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Autore: Lila May    10/09/2018    1 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter twentynine.

End of Line

 
 
Mark aprì la porta di casa e fece entrare Silvia, poi strattonò dentro la sua enorme valigia e lasciò andare un sospiro di pace acquisita. La Woods era stata davvero coraggiosa a portarsi dietro tutta quella quantità infinita di vestiti, non smetteva di ripeterselo; nessuno le aveva garantito un posto tra di loro, e le probabilità che sarebbe dovuta tornare a casa equivalevano solo e soltanto a quelle che forse, in caso di vittoria, l'avrebbero vista di nuovo tra le braccia di Erik, direzione New York. Posò le chiavi sulla mensola e la osservò guardarsi intorno come un piccolo uccellino curioso, così bassa nella sua lunga gonna svasata.
Il donut al cioccolato sembrava averle dato un po' più di carica; o forse era l'odore di Erik spiattellato sul divano di casa, tra i cuscini e persino per terra ad averla rianimata all'improvviso.
<< Adoro l'arredamento di questa villa! >>
Mark seppe interpretare la frase. “Adoro il fatto che ci sia una traccia di Erik praticamente ovunque!” << La moquette è un po' scomoda. >> si limitò però a commentare, trattenendo per sé ciò che aveva appena elaborato.
Silvia si voltò verso di lui con un sorriso, gli occhi verdi che riflettevano con grazia la luce del sole. << E' di tua madre, vero Mark? >>
<< Yeah. >>
<< E' molto bella. Ha molto gusto. >>
<< Quando ero ragazzino era molto più bella di così. >> Mark si sforzò di non precipitare nei ricordi che possedevano ancora le mura di casa, perché quello non era il momento. << Come ti senti? Meglio? >>
<< Sì, grazie. >> la ragazza si prese del tempo per vagare un po' intorno, osservare le foto, tastare i muri e realizzare di essere arrivata nella patria del suo amore più grande. L'America. << Era da un po' che non tornavo negli Stati Uniti. >>
<< Due anni se non sbaglio. Giusto? >>
Il biondo si sedette sul divano e la invitò a prendere posto tra i cuscini che portavano l'odore del suo uomo, se ancora poteva definirsi tale. Silvia si lasciò cadere con un malcelato tremolio dei ginocchi. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che  aveva potuto assaporare le sue labbra? Accarezzarlo, fare l'amore con lui? Erik gli mancava così tanto che istintivamente ne prese uno foderato di rosso, e se lo strinse forte al petto. << Come sta Erik? >> chiese, e si accorse che le si stava sfilando la voce dall'ansia. Chiese scusa, portandosi una mano dinanzi alle labbra. Maledizione, era come se all'improvviso il cuore le si fosse spaccato in due dal dolore. << Non lo sento da una vita. Troppo orgoglio rovina, pensavo di averlo... di averlo... >> non finì la frase, non ne ebbe la forza sufficiente, e si sentì ridicola in quel salotto troppo grande, seduta vicino ad un ragazzo che cercava solo di aiutare.
<< Sta bene >> le rispose lui, consapevole di quanto fosse difficile toccare l'argomento. << però immagino che tu voglia chiederglielo di persona. >>
<< Non lo vedo qui in giro... è dai suoi? >>
<< No, sta qui con me per le vacanze di natale. E' uscito un attimo con Dylan, ma dovrebbe tornare a momenti. >>
Silvia fece una pausa, per frenare i battiti del cuore, le pulsazioni delle vene, tutto. Presto lo avrebbe rivisto, quindi. E poi?
Il coraggio per spiegargli che non si era sentita pronta a cambiare paese, che però non lo aveva mai abbandonato, che si era sentita talmente vuota da aggrapparsi ogni notte alle lenzuola e stritolarle quando fuori pioveva... chi glielo avrebbe dato?
Ricordava ancora alla perfezione i suoi occhi neri come braci, ardenti come fuoco. Niente a vedere con quelli calmi di Mark Kruger.
Ancora non aveva imparato a sostenerli.
<< Mi puoi spiegare cosa è successo tra voi? >>
La domanda dell'americano fu l'esatto tipo di sollievo che solo un salvagente lanciato in mezzo all'oceano più blu e freddo della morte sa darti. Si avviluppò a quella sottile forma di aiuto, e non si accorse di star lacrimando fino a quando non lo lesse negli occhi turbati dell'ex capitano della Unicorno. Maledizione.
<< Non mi sentivo pronta a cambiare paese. A lasciare i miei amici. Lui ha pensato che fosse per... per un ragazzo. Per... >>
<< Per Mark Evans? >>
<< Sì, Mark Evans. Ma... ma non era affatto così, io... lui... lui si è arrabbiato e... e... >>
E basta. Non c'era modo per descrivere una lontananza di due anni, la voragine di vuoto che si era creata tra di loro, distruggendo tutto quello che insieme avevano creato. Si asciugò le gote umide con i bordi della giacca, le dita sudate e fredde nonostante i gradi.
Parlare di quel grosso fraintendimento la faceva sentire debole, meschina. Non voleva che Mark Kruger la vedesse così.
<< E ora invece? >> domandò lui dopo un attimo di silenzio. << Ora ti sentiresti pronta per venire a vivere qui con lui? >>
<< Non me lo chiederà mai più, tanto. >>
<< Erik ti ama. Non sottovalutarlo. >>
Silvia scosse la testa lentamente, come se pesasse più del normale. << Erik mi ama ma l'orgoglio lo ha sempre fregato. >>
Mark provò un abbozzo di sorriso per rassicurarla. << Don't worry. Erik ha bisogno di te. >>
La ragazza sentì la pelle accapponarsi a quelle parole pronunciate con tanta pacatezza, come se per lei il concetto di “pace” non fosse più possibile da ricreare. Quando guardò il biondo, si rese conto di non averlo mai visto tanto sicuro in vita sua.
<< Non dell'orgoglio. >>

 
<< Spiegami un attimo. Chi cavolo erano quelle due? >>
Dylan frenò con bruschezza, cambiò marcia ed Esther lasciò andare la cintura solo quando sentì il motore calmarsi sotto i piedi, riprendendo il suo normale equilibrio. Liberò un sospiro e gettò un'occhiata confusa a Keith.
<< Amiche mie. >>
Passarono sotto un ponte da quattro corsie che si srotolava per chilometri, prima di rallentare ad un incrocio e prendere la prima a destra. Los Angeles si stava rivelando un grande caos quella mattina di Natale, ma niente che potesse compararsi a quello che sentiva la mora in quel momento dentro. Un misto di nervoso, sorpresa e lieve stordimento. Provò a rilassarsi contro lo schienale, senza riuscirci.
Mark guidava meglio, cazzo. 
<< Tue o anche di Kruger? >>
<< Mie. Solo mie. >>
Fu sollevata di sapere quel dettaglio, e la morsa di infantile gelosia le si placò appena dentro il cuore. << E che volevano da Mark? >>
<< Fotterselo. Evidentemente pensano ancora che “Marky” sia come me. >> rispose Dylan, e gettò un'occhiata al finestrino per controllare un istante la coda sconnessa di auto proprio dietro la sua. << Ma Mark... Mark non ha tempo per queste cose. Mark-- scusa, Marky è un ragazzo serio. E inoltre... ancora non sanno che non abita più a Los Angeles. >>
Esther ridacchiò e gettò un'occhiata allo specchio retrovisore che Dylan aveva stritolato intorno ad un crocifisso. Mary stava guardando il paesaggio fuori dalla finestra, Erik messaggiava fittamente con quello che, a giudicare dal sorriso, pareva essere proprio Bobby.
Si chiese come sarebbe andato a finire tutto quel grumo di problemi, una volta atterrati a New York. Si sarebbe sciolto?
O ingigantito?
Un giorno ancora e lo avrebbe scoperto.
<< La cosa che mi da fastidio è che continuano a chiedere di Mark, perché sanno che io sono il suo migliore amico e probabilmente si aspettano che a me piaccia coinvolgerlo nelle mie cazzate. >> Dylan la riportò alla realtà, e quando Esther lo guardò, realizzò che gli sarebbe mancata quella testa bionda, quegli occhiali blu e quel modo di fare un po' gentile, un po' egoista, un po' tutto l'opposto di Mark. << Esther, mi prometti una cosa? >>
<< Io? Non sono brava a mantenere le promesse. >>
<< Riguarda Mark. Anzi, Marky. Da oggi sarà solo Marky. >>
Esther sorrise maliziosa. << Beh, in tal caso, posso provarci. Per Marky. >>
<< Proteggilo. Ti chiedo solo questo. >>
Quelle parole la colpirono nel profondo, e al posto di rispondere voltò il capo e si perse a guardare la fila di piazze e negozi sfilarle accanto. Cosa intendeva Keith per proteggere Mark? Difenderlo dalle tipe che lo volevano?
Amarlo?
Dylan sorrise e guardò la ragazza di sottecchi; non aveva poi così bisogno di sapere la risposta.
Sapeva di poter contare su di lei.

 
<< Silvia... >>
<< Non sono sicura di volerlo vedere. >>
Mark si umettò le labbra e si alzò dal divano per andare ad aprire la porta, quando Silvia gemette e lo afferrò per un polso, stritolandolo tra le dita bagnate di sudore.
Kruger si voltò sconcertato, ma quando incrociò i suoi occhi disperati cambiò espressione. << Silvia, dovete parlare! Sei qui per questo! >>
<< Mark, tu non puoi capire, io...! >> la vide farsi piccola dinanzi a lui, sparire tra i ciuffi della moquette, nascondersi sotto la coltre di capelli color bosco, come se la sola idea di rivedere Eagle un'altra volta la terrorizzasse. << Non me la sento! >>
<< Silvia... >>
<< Voglio tornare a casa... >>
<< Silvia, is just... Erik. >> cercò di calmarla, e la guardò con un sorriso incoraggiante, mentre il campanello suonava per la seconda volta. << Lui ti ama. Non farà niente per impedirti di parlargli. >>
Al terzo trillo, gli occhi della giovane cominciarono a riempirsi di lacrime. << Mark... >> mormorò, e cercò di tirarlo indietro, ma Kruger non si mosse di un millimetro.
<< Silvia, ti prego. Ti. Prego. Solo tu puoi far finire tutto questo. Lui non lo farà mai, e lo sai. >>
La voce confusa di Erik trapassò la porta, chiedendo se ci fosse qualcuno in casa, e Mark rispose che si stava mettendo i pantaloni, e che se gli dava un secondo sarebbe andato ad aprire subito. Poi tornò a guardare la ragazza, le labbra strette tra la ferrea tenuta dei denti. << Adesso io vado e apro. Promettimi che risolverai la situazione. >>
<< Mark, ti supplico... >> sussurrò Silvia, gli occhi lucidi, ma alla fine scelse di lasciargli andare il polso, e dopo un attimo di esitazione Mark si diresse a passo svelto verso la porta.
Strinse la maniglia, la vagliò e poi si voltò di nuovo a guardare la ragazza. << Stai tranquilla. >>
<< Ci proverò, Mark... >>
<< Bravissima. >>
E così aprì, e la luce del sole entrò prima di tutto il resto, investendo la moquette col suo candido bagliore. Il resto tuttavia fu buio, buio come un pugno ricevuto in faccia in un momento di dolore troppo forte da poter tollerare da svegli.
Buio in cui Silvia, abbassando il capo, riuscì a percepire due voci di donna, una squillante, l'altra profonda. Il sussulto vittorioso di Dylan, segno che sapeva, la voce troppo adulta di Mark spiegare ad Erik una serie di perché che in quel momento le sfuggivano.
Sollevò gli occhi, e tra i ciuffi della frangia lo intravide.
Arrossì, provò a calmarsi ma le mani cominciarono a tremarle. Erik.
Il suo Erik.
Che la guardava, le gote esangui, gli occhi corvini talmente sbarrati da uscirgli dalle orbite. << E... Erik... >> a fatica riuscì a pronunciare il suo nome, a fare un passo in avanti, mentre le mani non la smettevano di torturarsi l'orlo delle maniche. Le sembrava di star vivendo un sogno.
Lui era così bello, così sconfitto e frustrato che il primo impulso fu quello di corrergli incontro. Saltargli addosso, stringerlo e baciarlo, e dirgli di ricominciare.
Ma quando mosse un altro passo, Erik cambiò direzione dello sguardo, fissando gli occhi su Mark.
La sua espressione mutò da stupita ad astiosa, e quando Kruger se ne accorse, il sorriso sulle sue piccole labbra morì, sostituito da una smorfia d'angoscia. Esther, Dylan e Mary, spiaccicati contro il muro, non osarono proferir parola.
Nessuno osò.
Solo Mark fu tanto coraggioso da provare ad affrontare Eagle.
<< Kruger. Mark. >> sbottò Erik, gonfiando le spalle di rabbia. << Che cazzo... >> la voce gli morì in gola, perché Silvia lo stava guardando, Silvia, dopo due anni di nulla cosmico in cui i tentativi di dimenticarla l'avevano trasformato in un completo idiota schifoso. L'avevano spinto a trovare un'uscita nel sesso, a scappare, e l'immagine di se stesso qualche giorno prima, ubriaco da fare orrore, lo fece gemere.
Sentì di volersi strappare i capelli, gridare.
Si avventò su Mark, e quando Esther tentò di frapporsi in difesa del biondo, Mark le sbarrò la strada e Dylan la trascinò indietro.
<< Mark, io ti ammazzo!! Ti ammazzo hai capito?! >> latrò Erik, e lacrime di rabbia cominciarono a solcargli le gote mentre stringeva la presa intorno al collo della t-shirt del suo amico. << Io ti ammazzo!! >> scoppiò a piangere, dilatò le narici e lo schiantò contro il tavolo.
I fianchi di Mark quasi non lo sollevarono per l'impatto, ma l'americano non fece nulla per impedire al compagno quell'enorme eruzione di nervoso represso. Si limitò semplicemente  a tenergli i polsi, gli occhi tremolanti dal dispiacere, le labbra schiuse in attesa di trovare le parole per dire una qualsiasi cosa. Se l'era aspettato. Una reazione del genere era del tutto giustificata, il dolore che provava Eagle non poteva essere fermato da uno come lui.
Per quello c'era Silvia.
Quando Erik parlò, la voce gli uscì rauca e aggressiva dal profondo della gola, accendendogli lo sguardo d'odio. Sentiva dentro di se la folle voglia di afferrare i bordi di una strada, sollevarli e scatenare un terremoto, da quanto era infuriato. Confuso, stordito da quella visione tanto destabilizzante, e per un momento gli parve di vedere doppio. Di sentire il pavimento cedere, le ginocchia arrendersi al peso di un corpo che detestava. << Non posso credere tu l'abbia portata qui, Kruger, cristo! Mi sono sempre tenuto fuori dai tuoi problemi, ho sempre rispettato i tuoi spazi, anche quando c'era Melanie! Perché tu non rispetti i miei, Mark!! Perché l'hai portata qui, dimmelo...! >> ruotò il capo verso la ragazza, come ad accusarla, ma non ebbe nemmeno il tempo di tirare fiato che lei gli saltò addosso piangendo, e Mark fu libero di massaggiarsi il collo, arrossato in ogni angolo del volto.
<< Basta Erik! >> gridò Silvia, affogando tutta l'ansia tra le pieghe della camicia spiegazzata del castano. Le sembrava un sogno poterlo ristringere dopo tutto quel tempo.
Dopo tutto quello che c'era stato, e quello che aveva smesso di esserci.
Tuttavia Eagle se la scrollò di dosso, e dopo essersi riassettato i vestiti con fare scazzato si diresse verso la porta. << Siete pazzi. Io me ne torno a New York, non me ne frega più niente. >>
Silvia sentì la voragine di vuoto lacerarsi ad ogni suo passo, e il panico l'assalì.
No. Non l'avrebbe fatto andare via.
Non ancora, non dopo sette ore d'aereo passate a tormentarsi su come risolvere. Così quando il ragazzo aprì la porta, lo spinse all'aria aperta e si richiuse tutto alle spalle.
Quello era il suo momento.
Adesso o mai più.
<< Erik, Mark ha solo cercato di aiutarti... >> si fermò, sudata; il sole le bruciava la pelle, e si spogliò della giacchetta di flanella, che finì a terra sull'erbetta.
<< Mark...! >> Erik si voltò con uno scatto nevrotico del collo, schiumante di rabbia, ma per una frazione di secondo i suoi occhi parvero addolcirsi alla vista della sua donna affaticata per il caldo. Sentì l'impulso di stringerla e accarezzarla, portarle quanto meno un bicchier d'acqua. Ma l'orgoglio ostacolò quell'idea, distruggendola a suon di calci. Merda. << Non me ne frega un cazzo di Mark, ha chiuso con me, quel... ARGH! >>
<< E dove andresti ora?! Sentiamo! >>
<< A casa mia. >> cominciò a tremare. Tremare di rabbia, nervoso, reagire indignato all'impossibilità di trovare parole in grado di aiutarlo ad affrontare la situazione.
<< Con quale mezzo? >>
<< Taxi. >>
Il cuore di Silvia perse un battito. Non poteva andarsene davvero. No. No. << E i vestiti? Lasci tutto qui?! >>
<< Te li regalo, i vestiti. >>
<< Erik..! >> lanciò un gemito, ma non bastò a catturare la sua attenzione, a fermarlo. << E a me non pensi? Mi lasci qui?! >>
Erik scavalcò il cancello di casa e atterrò a piedi pari sull'asfalto del marciapiede. << Tornatene in Giappone. Da Mark Evans. Ci penserà lui a te. >>
Silvia si portò le mani tra i capelli per trattenere un grido selvaggio; sentirsi dire quelle parole tanto false e stupide le suscitò la voglia di tirargli uno schiaffo, ma anche due. Erik era davvero testardo. Cocciuto, orgoglioso, intrattabile. Ma non aveva intenzione di perdere quella guerra, a costo di seguirlo anche in bagno. Torturarlo e perseguitarlo fino a quando non avrebbe capito che lei, in Giappone, non ci voleva tornare. Che lei, per Mark Evans, non provava nulla. << Nessuno torna a Tokyo da nessuno. Erik, sono qui per restare. Che tu lo voglia o meno. >>
A quelle parole, Eagle si fermò, e una folata di vento bollente gli graffiò gli zigomi umidi di lacrime.
Restare. Silvia che restava in America? Per lui? Aggrottò i sopraccigli bruni, assottigliò le iridi e chiese delle spiegazioni.
<< Resto, Erik. >> la voce di lei si spezzò sotto il peso del suo sguardo frastornato. << Resto per te, perché ti amo, e sono stanca... stanca di tutto questo...! Vattene pure, non mi importa. Sono disposta ad inseguirti anche in Antartide, stupido, idiota, io... io ti amo! Non mi hai mai chiamata, mai cercata, nemmeno per sapere come stavo! Non ti sei mai preoccupato della nostra situazione al punto da metterti in gioco per noi, e nonostante questo, io ti ho aspettato! Ti ho aspettato davvero Erik! Ringrazia Kruger se mi ha fatto capire che ancora avevo una chance, perché tu sei un maledetto coglione e io...! >>
Le lacrime la travolsero all'improvviso, ancora, talmente forti da catturare l'attenzione di un passante anziano e del suo cane. L'animale abbaiò d'istinto, ed Erik quasi non gli pestò la coda nello scavalcare il cancello a ritroso.
Non per andarsene.
Ma per restare, questa volta.
Le venne incontro senza respirare, le prese il volto con foga, e dopo aver emesso un grugnito di disapprovazione se la portò alla bocca.
La divorò di baci. Lunghi, eterni baci tremanti, e poi la morse, le affondò le dita tra i capelli, la tenne a sé ascoltandola piangere.
<< Silvia... >>
Provò a prendere fiato, gli girava la testa, e si resse a lei mentre gli ansimi si mischiavano ai suoi fremiti emozionati. Da quanto tempo aveva smesso di incanalare aria? Non gli importava, la attirò a se e la stritolò, per l'ennesima volta.
E nel momento in cui la sentì ricambiare, capì che era tutto finito.
L'incubo, era finito. La sua vita orribile, era finita.
Si leccò le labbra arrossate di morsi, mentre prendeva coscienza del fatto che finalmente era libero.
Che finalmente si era fermato al capolinea, come un treno che dopo aver sferragliato un po' troppo torna alla base tutto intero.
Sano e salvo.


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nda
credo che questo sia uno dei capitoli più belli che io abbia mai scritto, ma non lo dico per vantarmi :'', tanto so di averli plasmati con l'acido borico(?), però a livello di contenuti è uno dei miei favoriti *-* Silvia ed Erik mi sono sempre piaciuti molto più Erik di Silvia ovvio ma shh. Essere riuscita a dar loro mezza storia(?) – sì raga MEZZA STORIA – è per me solo motivo di orgoglio e gioiah, insomma, sono l'amore insieme, nessun fan di Inazuma Eleven può negare ciò.
Considerato poi come ho voluto caratterizzare il nostro americano nano preferito - ammetterete che è nano -, cioè come un soggetto orgoglioso, pieno di sé e piuttosto provocatorio, non potevo farlo cedere subito, il che ha reso le cose molto più interessanti >.>. ma, se è vero che il true love alla fine trionfa sempre su questi aspetti della persona, allora forse ha imparato qualcosa pure lui in queste due settimane a L.A che ehyehyehy, stanno per finire EHYY! Esatto cari perché mancano esattamente 2/3 capitoli al termine, circa. E quindi nulla, vi lascio con questo aggiornamento perché domani devo partire per la Croazia :( ci risentiamo presto, molto presto!

 
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Lila
   
 
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