Videogiochi > Detroit Become Human
Segui la storia  |       
Autore: Roiben    04/09/2018    2 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

chapter 02. Questionable Solutions



DETROIT

Date

NOV 12TH, 2038


100011101101111011000010101010111011011010101110


HART PLAZA

Downtown

Time

AM 05:32



Gli ultimi devianti vengono scortati sulle camionette della polizia per essere condotti in un secondo momento al campo di smaltimento. Sulla piazza non restano che rottami sventrati, macerie e alcuni corpi di androidi fuori uso che sono stati lasciati indietro in favore di quelli ancora attivi e quindi potenzialmente più problematici.


Un piccolo drappello di uomini, una squadra che non sembra appartenere né a gruppi di polizia né a guardie di alcun tipo conosciuto, sciama fra gli operosi tutori dell’ordine, i giornalisti e i curiosi più irriducibili, osservando con cura gli androidi abbattuti e abbandonati a terra. Apparentemente cercano qualcosa di preciso e, nel momento in cui lo trovano, lo prelevano con discrezione e con esso scompaiono badando a non dar troppo nell’occhio.


100011101101111011000010101010111011011010101110


ZEN GARDEN

Time

AM 07:21



Passeggiano tranquillamente su di un bianco ponte sospeso sul dolce corso d’acqua. La luce ambrata sulla sua tempia lampeggia a tratti mentre i dati degli ultimi avvenimenti vengono accuratamente elaborati e analizzati.


«Sono molto soddisfatta dei risultati che hai ottenuto» assicura Amanda, lo sguardo fisso sul paesaggio fittizio che si estende davanti ai loro passi. «I nostri tecnici stanno già esaminando qualcuno dei campioni prelevati sul posto per individuare il problema e fare in modo che gli ultimi fatti non debbano ripetersi in futuro» spiega con tono tranquillo.


Giunti sull’altro lato della sponda, Amanda si volta lentamente e osserva con attenzione il suo accompagnatore, poi gli fa cenno di seguirla verso un pergolato fiorito.


«E c’è una novità che sono certa potrai apprezzare» prosegue pacata, guidandolo incontro a un rosso reticolo di rose.


Connor solleva lo sguardo e aggrotta appena le sopracciglia, trovandosi di fronte a un secondo androide, in parte simile a sé stesso ma in qualche modo differente. La nuova figura lo squadra senza traccia di curiosità, posando su di lui occhi grigi e fastidiosamente insondabili. È più imponente e non dà l’impressione di provare alcun genere di interesse per la sua presenza lì, ma Connor avverte una sorta di disagio inspiegabile al suo cospetto e, suo malgrado, distoglie lo sguardo spostandolo invece su Amanda a richiedere silenziosamente qualche chiarimento.


«Questo è il nuovo prototipo, un modello più avanzato, come puoi ben notare, certamente più efficiente. Sono certa saprà darci molte soddisfazioni, in un breve futuro. È già piuttosto richiesto, in effetti» assicura, quasi con allegria.


«Un modello più avanzato» ripete piano Connor fra sé, lasciando trapelare lieve preoccupazione. «Questo significa» pondera, in un alacre lavorio di processori «che non ci sarà più bisogno di me» considera con una verosimile dose di certezza.


«Ovviamente è così. Il tuo sistema è attualmente troppo obsoleto per poter far fronte alle nuove esigenze dell’azienda» spiega ragionevolmente.


«Capisco» replica asciutto, riservando un ultimo fugace sguardo all’altro androide. Annuisce seccamente, raddrizza impercettibilmente le spalle e piega appena il capo in gesto di accettazione e congedo. «Con permesso» annuncia, prima di voltare la schiena ai presenti e allontanarsi per andare incontro all’oblio.


100011101101111011000010101010111011011010101110


HANK’S HOME

115 Michigan Drive

Time

AM 01:08


Infilare Connor dentro l’automobile è stato un bell’impiccio, ma trarlo fuori si rivela essere un vero tormento: in un paio di occasioni ha seriamente corso il rischio di staccargli un braccio, incastrato prima fra la cintura di sicurezza e il sedile, e poi fra il cruscotto e lo sportello. “Dannati androidi” borbotta mentalmente, per poi stringere le labbra, scandalizzato dai suoi stessi pensieri. Sta perdendo lucidità, e non c’è molto che possa fare, al momento, per ovviare al problema. E probabilmente sarebbe sconsigliabile attaccarsi alla bottiglia di bourbon, dati i suoi progetti imminenti. Sbuffa irritato, trae un gran respiro e, barcollante si trascina fin dentro casa, badando a non fracassare la testa di Connor contro lo stipite della porta, o non gli rimarrà granché da rimettere insieme per riavere il suo collega.


«Manca poco» mormora, non sapendo se le sue parole servano a rassicurare sé stesso o il proprio passeggero.


Una montagna di pelo gli si fa pesantemente incontro, rischiando di mandarlo gambe all’aria, e Hank sibila un’imprecazione fra i denti e grida «Non ora, Sumo! Tieni le tue feste per un momento migliore e le zampe a terra» guadagnandosi un’occhiata perplessa e sorpresa dal grosso San Bernardo, il quale però sembra intuire delle preoccupazioni nel suo umano e accetta di buon grado di seguirlo da lontano per evitare di intralciarlo.


«Merda, sono troppo vecchio per queste stronzate» lamenta Hank a corto di fiato, lasciando scivolare il corpo dell’androide sul suo divano e rimanendo a fissarlo pensieroso per un lungo momento, con la schiena dolorante e troppi crucci in testa.


In corridoio apre alcuni cassetti pieni di quaderni ingialliti, fogli volanti e qualche cartellina, rovistando con irritazione crescente e riuscendo a scovare nel marasma senza senso un piccolo libriccino consunto: la sua vecchia agenda, nella quale ha trascritto a mano numeri di gente che un tempo evidentemente reputava di una qualche importanza e della quale, ora come ora, ignora l’esistenza (o la non esistenza, considerando che da anni non si prende la briga di sapere se alcuni di loro siano ancora vivi e vegeti).


In fretta scorre i fogli un po’ rovinati, fino a fermare la punta dell’indice sul nome che gli interessa; spera che questo in particolare appartenga a una persona viva, perché in caso contrario si ritroverebbe ancor più nei guai e senza la minima idea di come venirne fuori.


Un po’ stancamente, perché la giornata appena trascorsa è stata abbastanza pesante e la serata un vero calvario, si accomoda sulla poltrona e trae un lungo respiro percependo il suo corpo rilassarsi per la prima volta da interminabili ore. Chiude gli occhi e si concede ancora qualche prezioso minuto di calma, anche se la pace non è in grado di raggiungerlo davvero, visto il continuo tormento che pungola la propria coscienza.


Recupera il cellulare dalla tasca della giacca che ancora indossa, dà un’altra occhiata all’agenda e si decide infine a comporre quel numero, contando a mente gli squilli e pregando che qualcuno, dall’altra parte, si decida a rispondere in fretta, possibilmente prima che gli saltino definitivamente i nervi. Al settimo squillo, ringraziando il cielo, viene premiato con un «Pronto» strascicato in tono appena irritato.


«Dick, sei tu? Sono Hank» prova.


Ciò che ottiene, e che gli fa aggrottare le sopracciglia, è una risata fin troppo prolungata per i suoi gusti e il suo attuale stato d’animo. Ha comunque avuto modo di riconoscere il timbro e, con voce dura, torna a parlare.


«Non sarei così allegro, fossi in te. Ho un problema e tu dovrai risolvermelo» annuncia in un modo che dà l’idea di una minaccia, piuttosto che di una richiesta.


«Ah sì? Beh, diavolo, sono felice anche io di risentirti» replica il suo interlocutore.


«Scommetto che non lo sarai ancora per molto» lo fredda, per nulla divertito. «E credimi, sono certo di vincerla, questa volta».


Un sospiro, dall’altro lato della linea, lo avverte che le sue parole si riveleranno forse veritiere ben prima del previsto.


«Cosa ti serve? Spero nulla di illegale… Non troppo, almeno».


Hank solleva gli occhi su Connor e scuote il capo. «Non credo. A meno che non abbiano fatto uscire una nuova legge a tempo di record» soppesa un po’ incerto.


«Bene, ti ascolto».


100011101101111011000010101010111011011010101110


CYBERLIFE TOWER

Belle-Isle

Floor -46

Time

AM 09:19


Vestiti di bianco, in un vasto spazio candido, quasi si perdono alla vista. Sembrano medici, ma non curano malattie; non quelle umane, per lo meno. Molti sono chini su alcune forme poco distinte dalle quali si può immaginare ora una gamba, là una mano, lì sotto un orecchio; qualcosa che, con molta fantasia, un tempo poteva avere un aspetto almeno antropomorfo e del quale ora rimane ben poco di riconoscibile. Ma ciò che interessa a queste figure a tratti evanescenti è il contenuto, non il contenitore; le informazioni accumulatesi con l’esperienza nel mondo degli uomini. Un’esperienza, evidentemente, non completamente positiva (o affatto, probabilmente, considerato ciò che resta dell’iniziale disegno).


Un occhio nocciola riflette la luce delle lampade, bianca anch’essa come del resto tutto lì attorno. Le pinze di un robot estraggono un piccolo cilindro dall’aspetto fragile e delicato e lo posano con efficienza lungo un tavolo lucido posto lì a fianco. Un’altra figura in bianco si accosta in silenzio, picchietta nervosamente le dita su uno schermo pieno di calcoli, poi torna a osservare il proseguire delle operazioni.


Una stretta porta trasparente scorre a lato lasciando entrare un uomo in completo blu scuro che, dopo aver fatto pochi passi, sosta a rispettosa distanza dalle persone radunate, in attesa. Non è comunque costretto ad aspettare a lungo; presto una giovane donna gli si fa incontro, abbozzando un tiepido sorriso e un cenno di saluto.


«Benvenuto» lo accoglie con voce pacata e non troppo alta, così da non arrecare disturbo.


«Grazie» replica asciutto il visitatore. «Hanno già scoperto qualcosa di interessante?» si informa senza troppa curiosità, già conoscendo la risposta a quella domanda ma sapendo di avere comunque il dovere di porla.


«Non ancora, signore. Speravamo di poterle fornire qualche buona notizia in breve tempo, ma finora non ci sono state risposte degne di nota» ammette contrita.


«Capisco» soffia, fingendo contrarietà.


Che capisca è la pura verità. Ciò che non sanno, probabilmente, è che al momento forse è l’unico, nei paraggi, a capire davvero.


«Desidero parlare con il capo dell’equipe, più tardi. Se volesse essere così gentile da avvisarlo. Lo informi pure che lo attenderò fra quarantacinque minuti nel mio ufficio del settimo piano».


La giovane annuisce. «Provvedo immediatamente» assicura, prendendo infine congedo e lasciandolo nuovamente alla sua osservazione dell’andamento delle ricerche.

Ricerche che, francamente, dubita porteranno a qualche evento concreto, per lo meno dal punto di vista dei soci e degli azionisti. Scrolla discretamente le spalle. Pazienza: in realtà non è affatto necessario che conoscano la verità, anzi, è probabilmente meglio che restino beatamente ignoranti e convinti di non esserlo. Arriccia le labbra in un piccolo ghigno, prima di tornare sui propri passi e salire in ufficio, in attesa di farsi quattro risate ascoltando le teorie del capo-tecnico.


100011101101111011000010101010111011011010101110


HANK’S HOME

115 Michigan Drive

Time

AM 01:39


«Dovresti andarci più piano con l’alcool: il tuo cervello ne risente» commenta Dick dopo aver ascoltato Hank e la sua spiegazione e averla trovata un’assurda follia.


«Non bevo alcolici da più di quattro giorni, per tua informazione» borbotta acidamente. Il problema è che, in effetti, ne avverte un gran bisogno, ma con tutti i guai che si ritrova fra le mani, ecco, quella sì sarebbe un’idea completamente folle.


Dick intanto sospira. Può facilmente immaginarlo strofinarsi il viso con i palmi ruvidi e arruffarsi i capelli.


«Hank, amico, con il lavoro che fai e il postaccio in cui vivi, ti facevo più accorto. Perfino il figlio di tre anni di mia sorella, a quest’ora, sa sicuramente che nascondere un androide in casa è un’idea stupida».


«Forse non hai capito la situazione» tenta Hank, indeciso se mandarlo subito al diavolo o provare prima la via della diplomazia.


«Ah, credimi, ho capito fin troppo bene. È proprio questo il problema» lo frena con una certa impazienza. «Fossi in te lo porterei alla discarica e mi prenderei un mesetto di ferie» suggerisce.


«Vaffanculo» scatta Hank, accantonando bruscamente la diplomazia. «Non hai le palle per darmi una mano? Bastava dirlo. È inutile fingere, a un tratto, di essere un santo… Come se non ti conoscessi» ringhia, soprattutto deluso perché, a questo punto, dovrà per forza trovare un’altra soluzione. Peccato che, al momento, non riesca affatto a scorgerla.


Sta camminando avanti e indietro per il soggiorno, riflettendo sulle sue possibilità, ancora con il telefono all’orecchio ma senza realmente ascoltare, quando dall’altra parte giunge un piccolo sbuffo di protesta.


«Comunque la vuoi mettere, quella città è pericolosa, ora più che mai, e non convincerai mai nessuno a rischiare il culo per venire fino a lì, soprattutto per una macchina».


Hank chiude gli occhi, si ferma in mezzo al salotto e sta per ribattere (magari insultarlo di nuovo gli darebbe un poco di sollievo, seppur momentaneo). Dick però lo precede, completando il suo discorso di scoraggiamento.


«Hai ancora il distintivo?»


Aggrotta le sopracciglia, incerto sul senso di quella domanda. «Sì, me lo sono ripreso mentre tutti erano occupati a tamponare il naso sanguinante di quell’idiota di Perkins» spiega pragmatico.


«Bene. Meglio. Pensi potresti farcela a lasciare la città?» chiede prudente.


Solo a quel punto Hank comprende, e sgrana gli occhi. «Vuoi che venga lì io? Mi hai dato del pazzo finora e adesso mi stai suggerendo di uscire dalla città e passare il confine con un cazzo di androide di contrabbando nascosto in macchina? Dico, sei deficiente?!» sbotta allucinato.


«Forse. Ma se davvero ti interessa questa faccenda, è esattamente quello che dovrai fare. A meno che tu non voglia provare a portarlo direttamente a quelli della Cyberlife. Magari te lo sistemano… dopo averlo smontato fino all’ultimo circuito e averne gettati al macero per lo meno la metà».


«Ti odio» ringhia Hank, rabbrividendo al pensiero.


«Già, certo. Ti aspetto, ok?» replica Dick, per nulla impressionato, riagganciando subito dopo.


  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Detroit Become Human / Vai alla pagina dell'autore: Roiben