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Autore: Saigo il SenzaVolto    20/09/2018    1 recensioni
AU, CROSSOVER.
Prequel de 'La Battaglia di Eldia'
Boruto Uzumaki, il figlio del Settimo Hokage di Konoha. Un prodigio, un genio. Un ragazzo unico nel suo genere.
Un ragazzo il cui sogno verrà infranto.
Una famiglia spezzata. Una situazione ingestibile. Un dolore indomabile. Una depressione profonda. Un cuore trafitto.
Ma, anche alla fine di un tunnel di oscurità, c'è sempre una luce che brilla nel buio.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. La sua crescita, la sua famiglia, il suo credo, i suoi valori.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. Un prodigio. Un ninja. Un traditore. Un Guerriero.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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IL DESERTO DEL VENTO





 

02 Novembre, 0015 AIT
Terra del Vento
Luogo Imprecisato nel Deserto
07:00


“Ben svegliato, Mitsuki,”

Mitsuki trasalì quando quelle parole gli risuonarono nella testa come un tuono. Non aveva ancora nemmeno aperto gli occhi e già si sentiva addosso un dolore più grande di quel che ricordava di avere prima di essere svenuto. Aprendo leggermente le palpebre, l’albino posò lo sguardo su tutto ciò che lo circondava con attenzione e perplessità. Si trovava all’interno di una tenda verde, sdraiato sopra un lettino di stoffa e paglia. Non c’era niente attorno a lui, eccetto la figura di un biondino che incombeva sopra il letto con un sorriso saccente, affiancato da altre sei persone poste dietro di lui.

Una sensazione di stupore e incredulità lo pervase appena si rese conto di chi si trovava davanti. Boruto Uzumaki e i suoi amici. La sua logica e la sua ragione presero a lavorare immediatamente quando realizzarono quella cosa. Se si trovava dinanzi a loro in questo momento, allora questo significava che non era a Konoha. E se non era a Konoha, allora era stato catturato. Era stato fatto prigioniero da Boruto.

D’istinto, il suo corpo prese a muoversi da solo nel tentativo di fare qualcosa, ma desistette da quell’impulso inconscio appena si rese conto dell’immenso dolore che lo pervadeva dalla testa ai piedi.

“Vacci piano,” disse il biondino davanti a lui, serio. “I tuoi muscoli sono ancora doloranti per lo scontro. Inoltre ti ho imposto un sigillo sul collo che ti impedirà di infondere chakra, giusto per precauzione.”

Mitsuki serrò i denti per il dolore. “Sì, non sembra che tu ci sia andato leggero con me,” ribatté ironicamente, cercando si rimettersi seduto. “Perché mi avete catturato? Che cosa volete farne di me? E che ne è degli altri?”

Boruto sembrò fissarlo con uno sguardo perforante dopo quelle domande. “Non vogliamo farti del male, te lo assicuro,” cominciò allora a dire seriamente. “E non abbiamo fatto del male a nessun altro dei tuoi amici. A quest’ora dovrebbero essere ritornati tutti nella Foglia sani e salvi. Abbiamo solo preso te prima di fuggire.”

Mitsuki guardò gli occhi azzurri e seri dell’Uzumaki con i suoi gialli e indecifrabili. “Perché?” domandò, usando solo una parola.

“Perché,” rispose quello. “Ti avevo fatto una promessa, ricordi? Avevo promesso che ti avrei salvato. Perché io e te siamo uguali. Perché io e te abbiamo sempre sofferto a causa dei nostri genitori. Io ho dovuto vedermela con l’Hokage, e scommetto che neanche Orochimaru sia stato un genitore esemplare. Lui ti ha costretto a nascere, ti ha creato, e ha tentato di inculcarti nella testa la sua visione del mondo. Ti ha forzato a scappare. Per questo ti ho portato con noi. Perché voglio liberarti dalle catene del tuo passato.”

L’albino rimase a bocca aperta, sconvolto. Come faceva Boruto a sapere queste cose su di lui? “Che cosa vuoi dire?” chiese alla fine, interdetto.

Boruto lo guardò con solennità. “Unisciti a noi, Mitsuki. Smettila di vivere nel buio e nella falsità che tuo padre e il Villaggio ti hanno costretto ad accettare usando la patetica scusa di essere uno Shinobi. Vieni con noi, e sarai finalmente libero di scegliere da solo chi e che cosa essere.” dichiarò.

Mitsuki sgranò gli occhi. “Come fai a sapere queste cose?” domandò, allibito. “Come fai a sapere del mio passato e di mio padre?”

Il biondino alzò le spalle con un moto di teatrale solennità. “Ho letto un documento su di te una volta,” spiegò lentamente. “L’avevo rubato dall’ufficio del Settimo circa otto mesi fa, prima che avvenisse tutto il trambusto con gli Esami di Selezione. In esso ho letto la tua storia, le tue origini, e ogni cosa che riguardava il modo in cui eri arrivato a Konoha. Tutto. Ogni singolo dettaglio.”

Il ragazzino lo ascoltò con attenzione.

“All’inizio non ho dato molto peso a quelle informazioni,” continuò a dire l’altro. “Ma dopo essere fuggito da Konoha mi sono reso conto della realtà delle cose. È stato allora che ho compreso davvero chi eri. Quando Orochimaru ti ha creato, hai passato mesi e mesi a cercare di donarti una ragione per cui tu esistessi. Hai cercato uno scopo per cui vivere. Dopotutto, è piuttosto difficile dare un senso ad una vita spuntata fuori da un esperimento come la tua, vero? Devi aver sofferto moltissimo per questo.”

“…”

“Orochimaru ha provato a costringerti ad accettare la tua vita come mero utensile per i suoi piani malvagi,” spiegò ancora lui. “È stato così meschino da arrivare anche a mentire, dicendo di considerarti come un ‘figlio’. Ma tu sei stato furbo, Mitsuki. Non sei cascato nel suo tranello, e ti sei ribellato. Per questo sei fuggito da lui e hai deciso di venire a Konoha. Perché avevi saputo di me. Avevi saputo di un altro ragazzo che, esattamente come te, si era ribellato alla morsa del Destino opprimente che gli era stato donato.”

Mitsuki abbassò lo sguardo a terra.

Boruto si avvicinò a lui, fissandolo con solennità e serietà. “Era per questo che volevi diventare mio amico. Era per questo che volevi seguirmi sempre all’Accademia. Volevi osservarmi. Volevi vedere come facessi a ribellarmi al sistema. Tu sapevi la realtà sul mio passato, e volevi scoprire cosa avrei deciso di fare per affrontare la realtà e la sofferenza che avevo ricevuto. Mi sbaglio forse, Mitsuki?”

L’albino scosse la testa inconsciamente, sconvolto.

Il giovane Uzumaki sorrise. “E proprio per questo devo farti le mie scuse,” riprese a dire di nuovo, sconvolgendolo con quelle parole. “Se solo avessi capito tutto questo in passato, forse noi saremmo potuti diventare amici prima. Forse, forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma ormai questo non ha importanza. Avevo promesso che ti avrei salvato, e io non mi rimangio mai la mia parola.”

Mitsuki lo guardò con attenzione, assieme anche a Mikasa, Sora e tutti gli altri ragazzi che stavano dietro le spalle del biondino.

“Durante gli Esami di Selezione, tu mi dicesti una cosa,” disse Boruto. “Mi dicesti che ti eri stufato di assecondare le decisioni degli altri. Mi dicesti che volevi essere tu a decidere cosa fare e chi essere. Era per questo che avevi deciso di seguirmi e di osservarmi. Era una decisione tua, e di nessun altro. Era il tuo unico modo di ribellarti dalle imposizioni di Orochimaru e della Foglia. E oggi, io voglio darti la possibilità di prendere di nuovo una decisione.”

Mitsuki ammiccò, allibito. “In che senso?”

Boruto si raddrizzò e si portò nel mezzo dei suoi amici, fissando l’albino con un sorriso dentato. “Ti ho portato con noi perché ho una proposta,” ripeté per la seconda volta. “Voglio offrirti la possibilità di scegliere il tuo destino attraverso due scelte: Vieni con noi ed esplora il mondo. Aiutaci a portare pace e sollievo alle persone che soffrono, e allora potrai avere la possibilità di trovare il tuo scopo nella vita. Oppure, rifiuta la mia offerta e torna a Konoha a vivere una vita in cui potrai solo obbedire a degli ordini. Questa è la proposta che voglio farti.”

L’albino lo guardò con stupore.

Sora fece un passo avanti. “Se verrai con noi, avrai la possibilità di vedere la realtà del mondo e di trovare le risposte su te stesso,” disse. “Ma se preferisci ritornare nella Foglia e riprendere a vivere come hai sempre fatto, allora sei libero di fare come ti aggrada.”

Boruto annuì. “La scelta è tua,” dichiarò, il suo sorriso sempre presente. “Nessuno ti ostacolerà indipendentemente da quello che sceglierai.”

“Tuttavia,” aggiunse Mikasa, seria. “Nel caso tu dovessi scegliere di combatterci ancora una volta, sappi che non ci andremo piano con te. Non abbiamo intenzione di ritornare a Konoha.”

Mitsuki rimase completamente allibito appena i tre giovani ebbero finito di parlare. Non riusciva a crederci. Non riusciva a comprendere. Boruto gli stava offrendo la possibilità di seguirlo, di unirsi al suo gruppo. Non avrebbe mai, ma proprio mai, potuto pensare che il biondino potesse arrivare a chiedergli una cosa simile. Era inconcepibile, era insensato.

Eppure, quelle parole bruciarono nella sua mente e nel suo cuore come una fiamma ardente e implacabile. Una fiamma impossibile da ignorare.

Tu che cosa vuoi, Mitsuki?

L’albino sorrise. Fu facile per lui riuscire a trovare la risposta. Il che era strano, visto che aveva passato tutta la sua vita a cercarla fino ad ora. Ma adesso, adesso che si trovava finalmente dinanzi a Boruto, adesso che lo osservava sorridere con confidenza e sicurezza, la risposta che aveva cercato per tutti questi anni sembrò comparirgli dinanzi agli occhi da sola. Come se l’avesse sempre saputa dentro al suo cuore, senza però darle voce.

Proprio come aveva deciso in passato, avrebbe scelto di seguire quel biondino ancora una volta.

“Allora,” domandò ancora Boruto, senza mai smettere di sorridere. “Cosa vuoi fare, Mitsuki?”

L’albino sorrise senza esitazione. La risposta, senza che lui ne comprendesse appieno il motivo, gli uscì dalle labbra d’istinto. “Accetto.” disse semplicemente.

Boruto e tutti gli altri sembrarono rasserenarsi visibilmente all’udire ciò. Adesso, ancora una volta, un nuovo compagno si era unito al loro gruppo. “Allora benvenuto tra noi,” gli disse il biondino, toccandolo sul collo con due dita e rimuovendo il sigillo che gli aveva impresso addosso per impedirgli di usare chakra. “Ci sono un paio di cosette di cui dobbiamo renderti noto, però. Prima tra tutti, dove ci troviamo adesso.”

Mitsuki annuì, serio. Non era tipo da sprecare tempo in chiacchiere inutili. Le cose andavano fatte subito e rapidamente. “Dove siamo, dunque?”

Gray fece un passo avanti. “Siamo nel Paese del Vento, approssimativamente a 33 chilometri dal confine con la Terra della Pioggia,” spiegò lentamente. “Al momento ci troviamo nel bel mezzo del deserto, a circa qualche chilometro dal nostro obiettivo. La cittadina di Tottori.”

L’albino inarcò un sopracciglio. “E perché siamo diretti in una cittadina sperduta nel mezzo del deserto della Terra del Vento?” domandò ancora, confuso. “Che cosa state cercando?”

“Informazioni,” fu la risposta immediata di Juvia. “Mentre eravamo in servizio nella Terra della Pioggia, abbiamo sentito delle voci riguardanti questo deserto. Circola la notizia che qualcosa, o qualcuno, stia mietendo migliaia e migliaia di vittime in questa zona orientale del deserto da diverse settimane ormai. Interi villaggi sono stati rasi al suolo, e molte persone spariscono nel nulla per poi riapparire nel mezzo del deserto… completamente diverse rispetto a prima.”

Boruto annuì. “Vogliamo investigare per capire cosa sta succedendo,” spiegò, serio come la morte. “E una volta svelato il mistero, fermare la causa di tutte queste morti improvvise. Saremo anche dei Nukenin, ma io e i miei amici non possiamo restare impassibili dinanzi alla sofferenza della gente.”

Mitsuki annuì, ma non ebbe il tempo di dire nulla che subito un grido roco prese ad udirsi dall’esterno della tenda.

“Oh, e non siamo soli in questo nostro viaggio,” aggiunse ancora Gray, sorridendo appena con le labbra. “Ci siamo uniti ad una carovana diretta a Tottori circa due giorni fa. Una carovana di banditi. La loro conoscenza del deserto è impeccabile, e ci guideranno senza difficoltà verso il nostro obiettivo.”

Il nuovo arrivato annuì, limitandosi ad inarcare un sopracciglio. Non era abituato a viaggiare assieme a dei banditi, ma la cosa non importava. Ormai aveva preso la sua decisone, e per questo avrebbe dovuto abituarsi ad uno stile di vita diverso da quello che aveva avuto nella Foglia. Non c’era possibilità di tornare indietro.

Boruto gli poggiò una mano sulla spalla. “Spero che tu non soffra il mal di mare,” disse, sorridendo saccentemente. “I viaggi sui cammelli sono molto lenti.”
 


02 Novembre, 0015 AIT
Deserto, Terra del Vento
A 2 Km dalla Cittadina di Tottori
09:43

Boruto aveva appreso una cosa molto importante sin dal primo momento in cui aveva messo piede nel deserto sabbioso e dorato di questo Paese.

Il deserto era il padrone assoluto di questa terra. Un padrone implacabile e crudele. Era più caldo del fuoco durante il giorno e più freddo del ghiaccio durante la notte. Lui lo aveva imparato due giorni prima, quando per la prima volta aveva cercato di disegnare delle figure nella sabbia per passare il tempo durante una sosta di mezz’ora. Le sue dita erano rimaste scottate come se avesse toccato un pezzo di metallo incandescente. Da quel momento in poi, Boruto aveva promesso a sé stesso di non toccare mai più la sabbia. Adesso capiva perché tanti abitanti di questa Terra indossavano stivali spessi e rigidi nonostante il caldo. Se non fosse stato possibile usare il chakra per camminare sulla sabbia, camminare normalmente sarebbe risultato impossibile dopo un periodo prolungato di tempo.

Ma camminare per troppo tempo era impossibile a prescindere. Il caldo, la sabbia e il vento rendevano i viaggi nella Terra del Vento un vero e proprio allenamento degno di un ninja. Come facessero i civili a vivere in questo posto senza l’ausilio del chakra, era una cosa inconcepibile per Boruto. Era pieno autunno, ma le temperature di questo deserto erano superiori a quelle estive.

La carovana di briganti con cui stavano viaggiando prese ad accelerare leggermente il passo, sollevando grosse nuvole di sabbia con gli stivali e con le zampe dei cammelli. Boruto lanciò un’occhiata ai membri del suo gruppo, osservandoli con un sorriso esausto. Mikasa e Sora viaggiavano sulla groppa di un dromedario accanto al cammello su cui viaggiava lui, intenti a bere avidamente da una borraccia e ad asciugarsi furiosamente il sudore dalla fronte. Il caldo si faceva sentire molto in questo posto. Gray e Juvia invece stavano seduti su una specie di slittino trainato dal cammello di un bandito, seguiti a piedi da Shirou e Mitsuki. Il samurai e il nuovo membro della combriccola si erano rifiutati categoricamente di cavalcare un cammello, preferendo seguire a piedi il lentissimo passo dei ‘disgustosi animali’, come li avevano chiamati loro.

Boruto si asciugò un rivolo di sudore con un sospiro esasperato. I suoi abiti gli si erano attaccati al corpo come una seconda pelle a causa del sudore. Non riusciva a credere a quanto facesse caldo in questo posto. Dovevano esserci minimo 39 gradi all’ombra. La Terra del Fuoco era calda, ma quella del Vento la surclassava completamente in temperatura.

L’attenzione del giovane Uzumaki si posò sulla figura di Shirou. Lui era quello che tra tutti soffriva di più il caldo. Veniva dalla Terra del Ferro, un Paese dal clima molto rigido e freddo, e non era abituato a temperature così elevate. Il suo corpo sudava copiosamente come prova di ciò, ma il castano sembrava essere sempre impassibile sul volto. L’unico segnale di disconforto che mostrava che non fosse tranquillo era la sua mano perennemente serrata sul manico di una spada. Shirou non era stato entusiasta all’idea di viaggiare in compagnia dei ladri e dei briganti. Il suo senso d’onore non gli permetteva di accomunarsi a gente del genere. Quando lo aveva conosciuto nella Terra della Pioggia, il samurai era stato costretto a stare con dei criminali per via di un certo ‘debito’ che aveva nei confronti di uno di loro, ma già allora Boruto aveva notato un profondo disgusto da parte di Shirou per le persone di quel genere.

Probabilmente era per questo motivo che il samurai non aveva cercato di salvare la vita a quei criminali quando lui, Mikasa, Sora e gli altri li avevano massacrati in quell’imboscata. Le labbra di Boruto si incurvarono all’insù a quel ricordo.

Ci fu un grido di euforia da qualche parte più avanti nella carovana. Boruto s’irrigidì e sporse il suo corpo dal cammello per poter guardare in avanti, di lato ai fianchi della carovana. Oltre una grossa duna di sabbia si ergeva una grande falesia rocciosa di pietra arenaria. L’unica visione di terra solida che si intravedeva per miglia e miglia di deserto dorato. In cima alla falesia c’era una rozza cittadina di capanne e casupole di pietra. Una tendopoli era stata costruita attorno alla base della falesia dove si ergeva la cittadina, e il giovane Nukenin poté vedere centinaia e centinaia, se non migliaia, di persone che si muovevano in essa all’orizzonte. Erano talmente tante da riuscire a generare una folata di polvere e sabbia semplicemente camminando.

Boruto arricciò il naso con disgusto mentre si avvicinavano lentamente alla destinazione. Il vento portava il fetore di sudore, sangue, alcol e cammelli. Cielo, quanto puzzavano i cammelli. Boruto aveva davvero cominciato ad odiare quelle creature malvagie. Mordevano. Sputavano. Annusavano. Erano lenti. Il fatto che al momento lui dipendesse da una di queste creature per la mobilità era doppiamente frustrante.

Arrivarono alla base della cittadina dopo un paio d’ore. Mentre entravano nella tendopoli, uomini e donne si fermarono a gridare verso di loro saluti grezzi e crudi. Boruto notò che erano tutti armati. C’erano barili di alcol in quasi ogni angolo delle strade. Anche adesso durante il giorno, a mezzogiorno, c’erano ubriachi buttati a terra nella sabbia e assopiti nel loro stesso vomito. Alcune coppie facevano appassionatamente l’amore all’ombra di tende, senza curarsi minimamente di avere un luogo di privacy. C’erano giochi d’azzardo gestiti da monelli di strada. Uomini lanciavano coltelli da lancio su pali di legno da varie distanze, gareggiando per vedere chi aveva la mira migliore.

Fu allora che Boruto e i suoi compagni compresero cosa era Tottori. Era una città. Una città di ladri. Gli occhi allenati del biondino individuarono immediatamente le poche persone che sembravano fuori luogo in quel posto. Uomini alti col torso muscoloso e armati di scimitarre. Guardie, per garantire l’ordine. Uomini anziani avvizziti con barbe bianche che scambiavano merci per Ryo, e Ryo per merci. C’erano anche recinsioni con qualche animale da pascolo dentro, probabilmente rubato.

Boruto sogghignò. Si era aspettato che questa cittadina fosse un covo di ladri e banditi sin da quando un uomo della carovana con cui avevano barattato un passaggio li aveva avvisati di stare attenti una volta giunti a Tottori. Ed era proprio per questo che lui e gli altri avevano deciso di raggiungere questo posto. Dopotutto, c’era una cosa che i ladri e i banditi possedevano e che erano disposti a vendere a basso prezzo.

Informazioni.

Informazioni riguardanti le varie stragi repentine di villaggi al Nord di questo Paese. Qualcosa, o qualcuno, stava causando una marea di morti in queste settimane nella Terra del Vento, spingendo persino alcuni Shinobi della Roccia ad investigare su cosa stesse succedendo. Boruto voleva vederci chiaro.

“Eccoci qui!” esclamò un uomo della carovana, Kuro, scendendo dal suo fidato destriero. “Questo è l’unica locanda della città. Se volete riposarvi, non c’è altro posto all’infuori di questo.”

I sette giovani osservarono la ‘locanda’ in questione con uno sguardo confuso. Erano alla base della falesia rocciosa dove grotte e gallerie erano state scavate nella roccia. In una di esse, poterono vedere i segni rivelatori di una specie di ospedale da campo: stracci insanguinati appesi a ganci, letti e barelle, pali per appendere flebo e divisori per tenere separati i pazienti. Boruto sospirò con rassegnazione. Evidentemente la loro ‘locanda’ svolgeva anche la funzione di ospedale per la tendopoli al suo interno. Si sentiva odore di sangue, sudore e paura. Più di una volta, il biondino udì un urlo di dolore provenire da qualche parte più in profondità nella caverna.

Mikasa fissò l’uomo che li aveva condotti qui come se volesse torcergli il collo appena si rese conto del luogo dove li aveva condotti. E ad essere sincero, Boruto pensava che lo avrebbe fatto davvero, se solo non fosse stato per il fatto che avrebbe generato il panico generale. In realtà nemmeno lui era molto entusiasta all’idea di condividere una stanza con dei pazienti malati. Ma non c’era scelta, evidentemente.

“Non temete,” li rassicurò l’uomo. “I malati hanno delle stanze separate dal resto della locanda. Il proprietario di questo posto è un mio amico. Si chiama Mike. È un tipo che tiene molto all’igiene, e non permetterebbe a dei clienti di restare vicino a dei pazienti in cura. È anche il migliore dottore della città.”

“Il migliore nel settore dei ladri, semmai,” pensò Boruto. Ci fu un acuto lamento di dolore seguito dal suono della carne che veniva lacerata. Due uomini uscirono dalla caverna e caddero in ginocchio mentre svuotavano il contenuto del loro stomaco nella sabbia del deserto. La loro visione non smosse per niente il sorriso di Kuro, il quale prese a condurli con sicurezza nella caverna. I sette giovani lo seguirono senza fiatare. Boruto poté sentire il sospiro sollevato di Sora appena ebbe la sensazione di poggiare i piedi ancora una volta su del terreno solido. Lo seguirono mentre l’uomo li conduceva nella zona posteriore della caverna. Vecchie e grosse lampade tremolavano sopra il soffitto, gettando tutto quel luogo dentro ad una calda luce gialla.

Boruto impallidì appena si imbatté in colui che dedusse fosse il proprietario del posto. Mike stava incombendo su un uomo che si contorceva per il dolore sopra ad un tavolo. Il povero disgraziato gemeva di dolore mentre lui gli avvolgeva un lenzuolo pulito attorno alla sua gamba monca. Era stata amputata dal ginocchio in giù. L’arto scartato si contraeva a terra non molto lontano. Ora sapeva cosa aveva fatto vomitare quei due uomini di prima. Era una scena orribile.

L’uomo finì di avvolgere la gamba monca col lenzuolo e il paziente svenne. Per il dolore o per la perdita del sangue, il biondino non seppe dirlo. Fece un gesto verso i due uomini di prima ed essi si avvicinarono a lui. Erano pallidi e tremanti, e si approcciarono a lui con evidente esitazione. “Il vostro amico dovrebbe stare bene. Tenetegli le bende pulite e la gamba sollevata. Se compare qualche segno di decomposizione, riportatelo qui immediatamente,” disse. La sua voce era raggrinzita e baritonale.

I due annuirono con entusiasmo, e con cautela raccolsero il loro amico tra le braccia, per poi ritirarsi frettolosamente. Il dottore allora si girò verso Boruto, e l’Uzumaki deglutì appena percepì il suo cuore accelerare il battito. Era un uomo anziano, con delle rughe increspate sulla fronte. I suoi capelli erano di un grigio-nero sbiadito, e gli occhi di un colore verde opaco. Da giovane, Boruto poteva dire che fosse stato un uomo dal bell’aspetto. I suoi occhi si posarono poi sulla sua gamba destra. Era una protesi. Le articolazioni di una marionetta erano chiaramente visibili sotto i suoi pantaloni, e il tessuto avvolgeva l’arto sottile con evidente ampiezza.

“Salve, sono il dottor Mike. Cosa posso fare per voi?” chiese l’uomo, fissandoli uno ad uno con uno sguardo serio.

L’uomo che li aveva condotti qui, Kuro, fece un cenno di saluto con la testa, le sue labbra serrate in un ampio sorriso. Sembrava non cogliere l’atmosfera cupa che aleggiava in quel luogo. Boruto si fece avanti. “Io e i miei amici stiamo cercando un luogo dove riposarci per qualche giorno,” disse.

Mike annuì. “Ho giusto delle camere private disponibili nel retro,” disse. “Il soggiorno costa cinquanta Ryo. Se volete aggiungere anche i pasti sono altri settanta Ryo.”

“I soldi non sono un problema,” ribatté il biondino.

Il dottore sorrise e fece per parlare, ma fu interrotto quando una folla di persone entrò di colpo nella caverna. Erano uomini e donne, tutti armati fino ai denti. Scimitarre alle mani, pugnali stretti tra le dita e alcuni portavano persino dei grossi ventagli sulla schiena. Boruto ne riconobbe alcuni che erano stati nella carovana assieme a lui e agli altri. Uno di questi, un uomo grasso senza alcun senso di modestia, fece un passo avanti, estrasse una scimitarra e la puntò minacciosamente verso di lui.

“Ve l’avevo detto, ragazzi,” disse. “Boruto Uzumaki, figlio dell’Hokage e Nukenin della Foglia. Proprio qui nella nostra cittadina. La taglia sulla sua testa è di dieci milioni di Ryo!”

“Che stiamo aspettando allora?” esclamò un altro di loro. “Catturiamolo e prendiamoci la sua taglia!”

Boruto fece per parlare, ma il dottore Mike si mise davanti a lui. “Non ci sarà alcuna violenza nel mio ospedale,” disse con fermezza. “Altrimenti tu e i tuoi amici non sarete più curati in questo posto.”

“Non importa, dottore,” ribatté l’uomo grasso con una risata. “Non avremo più bisogno di essere ladri dopo averlo riconsegnato alla Foglia!”

Quella fu una cosa sbagliata da dire. In un attimo, Shirou apparve davanti alla folla, seguito da Gray e Mikasa. Erano circa una ventina di banditi, eppure i tre giovani li massacrarono tutti. Come dei macellai che macinano la carne a cubetti. Accadde tutto in un batter d’occhio. Gli arti e le teste recise rotolavano a terra mentre i giovani massacravano ogni singolo bandito presente. Non ebbero nemmeno il tempo necessario per urlare. Morirono e basta.

Mike si accigliò, ma non disse nulla. Boruto poté vedere i suoi occhi guizzare tra Gray, Shirou e Mikasa e il fiume di sangue che colava verso l’esterno della caverna. “Non c’era bisogno di farlo,” li rimproverò, indicando con un dito l’ingresso.

Alcune delle guardie corpulente che i ragazzi avevano visto prima stavano respirando pesantemente in quel punto con le spade sguainate. I loro occhi spalancati erano pieni di stupore per la carneficina che i ragazzini avevano causato. “Saremo dei ladri, ma anche i ladri hanno onore. Non avremmo permesso a quella gente di toccarvi.”
Shirou li fissò con impassibilità. “Nessuno minaccia il nostro leader senza pagarne le conseguenze,” dichiarò senza un accenno di rammarico.

Mitsuki fissò Boruto con un sorriso strano. “Certo che i tuoi amici sono piuttosto fedeli. Vero, Boruto?” chiese, sorridendo appena con le labbra.

Boruto sorrise cupamente a sua volta a quelle parole. Mike sospirò, e dopo aver ricevuto il pagamento stipulato, condusse i sette ragazzini nelle profondità della caverna, mostrando loro le camere che avevano affittato per un paio di giorni. Una volta sistemati e divisi ciascuno in una camera propria, Boruto si buttò sul letto e prese ad addormentarsi senza dire nulla. La sua mente era calda e stanca dopo tutto il giorno passato sotto il sole a viaggiare nel mezzo del deserto. Un po' di sonno non gli avrebbe fatto male.

L’oscurità lo avvolse dopo tre minuti.

.

.

.

L’
OSCURITÀ
TI
BRAMA
!!!


.

.

.
 
Boruto si svegliò quella notte di soprassalto, ricoperto di sudore dalla testa ai piedi.

Si mise a sedere di scatto sul letto, passandosi una mano sul volto ansimante. Un ennesimo incubo aveva tormentato il suo sonno. Lo stesso incubo di sempre. Quello in cui uccideva tutti i suoi amici e sua sorella durante la Battaglia nella fortezza, senza riuscire a fermarsi o a controllare le proprie azioni.

Sospirò appena si fu calmato, sdraiandosi di nuovo lentamente sul letto ed affondando la testa nel cuscino. Chiuse gli occhi con stanchezza, prendendo a pensare inconsciamente per distrarre la testa delle ultime vestigie dell’incubo. Si sentiva ancora un po' assopito, ma sapeva bene che se avesse ritentato di dormire adesso non ne sarebbe stato capace. Era sempre così. Una volta svegliato dall’incubo, il suo corpo si rifiutava di addormentarsi di nuovo. E la sua menta già da sé scossa e esausta aveva altre cose su cui riflettere.

Come ad esempio a quanto fosse stato idiota durante il suo ultimo scontro con Sarada e Himawari.

Aveva detto a sua sorella e alla sua vecchia amica che solo un Kage avrebbe potuto catturarlo ormai. Che grandissima cazzata. Surclassati numericamente da avversari più deboli che suo padre sapeva che lui non avrebbe permesso a sé stesso di uccidere, lui e i suoi amici erano stati quasi completamente sconfitti. Altro che Kage. Altro che criminale di rango S. Un vero Nukenin di quel rango non si sarebbe mai fatto mettere alle spalle al muro come aveva fatto lui. Al suo attuale livello di potenza, Boruto sapeva di non essere un criminale di rango S. Era a malapena passabile per il rango A.

La differenza tra rango B e rango A era piccola. I Chuunin più esperti erano solitamente considerati come avversari di rango B. Il rango A era semplicemente riservato ai Jonin. Ma il divario tra il rango A e quello S?

Questo era qualcosa che non poteva essere quantificato. Non si accedeva al rango S grazie all'addestramento o alla propria forza o volontà. Si accedeva al rango S solo quando il mondo ti conferiva quel titolo. Quanto il tuo potere era così vasto da renderti più simile ad una forza della natura che ad un essere umano. Quando il tuo potere era così temuto da incutere terrore nei cuori di tutti. Quando il tuo volto era quello che i bambini temevano di vedere nella notte. Quando il tuo solo nome era sufficiente a inspirare coraggio nei tuoi alleati e terrore nei tuoi nemici. Quando la tua fama era così vasta da far restare col fiato sospeso tutto il mondo quando parlavi.

Boruto non era un criminale di rango S, per quanto l’Unione avesse deciso di conferirgli quel titolo. Ne era consapevole. Era solo un tecnicismo creato da burocrati che non avevano mai visto un campo di battaglia o che avevano dimenticato del tutto la realtà della guerra. Non era ancora a quel livello, e lo sapeva. Non lo era affatto.

No, lui non era un criminale di rango S.

Non ancora.

Ma se l’Unione voleva marchiarlo come il criminale più pericoloso della Foglia dopo Sasuke-sensei, allora lui avrebbe dato loro esattamente quello che volevano. Prima, si sarebbe riposato. Avrebbe recuperato le energie. Poi, avrebbe aiutato la gente della Terra del Vento a risolvere il mistero delle stragi. E dopo di questo, si sarebbe allenato. Allenato senza sosta. C’era ancora molto che poteva imparare. Doveva terminare il suo addestramento nell’Arte dei Sigilli e nelle Tecniche del rotolo di Urahara-sensei. Poteva addestrarsi nel Kenjutsu (Arte della Spada) con Shirou. Il rotolo dell’Uzukage ormai poteva insegnargli ben poche cose, ma c’erano ancora delle lezioni che doveva terminare. Poteva ancora aumentare di potenza e velocità la sua Tecnica della Scia Scattante di Fulmini. Aveva bisogno di raffinare la potenza del suo Rasengan elettrico. Le cose in cui poteva migliorare erano ancora molte.

E allora, solo allora, il mondo avrebbe potuto considerarlo un criminale di rango S.

Boruto ammiccò e si voltò leggermente verso destra con la testa appena sentì degli stivali che raschiavano contro la pietra. Vide che la porta della sua camera si stava aprendo silenziosamente, e dopo nemmeno un istante Sora fece capolino dall’uscio dell’entrata. “Boruto, sei sveglio?” domandò, teso.

Il biondino si rimise seduto, fissando il suo amico con un sorriso rassegnato e triste. “Ti ho svegliato di nuovo, non è vero?” chiese, sapendo già la risposta.

Sora annuì, mettendosi seduto accanto a lui sul letto. “Non preoccuparti, non me la prendo,” lo rassicurò subito. “Mi dispiace solo che questi incubi continuino a tormentarti ogni notte.”

Boruto fissò il suo migliore amico e fratello con uno sguardo ricolmo di gratitudine. Nonostante ogni difficoltà e ogni imprevisto, lui e Mikasa non lo abbandonavano mai. Nemmeno quando era ossessionato dagli incubi. La gratitudine e l’amore che provava per loro due non era descrivibile a parole.

“Ho fatto un giro per la città mentre dormivi nel pomeriggio,” riprese a dire il moro ad un tratto, cambiando discorso. “Credo di aver trovato diversi soggetti a cui possiamo chiedere informazioni. Secondo quello che mi hanno riferito, qui a Tottori ci sono solo una manciata di persone di fiducia che sanno ogni cosa di questa Nazione. Sia ciò che accade nella capitale, si ciò che accade in ogni altro posto del Paese.”

Il giovane aguzzò le orecchie. “Chi hai sentito?” chiese subito.

Sora esitò. “Ci sono un paio di informatori illegali che vivono vendendo informazioni. Ma quelli davvero buoni e affidabili si fanno pagare parecchio,” rispose.

“Il denaro non è un problema,” lo rassicurò Boruto. Avevano un sacco di soldi, dopotutto. Quelli che avevano racimolato nella Terra dell’Acqua e quelli ancor più numerosi guadagnati col servizio militare nella Pioggia. Erano quasi ricchi ormai. “Voglio solo che le informazioni che possano donarci siano accurate e veritiere. Affidabili.”

“Beh, se abbiamo i soldi, allora possiamo visitare lo Spaccaossa,” disse Sora.

“Spaccaossa? Chi è questo?” domandò il biondino.

“Non è il suo vero nome. Nessuno sa chi sia realmente, quindi tutti lo chiamano così,” spiegò il moro.

Boruto ghignò. Avevano un obiettivo adesso.
 


03 Novembre, 0015 AIT
Terra del Vento
Cittadina di Tottori
07:12

Appena si fece mattina, Boruto e Sora uscirono subito per le stradine della città alla ricerca del loro uomo. Gli altri compagni erano rimasti nella locanda per riposarsi dopo il viaggio. O meglio, così avevano fatto tutti tranne Mikasa. La nera aveva deciso di unirsi a loro e seguirli senza esitazione, per niente disposta a lasciarli andare da soli in giro per quel covo di ladri e criminali di basso rango. I due ragazzini avevano tentato di dissuaderla, ma non c’era stato verso di convincerla. Mikasa era davvero irremovibile su certe cose.

Camminando per le strade, i tre giovani percorsero in silenzio i sentieri sabbiosi che passavano per le vie di Tottori. I loro sguardi studiavano le persone che incrociavano con attenzione e calma, restando perennemente all’erta nel caso qualche bandito potesse approcciarsi a loro come ieri. Più di una volta, Boruto pensò di aver visto un’espressione assassina contornare i volti di diversi uomini mentre li superavano. La loro presenza nel villaggio era un’informazione di dominio pubblico ormai. E chiunque in quel posto li avrebbe volentieri rivenduti alla Foglia per intascarsi il bottino della loro taglia. Ma nonostante questo, c’erano anche delle persone più… tranquille in quel posto. Sora e Boruto ebbero modo di scambiare una piacevole conversazione con diversi venditori di merce rubata, e avevano anche lasciato un paio di Ryo a dei bambini che avevano chiesto loro l’elemosina.

La loro visione aveva fatto stringere il cuore a Boruto. La povertà era davvero una piaga incurabile.

Il biondino però era grato del fatto che nessuno avesse cercato di derubarlo fino ad ora. Non che avesse qualcosa nelle sue tasche, dato che teneva tutto nascosto e catalogato in un sigillo, ma non voleva scoprire quanto fosse abile la gente del posto a svuotare le tasche delle vittime. Se ci avessero provato con lui o con i suoi amici, avrebbe tagliato loro le mani.

Dopo una ventina di minuti di cammino, arrivarono in una grande galleria dove si trovava una serie di tende dai colori vivaci ammassate le une vicino alle altre a formare una specie di sala di grosse dimensioni. Somigliava dall’aspetto ad un bar, più o meno. C’erano numerosi tavoli e sedie dalle gambe lunghe. Le ragazze che servivano tra i tavoli erano vestite in modo succinto e servivano botti di vino per i clienti. Alcune coppie si stavano baciando appassionatamente sui tavoli dove sedevano, senza preoccuparsi di trovare un posto più intimo. Ed era proprio in questo posto che, secondo quanto aveva udito Sora, avrebbero trovato il loro uomo.

Boruto ignorò la massa di clienti e alcolizzati attorno a lui, proseguendo a camminare verso il bancone. Si fermò davanti ad una donna anziana coi capelli grigi che stava pulendo una tazza di porcellana. “Salve, signora,” disse cortesemente, il suo tono serio e basso per non farsi sentire. “Stiamo cercando lo Spaccaossa.”

“È nel retro,” rispose la vecchia, palesemente disinteressata. Non alzò nemmeno lo sguardo dalla tazza che stava pulendo.

I tre ragazzini si diressero nel punto indicato. Una piccola tenda era stata montata nella parte posteriore della taverna e, a differenza delle altre, questa era nera come la pece. Nessuna luce filtrava attraverso di essa. C’era solo oscurità. Boruto e gli altri due si misero immediatamente in guardia, tesi nel caso di pericoli. Il biondino sentì il proprio chakra accumularsi inconsciamente nel suo occhio destro per osservarsi attorno nel buio.

Cedette all’impulso di attivarlo. Non aveva senso nascondere il suo Dojutsu (Arte Oculare) ormai. Non si stava nascondendo. Non più, non qui. Il suo occhio divenne fosforescente subito dopo, e Boruto entrò nella tenda e vide immediatamente una serie di fiammelle di chakra circondarlo da tutti i lati. Diverse guardie erano piazzate agli angoli della tenda buia. Disattivò il suo occhio, abituando la vista al buio ed osservandosi attorno.

C’erano una manciata di sedie e tavoli sparsi per la stanza, una libreria nel lato destro piena di pergamene, e un uomo seduto su una poltrona all’estremità della tenda. Le sue mani erano poggiate sul grembo, come se fosse immerso nei suoi pensieri. Ma in realtà non lo era. Stava guardando proprio loro. Il biondino poteva ancora percepire il chakra degli uomini nascosti nel buio, intenti ad osservarli a loro volta.

Lo Spaccaossa – perché era evidente che fosse lui il loro uomo – fece loro un cenno di avvicinarsi e sedersi. Anche nell’oscurità della tenda, sapeva che quello che si trovava davanti a lui era Boruto Uzumaki. E Boruto lo sapeva a sua volta. Aveva senso. Era un uomo che viveva e faceva affari vendendo informazioni; sapere e conoscere le cose era il suo mestiere. E la presenza di un pericoloso criminale della Foglia nella propria città era qualcosa che quel tipo avrebbe saputo di certo. E, se era intelligente, avrebbe anche esaminato i poteri e le abilità di quel criminale in questione per rivendere tali informazioni ad eventuali interessati.

Boruto sapeva che lo Spaccaossa lo conosceva. Perciò si sedette con decisione davanti a lui, facendo un cenno a Mikasa e Sora di posizionarsi dietro alla sua poltrona. I due ragazzini lo fecero senza fiatare, ma il biondino notò che erano tesi. Non gli piaceva quel posto, a giudicare dalle loro espressioni insicure. L’Uzumaki fece loro un cenno con la testa per rassicurarli, sorridendo appena con le labbra. Non c’era niente da temere, avrebbe gestito lui la situazione. E nel caso ci fosse stato bisogno di luce… beh, i fulmini ne producevano un sacco.

“Boruto Uzumaki,” disse lo Spaccaossa. La sua voce era profonda e grave, come se avesse fumato troppe sigarette nella sua vita. Probabilmente era vero. Nonostante l’oscurità, Boruto poteva vedere che era un uomo anziano, forse sui sessant’anni. Non c’era modo di dirlo. “Cosa posso fare per te?”

Il giovane Nukenin si premette un dito sull’avambraccio. Ci fu uno scoppio leggero di fumo e una scarica udibile di chakra. Boruto vide le guardie dietro allo Spaccaossa irrigidirsi e tendere le mani alle armi, ma l’anziano fece loro cenno di stare fermi. Allora il biondino appoggiò sul tavolo una valigetta piena di Ryo e la fece scivolare verso l’uomo. Lo Spaccaossa la afferrò con un gesto rapido ed esperto, come se avesse compiuto quella stessa azione diverse volte nella sua vita. E probabilmente lo aveva fatto davvero. Aprì la custodia, ne esaminò rapidamente il contenuto, e poi la richiuse e la passò ad una delle sue guardie.

“Vedo che questo sarà l’inizio di una relazione vantaggiosa per entrambi, mister Uzumaki,” disse l’anziano, compiaciuto. “Che cosa vorresti sapere?”

“Ho sentito nella Terra della Pioggia delle voci che parlano di uccisioni che avvengono qui nel Nord del Paese,” spiegò immediatamente Boruto. “Le persone scompaiono dai villaggi durante la notte; per poi ricomparire a caso nel deserto dopo diversi giorni. So che il Villaggio della Roccia e quello della Sabbia hanno mandato diversi uomini ad indagare sulla situazione, e da quello che mi hanno riferito circola la voce che le persone riapparse all’improvviso erano… vuote dentro. Completamente prive di vita. Che cosa sai dirmi al riguardo?”

“Ah” disse lo Spaccaossa, sospirando udibilmente. Ci fu un barlume di fuoco mentre prese ad accendersi una sigaretta, e Boruto arricciò il naso all’odore pungente del tabacco. Era diverso da quello usato nella Foglia. “Stai parlando del Ragno della Sabbia,” esalò quello, soffiando una grande boccata di fumo.

Gli occhi di Boruto si ridussero a due fessure.

“Il Ragno della Sabbia,” ripeté l’uomo, facendo un altro tiro di sigaretta. “Nemmeno io conosco molte cose su di lui. Non sono molte le persone che lo hanno incontrato e che sono rimaste vive per raccontarlo.”

I tre ragazzini non mancarono di notare l’evidente frustrazione nel tono di voce del loro agente. “Ho mandato diversi uomini a Nord del deserto per spiarlo sin da quando è apparso cinque settimane fa, ma non sono mai tornati vivi. Beh, non nel senso tradizionale del termine vivo,” continuò quello.

“Nel senso tradizionale?” ripeté l’Uzumaki. C’era solo un tipo di vita, per quanto ne sapeva.

Lo Spaccaossa annuì. “Avevi ragione riguardo agli uomini vuoti, come li hanno definiti i ninja della Roccia,” spiegò lui. “Fermati vicino alla pietra della forca a Nord dalla città. Laggiù vedrai che cosa intendo.”

Boruto assottigliò gli occhi. “Questo è tutto quello che sai dirmi? Un nome e una posizione generale? La Terra del Vento è un paese enorme. Potrebbero volerci anni per setacciare il Nord e trovare questo Ragno della Sabbia.”

Per tutta risposta, lo Spaccaossa ridacchiò. “Se stai cercando il Ragno della Sabbia, allora ti auguro buona fortuna e una morte rapida. Questo è tutto quello che so. Gli altri agenti in città ti racconteranno storie false o fantasiose. Le mie informazioni invece sono affidabili e, cosa più importante, vere,” rispose, facendo un cenno con la mano verso l’uscita della tenda.

Era un chiarissimo invito ad andarsene. Borbottando per la perdita di quasi trecento Ryo, Boruto, Mikasa e Sora si allontanarono a tutta velocità dalla taverna con irritazione e stizza, dirigendosi verso la forca che quel tipo gli aveva consigliato di visitare. Ormai tanto valeva vedere coi loro occhi a cosa si riferisse.

La forca era poco più di un affioramento di pietra che si estendeva dalla falesia rocciosa su cui Tottori era stata costruita. Era un grosso macigno di pietra posizionato sul bordo che dava su uno strapiombo di almeno ottanta metri dal livello della sabbia. Spesse corde erano legate saldamente attorno alla pietra in questione. E, con loro sommo sgomento, c’erano dei corpi appesi per il collo alle corde. Uomini, donne e persino alcuni bambini. La maggior parte dei cadaveri erano poco più che ossa e pelle mummificata. Ma non tutti. C’erano anche dei cadaveri rimasti parzialmente intatti.

Erano tutti morti, e Boruto poteva vederlo chiaramente. Ma non tutti i corpi erano in decomposizione. Ce n’erano alcuni intatti come se fossero vivi, ma i loro occhi erano fermi e vitrei. Le loro membra erano tagliate sulla vita e sulle spalle, lasciando sui corpi dei buchi.

Un cadavere in particolare catturò subito l’attenzione di Boruto. Era una giovane ragazza, forse di appena quattordici o quindici anni. Aveva una strana somiglianza con la madre di Inojin; pelle pallida e lunghi capelli biondi. I suoi occhi color giada lo fissavano freddi, privi di vita. Ma il suo corpo era stato letteralmente aperto, proprio sopra l’anca. Boruto avanzò verso di lei, temendo di trovare quello che pensava e pregando con forza di non trovarlo.

Si portò sotto al suo corpo appeso e alzò lo sguardo verso il ventre aperto della ragazza. Si aspettava di trovare sangue e viscere in decomposizione… ma non li trovò.

Non trovò nulla.

Il cadavere era vuoto dentro. Era cavo.

Boruto indietreggiò d’istinto, barcollando. Scosse la testa in preda all’orrore e al disgusto che quella visione gli generava. Rabbrividì appena percepì un brivido gelido percorrergli tutta la spina dorsale. Accanto a lui, il biondino poté vedere che anche Sora era rimasto sconvolto e allibito nel suo stesso modo. E anche Mikasa. Quel cadavere, quella ragazza sembrava così… così umana. Così viva. Ma non lo era. Era vuota dentro. Letteralmente. Cosa diavolo poteva esserle successo per ridurla in quello stato? Per ridurla in un guscio vuoto? Nel senso letterale del termine.

Il biondino serrò i pugni con feroce rabbia e disgusto. Una sensazione di nauseante terrore gli pervase la parte più profonda della sua mente. Un’idea. Una realizzazione così oscura e contorta da spingerlo quasi a non volerla pensare per il solo orrore che generava la sua manifestazione.

Aveva saputo delle storie riguardanti un uomo vuoto. Non le aveva udite personalmente, ma le aveva lette. Nagato aveva lasciato delle informazioni e descrizioni dettagliate sui membri dell’Akatsuki dentro ai rotoli che aveva letto nel covo abbandonato. Info sui loro poteri, sulle loro abilità. I loro punti di forza e di debolezza. La loro storia. E tra di essi, Boruto aveva letto di un uomo vuoto.

Sasori della Sabbia Rossa era un uomo vuoto.

Boruto si rifiutava di credere ad una cosa del genere. La sua mente non voleva credere che quella ragazza vuota fosse davvero una marionetta umana. Ma, nel suo cuore, sapeva che questa era la realtà. Quello era ciò che era. Una marionetta. Un burattino. Una persona che era stata assassinata e trasformata in un oggetto vuoto e controllato da un altro. Uno schiavo privo di vita di un marionettista.

Il Ragno della Sabbia era un marionettista di uomini. Stava uccidendo persone, centinaia di persone, creando un esercito di pupazzi vuoti così realistici da non poter essere quasi distinti dalle persone vere. Stava creando delle marionette umane.

Era un crimine contro l’umanità.

E Boruto gliel’avrebbe fatta pagare.
 
 
 


 
Note dell’autore!!!
 
Salve gente! Ecco a voi il capitolo, spero vi sia piaciuto. Finalmente abbiamo visto l’entrata in scena di Mitsuki. Non vi aspettavate che anche lui potesse unirsi a Boruto, vero? Beh, vedremo che cosa succederà in futuro.

Il capitolo è volutamente più breve del solito, e anche il prossimo lo sarà. Fungeranno da preludio a ciò che accadrà in futuro. Il ciclo della Terra del Vento sarà molto diverso dai precedenti, ve lo assicuro. Questo è solamente il prologo.

Vi invito a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo.

A presto!
 
   
 
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