turbato.
«La ferita di tuo padre non era grave, sta riposando. Tua madre si riprenderà, ma ci vorrà un po’ più di tempo» replicò con un lieve sorriso Anthony Goldstain. «Chiunque di voi le ha rimarginato la ferita, le ha salvato la vita».
Rose si voltò instivamente verso Scorpius e, ignorando il signor Malfoy, lo raggiunse buttandosi tra le sue braccia. Anche lei aveva bisogno di una pausa. Il Serpeverde l’accolse e la strinse a sé.
James, furioso per gli orrendi crimini commessi da Richard Parkinson, si lanciò in un concitato racconto in modo che il padre potesse agire il più velocemente possibile e dare a quel verme la lezione che meritava.
Dopodiché i ragazzi raccontarono anche come avevano scoperto il potere delle nenie, rimarcando l’aiuto avuto da Nyah, Kymia e Tanwir; di come si erano resi conto di non poter usare le nenie africane a causa dell’accompagnamento musicale e dell’aiuto del professor Bulstrode; raccontarono come con il supporto del signor Bennett, il bibliotecario, e grazie alle lezioni di latino seguite in Italia e in Australia da Albus, erano riusciti a tradurre la nenia in inglese e comprenderne il significato, giudicandola così in perfetta sintonia con la profezia e con le virtù di ciascuno di loro; infine raccontarono di quella sera e del prezioso intervento di Winnie e Tabi per raggiungere il Ministero e delle vicissitudini che i due gruppi separati avevano dovuto affrontare per ricongiungersi nell’Atrium.
«Sono strabiliato» commentò Maxi Williams. «Siete stati bravissimi».
«I nostri nuovi amici ci hanno dato una mano» commentò James, accennando a Niki, Glykeria, i gemelli Nilsson, Tobia ed Elliott Castle.
«Ragazzi, ho ordinato il trasferimento dei bambini al San Mungo. Fisicamente stanno bene, sono malnutriti ma con un po’ di riposo e la pozione ricostituente staranno bene» disse Anthony Goldstain tornando da loro. «Sarebbe il caso che andaste anche a voi a farvi visitare».
«Forse è meglio, da lì potrete tornare tranquillamente a casa» intervenne Harry.
«A casa?» gli fece eco James, fissandolo sorpreso.
«Non vuoi tornare a casa?» replicò Harry perplesso.
«E poi andiamo a Hogwarts? Domani ci sarà il Banchetto e l’assegnazione della Coppa delle Case» rispose James, per poi rivolgersi ai professori: «Sbaglio?».
«No» rispose Maxi Williams quietamente.
«I ragazzi potrebbero tornare a Hogwarts con noi» s’inserì nella conversazione Kingsley. «Madama Williamson li visiterà e si occuperà delle ferite».
«Sì, ci occupiamo noi di loro» soggiunse Maxi Williams. «Hanno il diritto a un po’ di tranquillità. E comunque dopodomani prenderanno l’Espresso per Londra e avrete tutte le vacanze per stare insieme».
«Siete sicuri di voler tornare a Scuola?» domandò Harry ai figli.
«Sì» rispose James anche per il fratello. «Poi chi la sente Lily se torniamo a casa senza di lei?».
Harry sorrise e annuì. Agli altri ragazzi fu rivolta la stessa domanda e tutti si dissero d’accordo con James e Albus.
«Allora sbrigatevi» intervenne Gabriel Fenwick. «Sta arrivando Rita Sketeer in testa a un gruppo di giornalisti assetati di notizie».
I ragazzi gemettero e si rivolsero speranzosi verso gli insegnanti.
«Dovremmo creare una passaporta» borbottò Williams.
«Non era illegale, professore?» chiese Jack con la sua consueta faccia tosta.
Williams lo fulminò e replicò: «La professoressa McGranitt vorrà presto un racconto dettagliato di quanto è accaduto. Sei sicuro di voler tornare a Scuola?».
Jack aprì la bocca, ma la richiuse senza proferir parola. Avevano affrontato e sconfitto Bellatrix Selwyn, la sedicente nuova Signora Oscura, ma nessuno dei Dodici effettivamente aveva il coraggio di spiegare alla professoressa il folle piano che avevano attuato infrangendo una buona parte delle regole della Scuola.
«Autorizzo io la creazione della passaporta» intervenne una voce femminile.
«Susan, stai bene?» le domandò immediatamente Harry.
«Sono stata molto meglio» rispose Susan Bones, Capo del Dipartimento dell’Applicazione della Legge sulla Magia, che i ragazzi avevano riconosciuto come la moglie del loro insegnante di Pozioni. «Accompagnate i ragazzi a Hogwarts».
Quando, quasi a mezzanotte, finalmente le passaporte furono pronte, i ragazzi, divisi in due gruppi, accolsero con sollievo il solitamente fastidioso strappo all’ombelico.
Williams e Schacklebolt viaggiarono insieme a loro. Atterrarono direttamente in infermieria.
I ragazzi si sedettero stancamente sui letti, mentre il professore di Trasfigurazione andava a svegliare la medimaga.
Madama Williamson si prese cura di loro una alla volta e loro non protestarono per tutte quelle attenzioni, sebbene avessero voluto soltanto andarsene a letto. I professori si allontanarono per un po’, probabilmente per riferire a Paciock quanto successo.
Infatti Neville entrò di corsa in infermieria poco dopo il loro arrivo, suscitando i rimproveri dell’infermiera. Il professore si scusò distrattamente, troppo preoccupato per il figlio.
La Williamson si era occupata di tutti quando il professor Schacklebolt tornò.
«La Preside è arrivata insieme al resto della squadra olimpica».
Neville annuì e uscì dopo che Frank gli rassicurò per l’ennesima volta di stare bene.
«Va tutto bene?» chiese allora Schacklebolt alla medimaga.
«Sì, ma hanno bisogno di molto riposo. Hanno consumato quasi tutta la loro energia».
«Temo che dovranno aspettare ancora un po’ per riposare. La Preside ha bisogno di parlare con loro immediatamente» replicò Schacklebolt. «Solo con i Dodici, per piacere. Voi potete riposare qui» soggiunse, vedendo che anche gli studenti stranieri si stavano muovendo.
James e gli altri si scambiarono uno sguardo preoccupato: la McGranitt non doveva essere per nulla contenta di come erano scappati dalla Dreamtime.
«E che cosa deve dirci di così urgente da non poter aspettare fino a domani mattina, magari fino a pranzo?».
Persino Rose apparve stupita dalle parole di Jack. Kingsley gli lanciò un’occhiataccia, ma non commentò probabilmente ritenendo che a parlare fosse stato il turbamento per quello che avevano appena vissuto.
«Non mi ha sentito? Le ho appena fatto una domanda?».
I compagni si fermarono e si voltarono a guardarlo: era l’unico che non aveva mosso un passo.
«Nella tua camera è stata trovata una ragazza che appartiene a un’altra Scuola, Fletcher» disse allora irritato Kingsley. «E non è l’unica. La Preside deve provvedere a farli rientrare nella loro Scuola al più presto».
«Kymia non si muove da qui!» ringhiò Jack, arrabbiandosi sul serio.
«Questo non sta a te deciderlo» affermò l’insegnante. «E ora seguitemi».
Jack fremeva, ma non fiatò temendo di peggiorare la situazione con la sua avventatezza.
La strada per raggiungere la Presidenza non era mai sembrata tanto lunga ai ragazzi, che accolsero con un sospiro di sollievo la vista dei due gargoyle di pietra che la custodivano.
Kingsley salì con loro sulla scala a chiocciola che prese a muoversi appena anche l’ultimo della fila, Rose, vi pose piede sopra, ma si congedò appena raggiunsero la soglia dell’ufficio.
James si fece avanti e bussò: era il capo di quel gruppo così eterogeneo e lo sarebbe stato fino alla fine di quella storia. Avuto il permesso di entrare, fu il primo a farlo.
La professoressa McGranitt era seduto dietro la scrivania, come un milione di altre volte in cui erano stati lì per un motivo o per l’altro. Brian era il più smarrito, non essendoci mai stato.
«Beh, complimenti!» esordì la Preside appena si ammassarono tutti di fronte alla scrivania. Il suo tono era stato tagliente e per nulla lusinghiero. «Alcuni di voi sono scappati da Scuola, mandando nel panico il professor Paciock, responsabile in mia assenza!». Frank deglutì: aveva visto il volto pallido del padre e si era reso conto di quanto fosse arrabbiato, sebbene non avesse detto loro nulla probabilmente perché si trovavano in infermieria. «Altri sono scappati sotto il mio naso in compagnia di un gruppo di studenti stranieri altrettanto sciocchi e avventati!». La voce della Preside si era alzata notevolmente ed era palese che stesse per perdere le staffe. «Complimenti, avete battuto persino i vostri genitori!».
Nessuno osò parlare, persino Rose e Jack tennero a bada la loro lingua lunga, consapevoli che non fosse minimamente saggio far arrabbiare ancora di più la professoressa.
«Io, il professor Paciock e il professor Williams eravamo perfettamente al corrente della Profezia e di quello che eravate destinati a fare… sebbene le Profezie siano difficili da interpretare correttamente… perché non ce ne avete parlato? Perché siete partiti alla cieca rischiando di mettervi ancora di più in pericolo? E vi siete trascinati dietro anche altri ragazzi!».
James deglutì, sentendosi in colpa. «Stanno bene, vero, professoressa?» trovò il coraggio di chiedere.
«Nessuno ha subito gravi ferite, fortunatamente» rispose seccamente la donna. Inspirò e riprese: «Non mi aspettavo che foste così tanto sciocchi e immaturi! Vi rendete conto in che posizione mi avete messo con gli altri Presidi? E con i vostri genitori?».
«I nostri genitori lo sapevano che…» tentò Virginia.
«Silenzio, signorina Wilson!» tuonò la McGranitt. «Voi, voi dovevate fermare la Selwyn e l’avete fatto! Nessun altro doveva essere coinvolto. Avreste dovuto rivolgervi agli insegnanti e vi avrebbero coperto le spalle, non un mucchio di ragazzini come voi desiderosi di fare gli eroi!».
«Quello che dice non è giusto» intervenne Jack. «Siamo appena riusciti a trionfare, laddove esperti Auror hanno fallito! Non dovrebbe rimproverarci!».
La Preside lo fulminò con un’occhiata, che terrorizzò gli altri. Jack non si mosse e continuò a fissarla con rabbia.
«Non abbiamo pensato, professoressa» disse Dorcas con voce tremante. «Ho pensato che mio padre…». Le sfuggì un singhiozzo e Albus le strinse automaticamente la mano. Avevano avuto tutti una gran paura quando avevano saputo che il Ministero era sotto attacco.
«Abbiamo pensato che gli insegnanti ci avrebbero fermato per proteggerci anche se sapevano della Profezia e avevamo paura che se avessimo perso tempo…» Scorpius era intervenuto in aiuto della Tassorosso, ma anche egli si bloccò ricordandosi delle urla del padre mentre veniva torturato. «Mi dispiace se abbiamo permesso che altri ragazzi rischiassero la vita, ma non sono pentito».
La McGranitt rivolse la sua attenzione al Serpeverde, ma con un’espressione differente da quella dedicata a Jack. Si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi. Solo allora i ragazzi si accorsero che erano rossi, probabilmente a causa della stanchezza, e leggermente acquosi. Non li era mai apparsa così anziana e fragile. Quando parlò la sua voce era ancora ferma, ma aveva perso la durezza precedente.
«Raccontatemi ogni cosa».
James, Virginia ed Emmanuel si alternarono nel racconto di quanto avvenuto nelle ultime ore e nei mesi precedenti quando avevano studiato la nenia. Nel frattempo la Preside aveva evocato una sedia per ciascuno di loro e i ragazzi vi si erano accasciati. Alla fine del racconto li fissò in volto uno alla volta.
«Sappiate che non è mai stata mia intenzione mettere in dubbio le vostre capacità né sminuire l’impresa che avete compiuto questa notte», e qui lanciò un’occhiata eloquente a Jack. «Non posso che essere orgogliosa che siate studenti di Hogwarts. Mi preme, però, anche la vostra incolumità e questa sera siete stati terribilmente sciocchi e impulsivi». Fece una pausa. «Fortunatamente è finita bene e possiamo festeggiare, ma vorrei che in futuro rifletteste maggiormente sulle vostre azioni».
I Dodici si affrettarono ad annuire per nulla desiderosi di una nuova sfuriata.
«Nonostante ciò, il vostro coraggio va premiato. Assegno cinquanta ciascuno punti a tutti coloro che hanno combattuto questa notte» continuò la Preside. «Non di più, sarà sufficiente l’intera comunità magica a esaltare la vostra scelleratezza».
James non riuscì a trattenere un lieve sorriso.
«Preside, volevo dirle che anch’io ho collaborato alla creazione delle Passaporte illegali» confessò Virginia sorprendendo i compagni.
«Ne prendo atto, signorina Wilson, ma le pregherei di rivolgersi direttamente al professor Williams se si sente in colpa per non averlo ammesso a tempo debito. La questione è stata già affrontata dal professor Mcmillan, non ho intenzione di intromettermi».
Virginia arrossì e abbassò il capo: ora si vergognava di aver permesso che Dorcas si prendesse la colpa da sola.
«Va bene, professoressa».
«La ragazza che è stata trovata in camera mia…» intervenne Jack, ma fu immediatamente interrotto dalla Preside.
«Sarà rimandata a casa insieme agli altri studenti».
«No!» sbottò allora il Tassorosso. «Kymia non andrà da nessuna parte. È venuta per restare!».
«Non è autorizzata a trattenersi in Gran Bretagna. Non so quale siano le tue intenzioni, Fletcher, ma per quanto possano essere buone non mi renderò complice del rapimento di una minore» ribatté seccamente la McGranitt.
Jack imprecò furioso. «Chi le ha detto che era nella mia stanza? Qualcuno dei miei stupidi e petulanti compagni di Casa che cercano ogni scusa per fare i lecchini? O quello stupido elfo domestico?».
«Lascia stare Tabi» disse Brian irritato.
«Signor Fletcher, è il caso che tu vada a riposare. A quanto pare la stanchezza ti ha fatto dimenticare con chi hai a che fare!» sbottò la Preside. «Trenta punti in meno a Tassorosso!».
Jack voltò le spalle e uscì dall’ufficio a passi svelti, lasciandosi alle spalle un silenzio sgomento.
James, vedendo l’amico in quelle condizioni, decise di intromettersi nonostante volesse raggiungere la sua Sala Comune al più presto e abbracciare Benedetta, Robert e Lily. Raccontò alla Preside la storia di Kymia nella speranza di farle cambiare idea.
«Io comprendo benissimo, Potter; voi dovete capire, però, che ho le mani legate. L’unica promessa che posso farti e parlare di questa situazione al professor Johnson. Nient’altro».
James annuì sconfitto e mormorò un ringraziamento.
«Che cosa accadrà a Tabi, professoressa?» chiese Brian colto da un improvviso timore. I compagni lo fissarono sorpresi, non essendosi neanche posti il problema.
«Che cosa c’entra?» borbottò infatti Rose.
Il più piccolo non le rispose, ma continuò a fissare la Preside con inquietudine.
«Gli elfi domestici devono obbedire solo a me e, in caso, ai docenti. Non posso permettere che si prendano la briga di portare in giro gli studenti della Scuola. Non ho ancora deciso, ma probabilmente sarà licenziato».
«Cosa?!» sbottò James.
Brian rimase a bocca aperta e sentì gli occhi riempirsi di lacrime. «Ma è colpa nostra» piagnucolò.
«Su questo non ci sono dubbi, Carter» disse la Preside, ignorando James. «Devo potermi fidare dello staff della Scuola».
«Non può perdonarlo? A noi ci sta perdonando. E poi è colpa mia, l’ha fatto perché gliel’ho chiesto io. Se la prenda con me, professoressa» tentò Brian.
La McGranitt sospirò e disse: «Ti posso promettere che ci penserò ancora domani. Ora dovremmo andare tutti a riposare. Questa sera ci sarà il Banchetto di Fine Anno».
I ragazzi annuirono e si trascinarono fuori dall’ufficio, Brian, prima di chiudersi la porta alle spalle, lanciò un’ultima occhiata supplichevole alla Preside.
Percorsero il corridoio silenzioso senza parlare. L’adrenalina era scomparsa e si sentivano sfiniti.
Dalle finestre penetrava una lieve luce soffusa.
«Sta per albeggiare» disse sorpreso Albus.
James scrollò le spalle e salutò gli altri, prima di raggiungere il quadro della Signora Grassa.
 
Un nuovo giorno stava sorgendo e i Neomangiamorte erano stati sconfitti.
 
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Come immaginerete senz’altro, ci stiamo avvicinando alla conclusione di questa fanfiction e delle avventure dei Dodici.
Spero che lo scontro finale non vi abbia deluso.
Vi riporto l’intero testo della nenia (raramente ho tradotto dall’italiano al latino, per cui spero di non aver commesso qualche errore grossolano):
 
Timeat quisquis malum agat,
Timeat quisquis vulneraverit,
Timeat quisquis occiderit.
Non salutem invenient!
Timeat!
Demittite arma! Desinite pugnare!
 
Virtutibus purificandum est cor nigrum.
Virtutes peiores hostes profligabunt.
 
Non timor habendus est te, si pugnas bono.
Non timor habendus est te, si habes bonam causam.
Non timor habendus est te, si cor tuuum purum est.
(Rose)
 
Rit.
 
Vitiis nemo sine nascitur.
Pugna tuis voluntatis.
Per aspera ad astra.
(Jack)
 
Rit.
 
Elige bona.
Ne elegeris mala.
Neque delectus elegere.
Elige cum grano salis.
(Albus)
Rit.
 
Obliviscere bona qui feceris, memora mala.
Memora quisquis tristitia affeceris
Memora quisquis vulneraverit.
Memora quisquis occiderit.
Ne esses oblitus.
(Jonathan)
 
Rit.
 
Nosce te ipsum.
Nosce amicos.
Nosce mundum.
Sed intellege tuos modos.
(Virginia)
 
Rit.
 
Paenitet vos crudelitatum, ignoscemus si sinceri estis.
Venia e corde venit.
(Scorpius)
 
Rit.
 
Omnia munda mundis.
Amicus meum manum stringit et ego non habeo timorem.
(Emmanuel)
Rit.
 
Amor artium magicarum firmussissima est.
Non timeo hominem malum.
Amo.
Non timeo cor nigrum.
(Dorcas)
 
Rit.
 
Violentia non opus est. Paenitet vos.
Non timeo.
Non timeo quia stringo manus amicorum.
(Frank)
 
Rit.
 
Non expedit neminem laedere.
In medio stata virtus.
Gutta cavet lapidem.
(Brian).
 
Rit.
 
Mundus coloratus est.
Si tu video solum nigrum, ego tibi pingam!
(Roxi)
 
Rit.
 
Errare humanus est, sed perseverare diabolicum.
Reus iudicaris!
Reus! Reus! Reus! (Tutti insieme)
Redde rationem!
(James)
 
Rit.
 
Factum fieri infectum non potest.
Non plus ultra!
Tertium non datur!
Ed ecco la traduzione:
 
Tema chiunque abbia compiuto il male,
tema chiunque abbia ferito,
tema chiunque abbia ucciso.
Non troverà salvezza!
Tema!
 
Abbassate le bacchette! Smettete di combattere!
 
Rit. Le virtù devono purificare il cuore nero.
Le virtù sconfiggeranno i peggiori nemici.
 
Non devi aver paura, se combatti per il bene.
Non devi aver paura, se hai una buona causa.
Non devi aver paura, se il tuo cuore è puro.
Rit.
 
Nessuno nasce senza difetti.
Combatti per i tuoi ideali.
Attraverso le difficoltà al successo (letteralmente attraverso le asprezze fino alle stelle).
Rit.
 
Scegli le cose buone.
Non scegliere le cattive.
Non è una scelta non scegliere.
Scegli con buon senso.
Rit.
 
Dimentica le cose buone che hai fatto, ricorda le cattive.
Ricorda chiunque abbia recato sofferenza.
Ricorda chiunque abbia ferito.
Ricorda chiunque abbia ucciso.
Non dimenticare.
 
Rit.
 
Conosci te stesso.
Conosci gli amici.
Conosci il mondo.
Ma cogli i tuoi limiti.
 
Rit.
 
Pentitevi della crudeltà, vi perdoneremo se siete sinceri.
Il perdono viene dal cuore.
 
Rit.
 
Ogni cosa pura ai puri.
Un amico stringe la mia mano e io non ho paura.
 
Rit.
 
L’amore è la magia più potente.
Non temo l’uomo cattivo.
Amo.
Non temo un cuore nero.
 
Rit.
 
La violenza non è necessaria. Pentitevi.
Non temo.
Non temo perché stringo le mani degli amici.
 
Rit.
 
Non conviene danneggiare qualcuno.
La virtù sta nel mezzo.
La goccia scava la pietra.
 
Rit.
 
Il mondo è colorato.
Se tu vedi solo nero, io ti ridipingerò!
 
Rit.
Errare è umano, ma perseverare diabolico.
Sei giudicata colpevole!
Colpevole! Colpevole! Colpevole!
Rendi conto!
 
Rit.
Ciò che è stato fatto non può essere disfatto.
Non più oltre!
Non viene data la terza possibilità!
 
Se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate ;-)
A presto,
Carme93
   
 
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