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Autore: Saelde_und_Ehre    03/09/2018    0 recensioni
[Questa storia è uno spin-off di "Das Lied der Vergessenen Helden". È ambientata tra i venti e i dodici anni prima dell'inizio delle vicende narrate nella suddetta storia e riguarda un personaggio non inserito nella trama principale, pertanto può essere letta senza temere spoiler.]
Il conte Friedrich von Peilstein detto Langschwert, è un giovane cavaliere austriaco rinomato in patria per la sua vita avventurosa e ricca d'azione. Alla corte viennese egli è ricordato, insieme a suo fratello Siegfried, per aver giocato un ruolo decisivo durante le guerre tra Sacro Romano Impero e comuni italiani.
Le fanciulle sospirano nell'udir decantare le sue prodezze, i giovani cavalieri cercano di emulare le sue gesta.
Ma dietro tutto questo, si nasconde un uomo come tanti altri…
*ATTENZIONE: la storia, originariamente concepita come una one-shot, è stata divisa in tre parti
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sælde und êre'
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Regnum Italiae, A.D. MCLVIII

A novembre dell'anno del Signore 1158, i cavalieri germanici si lasciarono alle spalle una lunga e penosa avventura che li aveva tenuti impegnati nelle terre italiche dalla Pentecoste di quello stesso anno. Dopo una serie di scaramucce che andavano avanti da un lustro, e sollecitato da altri comuni e alleati lombardi stanchi delle angherie dei milanesi, l'imperatore Federico aveva deciso finalmente di marciare contro la più potente città del Regno d'Italia [11], alla testa di un esercito di cinquantamila soldati.
Erano stati mesi duri per entrambi gli schieramenti: gli italiani, vessati dai saccheggi sistematici operati dall'esercito imperiale e dal peso della spada che si sarebbe abbattuta su di loro in caso di sconfitta, i tedeschi costretti a guardarsi le spalle a ogni passo, lontani dalle mogli, dai figli, dalle loro terre.
Alle porte di Brescia, l'imperatore aveva tuonato la sua sentenza: "Non la brama di potere ci muove alla guerra, ma l'ostinazione dei ribelli. Milano vi ha tolto alle case paterne, vi ha strappato alle mogli e ai figli e ha attirato su di voi questo flagello. Che la città nemica non creda che noi siamo passivi, né ci consideri degeneri perché vogliamo conservare quello che i nostri antenati, Carlo Magno e Ottone, aggiunsero ai diritti dell'impero."
Avevano raso al suolo Brescia e ricostruito Lodi; subito imboscate dai milanesi e saccheggiato per rappresaglia le campagne padane; catturato ostaggi, perso dei valorosi guerrieri, messo i consoli milanesi al bando, dichiarando guerra alla città, per essersi rifiutati di presentarsi al processo presieduto dall'imperatore.
L'urbe mediolanense era stata accusata, oltre che di aver fomentato i dissidi tra le città della pianura lombarda e istigato la ribellione contro l'imperatore, anche di aver usurpato le regalie [12], da tempo lasciate decadere per consuetudine contraria e concentrate nelle mani dei consoli.
Ma gli orgogliosi lombardi non si erano lasciati intimidire dalle minacce, e quando l'imperatore aveva cinto d'assedio la città, forte del sostegno di oltre un centinaio di migliaia di uomini giunti in suo sostegno dalla Germania e dalla penisola italica, essi, poco più che cinquantamila sbandati raccolti dalle campagne e dalle borgate limitrofe, avevano affilato le armi e si erano preparati a resistere.
Così, si erano trovati assediati dalle città italiche, mosse dall'astio verso i loro fratelli di stirpe, dalla Lombardia, dalla Tuscia, dalla Romagna, dalla Marca Veronese… e mentre Barbarossa prometteva che li avrebbe puniti, costoro gridavano a gran voce invocandone il totale annichilimento.

Più e più scontri violenti si erano susseguiti durante i mesi dell'assedio.
Una notte, il campo di Konrad von Hohenstaufen, conte palatino del Reno, fu assaltato col favore dell'oscurità e molti soldati furono sgozzati nel sonno, e il sangue sarebbe scorso a fiumi se il re Vladislav di Boemia, destato dal trambusto, non avesse immediatamente dato l'allarme e ordinato un contrattacco, mettendo in fuga i nemici. Subito scoppiò un immane tumulto, e Otto von Wittelsbach conte palatino di Baviera incalzò i milanesi fino a un ponte di legno, ordinando ai suoi uomini di dargli fuoco per attirarli fuori e vendicarsi dell'affronto subito.
Dopo quella notte, nessuno era più riuscito a chiudere occhio, e per giorni i superstiti erano rimasti in attesa del sorgere del sole con le armi in pugno e gli occhi spalancati.
Giorni dopo la stessa sorte era toccata all'accampamento austriaco, ma la sortita fu sventata, sfociando immediatamente in uno scontro armato. Per molti mesi, a Friedrich era rimasto impressa l'espressione sconvolta sul volto di Ludwig mentre lo scuoteva brutalmente per esortarlo a svegliarsi, mentre Siegfried, già armato e fuori dalla tenda, schioccava ordini ai suoi armigeri con la spada sguainata e la voce impastata dal sonno. Allora, Friedrich aveva indossato l'armatura, aveva imbracciato le armi e insieme a Ludwig si era gettato nella mischia, ruggendo di rabbia al passaggio degli assalitori.
A ventisette anni, Siegfried von Peilstein era già uno dei più valenti comandanti di tutta l'Austria, uno di quegli uomini che non si davano un contegno da condottieri, né desideravano esserlo, ma la cui sola presenza bastava a infondere fiducia ai soldati esortandoli a seguirli. Anche Friedrich si fidava del fratello, fulgido esempio di valore militare e virtù cavalleresca, ed era ben lieto di affidargli le azioni di comando mentre egli e il suo inseparabile compagno si occupavano delle missioni più pericolose, dando prova di coraggio e ardimento.

Tra fatti d'arme, sortite, azioni di disturbo, assalti alle mura e saccheggi, l'assedio continuava, né vi era cenno di resa da parte degli ostinati difensori.
I bavaresi, al comando del conte palatino, si erano trovati ad assaltare, tentando di distruggerla, un'antica torre posta vicino all'Arco Romano e presidiata da una quarantina di uomini. Tra di loro vi erano anche il conte Eberhard von Thann, i suoi fratelli e la donna di cui egli era innamorato, Kunigunde von Abenberg. Era costei una donna d'arme, indomita e coraggiosa, che proprio durante i giorni dell'assedio alla torretta aveva rischiato di rimanere uccisa da un dardo che le si era conficcato tra gli anelli dell'usbergo.
Durante un altro fatto d'arme, anche il fratello del conte, Adalbero, era stato gravemente ferito, e per mesi aveva temuto di rimanere menomato o storpio.
Infine, grazie alla forza persuasiva di un tale Guido da Biandrate, scaltro militare e nobiluomo lombardo, i milanesi giunsero a proporre agli assedianti una tregua, ché gli stenti e le malattie falcidiavano la popolazione dell'urbe più che le lame delle spade. Si giunse dunque a un accordo, mediato dal duca d'Austria e dal re di Boemia, e la città giurò sottomissione.

Ma i cavalieri tedeschi sapevano bene che quella non sarebbe stata altro che una breve tregua, che avrebbe permesso ai milanesi di ricomporsi e fortificarsi.
Tuttavia, i patti erano patti, e non potevano essere infranti; dunque si decise di congedare la gran parte degli alleati tedeschi e italici, e il vessillo imperiale fu innalzato sulle mura della riottosa Milano.

L'atto conclusivo di quell'avventura oltralpe fu suggellato con la dieta di Roncaglia, dove l'imperatore, con l'aiuto di quattro eminenti glossatori e giuristi bolognesi, ribadì la supremazia del potere imperiale su ogni altro potete secolare, proibì le guerre private tra città e rivendicò tutte le regalie che i comuni lombardi avevano lasciato decadere per forza o consuetudine, assumendosene il diretto controllo.
Mentre Siegfried era partito insieme ai primi di loro che varcarono le Alpi, smanioso di rivedere la moglie e il figlio di pochi mesi, Friedrich von Peilstein e Ludwig von Schaunberg si erano trattenuti col seguito imperiale, e ne avevano approfittato per gironzolare di corte in corte, ammirando al contempo le meraviglie naturali che l'Italia aveva da offrire.
"Se questa terra non fosse vessata da così tanto astio e conflitti tra fratelli di stirpe... ez waere ein vil schoeniu lant [13]", disse Friedrich, mentre ammirava la campagna lombarda dalla sommità di una torre.
Si trovano su un castello edificato sull'orlo di uno spuntone roccioso, ai piedi del quale scorreva un fiumiciattolo costeggiato da fitti boschi, spogli e tinti di giallo dall'autunno inoltrato, e al di là di esso campi sconfinati che si perdevano nella caligine così tipica di quelle terre.
Ludwig lasciò che una folata di vento gli scompigliasse i capelli, e Friedrich non poté fare a meno di perdersi a guardarlo: i capelli arruffati e il naso arrossato dal freddo, uniti all'espressione beata che addolciva i suoi lineamenti, gli conferivano un'aria da ragazzo, e il grigiore del cielo si rifletteva nei suoi occhi rendendoli brillanti come argento.
"È così, mîn friunt [14]", osservò l'altro, appoggiando i gomiti sul parapetto. "E quest'aria, frizzante ma non gelida, è molto piacevole…"
Friedrich scivolò accanto a lui, così vicino che le loro spalle si toccavano. "Non senti nostalgia di casa?"
"Sai, ad essere sincero non credo di averla mai sentita tanto da soffrirne. L'Austria è la mia terra e come tale mi sarà sempre più cara di ogni altro luogo al mondo, tuttavia… quando sono insieme a te, il magone svanisce."
Il giovane gli strinse il braccio: era il massimo del contatto che potevano permettersi in un luogo aperto dove c'era il rischio che qualcuno potesse arrivare all'improvviso e vederli. "È la stessa cosa che provo io", disse. "Quando ci sei tu, io mi sento a casa, ovunque io sia."

***

Quando l'esercito imperiale smontò le tende per accingersi a tornare in patria, la loro usuale tendenza ad attardarsi trattenne Friedrich e Ludwig un giorno di troppo a Pavia, città alleata dell'Impero che ospitava un'ottima osteria frequentata abitualmente dai cavalieri tedeschi. Perse ormai di vista le schiere imperiali, provarono a chiedere informazioni in latino al volgo, ricevendo in cambio incomprensibili risposte nel volgare delle loro terre, e si trovarono a vagare per giorni approfittando di qualsiasi occasione, anche la più futile, per ritardare ancora di un giorno la loro partenza: visitavano castelli, chiese e monasteri, che erano anche gli unici luoghi dove qualcuno potesse comprendere il latino; mangiavano e dormivano nelle osterie più rinomate; si godevano quel poco di paesaggio non ancora invaso dalla bruma e dalla neve. Confidando nel fatto che i valichi alpini restavano aperti fino al tardo inverno, quando i due compagni d'avventura si decisero a tornare in Germania era già novembre inoltrato.
Decisero di varcare le Alpi da Mittenwald [15], che era attraversato da un'antichissima strada romana, la Via Claudia Augusta, ancora saltuariamente usata dagli eserciti in transito.
Pareva andare tutto per il verso giusto, quando un'improvvisa tormenta di neve e una valanga li bloccarono completamente in un punto sperduto del pendio montano. Di fronte all'immane sciagura, sferzato dal vento e dalle raffiche di neve, Ludwig von Schaunberg imprecò. La sua voce produsse un'eco distorta, simile all'ululato di una di quelle bestie mitologiche che i bavaresi dicevano si nascondessero tra le montagne.
Friedrich, agghiacciato, strattonò il braccio del suo compagno. "Non urlare!", sibilò. "Rischi di provocare un'altra valanga."
L'uomo inarcò un sopracciglio. "E tu che ne sai?"
"Hai presente l'amico di mio fratello, quello che lo chiama sempre knappe? Nonché marito di mia sorella e padre delle mie graziose nipotine."
"Dici il Richard von Thann?"
Il conte annuì. "Sì, proprio lui. Lui e i suoi fratelli vivono sulle Alpi bavaresi, e una cosa che il volgo ripete sovente, dalle loro parti, è che le valanghe sono provocate dalle grida degli spiriti maligni che infestano gli anfratti più oscuri."
"Non ci crederai mica anche tu?" Ludwig storse il naso. "È tipico della plebaglia ignorante spiegare con la superstizione i fenomeni che non comprende."
Friedrich gli tirò un buffetto sulla guancia. "Magari sono le urla di quelli come te a spaventare il volgo, amico mio", soggiunse, sarcastico.
Il cavaliere non replicò. Si trovavano da soli sul fianco di un pendio scosceso, i piedi affondati nella neve ancora fresca e i fiocchi che danzavano fittamente nell'aria, sballottati qua e là da potenti aliti di vento. Ovunque essi si voltassero, un'immensa parete bianca, punteggiata da abetelli sparuti e rinsecchiti, ostruiva loro la visuale. Friedrich von Peilstein rabbrividì ulteriormente, stringendosi il mantello contro il petto e cercando ancora una volta il contatto col suo compagno.
"Che cosa diavolo facciamo adesso, Langschwert?", borbottò Ludwig.
Il giovane si guardò intorno in cerca di una via d'uscita, ma non ne vide. Passò in rassegna un paio di volte l'ambiente circostante, poi gli parve di intravedere una macchia scura sul fianco della montagna, forse l'entrata di una spelonca. La indicò.
L'altro rise sommessamente. "Una caverna... e magari dentro ci sono quelle strane bestie tanto temute dal volgo!"
"Ludwig, siamo armati", tagliò corto il conte, senza partecipare alla sua ilarità. "E in ogni caso è sempre meglio morire combattendo contro un lindwurm [16] che sepolti vivi sotto una coltre di neve, no?"

Dopo una felice ispezione, si accamparono all'interno della piccola cavità naturale. Doveva essere una specie di rifugio di fortuna per i pastori di montagna, visto che al suo interno vi erano una greppia e una specie di palo a cui legarono le loro cavalcature. Il terreno roccioso al suo interno impedì loro di montare la tenda, ma accesero comunque un fuoco con rami e sterpi secchi, dove misero a bollire una misera fetta di carne salata dentro un pentolino colmo di neve, e accatastarono le coperte e i sacchi a pelo nell'angolo più buio e appartato del loro improvvisato riparo.
Ludwig finì di allestire il giaciglio e si mise a sedere sospirando sull'involto di coperte e guanciali. "Prevedo che quando mi alzerò da qui, la mia schiena sarà a pezzi. Quasi rimpiango le comodità dell'accampamento militare e la tenda che condividevamo col Siegfried."
"Adesso mio fratello ha la Hildegard che gli scalda il cuore e suo figlio che gli rischiara le giornate. Si chiama Friedrich, come me, e i suoi occhi sembrano quasi dorati, come quelli di sua madre..."
"Hai mai... rimpianto... il fatto di non poter avere figli?", gli chiese cautamente Ludwig, dopo una breve pausa.
Friedrich ebbe l'impressione che qualcuno gli avesse conficcato uno stiletto ghiacciato nello stomaco, e si irrigidì. Sapeva che in passato il suo compagno aveva avuto anche amanti donne, e il timore che egli potesse abbandonarlo allettato dalle promesse di una vita normale lo paralizzava ogni volta: a trentacinque anni, un uomo era ancora in tempo per sposarsi e costruire una famiglia. "Mi piace giocare coi figli dei miei fratelli, ma no, non rimpiango nulla. Io voglio soltanto te."
Konrad aveva tre figli, di cui il maggiore, Siegfried, aveva già sette anni e stava imparando a cavalcare, a leggere e scrivere e a maneggiare le spade di legno. I tre nipoti lo adoravano, e Friedrich era a sua volta felice di trascorrere il suo tempo con loro, più per una sua atavica nostalgia della fanciullezza che per istinto paterno.
Ludwig parve impressionato dal tono tagliente del suo giovane amante, e Friedrich ebbe cura di cambiare rapidamente discorso. "Pensare che a quest'ora dovevamo essere alla stazione di posta, dove avremmo potuto rifornirci delle vettovaglie necessarie ad affrontare il viaggio..."
"Non sarebbe stato comunque un viaggio semplice", ammise l'altro. "Ci siamo comportati come due sprovveduti: non dovevamo ritardare così tanto la nostra partenza, e soprattutto dovevamo imboccare il valico più diretto per l'Austria..."
Il conte sospirò. "Quante fette di carne salata ti rimangono nella bisaccia?"
"Altre due. E a te?"
"Due. Più un tozzo di pane raffermo."
"Dovremo razionare il cibo, ché temo che qui non ci sia alcuna possibilità di procurarcene altro."
Mangiarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Sembravano trovarsi in una situazione senza via d'uscita, dove nessuna soluzione dignitosa era possibile. Friedrich si ritrovò a pensare che probabilmente, per sopravvivere, avrebbero dovuto uccidere e macellare almeno uno dei loro due cavalli, e il solo pensiero gli provocò un moto d'orrore.
Fissava il fuoco con aria assorta, e quando Ludwig gli poggiò una mano sul braccio, trasalì involontariamente. "A cosa pensi, Friedrich?"
Il giovane scosse la testa, ma non rispose.
L'uomo emise un sospiro, poi gli circondò la vita con entrambe le braccia, gli scostò i capelli dal collo e li sostituì con le proprie labbra, strappandogli il primo brivido che non fosse di freddo. "Che ne dici se andiamo a scaldarci... in un altro modo?"

***

Nei due giorni successivi, la bufera non concesse un attimo di tregua. Friedrich e Ludwig andarono avanti a razionare il cibo - una fetta di carne e un pezzo di pane a testa come unico pasto del giorno - e a bere neve sciolta al fuoco.
Il freddo pareva farsi sempre più intenso, penetrante, dando l'impressione di insinuarsi fin nelle ossa e nel cuore e cristallizzando lo scorrere del tempo in forma di attimi infiniti. Anche la voglia di parlare, ridere, scherzare, cercare di trarre conforto dalle reciproche attenzioni, andava sempre più scemando, e lo sconforto diveniva padrone assoluto di tutte le altre emozioni.
Dormivano completamente vestiti, avvolti tra le coperte pesanti. Pallidi, tremanti, svuotati di ogni speranza e afflato vitale, si sostenevano l'uno all'altro in silenzio, aggrappandosi con le unghie e coi denti alle ultime forze che restavano loro, determinati a resistere a ogni costo.

"Friedrich." Ludwig era sdraiato accanto a lui, gli dava le spalle, lasciando che il giovane si rannicchiasse tra lui e la parete della grotta. "Se io dovessi morire, tu…"
"Tu non morirai", sbottò il conte, stritolandolo così forte da mozzargli il respiro. "Sei più grosso di me e più abituato a patire il freddo. È più probabile che muoia io… questo freddo mi fa gelare le ossa e il sangue."
Ludwig gli prese le mani piagate e intirizzite dai geloni e le strinse tra le sue. "Provo la stessa sensazione. Friedrich, ascoltami: se io dovessi morire, tu ti ricorderesti di me?"
Il giovane si stupì della gravità di quelle parole.
"Owê, Ludwig", sospirò, la voce distorta da un tremito impercettibile. "Io non riesco neanche a immaginare come sarebbe la mia vita senza di te."
Stranamente, l'uomo si limitò a sospirare a sua volta. Di solito, quando si lasciava prendere troppo dal sentimentalismo, Ludwig lo zittiva con un buffetto e un semplice "non dire idiozie, Langschwert". Già il fatto che egli non avesse alcuna voglia di scherzare la diceva lunga su quanto il suo timore di morire assiderato fosse reale. Gli aggiustò la coperta sulle spalle e si strinse più saldamente a lui per trasmettergli un po' del suo calore. "Te lo prometto, Ludwig, farò di tutto per uscire indenne da questo inferno gelato.Insieme a te."
Ludwig non rispose, sembrava essersi assopito. Friedrich non chiuse occhio per tutta la notte.

Come se avesse udito le preghiere di Friedrich, il giorno seguente la tormenta si diradò, e a un'ora imprecisata del pomeriggio un pallido raggio di sole squarciò la coltre di nubi, diffondendo una vaga luminescenza lattiginosa per tutto l'angusto passo.
Ludwig ne approfittò per andare a raccogliere altri sterpi secchi e ravvivare il fuoco, mentre Friedrich si sedette sul sasso all'entrata della spelonca, ispezionando con attenzione l'ambiente circostante. Improvvisamente, gli parve di intravedere qualcosa muoversi rapidamente tra le macchie di abeti scheletriti. Strinse gli occhi, per non rimanere abbagliato da tutto quel candore, ed ebbe la conferma che ciò che aveva visto non era semplicemente un'allucinazione provocata dalla fame. "Un capriolo!", esclamò, balzando in piedi.
Il giovane conte non riuscì a trattenere il suo entusiasmo, e propose subito al suo compagno di approfittare della clemenza del cielo per avventurarsi fuori alla ricerca dell'incauto visitatore.
Ludwig puntò le mani sui fianchi, scettico. "La neve è troppo alta là fuori, e nasconde i veri connotati del paesaggio. È troppo rischioso, Friedrich."
"Avanzeremo cautamente. Se il mio avviso non m'inganna, non abbiamo molta altra scelta."
"E come pensi di ammazzarlo? Abbiamo solo le spade e i pugnali... sono disposto a sacrificare il mio cavallo pur di..."
"Non se ne parla neanche!", ribatté caparbiamente il giovane. "Andremo a inseguire quel capriolo… e se non vorrai seguirmi, andrò da solo."

Alla fine, Friedrich riuscì a convincere il suo compagno, e pochi istanti dopo erano già usciti allo scoperto muniti di bastoni per saggiare la consistenza del terreno, i piedi affondati nella neve fino a metà polpaccio.
Era una missione avventata, il giovane lo sapeva bene, ma era disposto a tentare il tutto per tutto per sopravvivere a quel terribile flagello, consapevole che se fossero rimasti ancora lì, senza cibo da mettere sotto i denti, si sarebbero presto ammalati.
Avanzavano lentamente, tastando il manto innevato a ogni passo, fianco a fianco per non perdere le tracce della preda. E infine, quando giunti alla macchia di abeti dove Friedrich lo aveva intravisto per la prima volta, scorsero le impronte ancora fresche lasciate dalle sue agili zampe, perfino Ludwig parve rasserenarsi, come se la vista potesse infondergli maggior vigore.
"Tuttavia, Langschwert, ammesso che riusciamo ad avvistarlo… desidererei sapere come hai intenzione di fare per catturarlo…"
Friedrich avanzò di qualche passo, aguzzando la vista nel tentativo di avvistare qualche movimento. "Improvviseremo, amico mio. Non possiamo usare le finezze che useremmo durante una battuta di caccia nel bosco. Dovremo usare l'istinto del predatore: agili come la lonza, bramosi come la lupa, feroci come il leone…" Si arrestò in tronco, indicando un punto tra le rocce e i cespugli. "Eccolo laggiù!"
Ludwig fece una smorfia sarcastica. "Non urlare, Langschwert: rischi di provocare una valanga."
Il conte lo liquidò con una risatina nervosa e avanzò con rinnovata baldanza, tenendo la daga nella destra e il bastone nella sinistra. L'animale sembrava essersi fermato, ignaro della loro presenza, e Friedrich diede al suo compagno l'ordine di dividersi e di avvicinarlo rimpiattandosi dietro le rocce e i cespugli bruciati dal freddo che emergevano come isole desolate in quella landa dimenticata da Dio.
Lo seguirono ancora per qualche passo, poi il capriolo, forse fiutando l'imminente pericolo, si allontanò e si mise guardingo, appollaiato sulla sommità di un basso crinale.
"Maledetto, non possiamo farcelo scappare", ringhiò Friedrich, la mano piagata stretta intorno all'elsa del pugnale.
"Non abbiamo un'esca per attirarlo", osservò l'altro, scoraggiato.
"Ce ne saranno altri in giro! Di solito questi animali stanno in branco. Ci basterà seguirlo per vedere dove si nascondono."
"Friedrich, ti ricordo che non è molto conveniente avventurarci troppo lontano dal nostro rifugio… se dovessimo smarrire la strada, o ancor peggio rimanere bloccati fuori…"
Il giovane abbassò la voce e si voltò verso l'amante, guardandolo dritto in faccia. "Ludwig, tu ti fidi di me?"
L'uomo non fece in tempo a rispondere. Il capriolo, probabilmente senza vederli, fece un rapido giro d'ispezione della conca e si fermò poi a pochi passi dal punto in cui i due erano appostati, annusando un cespuglio.
Friedrich scattò come un veltro. "Langschwert, che cosa diavolo…?" Ignorandolo, il giovane lasciò cadere il pugnale, si slanciò fuori dal cespuglio, afferrò la bestia per le corna e le saltò in groppa con tutto il suo peso, tramortendola con un colpo di bastone.
Ancora frastornato, Ludwig uscì allo scoperto e le tagliò la gola con un tondo di spada, macchiando la neve di sangue scarlatto.
Friedrich si alzò, scrollandosi la neve di dosso, un sorrisetto spavaldo dipinto sul viso. "Adesso ti fidi di me, hêr Ludwig?"
"Non è di te che non mi fidavo", lo rassicurò l'altro, "ma di questa landa infida."

Era un bottino piuttosto parco, ma sarebbe stato sufficiente per sopravvivere, almeno per qualche giorno.
Felici come dopo una battuta di caccia a corte, banchettarono con le carni della magra preda e congelarono il resto sotto un cumulo di neve.

Fine seconda parte.

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[11] Nel XII secolo per "Regno d'Italia" s'intendeva il centro-nord fino alla Toscana, escluse Venezia e la Romagna. Il toponimo "Italia", però, designava l'intera penisola.

[12] diritti di appannaggio esclusivo dell'imperatore, come battere moneta, eleggere consoli, assegnare feudi, riscuotere dazi e pedaggi, amministrare l'alta giustizia ecc. Potevano essere offerti, per concessione, ai vassalli dell'imperatore o alle città libere.

[13] sarebbe una bellissima terra

[14] amico mio

[15] nome medievale del Brennero; da non confondersi con l'omonimo comune bavarese

[16] Drago senz'ali, tipico della mitologia germanica. Un esempio famoso è Fafnir, ucciso dall'eroe Sigfrido (Siegfried).

  
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