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Autore: Le due zie    05/09/2018    13 recensioni
Il mondo intero in una scacchiera: bianco e nero, conquista e perdita, un alfiere ed una regina, mosse scontate o decisamente inaspettate, e un vincitore assoluto... perché cos'è la vita, se non una lunghissima partita a scacchi?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nero ossidiana
 
Non le riesce di starlo a sentire. Ci sta provando inutilmente da quando la cena ha avuto inizio ma non riesce a concentrarsi su ciò che il suo commensale le sta animatamente raccontando, la bella voce dall'accento straniero un poco incrinata da tutti quegli anni ricolmi di ordini urlati, sempre, anche a sé stesso, per sconfiggere il terrore della morte troppo vicina, e indebolita dalla febbre che lo ha tormentato per mesi.
Lo guarda, seduto vicinissimo a lei: mentre ancora i domestici apparecchiavano per la cena, infatti,  lui ha chiesto ed ottenuto, coi suoi modi garbati ed irresistibili, che Nanny desse ordine di predisporre il suo desco proprio vicino alla sua ospite e non all'altro capo del lungo tavolo intagliato, quasi temesse di restare solo un minuto di più; si costringe ad osservarlo con più attenzione ed il suo sguardo nota il corpo smagrito dalla malattia, le mani aristocratiche sempre eleganti anche se rovinate dal cuoio scadente dalle briglie che ha stretto fino a poche ore prima, i capelli ancora lunghi ed incolti, sebbene di nuovo ordinati in una coda ben disciplinata dopo il bagno che i domestici hanno preparato per lui, sbiaditi dalla tanta polvere ed illuminati da qualche filo argenteo. Poi basta un piccolo movimento di lui, intento nel fervore del suo discorso perché possa addirittura percepirne il profumo tanto gli è vicino: cenere, alloro e lavanda, tipico dei panni lavati nella lavanderia di palazzo che la governante ha amorevolmente fatto trovare nella camera degli ospiti, misti al sentore inconsueto che la pelle dorata della gola ancora trattiene nella sua grana irruvidita dalle intemperie: incertezza, solitudine, paura. Tanta, tanta paura. La stessa che coglie nel suo sguardo d'opale, bello come un tempo ma gonfio di ombre scure, pregno del troppo orrore che ha dovuto sopportare, sfinito dalle troppe lacrime che ha dovuto imporsi di trattenere in quei lunghi anni sul campo di battaglia. 
Tuttavia non lo vede davvero. Non ci riesce. 
E non sente nulla per lui, se non il sollievo che ciascuno prova alla notizia che un conoscente è scampato ad un grave pericolo mista a un po' di compassione per quel timore che, malgrado lui faccia di tutto per contenere, ancora pervade la sua anima, rende nervosi i suoi gesti e spezza a tratti il suo raccontare. 
Non c'è la gioia che aveva immaginato di provare. Non c'è entusiasmo per quel ritorno. Passata la sorpresa dei primi momenti, quando tante domande le si sono affollate alle labbra, non c'è una vera e propria gioia di ritrovarlo. Non c'è l'emozione di leggere speranza per un sentimento diverso, in quel cercarla non appena messo piede sul suolo francese, o sollievo per non aver mai colto nessun riferimento a colei per la quale aveva affrontato tutta quella sofferenza.
Nulla.
Nessun sospiro trattenuto o battito impazzito o poetico sfarfallare alla bocca dello stomaco.
Nulla.
Maledizione è Hans!! - si ripete, mentre affonda con finta decisione la forchetta nel pasticcio di quaglia che ha nel piatto, salvo poi abbandonarlo senza nemmeno provare a portarlo alla bocca, esasperata dalla freddezza che sente e che fatica a spiegarsi.
È lui! - torna a ripetersi - Proprio lui, qui, in persona, a un passo da me! -. Stringe la posata sino a sentire gli intagli penetrare quasi la carne. - È la stessa persona per cui ho pianto, sognato, pregato ... è l'uomo del quale sono stata sicura di essere innamorata per anni ... come può essermi, di colpo completamente indifferente? 
La frustrazione rischia di travolgerla e deve posare la forchetta, preda di un nervosismo che rischia di farle compiere gesti bruschi e che coglie di sorpresa Fersen, il quale interrompe il suo racconto e con un gesto rapido e assolutamente spiazzante posa la sua mano sulle dita fredde di lei.
- Vi sentite bene Madamigella Oscar? - domanda, la voce di un tono più bassa, a richiamare una preoccupazione ben più che amichevole - Siete pallida e silenziosa, stasera. Non vorrei avervi turbata io, con i miei truculenti racconti ... certo, voi siete un soldato ma siete anche una donna e mai come stasera, alla luce di queste candele, mi rendo conto di quanto siate incantevole ... –
Le dita di lui aumentano la presa sulle sue e, per la seconda volta nel giro di poche ore Oscar non riesce a trovare il tempo di rispondere prima che il cuore prenda a correrle imbizzarrito ai margini della gola, la mano dimenticata sotto alle dita sciupate di Fersen quasi trafitta dallo sguardo di André, gelido quanto la sua voce.
- Oscar, Conte di Fersen ... gradite altro vino? -
Lo vede entrare con la caraffa colma di liquido scuro, i passi misurati ed i gesti sicuri, le lunghe dita strette sul manico di cristallo. Ne segue le movenze aggraziate, mentre mesce il Borgogna d'annata nel calice che Hans gli ha avvicinato con un sorriso, poi percepisce la rabbia contenuta con cui giunge alle sue spalle, tanto vicino da coglierne il calore e l'accenno di muschio che echeggia tra le pieghe bianche della camicia, là dove il lino aderisce alla pelle e si permea dell'afrore umido ed intenso che Oscar ben riconosce: è il profumo dei loro duelli, dei loro respiri aspri e veloci, del loro cercarsi con le spade, come in quel loro ultimo incredibile pomeriggio. Oscar si rende a malapena conto di trattenere il respiro mentre, con una consapevolezza che la destabilizza, con lo sguardo cerca bramosa le dita di André, smaniosa di ritrovarne il calore e la morbidezza, e il tocco suadente e delicato, foriero di calore e protezione e ...
- Versane un poco anche ad Oscar, ti prego, André. - di nuovo la voce di Hans si sovrappone al desiderio di ignoto che appena qualche ora prima le dita di André le avevano regalato e spezza quell'anelito mai provato, annegandolo nello sciabordio gorgogliante del vino contro le pareti del bicchiere - Credo ne abbia bisogno, dopo il campionario di orrori che l'ho costretta ad ascoltare. -
Oscar vorrebbe ribattere, ma la voce che pure stava trovando la via lungo le pareti arse della gola, le si spezza nell'incontrare lo sguardo di André, che è tornato sulle loro mani ancora allacciate, verde e luminoso di furore, quale solo quelli dei gatti selvatici in caccia che a volte avevano avuto la fortuna di osservare da bambini.
C'è una tensione fortissima tra le pareti ricoperte di tessuto color avorio della sala da pranzo: Oscar la percepisce sulla sua pelle, simile al crepitio leggero che a volte inframmezza l'aria negli attimi che precedono il fulmine e giurerebbe di sentire nell'immobilità di André, ancora in piedi dietro la sua sedia, la tensione che sa lo pervade quando sta per colpire, quando la sua infinita pazienza è a un soffio dal limite, messa a dura prova da provocazioni e colpi bassi ripetuti sino allo sfinimento, e per un attimo la schiena le si ghiaccia al pensiero di ciò che potrebbe succedere se davvero lui si scagliasse contro il conte, senza un motivo apparente e lo colpisse.  Ma è questione di un attimo: la voce di André, perfettamente controllata le permette di tornare a respirare liberamente.
- Allora auspico che possiate parlare di argomenti più lievi, nel proseguo della serata. –
Lo vede compiere un paio di passi per posare la brocca sul tavolo e poi indietreggiare un poco, verso la porta di servizio abilmente nascosta nella tappezzeria damascata. Tutto è controllato, nel suo atteggiamento, tranne un impercettibile contrarsi della mascella e il brillio verdissimo dei suoi occhi, incollati alle loro mani ancora intrecciate, letali come fuoco: Oscar ritira in fretta la mano, scottata dalla sofferenza di quelle iridi ma André si sta già inchinando, garbato e perfetto, e lei non è certa che abbia visto con quanta decisione ha rinunciato alla stretta di quelle dita ormai vuote di ogni significato.
- Vi prego di scusarmi se vi abbandono così presto ma sono un po' stanco. Vi auguro di trascorrere una buona serata. –
Di nuovo la parlantina di Fersen le viene in aiuto: - Davvero già ti ritiri André? - domanda, nella voce una sorpresa priva di ogni affettazione - Speravo di poter fare una partita a scacchi con te, dopo cena ... sono anni che non trovo un avversario con cui sia davvero divertente misurarmi! –
Oscar si trattiene a stento dal trasalire in modo troppo vistoso, quando sente nominare gli scacchi: la loro scacchiera un po' vetusta, i loro pezzi, impregnati di tanti loro respiri, il loro piccolo mondo bianco e nero ...
Cerca lo sguardo di André ma lui lo tiene ostinatamente abbassato mentre indietreggia di un altro passo.
- Mi dispiace Conte - gli sente dire - Sono veramente molto stanco ... Ma sono certo che Oscar saprà essere un avversario altrettanto valido: oltretutto non me la sento di rischiare, sapendovi mio avversario. –
Oscar li vede i suoi occhi ora, abissi scuri di rabbia e sofferenza.
- Ho già ... perduto ... anche troppo, oggi. -
Il rumore della porticina si perde nel saluto distratto che Fersen gli indirizza e nelle sue parole, che riprendono il filo del discorso interrotto poco prima - ... di cosa vi stavo raccontando? Ah, sì la battaglia di Moore’s Creek Bridge. Come vi dicevo, Oscar, stavamo per mettere in atto una tattica davvero ardita e pericolosa, di fatto un salto nel buio ... -
Di nuovo, per Oscar, la voce di Hans si sfuma in un brusio di sottofondo mentre il senso di vuoto che quello sguardo dolente ha iniziato a scavare nel suo cuore si ingigantisce e le serra lo stomaco in una morsa crudele che le impedisce di mangiare altro, malgrado le portate previste da Nanny per accogliere l'ospite tanto prestigioso quanto inatteso siano ancora molte e tutte succulente; quando si alzano da tavola per raggiungere il salottino e accondiscendere al desiderio del Conte di cimentarsi con gli scacchi, la notte è già scura fuori dalle alte finestre e il vuoto nell'animo di Oscar è un peso opprimente che le ha permesso a malapena di rispondere alle molte domande di Hans e di mantenere con lui una parvenza di conversazione che, ne è certa, non oltrepassa di molto il limite dell'educazione.
Stranamente dalla stanza verso cui si dirigono già si diffonde una luce calda ed invitante: evidentemente qualche domestico deve aver riferito alla governante il desiderio che Fersen ha palesato ed ella deve aver mandato qualcuno ad accendere il camino e ad illuminare l'ambiente. Oscar trattiene un piccolo sospiro: darebbe l'anima per poter salutare Fersen e cercare il conforto silenzioso della sua camera per provare a riordinare le idee e dare un senso alla miriade di sensazioni che la stretta di André ed il tono sconosciuto della sua voce le hanno acceso dentro, in quello scampolo di pomeriggio così irreale, ma non può abbandonare Hans, glielo impongono le convenzioni e una sorta di benevolenza che l'atteggiamento di lui, apparentemente così bisognoso di compagnia, le suscita. Allora atteggia le labbra ad un sorriso di circostanza e varca la soglia del salottino, ben attenta a non sfiorare il braccio con cui il Conte le sta cavallerescamente dando strada.
La sua impressione era giusta, qualche valletto solerte ha addirittura posizionato un candelabro proprio a ridosso della scacchiera, su cui spiccano le pedine così come le hanno lasciate lei ed André quando hanno giocato l'ultima volta, alcune sere prima. Sarebbe toccato a lui muovere, ricorda, ed al pensiero del brontolio irritato con cui aveva compreso che lei, con la sua ultima mossa, lo avrebbe obbligato a sacrificargli un alfiere il sorriso le si allarga ed il calore delle candele sembra espandersi e scioglierle un poco quel nodo doloroso che ancora le torce lo stomaco.
Nel frattempo Hans l'ha preceduta per predisporre la poltroncina e farla accomodare togliendole momentaneamente la visuale della scacchiera. Muove un passo nella sua direzione e, quando è quasi completamente seduta, osserva i pezzi e il respiro le muore in gola, lo stomaco nuovamente duro come pietra, il rifulgere disperato degli occhi André a rendere quella pietra ghiaccio: l'alfiere nero di André giace coricato, annientato nella resa, ai piedi della regina bianca.
André le ha ceduto la partita, abbandonando il gioco. Ma per lei, ora, è scacco. Scacco alla regina bianca.


Se avete resistito, dopo il duro colpo di Nero ebano, ora forse avete un quadro più chiaro della situazione... 
Da parte nostra, vi ringraziamo di essere qua!
A presto
Le due zie
   
 
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