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Autore: Carme93    20/09/2018    0 recensioni
Avete presente Conan, il piccolo e geniale detective?
Avete presente il film Seventeen again con Zac Efron?
Avete mai immaginato che cosa potrebbe accadere se anche il grande Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico, si ritrovasse un giorno a ritornare un ragazzino di dodici anni e calcare nuovamente i corridoi di Hogwarts in compagnia dei figli? E se questo li permettesse di conoscerli ancora meglio?
James e Albus sono pronti ad aiutare il padre a risolvere il nuovo caso e a farlo tornare adulto. Voi siete pronti a seguire le loro avventure?
(Storia ispirata proprio dal cartone e dal film sopracitati).
Genere: Fluff, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Harry Potter, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Arthur/Molly, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Disclaimer (naturalmente dimenticato nel capitolo precedente): i personaggi appartengono a J.K. Rowling e questa storia non è a scopo di lucro. 

Capitolo II

 
Harry, come ogni mattina, si recò in ufficio smaterializzandosi poco fuori l’ingresso del personale. Fu costretto a salutare e stringere la mano a moltissime persone – anche questo faceva parte della sua routine quotidiana – di cui spesso non ricordava il nome. Sicuramente tutti lo conoscevano a causa della sua storia o della sua attuale posizione presso il Ministero della Magia britannico, ma sperava che, almeno qualcuno, si mostrasse tanto gentile con lui non per la sua fama ma per aver realmente avuto a che fare con lui e averlo apprezzato. Purtroppo era difficile stabilirlo.
«Harry, buongiorno» lo salutò calorosamente un uomo di colore, calvo ma con dei profondi occhi scuri che sapevano, a comando, mettere in soggezione o al proprio agio l’interlocutore di turno.
«Kingsley» ricambiò Harry con un sorriso sincero. Sulla loro reale amicizia non nutriva alcun dubbio. Lo conosceva dall’età di quindici anni ed era stato un’ottima guida per lui dal momento in cui aveva messo piede al Ministero per la prima volta.
Kingsley Schacklebolt era Ministro della Magia fin dal 1998, anno in cui Harry era finalmente riuscito a sconfiggere uno dei maghi più oscuri dell’ultimo secolo e mezzo.
Il Ministro congedò uno dei suoi collaboratori e si avviò agli ascensori insieme a Harry.
«Come va? Ti vedo preoccupato. Qualche caso particolarmente spinoso?» domandò Kingsley.
«Si vede così tanto che sono preoccupato?» replicò Harry. Decisamente non era mai stato bravo a nascondere i suoi sentimenti, ma tentava sempre di non mescolare il lavoro con la vita privata e viceversa.
«Sì, probabilmente perché ti conosco abbastanza. Immagino che chi non lo fa, si limiterebbe a girarti alla larga perché hai la faccia da ‘sono già incazzato, attenzione a non farmi infuriare’».
«Bene, oggi devo solo incontrare alcune reclute del terzo anno che dovrebbero iniziare il tirocinio» sbuffò Harry.
«Non le invidio per nulla» ribatté allora Kingsley, accennando un lieve sorriso. «Qual è il problema?».
Harry sospirò mentre entravano nell’ascensore, fortunatamente vuoto. Gli raccontò di Albus e delle preoccupazioni sue e di Ginny. «Alastor ti ha detto niente?».
Kingsley s’incupì leggermente. «Alastor mi ha solo mostrato la sua scheda» disse semplicemente.
Kingsley, dopo la guerra contro Voldermort, si era sposato e trasferito a Godric’s Hollow, lo stesso villaggio in cui Harry e Ginny avevano deciso di abitare. Alastor, figlio più piccolo del Ministro, aveva la stessa età di Albus ed erano amici fin da piccolissimi. E, per fortuna, erano stati smistati nella stessa Casa una volta giunti a Hogwarts.
Harry, comunque, si pentì di aver posto quella domanda: Kingsley più volte si era confidato con lui e rilevato la sua tristezza perché gli impegni da Ministro lo tenevano spesso lontano da casa e la consapevolezza di non riuscire a stringere un rapporto forte con i propri figli.
«Mi sembra strano quello che ha scritto Neville Paciock. Sembra quasi che non parli dello stesso ragazzino che conosco» disse Kingsley, scendendo insieme a lui al piano del Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia. «Albus e Alastor, poi, sono molto legati. Di solito le marachelle le hanno sempre fatte insieme… Ma nulla di quello che mi hai detto, è presente sulla scheda di Alastor».
Harry era grato a Kingsley per i suoi tentativi di aiutarlo, ma quello che aveva appena detto ossessionava anche lui e Ginny da giorni.
«Ci vediamo più tardi» sospirò infine Harry, fermandosi all’ingresso del Quartier Generale degli Auror, cacciatori di maghi oscuri, di cui era il Capitano da quasi dieci anni.
Kingsley lo salutò, ma poi lo richiamò indietro: «Per quello che vale» disse corrugando la fronte come si stesse sforzando di ricordare qualcosa, «una volta, una delle tante, in cui mia moglie ha portato Rose come esempio e modello da seguire, Alastor ha fatto un commento strano, come se non fosse d’accordo. Io non gli chiesi spiegazioni, mia moglie lo tacciò di essere invidioso o qualcosa di simile».
Harry si accigliò leggermente e lo ringraziò. In realtà non sapeva che farsene di quell’informazione: probabilmente al ragazzino aveva dato fastidio essere paragonato all’amica ed era perfettamente normale. Ron temeva che l’atteggiamento perfettino della figlia l’avrebbe portata a isolarsi un po’ come faceva la figlia di suo fratello Percy. Personalmente gli sembrava che fosse una paura infondata: Rose era sempre al centro delle attenzioni dei suoi cugini e sembrava anche aver stretto amicizia in quei primi mesi di Scuola.
«Buongiorno, Capitano Potter» lo riscosse dai pensieri la sua segretaria.
«Buongiorno, signora Matthews» replicò gentilmente. «Ha qualche messaggio per me?».
«No, Capitano, ma dovrebbe proprio sistemare quelle pratiche che ha sulla scrivania».
Harry gemette, cogliendo l’espressione severa della donna. Non l’avrebbe perdonato se avesse lasciato passare anche quel giorno. Egli odiava il lavoro da scrivania e trovava ogni modo pur di rimandarlo. La sua segreteria lo sapeva e lo controllava con attenzione.
«Ha ragione, vado a occuparmene immediatamente» sospirò vinto.
Sebbene, come già detto, egli odiasse profondamente il lavoro d’ufficio, e la svogliatezza con cui si accostò alla prima pratica in quel momento fu più che palese, era naturalmente contento che non vi fosse qualche mago oscuro che minacciasse la sicurezza della comunità magica e naturalmente della sua famiglia. E tutto sommato se il prezzo della felicità e tranquillità dei suoi cari era un po’ di noia, l’avrebbe sopportata sempre volentieri.
Pensandoci si mise a lavorare di buona lena, ma un’ora dopo la pila dei documenti sembrava aumentare anziché diminuire. Che la sua segreteria l’avesse incantata per punirlo della sua terribile abitudine di procrastinare tali mansioni?
Sbuffò enormemente annoiato e trattenne a stento uno sbadiglio. Forse anche un consiglio di Dipartimento sarebbe stato meno pesante. Ok, no, non esageriamo.
Gli occhi gli caddero sulle foto che teneva sulla scrivania e sorrise. Ne aveva parecchie, ma per anni aveva desiderato una famiglia e ora che ce l’aveva non riusciva a farne a meno. Per quanto non fosse ortodosso, specialmente Hermione non approvava, aveva piacere a portare i figli con sé al lavoro. Era ora che sia James sia Albus frequentavano Hogwarts, li mancavano terribilmente, nonché Lily non s’impegnasse a movimentare la sua giornata e quella della moglie, quella bambina era peggio del fratello più grande.
Una foto, una delle più vecchie, ritraeva lui, Ron e Hermione alla fine del loro primo anno a Hogwarts. Erano ancora dei bambini e i loro figli li assomigliavano tantissimo. Peccato che non fossero del tutto innocenti, visto che lui stesso aveva incontrato per la prima volta ciò che rimaneva di Lord Voldemort.
Un’altra ritraeva la famiglia Weasley al completo, o almeno quasi: naturalmente mancava Fred, che era stato ucciso durante la ormai nota Battaglia di Hogwarts. Con una fitta al cuore si rese conto che erano quasi trascorsi vent’anni. E George, il fratello gemello di Fred, in quella foto presentava all’obiettivo un sorriso falso. La foto era stata scattata per ordine di Molly Weasley, la matriarca della famiglia, fuori dalla Tana, quando Fleur e Bill, i suoi cognati, erano tornati a casa con la piccola Victoire, la più grande dei suoi nipoti, nata il giorno prima. Molly era certa, e pretendeva che anche i figli lo comprendessero, che quello fosse un nuovo inizio per la loro famiglia, l’inizio di una vita senza la minaccia di un mago oscuro e piena di felicità. Tutto sommato non aveva avuto torto, di lì a qualche anno, persino George avrebbe recuperato il suo sorriso alla nascita del suo primogenito Fred.
La foto che più gli riempiva il cuore, però, era quella dei suoi bambini. Lì sulla scrivania ne aveva ben due: una scattata poco dopo la nascita di Lily, la bambina era stata adagiata sul letto del genitori, e si guardava intorno con occhioni curiosi, ma mai quanto quelli di Jamie e Al, di tre e due anni, che la fissavano con sommo interesse; l’altra risaliva all’anno precedente, scattata alla stazione di King’s Cross: James indossava, eccitato, la divisa di Hogwarts ed era circondato dai fratellini.
E naturalmente non poteva mancarne una che ritraeva lui e Ginny intenti a baciarsi.
Qualcuno lo tacciava di essere un sentimentalista, visto tutte le foto che teneva, ma erano persone che non sapevano che cosa significasse vivere per undici anni senza nessuno che ti vuole bene.
Quelle foto ogni giorno gli davano la forza di dare il meglio di sé nel combattere l’oscurità.
Con l’ennesimo sospiro e uno sbadiglio soffocato si rimise al lavoro prima che la signora Matthews irrompesse nell’ufficio chiedendo le pratiche firmate. Lavorò diligentemente quasi fino all’ora di pranzo, quando all’improvviso qualcuno bussò alacremente alla porta e aprì senza aspettare il permesso. Poco persone avevano la confidenza di farlo.
«Harry, li abbiamo trovati!» quasi gridò uno dei suoi sotto ufficiali, palesemente soddisfatto.
«Avete trovato chi, Rick?» replicò Harry perplesso.
«Quei pozionisti che facevano esperimenti oscuri fuori Londra! Ti ricordi quello scoppio di magia di qualche mese fa?».
«Ottimo» assentì all’istante Harry, ricordando il caso che aveva affidato a Rick Lewis, un Auror più anziano e con maggiore esperienza di lui.
«A quanto pare sono in una villa ben protetta» comunicò Rick.
«Prepara una squadra e allerta gli spezzaincantesimi. Vengo con voi». Beh, aveva lavorato a sufficienza in ufficio per quel giorno, la sua segreteria poteva esserne soddisfatta.
Rick corse a diramare gli ordini e preparare la squadra; nel frattempo Harry, con una certa soddisfazione, fece levitare una pila di scartoffie sulla scrivania della signora Matthews e l’avvertì che per un po’ non ci sarebbe stato.
 
Harry e i suoi uomini si smaterializzarono poco dopo in una specie di radura.
«La villa si trova qui vicino» disse Rick e li guidò.
«Vadano avanti gli spezzaincantesimi» ordinò Harry. «Circondate la villa».
Attesero almeno dieci minuti prima che uno di questi ultimi tornasse indietro dando il via libera. Egli procedette con Rick e si nascose dietro alcuni cespugli. Strinse la bacchetta, fremendo in attesa dello scontro.
«Miller, allora?».
«Tutte le difese sono state disattivate, signore. C’è una cosa strana, però» rispose l’Auror.
«Che cosa?» replicò immediatamente Harry.
«La villa è abitata, ma nessuno è intervenuto. È come se non si fossero accorti che abbiamo superato le loro difese. Eppure, dovrebbero essere dei combattenti esperti…» rispose Miller.
«O non lo sono…» iniziò Harry con una smorfia.
«… o ci stanno tendendo una trappola» completò Rick.
«Beh, comunque non abbiamo scelta. Muoviamoci» ribatté Harry uscendo allo scoperto e avviandosi, seguito immediatamente dai tutti i suoi uomini. «Miller, rimanete a monitorare il perimetro» ordinò appena raggiunse la porta d’ingresso. «Alohomora» formulò puntando la bacchetta contro la serratura, che scattò. «Rick, controlla i piani superiori e porta con te quattro uomini». Lasciò che il suo vice sotto ufficiale scegliesse un gruppo di Auror e si avviasse verso le scale che conducevano al primo piano. «Voi altri con me. Controlliamo tutte le stanze. Disarmate e arrestate chiunque troviate» ordinò agli uomini rimasti con lui.
Al pian terreno incontrarono solo persone, che tentarono di difendersi molto blandamente e non fu un problema metterli fuori gioco. In un salotto, decorato in modo vetusto con trine e fronzoli vari, trovarono un passaggio segreto diretto nel seminterrato.
«Vado avanti io» disse Harry, precedendo i suoi uomini. Accese la bacchetta e illuminò i suoi passi. Giunsero in uno stretto corridoio, ancora più buio delle scale. Aprì la prima porta alla loro destra: era una dispensa. E non vi era nessuno. Possibile che le presenze che avevano individuato nella villa, fossero solamente i due uomini già arrestati?
Entrò in un’altra stanza, lasciando tre Auror di guardia, e qui rimase parecchio sorpreso: un laboratorio di pozioni. Harry diede un’occhiata in giro, costatando la polvere su mobili e alambicchi, e alcuni calderoni incrostati e non utilizzati da diverso tempo.
«Ragazzi, qui non entra nessuno da diverso temp-». Non concluse la frase che fu agguantato alle spalle, notando con la coda dell’occhio che gli uomini entrati con lui erano stati bloccati. Come avevano fatto a prenderli così di sorpresa?
La persona che l’aveva afferrato non lo colpì, ma lo costrinse a bere un liquido dallo strano gusto.
«Capitano, che succede?».
Gli Auror di guardia si erano insospettiti dalla mancanza di rumori e dal fatto che non tornassero indietro.
Era troppo tardi, però. Harry non ebbe il tempo né di parlare né di pensare alcunché mentre la vista gli si annebbiava e perdeva conoscenza.
   
 
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