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Autore: swimmila    13/09/2018    8 recensioni
Che lei del Conte di Fersen era innamorata. Nessun altro uomo le aveva fatto battere il cuore tanto capricciosamente. Nessuno le aveva mai disordinato a quel modo i pensieri.
Ma quella sera.
Mai per nessuno l’anima sua s’era strappata a quel modo.
Era innamorata del Conte, Oscar. Ma quella sera sentiva nell’anima un bisogno. Disperato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Perfetta affinità

Non era ancora l’alba. Ma era già dentro l’uniforme, il Colonnello delle Guardie di Sua Maestà, a proseguire il suo dovere che non conosceva interruzione. Solo fisiologico riposo. Aveva indossato la giubba di ricambio, perfettamente pulita, su una coscienza indelebilmente macchiata, e si era affrettata a raggiungere la camera di André. Era entrata in punta di piedi, si era avvicinata a lui ed era rimasta immobile, nella penombra.
André dormiva, ma Oscar gli leggeva sul viso le pieghe di una notte agitata da acute fitte di dolore e da spettri terrificanti. Forse si era appena addormentato. Lei, invece, non ci aveva nemmeno provato a dormire, quella notte. Si era seduta sulla poltrona della sua stanza, aveva aperto le grandi vetrate della finestra e aveva lasciato che l’aria venisse a ripulire la stanza del miasmatico fetore dei suoi pensieri. Avrebbe voluto suonare il pianoforte, affidare ai tasti le urla colpevoli della sua coscienza, ma non aveva voluto rischiare di disturbare André, che le loro camere erano proprio l’una sopra l’altra.
Aveva aspettato le cinque del mattino, poi, con calma, si era vestita ed era andata da lui.
La stanza era immersa nell’oscurità. Era ancora presto perché il sole si levasse all’orizzonte; e in ogni caso Marie aveva tirato con cura le tende pesanti. Come se l’occhio ferito di André potesse ancora subire offese dai fasci di luce.
Con un fruscio appena accennato Oscar scostò le cortine e, senza fare rumore si appressò al letto. Per fare cosa, non le era ben chiaro, che non c’era gesto o parola che potesse compiere o dire per redimersi dalla sua colpa.
Un movimento nella penombra, un fruscio di lenzuola a scorrere sul risveglio di lui la scossero dai suoi pensieri.
Lo chiamò piano, gli prese una mano fra le sue e lo sentì chiamarla a sua volta, sottovoce.
“Mi dispiace, André” Non erano necessari preamboli e ipocrisie. Lo sapevano entrambi com’erano andate le cose. Del Colonnello delle Guardie di Sua Maestà era stato l’ordine di indossare l’identità di quel delinquente. Di André era stata la fedeltà.
“Oscar, non torturarti. Non potevamo fare altrimenti.” La voce di André le suonò sedata di torpore e di ragionevolezza. Non vi era traccia di risentimento.
André aveva passato la notte a dimenarsi fra dolori sudati e prospettive angoscianti. Ma più penoso di tutti era stato lo sforzo di ricacciare il ricordo del viso di Oscar devastato dai rimorsi e dai sensi di colpa dopo che il dottore aveva sentenziato la sua diagnosi. Era una immagine, quella, fissata indelebile nella sua memoria visiva, che nessuna spada avrebbe più potuto scalfirgli. Era un ricordo troppo angoscioso per non ribellarsi.
“Avrei potuto indossare io….” Cominciò lei. André le strinse la mano, interrompendola con quel gesto meglio che con qualsiasi altra parola. Oscar tacque e lui parlò con voce morbida e pacata.
“Non dire sciocchezze, Oscar. Non saresti stata un Cavaliere Nero credibile, con quella tua capigliatura bionda.”
Non era vero, Oscar lo sapeva. Che il Cavaliere Nero avrebbe potuto avere un complice biondo. Ma aveva ceduto alla tentazione di essere perfetto, il Colonnello delle Guardie di Sua Maestà. Perfetto. Il Colonnello delle Guardie.
Da dietro le sue spalle il sole aveva cominciato a destarsi al suono assordante delle loro bugie. Un raggio più curioso degli altri entrò nella stanza, attratto da una sciarada che, privata di anima e di umane implicazioni, suonava dilettevole.
In pochi, silenziosi minuti, la camera fu invasa da luce pettegola e divertita. Oscar si voltò, lasciandogli la mano, non già per ammirare quel nuovo giorno, già preannunciato peggiore degli altri. Ma solo per riprendere fiato. Per sottrarsi a quello sguardo calmo e sereno che morbido la accarezzava. Come se André stesse guardando una persona a lui cara, e non la sua carnefice.
André la fissava con l’unico occhio autorizzato dalla scienza e dal fato, che l’altro sarebbe rimasto fasciato ancora per diversi giorni, per risparmiargli almeno il ludibrio delle infezioni. Che quello, sarebbe rimasto al buio per sempre.
Lo sapevano entrambi che Oscar aveva ragione. Lo sapeva anche lui che avrebbe potuto indossarlo lei, quel costume. Che la paura dei nobili non sarebbe stata così lucida da distinguere una diversa corporatura; non così impavida da sfidare una differente capigliatura. E il vero ladro non avrebbe ugualmente resistito alla tentazione di sfidare chiunque avesse osato usurpare il suo nome.
Ma era lui che non sarebbe sopravvissuto al senso di colpa che la corrodeva. Che l’amore può tutto, tranne tollerare la compassione.
Doveva mettere fine al tormento di Oscar. Almeno a quello. Perché per gli altri non gli era riuscito.
“Sono contento che sia stato ferito io all’occhio e non tu. Credimi Oscar.” Non c’era altra verità di quell’assolutismo serafico e demiurgo. Tutto il resto, era pedestre relativismo.
Si voltò di nuovo, Oscar. E fu impari e a sorpresa l’attacco che subì.
Il bendaggio copriva l’occhio di André girandogli attorno alla fronte. Eppure l’altro scintillava di un’emozione che non poteva essere più completa.
Tutto, in quel viso, brillava con forza.
Sembrava perla, quella lacrima accesa da un raggio di sole radente e commosso. Di dolcezza profonda, il tocco di quello sguardo rimasto solo ma non tronco. Appena accennata, eppure potente, la piega di quelle labbra forgianti un sorriso. Era amore, e nessun altro astro, ad accendergli il viso. Era indelebile e vellutata la voce che le trafisse l’anima e vi rimase incastrata.
Tutto, nel viso di André, era tranquillità di chi ha certezza assoluta.
Annaspò immobile, Oscar, alla ricerca di aria. Annaspò nelle lacrime, il suo sguardo offuscato. La testa vuota di ogni pensiero. L’anima scossa da un’ondata di incontenibile commozione.
Il Colonnello delle Guardie di Sua Maestà si sentì accartocciare come un lucignolo acceso, via via denudato dalla cera bollente che ritirandosi si spande liquida. Aprì la bocca per replicare, ma quella tremò di turbamento e rimase priva di parole.
Allora avanzò di un passo, Oscar, gli prese ancora una volta la mano e gliela strinse di meraviglia e disperazione.
Che parole, in quel momento, non ce n’erano.
Fu un attimo.
Sentirono entrambi il soffio di una percezione vivida e fugace di perfetta affinità fra ciò che si dice e il modo in cui si dice.
Che quello sguardo e quella lacrima non potevano spiegarle meglio quello che ancora non aveva parole a disposizione per essere detto.
Che quelle dita, quelle mani strette attorno alla sua gli parlavano più di una oratoria perfetta.
Un silenzio amebeo declamato nelle segrete condolenti del loro cuore.
Rimase immobile, la donna in divisa, a condensare i fumi di una coscienza in dissolvenza. Le mani strette attorno a quella di lui.
Aveva bisogno di restare ancora un attimo, a nutrire dell’amore immane di quell’uomo le ansie fameliche che le divoravano l’anima.
Un attimo ancora, per suggellare il loro accordo nell’assonanza dei respiri.
Aveva bisogno di ritrovare il giubilato Colonnello delle Guardie di Sua Maestà, per iniziare quella doverosa giornata.
Ne aveva un bisogno. Disperato.
 
   
 
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