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Autore: Ksyl    11/09/2018    1 recensioni
Dopo gli spari della 8x22
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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10.

Kate percepiva solo un ronzio in sottofondo fatto di discorsi confusi e voci indistinte.
Le sembrava di volteggiare leggera, ma distaccata, sopra l'affettuosa compagnia riunita al loft per festeggiare il suo ritorno. Era con loro, ma era soprattutto distante, lontana, chiusa in un altrove ovattato che era il suo scudo protettivo inespugnabile.
Era come vedere se stessa dall'alto, un'estranea sorridente, serena, con un oceano calmo dentro di lei a lambire la sua coscienza vigile. Era una curiosa sensazione che non aveva mai provato prima d'ora.

Fluttuava senza trovare un punto al quale ancorarsi, finalmente in pace. Le spiaceva non essere più partecipativa, ma aveva l'impressione che agli altri bastasse la sua silenziosa presenza per tranquillizzarli.
Forse era la prima volta da settimane in cui potevano scrollarsi di dosso il pesante fardello di ansie e paure che li aveva gravati.
Lei e Castle stavano bene. Non era morto nessuno. Ridotto all'essenziale, era tutto quello che contava.
Era curioso che nessuno dei presenti osasse pronunciare la parola che doveva averli perseguitati per tutto quel tempo – morte -, come se il solo lambire quella possibilità, che a tratti doveva essere stata così reale da potercisi sprofondare dentro, la rendesse ancora pericolosa, nel loro presente. Come se si aspettassero un colpo di coda del destino malevolo.

Per lei e Castle era diverso, loro ne parlavano sempre. Ci ridevano su, per esorcizzarla o forse perché non avevano più paura. Era arrivata a prenderseli, ma avevano vinto loro, ancora una volta. Non avevano solo vinto, avevano trionfato. La morte era stata costretta ad attendere, di nuovo, e così avrebbe fatto a lungo, ne era sicura. Lo sentiva in quel punto delle sue viscere da cui a intervalli regolari, proprio come in quel momento, si generava una fame primordiale che le avrebbe fatto divorare qualsiasi genere commestibile.
Castle aveva ragione. Avrebbero dovuto raddoppiare le scorte, se fossero stati costretti a offrire continuamente sacrifici alimentari al piccolo tiranno che era entrato con prepotenza nelle loro esistenze.
Per quale singolare istinto di autoconservazione la vita aveva deciso di dilagare dentro di lei proprio in quella circostanza? Qual era il messaggio? Di che cosa era il simbolo tutta quell'incredibile vicenda? E perché adesso si poneva quegli interrogativi mistici? Le era presa una deriva trascendentale, a seguito delle ultime prove eroiche? Meglio tenere quelle considerazioni per sé. Castle avrebbe sentenziato che aveva sempre saputo che alla fine avrebbe ceduto al fascino dell'irrazionale. Non era sua intenzione dargliela vinta proprio su quell'argomento.

"Avremo un bambino".
Nel silenzio stupefatto che seguì si chiese chi avesse parlato. Si accorse solo con qualche secondo di ritardo che era stata lei. La voce pacata e decisa con cui era stato annunciato alle loro famiglie che presto ci sarebbe stato un membro in più ad allietare le loro riunioni, era stata la sua.
Da dove era partita la necessità di quella rivelazione, non mediata da nessuna forma di decisione razionale?
Si chiese se il bambino, oltre agli altri poteri extrasensoriali che aveva già dimostrato in abbondanza di possedere, tra i quali una certa granitica determinazione a rimanere attaccato alla vita, l'avesse spodestata anche dalla torre di controllo del suo cervello.
Non si sarebbe stupita. Più tardi, quando sarebbero stati da soli sotto le coperte, nella loro camera immersa in una confortevole oscurità - immagine per la quale si struggeva già dal mattino, ma che sembrava fuori dalla loro portata - avrebbe confessato a Castle che le forse il bambino aveva iniziato ad avere una propria indipendente autonomia decisionale. Ne sarebbe stato entusiasta. Probabilmente, anzi, l'avrebbe tenuta sveglia tutta la notte per cercare di comunicare con il piccolo alieno, non più in via telepatica, come sospettava che avesse cercato di fare negli ultimi tempi, quando lo sorprendeva a fissare in modo molesto il suo ventre senza farsi notare.

Vide Castle fermarsi di colpo – non sapeva dove stesse andando, da quando erano tornati si era mosso avanti e indietro preso da mille incombenze – e rimanere a fissarla sbigottito. Si sentì colpevole, ma sotto sotto divertita. Era così poco da lei comportarsi in modo tanto imprevedibile, che cominciava a prenderci gusto. Castle lasciò cadere quello che aveva in mano sulla prima superficie disponibile e volò da lei, mentre intorno a loro continuava il silenzio attonito con il quale gli astanti avevano accolto la notizia.
La prima a riprendersi fu Martha. "Beh, mi sembra un ottimo proposito. Il trionfo della luce sull'oscurità, i nuovi inizi. Era ora. Con tutto quel daffare che vi siete sempre dati, mi stupisce perfino che non sia successo prima".
Improvvisamente furono tutti impegnati a fissarsi la punta delle scarpe e togliersi pelucchi dalle giacche. Castle le passò un braccio intorno alle spalle, con fare protettivo, o solo per tenerla calma. Forse non riusciva a decidere quale delle donne presenti nella stanza fosse quella maggiormente priva di controllo, se sua madre o sua moglie impazzita di colpo.
Kate si nascose il volto tra le mani. Non era del tutto a suo agio nel far sapere al padre, seduto di fronte a lei, dettagli tanto intimi della sua vita coniugale.
Riuscì perfino a non incrociare gli occhi di nessun presente.
"Ma prima dovrai riprenderti, giusto? Rimetterti un po' in forze, sei così magra, dove vuoi mettere un bambino? Non avevo quei fianchi stretti nemmeno alla mia apparizione a Brodway", continuò Martha, esuberante e a proprio agio come al solito, quando l'attenzione del pubblico era concentrata su di lei.
Castle si schiarì la voce. Dal momento che si era precipitato in suo soccorso, lasciò a lui l'onere di districare quella matassa ingarbugliata.
"Quello che Kate sta cercando di dirvi, senza molto successo...".
Ehi, lei si era spiegata benissimo. Erano stati gli altri ad aver travisato.
Le lanciò un'occhiata di puro amore che la fece arrossire. "E' che è già incinta. Quindi... è qualcosa di più di un proposito". Scandì bene l'ultima parola, perché non ci fossero dubbi. Alexis gli fece l'occhiolino dall'altra parte della stanza, alzando il calice nella loro direzione.
Ma Martha non aveva ancora finito con loro.
"Come sarebbe che sei già incinta? Sei appena tornata dall'ospedale! Non potevi lasciarla in pace almeno lì, Richard?!".
"Mamma!". Kate sentì il ruggito rimbombare nel petto del marito, dove aveva appoggiato la testa in cerca di un nascondiglio.
Raddrizzò la schiena, per recuperare il controllo di una situazione che stava precipitosamente andando alla deriva.
"Ok. È il caso di spiegarci meglio. Quando sono arrivata al pronto soccorso, prima di portarmi in sala operatoria, si sono accorti per caso delle mie condizioni. Le cose si sono complicate un po', ma si è risolto tutto per il meglio. Adesso stiamo bene. Entrambi". Non le sembrarono convinti. "E anche Castle. Siamo tutti e tre in forma". A vederla forse non si sarebbe detto, ma cercò di trasmettere loro il suo ottimismo.

Dopo qualche altro istante di perplessità, si scatenò il putiferio. Castle cercò di proteggerla dall'assalto a fin di bene, ma il desiderio di dimostrarle il loro entusiasmo per la notizia fu straripante. Suo marito scivolò rapidamente ai margini del suo campo visivo, finché si rassegnò a doverla cedere agli altri. Si alzò per andare a recuperare una bottiglia di vino, che doveva aver tenuto in serbo proprio per quell'occasione, iniziando a riempire i i bicchieri di tutti.
Ci furono abbracci, pianti, risate e tante domande che non necessitavano di risposta. Le faceva piacere aver condiviso quella notizia con loro, anche se aveva dovuto combattere con l'istinto protettivo ancestrale che da qualche tempo sembrava orientare le sue decisioni. Era bello poter dare una gioia a chi si era stato profondamente in ansia per loro due. E adesso sarebbero stati in tre. Lo erano già.

Mentre ancora impazzavano brindisi e festeggiamenti – a un certo punto si era chiesta se fosse normale tanta euforia, in fondo si trattava solo di un bambino, non pensavano che prima o poi sarebbe successo? - si alzò per sgranchirsi le gambe, perché non riusciva più a stare seduta. Colse la scusa di dover prendere le vitamine giornaliere, che erano ancora nella sua borsa in camera, dove Castle l'aveva depositata appena entrati.
Era riuscita a non posare mai, nemmeno una volta, lo sguardo sul punto della loro casa dove... non finì la frase. Alcune cose dovevano rimanere indicibili.
Trovò subito quello che cercava e decise che sarebbe andata in bagno a riempire un bicchiere d'acqua. Era più riservato ed era un modo di stare per qualche minuto lontano dalla folla per riposare un po'. Non c'erano altri motivi.
Sentì dei passi leggeri dietro di lei che la fecero trasalire. Impose al suo cuore di rallentare. Si chiese quando avrebbe smesso di essere così vulnerabile e ipersensibile.

Non era Castle, come si era aspettata, ma suo padre, che si fermò a qualche passo di distanza, rispettoso e discreto come sempre. Non ricordava un'altra occasione in cui fosse entrato nella stanza che divideva con Castle. Si chiese se fosse normale sentirsi un po' in imbarazzo. Di certo dopo le confessioni di Martha, non era facile essere a proprio agio di fronte al padre.
"Come stai, Katie? Non sei stanca?", si informò nel suo solito modo premuroso, ma non invadente.
Si sentì sommergere da un'onda emotiva che avrebbe dovuto imparare a gestire, o forse solo accettare, molto rapidamente, se avesse voluto arrivare alla fine della gravidanza sana di mente. Guardò in basso, per riprendere il controllo di sé e riuscire a mettere in fila qualche parola di circostanza.
Non ce ne fu bisogno perché Jim la prese tra le braccia e lei si trovò con la testa appoggiata sulla sua spalla, a inalare il profumo di casa, la sua prima casa, il suo primo rifugio, cercando di frenare le lacrime, mentre lui le accarezzava piano la schiena.
"Avrei dovuto dirtelo prima", si scusò, asciugandosi gli occhi con le dita, uno per volta. "Ma la verità è che non volevo dirlo a nessuno".
"Hai fatto bene", le rispose pieno di comprensione. "Devi fare solo quello che ti senti".
Kate annuì, piena di gratitudine. Le parole di suo padre le avevano tolto un peso che non sapeva di aver sostenuto fino a quel momento.
Le tolse i capelli dalla fronte, facendola sentire di nuovo bambina, e protetta.
"Non vuoi riposare? Devi essere esausta".
"Non lo sapevo, papà. Non sapevo di essere incinta. Non mi sarei mai esposta al pericolo, se solo avessi avuto il minimo dubbio". La confessione le uscì tutto d'un fiato, senza che fosse mai stata consapevole di quello che le bruciava dentro.
Voleva che qualcuno l'assolvesse per un crimine che non aveva commesso, ecco tutto.
"Non c'è bisogno che mi spieghi nulla. Lo so. Lo so che non l'avresti mai fatto". Nei suoi occhi vide solo una fiducia illimitata, che le tolse il fiato per il sollievo. Sarebbe andato tutto bene.
Si abbracciarono di nuovo. Le sembrò di cogliere il riflesso di Castle, in piedi sulla soglia della stanza, venuto ad accertarsi che andasse tutto bene.
Anche suo padre si era accorto della sua presenza, visto che si rivolse a entrambi.
"Adesso cacciateci tutti da casa vostra e concedetevi un po' di riposo. È un ordine. Qualcuno dovrà pur prendersi cura di mio nipote", ordinò loro, sforzandosi di parlare con un tono burbero, che risultò molto convincente, almeno su Castle.
"Sissignore", mormorò mettendosi quasi sull'attenti.
E le lacrime di Kate si sciolsero in una risata liberatoria.

   
 
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