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Autore: mikimac    19/09/2018    3 recensioni
L'amore colpisce tutti. Spesso, quando meno te lo aspetti. Qualche volta, per chi non dovresti amare.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Ciao a tutti. È da un po’ di tempo che non pubblico un racconto, ma eccomi qui di nuovo. Questa sarà una storia romantica dai toni drammatici. Immagino che tutti abbiate riconosciuto il titolo del racconto. Questa non è altro che la rivisitazione del meraviglioso film del 1946 “Notorius, l’amante perduta” di Sir Alfred Hitchcock con Cary Grant e Ingrid Bergman.
 
I personaggi non mi appartengono, ma sono dei legittimi proprietari dei diritti di “Sherlock”, “Notorius, l’amante perduta” e dei racconti di Sherlock Holmes.
Questo racconto non ha scopo di lucro, ma vuole solo intrattenere chi si avventuri fra le sue righe. Se dovesse ricordare altre storie, mi dispiacerebbe, ma sarebbe involontario.
 
Buona lettura.
 
 
 
 
 
A Londra si respirava un’aria eccitata, che non dipendeva dall’imminente arrivo dell’estate e dalla prospettiva di meritate vacanze, dopo un freddo anno di lavoro. Al centro delle cronache e di ogni discorso, c’era una notizia che sembrava quasi appartenere a un’altra epoca. Molti inglesi, ancora increduli, pensavano che le pagine di un libro di Ian Flaming avessero preso vita. L’affascinante James Bond aveva trovato un degno rivale, però in carne e ossa. Reale.
Il ricco e famoso Henry Watson, attraente e carismatico erede di una delle famiglie più altolocate della borghesia inglese, era sotto processo con l’accusa di essere una spia! Dopo approfondite e segrete indagini, l’MI6 aveva scoperto che il ricco rampollo si manteneva vendendo al miglior offerente i segreti che carpiva ai suoi vari amanti, donne o uomini in posizioni di potere della politica e dell’economia  inglese, mentre erano sotto le coperte. Lo scandalo era stato enorme. La famiglia Watson si era chiusa in un silenzio assoluto, parlando solo attraverso i propri avvocati. Il processo aveva destato molta curiosità ed era stato seguito dalla stampa e dalla gente comune, con un interesse quasi morboso. I signori Watson non si erano mai presentati in tribunale. Anzi. Avevano abbandonato Londra e si erano ritirati in una delle loro ville di campagna, mantenendo l’assoluta riservatezza sulla località in cui si erano rifugiati, per sfuggire alla indesiderata attenzione che giornalisti e pubblico avevano nei loro confronti. Solo un membro della famiglia era sempre andato alle udienze, incurante dei flash dei fotografi e dei microfoni degli inviati.
John H. Watson era il fratello minore di Henry. Meno affascinante e mondano del fratello maggiore, era un medico di grandi capacità. Quando era scoppiato lo scandalo, John prestava servizio nell’esercito come ufficiale medico, con il grado di capitano del 5th Northumberland Fusiliers Regiment. Malgrado le indagini avessero stabilito che lui non fosse stato coinvolto né fosse a conoscenza dei traffici illegali del fratello, era stato costretto ad accettare di essere congedato, per non disonorare il proprio reggimento.
Quella radiosa mattina, le scale davanti all’ingresso del tribunale erano affollate di cronisti e fotografi. La giuria aveva appena emesso la propria sentenza. Henry Watson era stato riconosciuto colpevole per tutti i capi d’accusa, che gli erano stati addebitati. La condanna all’ergastolo era stata inevitabile.
 
 
Scandalo a Londra
 
 
L’espressione sul viso di John Watson non lasciava adito a dubbi. Il giovane medico era furioso. Non si capiva solo chi o che cosa fosse la causa della sua rabbia. Forse la condanna del fratello, che lui riteneva troppo severa. Forse Henry stesso, che si era lasciato coinvolgere in modo stupido in qualcosa di molto più grande di lui. Forse i giornalisti e i fotografi, che lo stavano assediando, quasi impedendogli di raggiungere il marciapiede e l’auto, che lo avrebbe portato via da lì. Forse le domande pressanti e irritanti o i flash fastidiosi che lo accecavano. John non rispose a nessuno. Guardando i gradini, andò imperterrito per la propria strada, stringendo i pugni e serrando le labbra, per impedirsi di picchiare o insultare uno di quei seccanti persecutori.
Un uomo alto e moro, con i capelli scompigliati e ricci e occhi di un azzurro incredibilmente chiaro, vestito elegantemente, stava osservando la scena, mentre sorseggiava un tea in un bar poco lontano.  L’uomo studiava John Watson. I capelli biondi, resi quasi un’aureola brillante dal sole battente della tarda mattina. Il fisico basso, ma atletico e scattante. La leggera zoppia, chiaramente psicosomatica. Stando al rapporto dei Servizi Segreti Militari, John Watson era un eroe. Durante un’azione in Afghanistan aveva salvato alcuni commilitoni, rimanendo ferito alla spalla sinistra. Subito dopo era scoppiato lo scandalo provocato dal tradimento di Henry e l’esercito aveva approfittato delle ferite fisiche di John per congedarlo, anche se con tutti gli onori da tributare a un eroe. Lo stress provocato dalla situazione, si era manifestato in una zoppia psicosomatica che colpiva la gamba destra, quando il giovane Watson era particolarmente agitato. Il medico sparì dentro un’auto nera, che partì quasi travolgendo i cronisti. L’uomo moro continuò a sorseggiare il proprio tea. Il suo obbiettivo sembrava un tipo interessante. Questa missione poteva rivelarsi meno noiosa di quanto avesse preventivato.
 
 
John Watson entrò nell’appartamento e chiuse la porta sbattendola. Il rumore risuonò alle sue spalle come un’esplosione. Una rabbia profonda lo dilaniava, irradiandosi dal centro del petto verso l’esterno.
Chiuse gli occhi.
Inspirò lentamente.
Espirò dolcemente.
Aprì le mani, costringendosi a stirare le dita.
Inspirò rumorosamente.
Espirò silenziosamente.
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie.
Inspirò.
Espirò.
Aprì gli occhi.
Il sole entrava spavaldo dalle tende spalancate. Osava illuminare quella giornata buia e devastante, come se fosse stato tutto normale. Come se non fosse accaduto nulla di terribile. Se avesse potuto spegnere il sole, John Watson lo avrebbe fatto.
Chiuse di nuovo gli occhi.
I suoni di Londra arrivavano attutiti attraverso le finestre chiuse. John avrebbe voluto che la città, la Gran Bretagna, il mondo intero svanissero nel nulla. Evaporassero intorno a lui. Per non dover affrontare il futuro. I suoi genitori erano stati distrutti dalle azioni del loro figlio maggiore. La madre aveva sempre le lacrime agli occhi e non osava guardare in faccia nessuno. Il padre trascorreva le ore rinchiuso nel proprio studio, incapace di interagire con il resto dell’umanità. La casa in cui i genitori di John si erano rifugiati era accudita da alcuni degli inservienti più fidati, quelli che servivano la famiglia da anni e che non avrebbero mai rivelato a nessuno dove si trovassero i coniugi Watson né che cosa stessero provando per il tradimento del figlio. Gli unici altri estranei con cui avessero qualche contatto erano i loro avvocati. Soprattutto con Emmanuel Stamford, il cui figlio, Mike, aveva frequentato l’università con John.
Il cuore del giovane Watson si era parzialmente calmato. Aveva cominciato a battere con un ritmo quasi normale.
John riaprì gli occhi.
La bottiglia di whiskey era lì, davanti a lui.
Invitante.
Suadente.
Prometteva conforto.
Assicurava che per qualche ora avrebbe dimenticato i propri problemi.
John era cosciente del fatto che stesse per fare qualcosa di stupido, ma a chi avrebbe nuociuto se si fosse ubriacato? Se avesse perso completamente il controllo delle proprie emozioni?
A nessuno.
I suoi genitori erano tanto lontani che non avrebbero mai saputo che aveva annegato la propria rabbia, il proprio dolore e il proprio rancore nell’alcool. Rimanendo nel proprio appartamento, nessuno avrebbe assistito al suo tracollo. Non sarebbe stato la pietra di un altro scandalo da scagliare contro la sua famiglia. Poteva concedersi di crollare. Ne aveva abbastanza di essere quello coscienzioso e responsabile. Aveva bisogno di sfogare la propria frustrazione o avrebbe fatto qualcosa di veramente stupido.
John si avviò verso l’angolo bar a passo deciso. Versò in un bicchiere una dose generosa di whiskey e lo trangugiò tutto d’un fiato. Il liquido ambrato si riversò nella gola, che si infiammò come se avesse ingoiato fuoco puro. John sentì il liquore scendere dalla gola allo stomaco. Gli sembrò di non riuscire a respirare. Spalancò la bocca per prendere fiato e fece una smorfia, quasi di disgusto. Questo non gli impedì di versare un’altra abbondante quantità di whiskey nel bicchiere, bevendola nello stesso modo. Prese la bottiglia e andò a sedersi sul divano, senza nemmeno togliersi la giacca. Si versò altro alcool, appoggiando la testa allo schienale, mentre il liquido scendeva dalla gola allo stomaco.
Bruciava meno.
La testa sembrava già più sgombra. Meno oppressa dalle nuvole nere e minacciose, che la avevano invasa negli ultimi tempi. Chiuse gli occhi e sentì calde lacrime scivolare lungo le guance accaldate. Il liquore stava sciogliendo la rabbia, il dolore e il rancore.
La rabbia per le azioni del fratello, dettate dalla noia e dalla sua incoscienza.
Il dolore per la vergogna che provavano i genitori e per il terribile futuro che attendeva Henry.
Il rancore verso il fratello per quello cui John era stato costretto a rinunciare, a causa delle sue azioni sconsiderate.
John continuò a bere, senza quasi accorgersi che le lacrime continuavano a rigargli il viso, inarrestabili. Che singhiozzi convulsi gli scuotevano il petto. John continuò a bere fino a svenire. Cadde nell’oblio, dove nulla poteva raggiungerlo per fargli del male.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
Eccoci alla fine del primo capitolo. Premetto che saranno capitoli brevi, pubblicati ogni settimana a partire da oggi. Spero di riuscire a pubblicare sempre nello stesso giorno, ma non posso prometterlo. Comunque, assicuro che ci sarà sempre un aggiornamento ogni settimana.
Sherlock entrerà ufficialmente in scena nel prossimo capitolo. Ovviamente avete già capito quale sarà la “sua parte”. Di questo, però, ne parleremo la settimana prossima.
 
Grazie a chi abbia letto fino a qui. Se qualcuno volesse lasciare un commento, anche piccolo piccolo, sarà sempre gradito.
 
Alla prossima settimana!
 
Ciao!
 
 
   
 
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