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Autore: Lila May    06/09/2018    1 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter twentyeight.
 
Merry shitty Christmas
 
 
La sera della Vigilia la passarono a terminare tutti i bigliettini restanti, tra biscotti al miele, girandole al cacao e lattine di Coca Cola sparse ovunque in giro per la casa. Il terzo pezzo di carta ad essere stato estratto risultò quello di Mark, e dopo averlo letto tutti si precipitarono a fare una videochiamata al loro buon vecchio Bobby. Si fecero raccontare del viaggio di nozze, della luna di miele, e si fecero mostrare l'esotico paesaggio di Cuba attraverso qualche foto mossa perché sì, in ventisei anni di vita, Shearer ancora non aveva imparato la presa a fuoco. La partecipazione di Aurelia aiutò i ragazzi a comprendere meglio la misteriosa incognita che gravava su di lei, e tutti furono dell'idea che si trattasse di una spacca culi di professione; erano contenti di vedere Bobby così felice.
Così realizzato, con i capelli argentei, un enorme succhiotto sul collo e la fronte ancora più abbronzata di quando era partito. La sua vita aveva appena spiccato il volo, e, Mark ne era sicuro, presto anche lui, Dylan ed Erik lo avrebbero raggiunto lassù.
Presto sarebbero stati tutti felici.
Spettava al venticinque di dicembre chiarire quel punto interrogativo e trasformarlo in un bel punto fermo.
L'ultimo bigliettino rimasto fu quello di Mary, e la sua proposta di fare un albero di Natale costrinse Kruger a muovere il didietro e ribaltare il garage alla ricerca dell'albero e di qualche decorazione. “Per fortuna che non lo devo anche smontare” si era detto mentre le mani erano corse a stringere le luci colorate per passarle ai compagni. “Ci penserà mia mamma quando me ne andrò”.
Sì, in sostanza si rese conto di non essere mai cambiato, mentre Esther rideva e Dylan faceva palleggiare una pallina bordeaux sul ginocchio tonico avviluppato in un paio di jeans neri. Di essere rimasto ancora quel ragazzino pigro che si alzava dal divano solo per andare agli allenamenti di calcio, e cazzo, si era detto sorridendo.
Quanto gli era mancato sentirsi così bene.


 
 
Ma adesso, venticinque dicembre, ore 8:17 del mattino, Mark non si sentiva affatto bene. Tantomeno pigro. Gli sembrava di aver dormito troppo, o forse troppo poco; di aver appena dato il via ad una corsa folle contro un tempo che non aveva affatto voglia di aspettarlo. I jeans gli graffiarono le cosce quando ci balzò nervosamente dentro, per poi far tintinnare la cintura nel momento in cui chiuse la cerniera con un gesto meccanico del polso. Un errore e avrebbe potuto far saltare in aria tutto, il Natale, gli Stati Uniti e, cosa più importante, l' incontro in aeroporto. Quello che forse avrebbe potuto far tornare in vita Erik, e cambiargli completamente l'esistenza.
In bene o in male, restava da scoprirlo, e tutto dipendeva da lui.
Infilò i piedi nel suo fedele paio di Converse e, dopo essere atleticamente entrato nel collo stretto di una maglia nera a maniche corte, scese di sotto. Ventidue gradi, quel giorno.
Mica male, eppure all'improvviso sentì una fitta di nostalgia per la neve newyorkese.
Esther, Dylan, Erik e Mary erano svegli e stavano parlando animatamente del tipico Natale in famiglia. Non disse buongiorno, non fece gli auguri, corse in cucina, si scolò un bicchiere di latte in un colpo di gola e si preparò psicologicamente per migliorare un po' la vita ad uno dei suoi amici più grandi ed importanti.
<< Ehi Mark! >> salutò Keith, giocando con la fruttiera posta al centro del tavolo. E già che c'era si prese anche una mela. << Educato as always. >>
<< Sono in ritardo. >>
<< Ritardo per cosa? >>
La domanda di Erik fu volutamente ignorata, e il castano non insistette. Esther si alzò e raggiunse Kruger a passo svelto. << E'... >>
Lui annuì. << Sì. E' arrivata. O meglio, sta arrivando. ... buon Natale Est. >>
Si guardarono e si scambiarono un veloce bacio a stampo, poi rimasero a distanza ravvicinata, i respiri mescolati in un unico fiato. Si erano appena ribaciati. Ed era avvenuto tutto con una naturalezza tale da lasciarli sconvolti a fissarsi. Si scrutarono per un attimo, inebriati da come il tiffany di lui, riuscì ancora una volta a mescolarsi perfettamente nel nero di lei.
<< Vorrei essere lì prima che l'aereo atterri >> continuò Mark, interrompendo il contatto << ma non credo che riuscirò a fare in tempo se non mi muovo. L'aeroporto non è a due passi. Non mi piace far aspettare la gente solo perché questa mattina ho mandato a fanculo la sveglia un paio di volte. >>
Esther ridacchiò, e l'americano le sorrise di ricambio. Era così carina di mattino, così vicina a lui che gli sarebbe bastato allungare un po' il naso per affondarlo in quella cortina di boccoli color malva. E gli sarebbe piaciuto farlo, fermarsi e tenerla un po' tra le braccia, ma il tempo gli stava scivolando dalle dita. << Vieni con me? >> le propose per rimediare, e lei gli fece segno di sì col pollice.
Tuttavia non ebbe nemmeno il tempo di appoggiare la mano alla maniglia che Dylan gridò all'improvviso, il cellulare acceso tra le mani lunghe. << Wait, Esther! >> esclamò, e scaraventò la sedia all'indietro con un colpo portentoso dei ginocchi. << La ragazza ha chiamato! >>
<< Ha... ha chiamato? >>
<< Yeahand she told me that's ready! >>
“E' pronto cosa?” si chiese Mark, tentando di decifrare il senso di quella conversazione. E senza trovarlo, ovviamente.
Dylan trotterellò verso di loro e gettò la mela nel cestino, con tanto di canestro e applausi da parte di Eagle. << Dovremmo andare a prenderlo. Now. >>
Esther cominciò a giocherellare col labbro inferiore, stringendolo e muovendolo tra le dita in attesa che il suo cervello prendesse una decisione veloce. Se andava con Mark, le possibilità di potersi chiarire una volta per tutte si allargavano all'infinito. E anche le possibilità di ribaciarsi.
Ma se andava con Dylan, avrebbe potuto osservare il risultato finito e assicurarsi che il regalo di Kruger fosse uscito perfetto come aveva sperato.
Così alla fine scelse di andare insieme a Keith, e quando Mark reagì con un mezzo sussulto sorpreso, la mora lo congedò con un gesto di scusa, stringendogli le mani. Gli disse che era una questione urgente che andava portata a termine entro quel giorno, e che la sua curiosità non poteva essere ancora soddisfatta, per quanto Kruger volesse sapere cosa, come, quando e anche perché.
Poi Dylan invitò Mary ed Erik a seguirli, salutò l'amico con un grande bacio volante e, dopo essersi fatto dare la chiave da Kruger, scappò in direzione di una delle due macchine. Partì sgommando sull'erba, senza nemmeno aspettare che il cancello finisse di aprirsi del tutto.
Mark batté gli occhi più volte, sconcertato. << What... >>
Era successo tutto così in fretta che per un momento gli era quasi parso di aver dimenticato cosa ci facesse lui lì, alle otto di mattina, addirittura vestito, quando avrebbe potuto tranquillamente dormire e godersi l'ultimo giorno di vacanza prima che il lavoro gli risucchiasse di nuovo l'esistenza. Il pensiero di dover tornare a vegliare sulle strade di New York e correre alla prima urgenza gli disse di sparire sotto le lenzuola, di lasciare Silvia a sbrigarsela da sé. Ma no, quello non era il momento adatto per soffermarsi a riflettere più di tanto sul suo mestiere e su quanto fosse stressante.
Salì in macchina e azionò il motore, frettoloso di arrivare a destinazione e porre fine a tutta quell'insensata tensione. L'abitacolo profumava di vaniglia, i finestrini risuonavano ancora del debole schiocco che avevano emesso le sue labbra nello staccarsi da quelle carnose di Esther. La prima cosa che si impose di fare fu quella di accendere l'aria condizionata per porre rimedio al calore mattutino di Los Angeles e le di gocce d'umidità sui finestrini.
Poi sorrise.
Sorrise come un coglione a cui hanno appena rivelato una brutta notizia, e si cinse il dorso del naso tra il pollice e l'indice. Si sentiva geloso, da quando in qua i programmi disorganizzati di Dylan avevano cominciato a rivelarsi più importanti dei suoi? Insomma perché Esther lo aveva baciato e poi era andata con lui senza nemmeno pensarci due volte? Era una cosa stupida, ma che lo fece indugiare sul volante più tempo del dovuto, nonostante non gli convenisse perdere più neanche un solo secondo. Si chiese se non dovesse iniziare a portare occhiali da sole e codini bassi anche lui, per fare colpo sull'amica e ingraziarsi un po' di tempo al suo fianco.
Se era il prezzo da pagare per piacerle, lo avrebbe fatto subito.


 
<< Eccoooo qui. >> Dylan afferrò il pacco regalo dalle mani magre della cassiera e lo depositò tra quelle di Esther, che subito lo saggiò per tastarne la concreta consistenza. Era duro, compatto, e soprattutto, era bellissimo. Perfetto per Mark. Ce l'avevano fatta, la missione era completata, e si sentì soddisfatta del lavoro portato a termine con successo; non le capitava di tenerci da tanto. Lo lasciò cadere in una bustina rosa e proseguirono per i negozi del Mall, alla ricerca di un tabaccaio in cui acquistare un bigliettino da compilare e allegare al pacchetto.
<< Mark will appreciate it a lot! >> La voce calda di Erik e il mugugno deciso di Dylan furono un ulteriore rinforzo alla sua convinzione che sì, Mark avrebbe davvero apprezzato questa volta, e che sì, lei ci aveva davvero messo tutto il cuore e l'impegno del mondo, in cambio di un suo possibile sorriso.


 
L'aeroporto di Los Angeles si poteva descrivere in due modi, quel giorno di Natale; affollato e accaldato, nonostante l'aria condizionata sparata a mille che ormai usciva persino dai muri. Giapponesi di ogni bidimensione e tridimensione continuavano a fare avanti e indietro dinanzi al viso concentrato di Mark, trascinandosi lungo il corridoio blu una scia di piccole valigie colorate e traballanti a causa del troppo peso. Due poliziotti muniti di distintivo in bella vista stavano facendo i controlli al flusso orientale che continuava a scorrere ininterrotto in quel punto dell'aeroporto, ma era evidente la loro voglia di tornare a casa e affidare la noia a qualcuno di competenza. In effetti, guardare i passaporti e poi riconsegnarli al destinatario non era certo una delle branche migliori della polizia.
Kruger sorrise quando uno dei due gli indirizzò un'occhiata complice, e si chiese come avesse fatto a riconoscere che anche lui fosse uno sbirretto alle prime armi come lui.
Sesto senso? O forse aveva già cominciato a mettere su lo sguardo da poliziotto mastica legge?
Si sollevò sulla punta dei piedi per guardarsi attorno e fare una rapida perlustrazione del luogo. Di Silvia nemmeno l'ombra, e si augurò di non essere arrivato troppo tardi.
Prima aveva provato a chiamarla diverse volte, ma la ragazza era risultata con la segreteria. Le aveva lasciato un messaggio, ma anche quello rimaneva ancora senza risposta.
Non sapendo che fare, aveva dunque controllato i tabelloni con gli arrivi, aveva cercato “Tokyo” e si era precipitato al gate.
In teoria era in orario, in pratica non ne era poi così tanto sicuro.
Due ragazze giapponesi lo riconobbero come ex capitano della Unicorno e gli fecero gli occhietti dolci, ma le ignorò di proposito, e si rifugiò dietro le spalle larghe di una signora. Ci rimase fino a quando non la vide, finalmente, infilata in una lunga sottana gialla e un paio di tennis verde bosco che con ogni probabilità avevano visto e vissuto tempi migliori.
E Mark che credeva di essere l'unico a non sapersi vestire. Le fece un cenno con la mano, ma scelse di venirle incontro per primo; la salvò dal flusso ininterrotto e la spostò dal mezzo trascinandola delicatamente per il gomito. << Hi, Silvia! >> esclamò, dopodiché si baciarono sulla guancia e si strinsero la mano.
<< Ciao Mark. >>
Kruger la guardò raccogliersi i capelli in una coda bassa. La lunga giacca di seta leggera le ricadeva sulle spalle magre come un peso troppo grande da sopportare, e le occhiaie sotto gli occhi lasciavano intendere i giorni di agonia che nelle ultime ore non le avevano dato nemmeno modo di riposarsi un po'. A Mark sembrò quasi di potersela immaginare, poter vivere quegli attimi dentro di sé.
Ore intere dinanzi alla valigia, indecisa se disperarsi oppure reggere e affrontare la cosa una volta per tutte.
<< Ti vedo provata. >> le disse, e le tolse lo zaino dalla spalla per aiutarla, caricandolo sulle sue. << Ti ringrazio di essere qui. >>
<< Ringrazio io te, di avermi chiamata. >>
Si spostarono dalla zona e, dopo aver recuperato il bagaglio dal nastro trasportatore, poterono sbracciarsi all'aria aperta.
Silvia si stiracchiò con un debole sorriso triste dipinto sulle labbra, assaporando l'aria calda di Los Angeles come se fosse un bacio di buongiorno. << Ti vedo in forma Mark! >>
<< Grazie. Ti va di andare a fare colazione? >>


 
<< Ragazzi, ma voi sapete dove è andato Mark? >>
Erik si grattò tra i capelli e attese che qualcuno di loro rispondesse alla sua domanda, ma nessuno seppe fornirgli una spiegazione logica sul perché quella mattina Mark era sfrecciato senza nemmeno fare gli auguri di buon Natale.
Non che gli importasse di una stupida festività, semplicemente, lo aveva visto nervoso. E quando Mark Kruger faceva le cose di fretta significava solo una cosa; celava un mistero.
Ma quale? Si concentrò sul bicchierone di caffé allungato che gli passò gentilmente Esther, annusandone l'aroma caldo.
C'era qualcosa di strano, nell'aria.
Il suo istinto di poliziotto gli disse di stare all'erta, e proprio mentre stava per attaccare la bocca abbronzata al bicchiere di carta color rame, due ragazze in tacco a spillo e code alte si aggregarono al tavolo in cui lui, Dylan, Esther e Mary si erano un momento fermati a tirare fiato. Ma non erano lì né per lui, né per Esther né per Mary.
Per Keith.
Dylan reagì con un sobbalzo delle spalle e un sorriso, ma Erik sapeva che dietro quel ghigno smagliante in realtà si nascondevano una miriade infinita di madonne.
Le solite amichette da letto, si disse tornando al caffé con fare circospetto.
Una delle due si fece avanti, la borsa rosa shocking che spiccava in mezzo al rosso e il verde del Natale. << Dylan! >>
Il ragazzo con gli occhiali posò il gomito sul tavolino. << Ehi, ragazze! Vi vedo okay! Come butta? >>
<< Abbastanza bene, non ci lamentiamo.  >>
<< Certo! >> la bionda del team socchiuse gli occhi castani. << Da quanto tempo non ci si vede, Keith. >>
Per la prima volta nella loro vita, Esther e Mary ebbero modo di vedere Dylan diventare rosso dai piedi alla testa. Faceva una strana impressione.
Chi erano quelle due?
La ragazza, fregandosene del resto dell'umanità, lo afferrò per il polso e lo attirò un po' a sé, gesto che non passò inosservato a Mary, la quale tuttavia fece finta di non aver visto. << E Mark? Come sta il nostro Marky? >>
Al soprannome “Marky” Esther sollevò il capo e fece tintinnare gli orecchini a cerchio che aveva deciso di sfoggiare in abbinamento allo smanicato bordeaux. Il cuore le saltò alla gola, le mani strinsero il bicchiere di caffé fino ad accartocciarlo. Marky? Mark Kruger?
Dylan passò da sorridente a serio, e fu come se avesse appena cominciato a frapporre tra lui e quel duo di strani esemplari un bel muro d'acciaio. Dovevano essere sue amiche, o forse qualcosa di più, a giudicare dalle frasi a doppio senso che continuavano a scambiarsi. << Sta bene. >> si limitò a dire, liberandosi dalla stretta al polso.
Questa volta fu la mora a prendere parola. << Dovremmo incontrarci e divertirci tutti e quattro, una sera. Non sei d'accordo, Keith? You and ISarah and Marky. Sarà uno spasso. >>
<< Guarda, a me va bene tutto tesoro, ma non mettere in mezzo Mark. Grazie. >>
<< Non capisco perché devi sempre fare il portavoce di Mark. >> sbottò l'altra, acida. << Che ne sai se lui vuole o non vuole? Prima o poi ci stancheremo di invitarlo. Diglielo. >>
<< Quando arriverà quel giorno faremo festa. Quindi >> fece il sunto Dylan, mantenendo un tono di voce ironico e che non aveva nessuna voglia di fare sul serio. << o vi accontentate di me, oppure sloggiate. >>
La mora tentò un altro attacco. << Facciamo così Keith. >>
<< Facciamo che Mark lo tenete fuori da questi stupidi giochetti. >>
<< No. Dato che tu non hai le palle per chiedere a Mark di aggregarsi a noi, lasciami il suo numero. Sarò felice di scambiarci qualche parola. >>
<< Col cazzo che vi lascio il numero di Mark. Altro? >>
<< … >>
<< Perfect. >>
Erik ridacchiò e il caffé brontolò di bollicine in reazione. Ops. Il cinismo di Keith sapeva essere davvero bastardo, a volte. E la sua protezione per il migliore amico risultava ancora invalicabile come un tempo. Dylan si voltò verso di loro, soffermandosi più del dovuto sullo sguardo appena divertito di Mary, poi afferrò la sua brioche alla crema e i quattro caffé degli amici, facendo piazza pulita dell'intero tavolo. << Andiamo, ragazzi? Mi è passata la voglia di vivere. >>

 



_______________________________________
nda
eccomi! Gli esami di riparazione sono finiti proprio oggi, 6 settembre, -alla grande direi- e quindi si ritorna a pubblicare con stile, proprio come vi avevo promesso (?). Inauguriamo questo bel mese di nuovi inizi insieme a Kruger e la sua compagnia di esseri disagiati alle prese con un natale che sembra tutto meno che, ehm, natale - da qui il titolo -.  E mentre Dylan smerda le sue stesse amichette proteggendo l'amico da possibili stupri, quest'ultimo si da da fare per recuperare l'ultimo pezzo mancante del loro american dream; Silvia!
S I L V I A.
Dopo settecento capitoli in cui continuavo a ripetervi che sarebbe apparsa, beh, eccola. ECCOLA. E ora vediamo come andrà a finire con Erik, penso lo abbiate capito tutti, non ha proprio un caratterino semplice in questa storia. Ma smettiamo un attimo di parlare di questa grandiosa ship che ha fatto impazzire mezzo mondo per concentrarci sulla MIA, di ship. Mark ed Esther. Che EHI EHI, si sono baciati. Guardate che inizialmente non doveva andare così.
Ma poi ho modificato la parte, facendoli sbaciucchiare, perché in fondo sono una coppia in tutti i sensi. Devono solo parlare, chiarire le ultime cosette. E ho pensato che un bel limone quotidiano in mezzo a tutto quell'andirivieni di giapponesi (?) e corse contro il tempo potesse un attimo ricordare a Mark e ad Esther che loro si sono già riscelti, ripresi, e che adesso i problemi sono lontani dal loro protetto nucleo amoroso.
Ho finito ;*
aggiornerò presto, stay tuned e fatevi sentire, se volete!
Baciii

Lila
   
 
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