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Autore: mirimellecarlottina    18/09/2018    0 recensioni
Dopo l'ennesimo rifiuto Dominic conclude che il proprio sogno non si realizzerà. Da sempre desidera diventare un cantante, ma comincia a pensare che nessuno pagherà mai per la sua voce, che forse converrebbe concentrarsi sulle cose più reali. Preso dalle difficoltà economiche di tutti i giorni, un padre pericoloso, un lavoro che odia, tenta di dimenticare ciò in cui ha sperato per tutta la vita. Almeno finché non incontra Alex, un ragazzo strano, un musicista eccentrico, uno spirito indipendente. Con lui accanto i sogni sembrano più reali, la musica viene dal cuore e ogni cosa appare semplicemente per come è. Con Alex vicino Dominic sente di poter ribaltare finalmente tutte, ma proprio tutte le proprie certezze. Una nuova band è pronta a fare la sua entrata in scena.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Se si fermava un momento a pensarci si rendeva conto da solo che le cose non sarebbero potute essere diverse. Insomma, quante erano le possibilità? Poche e ancora meno se si soffermava a considerare la scarsa fortuna che aveva sempre avuto. Lui era un sognatore, un professionista nel farsi castelli per aria, un illuso, uno sciocco. A forza di delusioni accatastate una sopra l’altra si era invece costruito una bella casa fatiscente di vergogne. Era il destino. E questa volta sentiva che l'avrebbe accettato.
Chiudendo la porta di casa alle sue spalle Dominic percepì chiaramente che era la fine. Una porta chiusa per la vita. Basta esibizioni silenziose davanti allo specchio in camera, alle due di notte. Basta raccolte ossessive di volantini di band sconosciute di quartiere. Basta anche con quell'aria da weirdo orgoglioso e con tutto il narcisismo di cui si era nutrito per ventidue anni di vita. D'altronde sarebbe bastata un’occhiata a casa sua per capire che non c'erano speranze, quale grande artista musicale viveva in un bilocale con sua madre, in uno dei quartieri più disgraziati della città dove nemmeno la metro si sforzava di arrivare?
“Come è andata, coniglietto?” la voce della mamma giunse alle sue spalle, avvolta nella luce tremula della torcia del cellulare che si rifletteva nella porta d’ingresso.
“Solito, Ma’” rispose senza entusiasmo, ma nel girarsi tentò il suo sorriso migliore. Lei avrebbe meritato molto di più. E quello era uno dei motivi per cui fino ad allora non aveva mollato. Invece il quel momento gli apparve come il miglior motivo per farlo. Si sarebbe dovuto impegnare nel lavoro, magari un giorno sarebbe stato il cencioso capo del personale del cencioso supermercato.
“Non lasciarti abbattere" disse la mamma, avvolta nella coperta che si trascinava dietro per casa ora che il riscaldamento gli era stato staccato
“È tardi, vai a dormire” Dominic la baciò su una guancia, delicatamente. Solo quando chiuse la seconda porta della serata, quella della sua stanza, ebbe pienamente coscienza della situazione. Mentre stava sdraiato sul letto ancora vestito la macchia di umidità sul soffitto che somigliava ad un pipistrello grasso lo fissava e lo giudicava per quello che era. Un fallimento.
Si rese conto immediatamente che era tardi quando aprì gli occhi. Aveva scordato di mettere la sveglia, si era addormentato vestito ed ora era il momento di correre. Non pensò nemmeno di cambiarsi, tantomeno di mangiare. La mamma era già uscita da un pezzo per il suo primo lavoro, cura di un anziano ricco dei quartieri alti tanto spilorcio da volersi accontentare di una donna semplice come lei, invece di scegliere un'infermiera-modella-velina. Dominic aveva benedetto tante volte la sua avarizia.
Non aveva grande simpatia, invece, per il proprio di lavoro. Tuttofare in un orrendo supermercato a basso costo e stella della musica internazionale erano due idee di lavoro piuttosto diverse. Indossando la mostruosa divisa verde evitò accuratamente di guardarsi allo specchio; già sapeva che avrebbe odiato i capelli scuri sugli occhi nerissimi, le occhiaie, il colorito cadaverico, la cordicella intorno al collo con appeso lo stupido ciondolo a forma di chiave di violino.
Il capo lo sgridò per il ritardo, lui rispose che non sarebbe più accaduto, il suo cervello prese a vagare altrove mentre sistemava scatole di cibo per gatti e la radio trasmetteva una sciattissima canzone pop dal testo incomprensibile. Passò un'intera mattinata senza che nulla cambiasse. Scatole, confezioni, flaconi, bottiglie e scaffali, scaffali, scaffali e musica pop e parole a distanza percepite a metà, carrellini cigolanti, impronte di scarpe sporche sulle piastrelle bianco ospedale. Aveva cominciato a piovere. Avrebbe dovuto pulire.
Dominic si avviò all'ingresso con lo spazzolone tra le mani intorpidite dal freddo. Alzò gli occhi giusto in tempo per vedere una sagoma entrare, scivolare su una pozza d’acqua e cadere a terra.
“Porca…” mormorò, sicuro che la colpa sarebbe ricaduta su di lui. Si preparò a raccogliere da terra una vecchietta pregando che non si fosse rotta nulla
“Si è fatt…” si interruppe quando si accorse di aver sbagliato i calcoli. Quello seduto a bagno, con gli skinny neri già intrisi di acqua era un ragazzo. Uno particolare, di quelli che per strada facevano girare le persone a guardarli. Sotto alla frangia di capelli di un rosa slavato aveva occhi azzurri graziosi su un viso grazioso, su un fisico grazioso. Ed una risata graziosa.
“Oh my, quanto sono stupido”
Dominic gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi, notò i mezzi guanti con su disegnate mani ossute da scheletro, lo smalto nero rovinato sulle unghie. Ecco, quello era un weirdo ben riuscito. E la cosa lo metteva a disagio.
“Fatto male?” Chiese, cominciando ad asciugare
“No, per niente” probabilmente stava sorridendo ma Dominic non lo guardò
“Per qualunque cosa ti invito a fare reclamo al banco informazioni"
“Non serve” il ragazzo rosa se ne stette per qualche istante accanto a lui, come se si aspettasse altro, poi si allontanò, si chinò a prendere un cartellino e si addentrò tra le corsie. Dominic sollevò lo sguardo da terra il tempo necessario per notare inconsciamente come i jeans bagnati sottolineassero le sue gambe.
“Dominic in cassa" l'altoparlante gracchiò nel momento giusto per impedirgli di fare considerazioni sconvenienti.
Lo riconobbe subito in coda alla sua cassa. Non sapeva come si sarebbe dovuto comportare. Passò i prodotti sul lettore in modo meccanico, fingendo di non aver notato i biscotti a forma di animaletti e la quantità impressionante di chewing gums
“Va davvero tutto bene?” Chiese mentre entrambi attendevano in silenzio che la macchinetta del bancomat facesse il proprio lavoro
“In realtà no" Dominic alzò di scatto la testa, nella pausa che seguì osservò il modo in cui lo sconosciuto si mordeva il labbro inferiore, giocando con un piercing
“Sono nuovo in città, arrivato stamattina. Non so dove trovare un negozio di strumenti musicali" Dominic tirò un sospiro di sollievo, dopo essersi immaginato il proprio licenziamento
“All'angolo della dodici, verso il centro studi" rispose
“Angolo dodici, centro studi" ripeté il ragazzo “Sei un musicista?”
“Cantante" rispose istintivamente il cassiere, rendendosi subito conto della stupidaggine. Lui non era un cantante, non lo sarebbe mai stato “Uno a cui piace cantare" rettificò
“Bello" l'altro sorrise, sembrava sincero in un modo del tutto assurdo “Comunque io sono Alex" gli tese la mano dall'altro lato della cassa
“Dominic…”
Alex raccolse la sua roba, la infilò nella busta e se ne andò salutando con un gesto della mano piuttosto infantile.
 
Quando riaprì la porta di casa e si accorse di essere solo, Dominic fu quasi sollevato. Amava sua madre con tutto sé stesso ed era proprio quello il motivo per cui aveva perso la voglia di parlarle. Quando si spogliò davanti allo specchio evitò di guardarsi. Sedette sul letto a gambe incrociate. La serata gli sembrò d'un tratto molto vuota quando si ricordò che mettersi a cantare non avrebbe avuto alcuno scopo. Niente più esibizioni solitarie. Tutto finito. Si sdraiò, invece, a fissare il soffitto e attese.
Quando il campanello suonò pensò che l’attesa avesse davvero avuto uno scopo.
“Non c'è tua madre?”
“Signor Otis"  non si stupì quando il padrone di casa non si degnò nemmeno di salutarlo
“Non c'è tua madre?”
“Al lavoro, come sempre”
“Quando torna?”
“Può parlare con me” cominciava davvero ad irritarlo, erano i momenti in  io faticava di più a nascondere il suo temperamento in realtà piuttosto focoso.
“È lei a pagare l'affitto"
“Lo facciamo insieme”
Il signor Otis si appoggiò allo stipite della porta come per guardare all’interno
“Mi dovete due mensilità, hai i soldi?”
Dominic si piazzò dritto davanti a lui. Non c'era niente che valesse la pena di guardare in casa loro, non era il caso di dissacrare quel poco di quotidianità che avevano.
“A fine settimana”
“Tutti?”
Dominic fece due conti, se avesse chiesto un anticipo sul mese successivo ci sarebbe riuscito. Sua madre non era tipo da lasciare indietro questo genere di pagamento, doveva essere successo qualcosa e lui voleva aiutarla.
“Tutti"
“Torno venerdì”
“Sabato"
“Venerdì”
Il signor Otis si incamminò giù dalle scale e Dominic lo guardò svanire al piano di sotto prima si chiudere la porta.
La mamma tornò alle 22.00, mangiarono insieme senza che lui accennasse all'accaduto, parlarono dei vecchi parenti, dello zio che sapeva prendere i pesci con le mani, della volta in cui sua madre era caduta in un ruscello. Era bello, infondo. Erano insieme. Andare a dormire fu meno piacevole. Prima di addormentarsi Dom si sentì sul petto il peso di un futuro apparentemente senza significato. Passò una notte tormentata, tra inseguimenti, mostruose apparizioni e cadute da grattacieli. Quando si svegliò alle 2.09 decise che avrebbe lasciato perdere il sonno e si mise a fantasticare sul tingersi i capelli di rosa.
   
 
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