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Autore: Alicat_Barbix    03/09/2018    3 recensioni
In un universo alternativo, in cui i cuori di ognuno interagiscono con i loro proprietari, Sherlock Holmes, brillante consulente investigativo, e John Watson, disperato medico militare in congedo dall'Afghanistan, si incontrano e i loro cuori non riusciranno mai più a tacere. Ma a volte, i fatti presenti sono irrimediabilmente influenzati da sentimenti e decisioni passate...
Dal testo:
(...)
“Su questo tavolo c’è una boccetta buona e una cattiva. Il suo scopo, signor Watson, è quello di scegliere una delle due boccette, sperando di non aver preso quella velenosa.”
(...)
“La boccetta cattiva. Voglio sapere qual è.”
(...)
“E’ il suo cuore il problema, non è vero?”
(...)
“La boccetta.”
Con un fluido movimento della mano, spinge avanti una delle due boccette, un sorriso ferino sulle labbra.
(...)
Chiudo gli occhi e mi avvicino alle labbra la morte. Addio vita. Addio mondo. Addio cuore che non ho più.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IN A HEARTBEAT

by Alicat_Barbix
 
CAPITOLO 7
 
Che le cose, fra loro, fossero divenute tese, non era di certo una sorpresa. La loro vita cercava di proseguire, di fare il santissimo volta pagina, eppure arrancava, trascinandosi dietro i pesanti eventi di quella fatidica sera. Era Sherlock quello ad aver notato la netta frattura che quel bacio aveva creato: John era diventato più schivo e fuggente, passavano molto meno tempo assieme e nelle loro rare uscite, il biondino si trascinava sempre appresso la sua ragazza o un suo amico della squadra di football. Era distante, così distante, John. Sherlock sentiva che gli stava inesorabilmente scivolando di mano. La sua risata, il suo sorriso, i suoi abbracci fraterni… tutto stava lievemente sbiadendo, dietro immagini di nuove conoscenze, nuovi appuntamenti, nuove svolte. Lo guardava di lontano, cercando i suoi occhi indaco, sperando in una sua reazione, ma gli ingranaggi che un tempo funzionavano perfettamente, sembravano rotti, fermi per sempre. Lo amava in silenzio, Sherlock. Lo amava anche mentre lasciava che Irene lo baciasse di fronte a lui. Lo amava anche mentre osservava una nuova ragazza comparirgli di fianco. Lo amava anche mentre lui si allontanava lentamente. Era una marcia funebre quella che i piedi di Sherlock, ormai, compivano. La lapide di fronte a cui sarebbe giunto, era quella che segnava la fine della loro amicizia. Sapeva che sarebbe successo, prima o poi. In cuor suo, lo aveva sempre temuto, che i suoi sentimenti per John li avrebbero portati alla rottura definitiva. A volte saliva ancora sul tetto della scuola e guardava giù, chiedendosi se John sarebbe arrivato ancora e l’avrebbe salvato una seconda volta. Una seconda volta? Quante volte lo aveva già salvato? Quante volte gli era stato accanto nonostante tutti gli intimassero di fare il contrario? Ormai aveva smesso di struggersi per lui, nella speranza che quello li avrebbe riportati assieme. E ancora aspettava, Sherlock, incurante del passare dei giorni e delle stagioni. Aspettava il ritorno di John. Perché John tornava sempre.
Vennero, infine, le vacanze estive e con esse la solita, grande festa a casa di Sebastian Moran. Tutta la scuola era invitata, sportivi e pantofolai, intellettuali e somari, strambi e non. L’idea di andarci solo per sorbirsi un’intera serata di caos con persone idiote e per guardare impotente John Watson fra le braccia della sua fidanzata lo tormentava, ma Irene lo trascinò contro il suo volere, senza ammettere repliche. Era diventata una presenza costante, nella sua vita, quella della Adler. E in fondo, in fondo, non gli dispiaceva più di tanto. Di certo non la amava, il suo orientamento sessuale glielo impediva, ma la rispettava profondamente e doveva ammettere che era l’unica ragazza verso cui avrebbe mai potuto serbare affetto, un affetto somigliante all’amore, ma non così forte. Lei era l’unica a sapere di John. Era stato costretto a confessarglielo quando lei gli aveva proposto di fare sesso e allora si era trovato obbligato a rivelarle tutto. Contro le aspettative, non se n’era andata, non era fuggita di fronte a quell’idiota dalle idee confuse, ma era rimasta e gli era stata accanto come meglio poteva, continuando ad essere la sua quasi fidanzata.
La casa di Moran era mastodontica e detto da Sherlock, il cui fratello era un eminente esponente del Governo, era significativo. La piscina, da sola, misurava come la sala da ballo in casa dello zio Rudy, il giardino era immenso, la villa gigante. Sherlock, con al braccio Irene, si avventurò in quel covo di vipere che lo attendeva, tenendosi stretto alla ragazza, l’unica che potesse inspirargli un minimo di serenità. Per tutto l’ambiente, risuonava sparata la musica, e gli studenti ballavano, l’odore di alcol e sudore impregnava l’aria.
“Mi vai a prendere qualcosa da bere?” gli chiese Irene cercando di superare il volume della musica e Sherlock si limitò a farsi largo nella calca urlante e in fibrillazione.
Quando arrivò al piano bar, però, si immobilizzò. John se ne stava appoggiato lì, con le spalle rivolte alla discoteca improvvisata, probabilmente in attesa di una bevanda. Sherlock deglutì un paio di volte a quella visione. Accanto a lui, comparve il suo cuore, come quelli che aveva imparato a disegnare quando era piccolissimo. Il fatto che i bambini associassero automaticamente alla parola cuore quella determinata immagine era stato spiegato da vari scienziati in diversi modi, ma probabilmente nessuno avrebbe mai avuto la risposta certa. Il suo cuore lo fissava, ora, e gli indicava John con cipiglio severo.
No.
Sì, invece.
Non voglio perderlo definitivamente e se dargli il suo tempo è quello che lo riporterà da me, allora aspetterò che sia pronto.
Cazzate, Sherlock. Solo cazzate. Dici così solo per proteggerti, perché quello che senti è ormai fuori dal tuo controllo. Il fatto che tu riesca anche a vedermi, oltre che sentirmi, ne è la dimostrazione. Hai varcato l’ultima fase, Sherlock, ormai non puoi più sottrarti ai tuoi sentimenti.
Lo dici come se fosse un ricatto! Come se avessi scelta! Guardami! Sono disperato. Sono ad una stramaledetta festa a fianco di una ragazza che non amo, sono vicino al mio migliore amico, di cui sono innamorato chissà da quando, e non riesco nemmeno salutarlo perché ho paura di incasinare le cose, sono in presenza del mio dannatissimo cuore che ormai mi sta dicendo che sono spacciato e che non posso più evitare quello che ho sempre sperato di evitare! Lo vedi? Sono rotto. Non so più chi sono o quello che sento, né tantomeno quello che voglio.
Lo sai, invece. Sei Sherlock Holmes, una delle menti più brillanti della Gran Bretagna nonostante la giovane età, non sei più soltanto innamorato, tu ami e la persona che ami e che desideri è John Watson.
Continuò a fissare quella sottospecie di angelo custode con aria smarrita e terrorizzata. Quelle verità gli erano state sputate in faccia, lo avevano schiaffeggiato e ora sentiva la loro impronta sulla pelle.
Non posso.
Bene, allora lo farò io.
Il suo cuore schizzò in direzione di John e Sherlock, senza neanche pensarci, scattò in avanti a sua volta, terrorizzato dal pensiero di quello che avrebbe potuto fare quell’esserino. Nel tentativo di afferrarlo, perse l’equilibrio e si ritrovò a cadere rovinosamente verso il suolo, imprecando. Serrò gli occhi e si preparò al dolore, all’umiliazione, allo sguardo imbarazzato dell’amico. Una presa salda lo trattenne, una stretta calda lo confortò. Il cuore perse un battito. Lentamente, aprì gli occhi, le gote imporporate, l’emozione bruciante. Dopotutto, magari sbagliava a credere che con John non sarebbe stato più lo stesso. E quella era la dimostrazione, giusto?
Ma, come in un orrendo incubo, Sherlock realizzò troppo tardi quello che stava accadendo. Il corpo che lo stringeva rassicurante, non era quello di John, bensì quello di Andrew, una delle peggiori checche della scuola.
“Va tutto bene? Ti sei fatto male?”
Sherlock si affrettò a scuotere convulsamente la testa e a rimettersi sui propri piedi. Il suo sguardo corse al bancone, dove John si era voltato e lo guardava con aria… ferita? Ma durò un attimo, perché la sua nuca bionda si girò nuovamente verso il barman che gli aveva appena porto i suoi drink. Gli occhi indaco gli lanciarono una breve occhiata, ma poi si posarono ostinatamente sulla punta delle sue scarpe, mentre si allontanava. Senza pensarci due volte, Sherlock si liberò della presa di Andrew e corse dietro al ragazzo che, tempo prima, era stato il suo migliore amico e la persona che amava con tutto se stesso. “John!” urlò sgomitando per raggiungerlo. “John, aspetta!”
John si volse, uno sguardo stupito dipinto in volto. “Sherlock.”
Sherlock lo raggiunse con il fiatone e lo guardò con disperazione. “John, ti prego, aspetta.”
“Sono qui, Sherlock. Qualsiasi cosa mi debba dire, vuota il sacco in fretta perché ho Juliet che mi aspetta.”
“Io…”
Avanti, parla.
“John, volevo chiederti…”
Dai, per l’amor del cielo!
“Ti va di fare quattro passi con me, più tardi? Se non hai già altri programmi, ovviamente.” John lo guardò dubbioso, ma alla fine si limitò ad un cenno d’assenso col capo. “Perfetto, quando…”
“Anche subito. Dammi giusto il tempo di portare questo a Juliet e ti raggiungo fuori.”
E detto questo, si allontanò. Sherlock lo osservò sparire tra la folla e se lo immaginò raggiungere la sua fidanzata, baciarla e depositarle in mano il drink da lei richiesto, per poi tornare sui suoi passi, da lui. Era così bello sapere di poter condividere qualche minuto da solo con lui, come i vecchi tempi.
Sgattaiolò di fuori, dimenticandosi perfino di avvisare Irene, e si sedette sui gradoni che conducevano all’ingresso della sala. Non trascorse troppo tempo perché i passi di John – che ormai avrebbe distinto ovunque – risuonassero alle sue spalle. “Eccomi.”
Sherlock si volse e si prese qualche attimo per ammirare l’amico: vestiva con un’elegante camicia azzurrina che ricadeva morbidamente su dei pantaloni beige, su una spalla, sorretta dalla mano, pendeva la giacca dello stesso colore di questi ultimi. E il tocco finale, erano i suoi capelli pettinati all’indietro e tenuti fermi con una punta di gel. Era più bello di quanto se lo ricordava.
“Terra chiama Sherlock.”
“Eh?”
“Ho detto: andiamo?”
“Sì, certo.”
Si alzò goffamente e lo invitò a seguirlo mentre si addentrava nel vasto giardino di casa Moran. Camminarono fianco a fianco per un po’, in totale silenzio, ma non era affatto pesante, né imbarazzante, solo… di riflessione. Era proprio in silenzi come quello, che Sherlock riprendeva a sperare, che sentiva che niente era davvero cambiato, che John era ancora suo nel senso più puro del termine.
“Volevi parlarmi di qualcosa in particolare?” chiese dopo un po’ John.
“No, volevo solo passare un po’ del tempo assieme. In quest’ultimo periodo siamo stati così impegnati…” glissò Sherlock, nonostante una parte di lui avrebbe voluto urlare perché tu sei improvvisamente cambiato.
“Sì, beh, adesso anche tu hai una ragazza, quindi è normale che ci siamo persi un po’ di vista.”
Persi un po’ di vista? Sul serio, John? Fatti sentire, Sherlock!
“Io non ho fatto niente per distanziarmi da te.” replicò infatti lui, pentendosi, però, subito dopo.
“Che vuoi dire?”
“Ma niente, John, è che ultimamente sei strano, sembra che stare con me ti metta a disagio…”
“La verità, Sherlock, è che non sono abituato ad essere assalito per un bacio dai miei amici.”
Gli occhi di Sherlock si ingrandirono appena per la sorpresa. L’aveva davvero detto? O forse aveva capito male, se l’era immaginato? Magari… magari non intendeva esprimersi con quelle esatte parole, magari si era solo sbagliato nella scelta dei termini… Ma lo sguardo dipinto sul volto di John era significativo ed estremamente doloroso.
“E’ per quel bacio? Era solo una prova… E poi anche tu hai risposto, mi sembra.”
“Sì, ma io non ti sono salito addosso e non ti ho fatto un succhiotto.”
“Mi pare che non fossi troppo contrario.”
“Che non fossi… Ti rendi conto di quello che stai dicendo, Sherlock? Prima mi baci così e poi mi scrivi un messaggio dicendomi che ti sei messo con la Adler.”
“Credo di non seguirti più, mi spiace. Il problema è che io ti abbia baciato o che mi sia messo con Irene?”
John distolse lo sguardo, i pugni serrati lungo i fianchi. Non l’aveva mai visto così sconvolto, Sherlock, in quei due anni che avevano trascorso insieme. Era combattuto, confuso, sconvolto, così piccolo e innocente.
“John…” mormorò avvicinandoglisi e prendendolo delicatamente per le spalle, contatto che fece sussultare l’altro ma che non lo allontanò. “Non devi mentire con me, sai che puoi dirmi tutto.”
Gli occhi del biondino luccicarono appena a causa di un paio di lacrime che minacciavano di uscire. “Non c’è niente che devo dirti, Sherlock, perché non lo so nemmeno io che cosa dovrei o… vorrei dirti. Non ci sto capendo più niente, so solo che andare avanti standoti così vicino sta diventando una tortura, perché dopo quel bacio non so più chi sei o… come sei.”
“Intendi che non sai se sia etero o gay? John, io…” Cercò le parole giuste, quelle che non lo avrebbero spaventato, quello che non lo avrebbero fatto scappare. “… non farei mai qualcosa che possa metterti a disagio.”
“Ma lo hai fatto!” irruppe improvvisamente l’amico. “Lo hai fatto e non parlo solo di quel bacio, ma dal tuo modo in generale di rapportarti con me. Lo stai facendo anche adesso, lo vedi? Mi guardi e io mi chiedo che cosa mai ti frulli in testa, che cosa vedi quando mi guardi. Lo capisci che non ce la faccio più a vivere così?”
“Che cosa vedo quando ti guardo?” gli fece eco Sherlock, lanciando un rapido sguardo al suo cuore che, alle spalle di John, sospirava stupidamente felice. “Vedo un ragazzo meraviglioso, intelligente, simpatico, a volte insicuro nonostante cerchi di mostrarsi sempre forte e pratico in ogni situazione. Vedo il ragazzo che mi ha tirato giù dal tetto e che mi ha portato a bere quel caffè disgustoso al caramello da Starbucks. Vedo il ragazzo che mi è stato accanto per due anni, difendendomi e sopportandomi nonostante il giudizio di tutti gli altri. Vedo il ragazzo che ho sempre visto, quello che ho sempre avuto a cuore, quello che, contro ogni logica, ormai amo.”
John sgranò gli occhi e lo osservò ammutolito per qualche istante. Sherlock osservò il suo cuore che aveva l’aspetto di un ubriaco, tanta era l’euforia che lo dominava. Volteggiava liberamente tra le fronde degli alberi, volando a destra e a sinistra, per poi ritornare dal biondino e contemplarlo con trepidazione. Sherlock aveva spesso sentito parlare delle fasi dell’amore: prima il tuo cuore è solo qualcosa che hai in te, che poi si risveglia nei momenti di difficoltà e di incertezza; quando incontri una persona da cui sei attratto, il cuore comincia ad essere sempre più presente e a darti sempre più consigli, rispecchiando i tuoi veri desideri, quelli forse anche a te sconosciuti; nel momento in cui l’attrazione per una persona sfocia nell’innamoramento, il cuore può costringerti a fare o dire cose di cui neanche ti rendi conto, in modo da restare vicino a colui di cui sei innamorato; infine, l’ultimo stadio, è l’amore, quello in cui il tuo cuore ti obbliga a fare una scelta, prendendo forma e palesandosi ai tuoi occhi come una specie di spiritello guida. Ecco a che cosa l’avevano portato gli atti di bullismo di Jefferson e dei suoi. Ad amare John Watson.
“John, ti prego, di’ qualcosa.” lo pregò Sherlock avvicinandosi ulteriormente a lui e facendo scivolare le proprie mani in quelle dell’altro. “Non devi dirmi che provi lo stesso, ma solo che… non te ne andrai dalla mia vita. Sei troppo importante perché io possa perderti. Tu… tu dammi il tempo e ti prometto che passerà e che sarà come all’inizio.”
“Io non voglio che tu cambi.” sussurrò allora John rispondendo alla stretta. “Ho solo bisogno di… di tempo per elaborare e capire anche io come… proseguire.”
“Vuoi dire che non sparirai?”
“Io… Sherlock, sei mio amico, perciò…”
Si guardarono per alcuni istanti, solo il fruscio del vento a smuovere le fronde degli alberi. Il calore emanato dalla pelle di John era così bello e rassicurante che Sherlock sarebbe potuto rimanere in quella posizione per sempre, semplicemente tenendogli la mano. Poi, si concentrò più attentamente su quel viso, su quegli occhi, su quelle labbra, e Dio come non poteva più controllarsi, ormai. Si piegò lievemente, quel tanto che bastava per lanciare un segnale all’altro, perché quello che aveva detto era vero: non avrebbe mai fatto qualcosa che potesse metterlo a disagio. John schiuse appena le labbra e trattenne il respiro mentre lui continuava la sua progressiva discesa verso la sua bocca. Si incontrarono dolcemente, si sfiorarono appena, alla luce della luna piena, e Sherlock fu così felice che finalmente quella non era solo una mera finzione, ma la realtà. Strinse più saldamente la presa sulle mani di John e depositò un nuovo bacio a fior di labbra sulla bocca dell’amico. Il suo cuore sospirò e si rintanò nuovamente nel suo petto, al sicuro, sereno.
Improvvisamente, il frusciò di passi sull’erba li fece sussultare e allontanare come se fossero stati dei ladri.
“Ma guarda, guarda chi c’è. La mia coppia di frocetti preferita. Ciao, Sherly, è da un po’ che non ci vediamo.”
“Jackson.” ringhiò di rimando Sherlock parandosi istintivamente di fronte a John, investito di un nuovo coraggio che non aveva mai avuto.
“Avevo capito che foste solo buoni amici.”
“Lo siamo, infatti!” si affrettò a rispondere John allontanandosi dal corpo di Sherlock. “Non siamo… Non sono gay.”
“Da quando i buoni amici si baciano come due fidanzatini vergini? Aspetta, ma tu non sei fidanzato, Watson? Ma sì, tu sei quello che si fa quasi ogni ragazza che gli capita a tiro! La tua reputazione ne risentirebbe parecchio se venisse fuori che oltre a infilarlo ti piace anche fartelo infilare.”
Il viso di John assunse una colorazione fiammante. “N-non è come sembra. Possiamo spiegare…”
“John.” lo interruppe Sherlock rivolgendogli un’occhiata significativa.
“No, Sherlock, sei tu che mi hai ficcato in questa cazzo di situazione, quindi, se non altro, chiudi il becco.” La durezza nella sua voce provocò in lui un’incrinatura. John tremava di rabbia e di paura, era davvero terrorizzato all’idea che Jackson e i suoi raccontassero a tutti del loro bacio. “Io non sono gay e non lo stavo baciando, è lui che mi ha colto di sorpresa.”
Sherlock sgranò appena gli occhi. “John…”
“Ah, che Sherly fosse la peggiore checca della scuola era risaputo. Nonostante abbia provato a nasconderlo uscendo con la Adler.” Jackson si avvicinò a John, schivando completamente Sherlock. “Ma tu, Johnny, tu sei assolutamente insospettabile…”
“Non sono gay.” ripeté il biondino stringendo ancora di più i pugni.
“Sei sicuro?”
“Sì.”
“Allora proclamalo pubblicamente.” esclamò infine Jackson. “Entra al party e urla a tutto il mondo che Frocio Strambo Holmes ha provato a baciarti. Altrimenti potrei entrare io al party e dire che vi ho visto baciarvi. A te la scelta, Johnny. E non ti servirà il tuo paparino militare, stavolta.” Si volse verso i suoi compari, un sorriso vittorioso sulle labbra. “Ti aspettiamo con ansia dentro. Hai dieci minuti.” E detto questo, scomparvero tra gli alberi del giardino.
Sherlock rivolse un’occhiata allucinata in direzione di John. “Che significa quello che hai detto?”
“E’ la verità, Sherlock. Non sono gay e, di nuovo, non sono stato io a baciarti. Quello che intendevo dire era che forse, forse avrei potuto dimenticare la tua… condizione e continuare come se niente fosse, ecco quello che intendevo.” Si passò una mano sul viso e pestò ripetutamente a terra, ringhiando di frustrazione. “Se lo scopre la scuola… Che razza di figura ci farò, eh!? Ci hai pensato mentre provavi a ficcarmi la lingua in bocca? O ti fregava soltanto di dare soddisfazione al tuo spirito ninfomane!?”
“John…”
“Abbiamo chiuso, Sherlock.” decretò infine con voce dura. “E adesso scusami, ma ho un annuncio pubblico da fare.”
“Non puoi… non puoi farlo sul serio.”
“E invece sì, Sherlock. Posso. Sei stato tu a rovinare tutto, non far ricadere la colpa su di me.”
Sherlock osservò la schiena di John allontanarsi verso la casa di Moran e avvertì un dolore lancinante all’altezza del petto. Si portò una mano lì dove stava il cuore e crollò a terra, scosso da fitte lancinanti.
Che succede?
Succede che hai il cuore incrinato, Sherlock.
Avrebbe voluto chiedere ulteriori chiarimenti, ma una nuova scarica di dolore lo animò da capo a piedi e si trovò a mordersi la lingua per non strillare di dolore. Si trascinò in strada e fermò un taxi, cadendo pesantemente sul sedile posteriore. Comunicò all’autista l’indirizzo di suo fratello e si stese sofferente sui sedili di pelle, ignorando le domande del tassista. Stava male. Non si era mai sentito così. Stava piangendo. Rivedeva John, avvertiva il tocco leggero delle sue labbra, udiva i suoi ringhi rabbiosi, osservava la sua figura allontanarsi. A quell’ora, tutti avrebbero saputo che Frocio Strambo Holmes aveva una cotta per il suo migliore amico. Si rannicchiò su se stesso e singhiozzò sommessamente, sperando che con le lacrime quel dolore incontenibile si sarebbe, appena, affievolito.
 
John’s POV. I giorni volano quasi senza che io me ne accorga. La Nuova Zelanda è meravigliosa e il nostro hotel si affaccia sul mare. Ogni mattina, al mio risveglio, una gradevole aria di mare sbuffa attraverso le tende della grande portafinestra che dà sul terrazzo. Sherlock è spensierato, finalmente incline a parlare più spesso, mangia addirittura regolarmente, sebbene poco. L’aria salmastra gli fa bene, il suo colorito pallido è appena poco più abbronzato e il suo sorriso è più luminoso, meno malizioso. Tra l’altro, ha ormai acquisito l’odore di iodio: ogni volta che ci troviamo vicini, posso sentirne il profumo tra i suoi ricci spumosi e un sorriso dolce mi coglie sempre impreparato quando mi trovo ad annusare con tale trasporto il mio coinquilino. Le nostre camere sono adiacenti, la mattina ci svegliamo di buon’ora – o forse io mi sveglio, visto che non sono sicuro dorma la notte – facciamo colazione assieme e poi andiamo in spiaggia, dove lui se ne sta rintanato sotto l’ombrellone per paura di scottarsi a causa del suo incarnato delicato. Un giorno, sono persino riuscito a trascinarlo in acqua, prendendolo di peso e tuffandomi assieme a lui da uno scoglio. Quando è riemerso, sono, ovviamente, partiti gli insulti e gli anatemi nei miei confronti, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare in quel momento era a quanto fosse bello con i ricci pesanti d’acqua che gli ricadevano dispettosi sugli occhi appena arrossati dal sale. Poi ha cominciato a schizzarmi e a cercare di affondarmi col suo peso che non è neanche paragonabile al mio, abituato all’addestramento militare. Ma quando mi ha preso per i fianchi e mi ha tirato sottacqua, ho creduto di morire davvero, per l’emozione, l’incredulità, la gioia. Avvolto dall’abbraccio del mare, mi sono ritrovato a fissarlo con gli occhi appena sgranati, a contemplare il suo aspetto angelico e sereno, quello che ormai ritenevo morto e sepolto dopo la nostra separazione, tanti anni fa. E anche lui mi guardava, i suoi occhi erano dolci, l’ombra di un sorriso gli piegava le labbra e avrei voluto tirarlo a me e baciarlo, chiedergli perdono ancora una volta, e maledirmi ancora una volta per aver rinunciato, tanto tempo fa, a lui, atterrito da quello che la gente avrebbe potuto pensare di me, di come mi avrebbero giudicato tutti. La magia finì quando entrambi dovemmo risalire per riprendere fiato, ma forse non era davvero così finita, perché Sherlock rideva, la testa rovesciata all’indietro per inspirare più aria. Ed era bello, il mio Sherlock.
Questa è l’ultima sera. Domani saliremo sull’aereo diretto a Londra e riprenderemo la nostra vita. Mi chiedo se questo clima leggero e spensierato continuerà anche tra le mura del 221B, mi chiedo se Sherlock riprenderà a proteggersi chiudendosi dietro una maschera di fredda indifferenza, mi chiedo se riuscirò a sopportare questa voglia di stargli accanto nonostante la lontananza. Era così pure per lui? Quando eravamo ragazzi, anche lui doveva trattenere l’impulso di prendermi per mano, abbracciarmi, baciarmi? Anche lui aveva paura di rovinare tutto solo osando un po’ di più? La sera della festa di Moran mi ritorna in mente, mi schiaffeggia: non era lui ad avermi baciato, ero io quello ad averlo fatto, perché anche io lo amavo, probabilmente non nel modo in cui lui amava me. Il mio sentimento era troppo debole a causa di tutti quei pregiudizi con cui la società mi aveva infarcito la testa. Sherlock era pronto a rischiare, io no. Io avevo cercato di soffocare quello che provavo, quello che cresceva in me ogni giorno, quel cuore chiacchierone, quel cuore che mi portava a fare cose che non volevo, come rispondere al bacio di Sherlock, quella notte, e infilargli le mani sotto la camicia per avere di più di un semplice gioco di lingua. Quando poi si era palesato ai miei occhi, non ero più riuscito ad accettarlo. Lo avevo scacciato, oppresso, gli avevo chiesto di sparire, ero così frustrato e disperato da quello che sentivo che, un giorno come un altro, mi risvegliai e il mio cuore, semplicemente, non c’era più. Tutto perché non volevo espormi per stare con la persona che amavo.
Mando giù l’ennesimo bicchiere di Martini per soffocare quei ricordi bui. Mi volto verso il posto al bancone accanto al mio, ma lo trovo vuoto, e quando sento applausi e gridi rapiti lancio un’occhiata alla pista da ballo del Resort in cui alberghiamo. Sherlock sta ballando al ritmo di musica, muovendo il suo corpo magro, alzando le braccia in alto e ancheggiando. Chi osserva da fuori, lo ammira, chi danza a sua volta lo invidia o cerca di avvicinarglisi. Scorgo un paio di ragazze scuotere i sederi contro di lui, mentre la sua risata muta, che non riesco a udire per la musica, si diffonde. Sbatto il bicchiere di Martini con violenza e mi alzo, facendomi spazio tra la calca urlante e sudata, i miei occhi fissi su quella testa riccioluta.
Sherlock… Sherlock… Sherlock…
Adesso è un tipo strambo, abbronzato, muscoloso a ballare vicino a lui. Muove i suoi lunghi capelli castani in modo che solletichino il viso di Sherlock. Serro le mani in due pugni rabbiosi. Non lascerò che nessuno me lo porti via. Quando vedo il tipo in questione prendergli i fianchi, pesto il piede a terra e con un ultima sgomitata arrivo nel punto dove si trovano loro. Mi avvicino a Sherlock, che nel frattempo ha allacciato le mani dietro al collo dello sconosciuto, gli prendo un polso e lo tiro verso di me con fare possessivo.
“Spiacente bello. Lui è già impegnato.”
Il tizio mi rifila un’occhiata torva, ma alla fine se ne va, cercando qualche altra preda da catturare. Sherlock è troppo ubriaco per connettere, infatti appena mi volto nella sua direzione, lo trovo che ha ripreso a ballare, nonostante lo stia ancora tenendo per un polso.
“Dai, John! Buttati!” urla per sovrastare la musica.
“Io… Non sono esattamente portato per-”
Ma Sherlock mi tira a sé, prendendomi entrambe le mani e incoraggiandomi a seguirlo nel suo ballo caotico ma bellissimo. Ha gli occhi dolcemente chiusi e le labbra aperte in un sorriso rilassato e terribilmente brillo. Lui danza senza neanche sapere che diavolo di tortura mi infligge permettendomi di stargli così vicino. Forse avrei dovuto lasciare che se lo prendesse quel tizio, perché tanto so che non potrò mai averlo: la mia occasione l’ho sprecata tanto tempo fa, entrando in quella sala da ballo e urlando a tutti che Frocio Strambo Holmes voleva scoparmi invece che John Tre Continenti era innamorato del suo migliore amico. E lo è ancora.
Sherlock, improvvisamente, mi si avvicina, azzerando quasi totalmente la distanza, il suo corpo sudato e snello premuto contro il mio e si piega su di me, articolando poche, flebili parole in un sussurro.
“Andiamo in camera mia?”
Il suo tono basso, ansante, mi rabbrividire di piacere e devo impormi di staccarmi da lui per mantenere il controllo sul mio corpo. Prendo un respiro profondo, attendo istruzioni dal mio cuore, cerco di contenere l’effetto incontrollabile delle sue parole, ma non faccio in tempo a raccogliere le idee che la sua mano si serra attorno alla mia e mi trascina via dalla pista da ballo, correndo verso la hall e poi sulle scale, fino ad arrivare alla sua camera. Non appena la porta si apre, mi tira dentro, dove l’oscurità è spezzata dalla pallida luce della luna che filtra attraverso la portafinestra.
“Sherlock, noi non-”
Ma lui mi zittisce con un bacio appassionato, rabbioso, mi morde il labbra inferiore e mi obbliga a schiudere le labbra, lasciando che la sua lingua si intrecci con la mia e cominci a giocarci come due serpenti. Per pochi istanti di lucidità penso che non andrà a finire bene, che Sherlock è ubriaco e io anche, che domani ci sveglieremo e ci pentiremo di quello che avremo fatto, che la nostra amicizia, di nuovo, verrà rovinata da sentimenti infidi e indurabili, ma poi subentra l’adrenalina, l’eccitazione, la voglia di fare l’amore con Sherlock, la paura che questa sia l’ultima occasione per averlo. E così lo sollevo di peso, lui intreccia le gambe attorno al mio bacino, facendomi sospirare tra i suoi capelli mentre lo accompagno fino al suo grande letto. Mi stendo sopra di lui, baciandogli il collo, ma poi, come impaurito, ritorno alle labbra e mi limito ad esplorargli la bocca. La verità è che ho paura. Paura di lasciarmi andare, paura di ferirlo, paura di perderlo. Sherlock, dal conto suo, mi spinge contro di sé e sussurra il mio nome con tono roco e quasi implorante, baciandomi il collo e mordendomi la pelle. Fatico a mantenere le briglie della passione, ma non so come comportarmi. Fare l’amore con lui è quanto di più bello io abbia mai sognato, ma mi sembra così sbagliato farlo da ubriachi con tutti i trascorsi ancora non totalmente chiariti e con così tante parole da rivelarci a vicenda. Chiudo gli occhi. Glielo dirò. Domani gli dirò quello che provo. Forse si spaventerà, rimarrà confuso… ma sono certo che il destino, cosa a cui mai ho creduto, deve essere intervenuto apposta. Dopo tutti questi anni, tutte le difficoltà, come possiamo ritrovarci abbracciati insieme su questo letto, senza che voglia dire qualcosa?
Gli sbottono la camicia e cominciò a passargli la lingua sulla pelle chiara, gioco col suo capezzolo e lui si inarca sotto di me, afferrandomi per la maglietta e tirandomi contro di sé per baciarmi e far aderire i nostri bacini caldi. Sherlock si sfila via i pantaloni e intreccia nuovamente le gambe attorno al mio corpo baciandomi con trasporto e voracità. Non ho mai desiderato nessuno come desidero lui. Ci spogliamo a vicenda, eliminando le barriere che tengono le nostri pelli separate. Quando mi accosto a lui per fonderci assieme, mi chiedo se è davvero quello che il vero Sherlock vuole. Mi chiedo se voglia davvero fare l’amore con me, se davvero voglia essere lui quello a ricevere il mio corpo, se davvero voglia me.
“Scopami.” mi sussurra con disperazione e allora cedo.
Quando i nostri corpi si uniscono lascio finalmente volar via ogni pensiero e mi godo il piacere, la gioia, l’amore. Chiudo gli occhi accogliendo i suoi gemiti nelle mie labbra e infine, esausto, giunto ormai al culmine mi scanso e lo abbraccio.
“John?”
“Sì?”
“Io… voglio ricominciare ad amarti.” Il mio cuore perde un battito. “Voglio farlo davvero, ma ho troppa paura… Non farmi del male, John. Non farmene più.”
Gli bacio la tempio sudata, sorridendo. “Mai più, Sherlock. Te lo prometto.”
E bastano pochi secondi perché si addormenti, ancora nudo, tra le mie braccia. E vorrei che fosse sempre così. Sempre io e lui contro il resto del mondo.
 
Sherlock’s POV. Mi sveglio gemendo di dolore. Il mio intero corpo è intorpidito, scosso da piccole scariche elettriche. Avverto un fastidio insolito nella zona in cui a volte ho ospitato tracce di altri corpi, ma non amo troppo fare quello passivo, soprattutto da ubriaco. Mi passo una mano tra i capelli, cercando di recuperare qualche brandello dei miei ricordi, ma è tutto nero, confuso. Mi guardo intorno, chiedendomi con chi mai io abbia passato la notte e, soprattutto, a chi ho concesso di possedermi. Mi guardo intorno, scorgendo sul pavimento i vestiti che indossavo la scorsa notte. In bagno, l’acqua della doccia tace improvvisamente. A quanto pare il mio visitatore non si è fatto problemi a fare come se fosse a casa sua. Mi alzo, ancora svestito, e mi preparo ad accoglierlo con lo sguardo freddo e la porta della mia camera aperta. Lancio uno sguardo all’orologio, controllando che non sia tardi, ma con mio sollievo mi rendo conto che sono nei tempi. Mi chiedo se John abbia già preparato tutto, perfettino com’è. John. Il suo pensiero è luminoso, chiaro, per qualche ragione doloroso. Chissà cos’avrà fatto stanotte, lui. Magari è stato con qualche tipa del resort o magari si è semplicemente allontanato stufo del chiasso e della gente. Per qualche ragione, spero nella seconda. Mi avrà visto allontanarmi con… chissà chi? E se così fosse, cos’avrà pensato…
Scaccio quelle domande dalla mia mente, dicendomi che non mi deve importare di quello che John pensa. In mio soccorso, giunge il mio misterioso ospite che apre il più silenziosamente possibile la porta del bagno. E’ una sciocchezza, ma mi fa sorridere appena la premura con cui sta facendo questo, probabilmente crede che stia ancora dormendo e non vuole svegliarmi. Incrocio le braccia al petto, preparandomi ad affrontarlo con tutta l’arroganza che ormai ho imparato a sfruttare, ma appena la porta si apre completamente, rivelando quella figura, ogni sicurezza crolla.
Capelli biondi umidi di doccia, occhi indaco, naso all’insù, postura militare. Davanti ai miei occhi sbigottiti, compare la sagoma di John, intento a tamponarsi i capelli con un asciugamano, avvolto solo dall’accappatoio che il resort ha fornito a entrambi.
“Oh, sei sveglio.” esclama con trasporto mentre un sorriso luminoso gli rischiara il viso. “Scusa, non volevo svegliarti…”
Il suo tono diminuisce d’intensità nel momento in cui i suoi occhi si abbassano dal mio viso per scorrere sul mio corpo nudo, soffermandosi un secondo di troppo sulla mia intimità. Di riflesso, balzo indietro e strappo violentemente il lenzuolo via dal letto, avvolgendomici dentro.
“Che significa?” sputo improvvisamente sulla difensiva cercando di distogliere la sua attenzione dal rossore che avvampa sulle mie guance, in testa un’unica frase: John mi ha visto come non mi avrebbe mai dovuto vedere. “Che ci fai qui?” Poi un’idea mi balena in mente.
“Oh, ecco… La doccia della mia stanza era fuori uso quindi stamattina sono sgattaiolato in camera tua e me la sono fatta qui.”
I miei occhi si ristringono appena, scrutandolo dubbiosi. “Sul serio?”
“No, anche se chiunque avrebbe potuto farlo visto che, nella foga, hai lasciato la porta della camera schiavata.”
“Che vuoi dire con nella foga? I-io… cosa sai esattamente della notte scorsa?” Vedo i denti di John mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore, ma non c’è imbarazzo o pentimento nelle sue iridi, quanto un curioso divertimento. “No…”
“Sì.”
“No… Non-non può essere, sono stato… Cristo!” comincio a imprecare, ma dopo poco John mi raggiunge, prendendomi per le spalle e avvicinandosi timidamente a me.
“Ascolta, lo so che avrai tante domande e tanti dubbi su quanto è accaduto, ma adesso fatti una bella doccia e prepara le valigie. Una volta a casa potremmo parlarne meglio.”
Parlarne meglio? Di che cosa vuoi parlare esattamente, John? Di una mera scopata da ubriachi?”
Il suo sguardo rimane rilassato mentre mi sorride bonariamente. All’improvviso, si sfila l’accappatoio di fronte a me ed incomincia a vestirsi tranquillamente, senza dar peso alla mia espressione sconcertata.
“C-che diavolo stai facendo?”
“Andiamo, Sherlock, direi che dopo ieri notte abbiamo più o meno le idee chiare su come siamo fatti senza vestiti, no?”
“I-io… Eravamo ubriachi.” replico distogliendo lo sguardo.
“Un po’, ma credo che da un lato un pizzico di coraggio liquido servisse.”
Scoppio a ridere, puntando nuovamente i miei occhi su di lui, che ora mi guarda inarcando un sopracciglio. “Scherzi? Mi stai parlando come… Che cosa credi succederà dopo stanotte, John?”
Lui scrolla le spalle e si infila la maglietta con i fiori di ribes che ha comprato dal venditore ambulante in spiaggia due giorni fa e che ha indossato per l’ultima serata. “Non lo so, per questo dovremo parlare, prima o poi. Chiarirci e capire da dove iniziare.”
“Iniziare cosa?”
“Una relazione, Sherlock.”
Scuoto la testa con un sorriso incredulo. “Oh, John. Sei davvero incredibile. Credi che quello che è successo tra noi significhi qualcosa?”
“Siamo stati insieme, Sherlock, stanotte.”
“Con quante ragazze te la spassavi al college, John, senza che i tuoi rapporti significassero qualcosa?”
Il suo viso si adombra e si ferma in mezzo alla stanza, gli occhi puntati su di me. “Credi davvero che andrei a letto col primo essere umano che mi capiti a tiro?”
“Non lo so, John, dimmelo tu.”
“Cristo, Sherlock, solo perché in passato ho commesso degli errori non vuol dire che non sia cambiato in vent’anni! Credevo fossimo ormai chiari su questo punto.”
“Oh, fantastico, quindi mi stai dicendo che…”
“Che non vado a letto col primo essere che respira solo per qualche bicchierino di troppo!”
“Beh, io sì!” sbotto di rimando e lui tace, fissandomi con orrore. “Io sì, John, lo faccio. Non so come siano andate le cose ieri sera, ma non ha significato assolutamente niente per me. Potevi esserci tu come poteva esserci il ballerino di flamenco che si è esibito l’altra notte.”
“Non puoi dire seriamente.”
“Ne sei certo?”
John stringe i pugni, un’aria di impotenza dipinta sul suo viso. “Hai detto una cosa, ieri notte, Sherlock. Hai detto… hai detto…”
“Che cosa, John? Ti ascolto.”
“Hai detto che vuoi amarmi di nuovo e mi hai chiesto di non farti più del male.”
Sgrano gli occhi e stavolta sono io quello preso in contropiede. Ho detto davvero questo? Cazzo, mi sono davvero spinto fino a questo punto? L’ebbrezza mi ha davvero dato la forza e la stupidità per confessargli questo?
“Tutti diciamo cose del genere a quelli che ci stanno facendo un pompino o peggio. Ripeto, non significa niente quello che c’è stato ieri notte né tantomeno quello che ti ho detto.” John si abbandona sulla poltrona di fronte al letto, le mani sul viso. Come può importargli tanto? Mi fa rabbia vedere quanto dolore gli sto infliggendo, perché avrei voluto che tutto questo me lo dicesse anni fa, prima di mandare in pezzi il mio cuore e rovinarmi per tutta la vita. La sola idea che fra noi possa nascere qualcosa è impensabile e stupida. E’ troppo tardi, il passato è passato, il presente è oggi. Niente cambia.
Mi alzo, sempre avvolto dal lenzuolo e mi dirigo verso la porta, aprendola e mostrandogliela con un ampio gesto del braccio. “Ci vediamo, John. Non ti dispiace partire col volo successivo, vero? Preferirei arrivare per primo a Baker Street e preparare tutto.”
“Preparare cosa?” mi chiede con voce sconfitta mentre si alza e mi si avvicina.
“Le valigie con le mie cose. Lascerò il 221B non appena sarò tornato.”
Il suo sguardo mi implora di ripensarci, di riconsiderare questo piano che di certo considera folle. “Sherlock, ti prego, non mandiamo tutto a puttane una seconda volta.”
“Mi spiace, John, ma stavolta non sono io il responsabile. Non sono io a volere di più. E ora, se vuoi scusarmi, devo sbrigarmi a prendere il mio volo. Mycroft farà in modo di cambiare i dati del tuo biglietto in modo da farlo valere per il volo di mezzogiorno anziché per quello delle dieci. Ah, e non penso ci rivedremo. Ti auguro tante belle cose.” Sono freddo, così freddo che mi faccio schifo da solo, così freddo che il volto di John è ferito, sanguinante, posso scorgere l’ombra di una lacrima al lato del suo occhio destro. Ma la freddezza è la mia unica arma, l’unica cosa su cui, ora come ora, posso contare.
“Sherlock.” mormora ancora John, ma non gli lascio tempo di continuare, sarebbe troppo doloroso. Lo spingo fuori dalla stanza con un movimento deciso e mi chiudo dentro, inchiavandomi a doppia mandata, così come avrei voluto essere in grado di fare con ciò che resta del mio cuore. Eppure lui è riuscito, ancora una volta, ad entrare, a stanziarsi, a comandare. Solo ora capisco che finché vivrò accanto a lui non sarò mai in grado di avere pieno controllo su me stesso, perché sarei un burattino nelle sue mani. Lui, su di me, può tutto, così come poteva tutto quando avevamo diciotto anni.
Appoggio la nuca all’anta della porta e mi sento morire al pensiero di lasciarmi tutto alle spalle: Baker Street, Mrs Hudson, Speedy. E John. Che cosa potremmo mai costruire insieme? Siamo due orologi rotti che insieme non riescono a farne uno buono. Farebbe solo male. Il passato tornerebbe a galla, perché ritorna sempre, e allora ho paura di poter riprendere ad odiarlo o farlo allontanare di nuovo. Meglio così. Meglio ognuno per la sua strada. Lui è bello, meraviglioso, troverà qualcun altro a cui affidare il suo cuore. Io morirò da solo come è giusto e come voglio. Lontano da John Watson e dal suo cuore.
Sher… lock.
Spalanco gli occhi e mi guardo intorno, allarmato. Potrei giurare di averlo sentito. Una vocina flebile, ma c’era… C’era, ne sono sicuro… C’era, vero? Mi porto una mano al petto, attendo, cerco nuove note cristalline, ma è solo il silenzio a regnare.
Mi accascio a terra, la testa tra le mani, e vorrei piangere, vorrei non aver perso la capacità di versare lacrime, vorrei avere la parte più umana del mio cuore che mi consenta di lasciarmi andare, ma non posso. Sono vuoto. Uno sarcofago senza mummia. Affondo il viso contro le gambe e ringhio di disperazione, mordendo il lenzuolo finché non sento i miei denti stridere e un sapore acre e dolciastro insieme in bocca. Sangue.
Non ho ricordi della notte condivisa con John. Non ho ricordi dei suoi baci, del suo calore. Non ho ricordi del suo corpo nel mio, dei suoi sussurri. Non ho ricordi di quell’amore che John Watson è convinto abbiamo condiviso quella notte. Ridacchio amaramente, perché, come al solito, ho rovinato tutto. La colpa è mia, stavolta. Sono io quello che ora ha paura e retrocede. Sono io quello a farlo soffrire e a farmi soffrire. E nell’amarezza di questo mattino di Giugno, penso che almeno, se separati, avrei voluto portare con me un qualche cosa di lui, di noi nel mio Palazzo Mentale. Non ho ricordi, nemmeno frammenti. Non ho un cuore. Sono vuoto. Solo e vuoto.

SPAZIO AUTRICE
Mamma mia che capitolo... Poi, se la gente mi dice che sono sadica, ha perfettamente ragione, perché naturalmente non posso lasciarli in santa pace per un po'. Dunque, in questo capitolo doppia sofferenza vs una gioia, se vogliamo ritenerla tale, visto che in realtà, a quanto pare, non li condurrà all'happy ending. Però, dai, almeno un po' di soddisfazione l'hanno avuta loro ma l'avete avuta anche voi dopo tutti questi capitoli di amore non corrisposto, iniziale odio, frecciatine... Mi sto rendendo conto di quanto doloroso possa rivelarsi leggere qualcosa scritto da me.

Ad ogni modo, penultimo capitolo di questa mini long-fic che spero stiate apprezzando (siete in tantissimi a leggere, vi ringrazio davvero di cuore) e un grazie speciale anche a chi recensisce perché... cioè, è troppo bello leggere quello che pensate e mi fate sentire special!! Lov u all.

Anyway, lunedì ultimissimo capitolo... Che cosa ci riserverà il futuro nessuno può dirlo, anche se gli incidenti in aereo potrebbero essere sempre dietro l'angolo... NO, SCHERZO, SCHERZO, NESSUN INCIDENTE. O almeno, in teoria... Basta col terrorismo letterario! Vi auguro una buona settimana - fra poco ricomincia la scuola e io mi voglio sparare o anche sparare contro un muro - e godetevi questi splendidi giorni di settembre!!! Alla prossima settimana!

*kiss*
Alicay_Barbix
   
 
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