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Autore: Myrddin Emrys    21/09/2018    0 recensioni
Loris è innamorato di Ezio da quando era bambino, ma si guarda bene dal mostrarlo, perché Ezio non perde occasione per beffeggiarlo. Entrambi giocano nella stessa squadra di baseball e Loris è costretto a mettersi il cuore in pace quando si accorge che Ezio è innamorato di Ombretta. Per un caso del destino, però, scopre che Valerio, il ricevitore della squadra dei seniores, è gay. Decide di frequentarlo, di essere iniziato da lui al sesso, ma quando Valerio si comporta male, taglia i ponti con tutti e abbandona il baseball.
Anni dopo, in un locale di musica dal vivo, Loris incontra di nuovo Valerio e accarezza l'idea di riallacciare i rapporti; il ragazzo accetta, sebbene sia impegnato in una storia.
Poi, come un incubo, Ezio riappare nelle loro vite.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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«Vestiti.» ordinò Diego con tono perentorio.
            Loris deglutì e posò lo sguardo su Luciano, decisamente infastidito. Questi iniziò a togliersi l’armatura da ricevitore e a porgerla a Loris, il quale ci impiegò un bel po’ a vestirsi.
Era la prima volta che l’allenatore gli ordinava di ricoprire quel ruolo e tremava al solo pensiero: lui non era in grado di svolgerlo. Il ricevitore era colui che aveva l’intero gioco sotto controllo e doveva avere uno spiccato senso di strategia, nonché tattica e doveva conoscere a menadito gli avversari per poterli cogliere di sorpresa.
Sul monte di lancio, Ezio aspettava con pazienza e intanto lanciava la palla ad altri compagni per tenere caldo il braccio. Non gli andava a genio cambiare il ricevitore con il quale si intendeva a meraviglia, ma l’allenatore aveva deciso in tal senso e non poteva protestare. Sapeva già che quell’essere insignificante sarebbe stato un disastro e accarezzava l’idea di prenderlo a pallate come se fosse stato un sacco.
Loris Torri gli dava sui nervi. Non all’inizio, quando a nove anni era arrivato all’Urbe Baseball ed avevano allacciato amicizia, bensì in seguito, quando lui era cresciuto ostentando una certa sicurezza, mentre Loris era rimasto chiuso e riservato. Disprezzava quel volto spigoloso sormontato da occhiali brutti e quel corpo macilento che pareva doversi spezzare al primo soffio di vento.
C’era poco da fare: odiava Loris. Tuttavia non avrebbe protestato contro il volere dell’allenatore.
In quell’istante si accorse che Ombretta si era avvicinata alla rete metallica e osservava il suo ragazzo che si vestiva da ricevitore. Si domandò cosa ci trovasse in lui di così attraente, ricordando quando, da piccoli, avevano fatto parte della stessa squadra e lei e Loris erano sempre stati pappa e ciccia. Non che le cose con gli anni fossero cambiate: erano sempre innamorati come piccioncini e quel legame lo irritava.
Va bene, le avrebbe mostrato quanto poco valeva il suo amore.
            Soppesò la palla passandola dalla mano al guantone e quando vide che Loris si accucciava e si apprestava a ricevere, si posizionò sul monte.
Il primo lancio lo fece per testare la reattività dell’occhialuto e annuì appena quando vide che bloccava la palla con il guantone. Per un po’ si divertì a tirare con calma, per scaldarsi, fin quando l’allenatore fece cenno di iniziare.
            Sistemò meglio il berretto in testa, portò la mano che teneva la palla nell’altra guantata, alzò le braccia caricando e lanciò un missile.
Lo schiocco che si udì quando la palla entrò nel guantone di Loris accalappiò l’attenzione dei giocatori della squadra seniores che si allenavano sul lato opposto del campo e Valerio alzò il casco per osservare meglio.
            Ezio si incupì, domandandosi come avesse fatto Loris a prendere quella palla veloce e gettò un’occhiata a Ombretta che seguiva la scena con attenzione. Inspirò a fondo e si preparò per umiliarlo. Caricò e lanciò a una velocità impressionante per un sedicenne.
La palla sfuggì a Loris e schioccò sulla pettorina, facendolo barcollare. Stordito dal colpo, il ragazzo esitò e a quel punto l’allenatore urlò:
«La palla! Sii reattivo, cristo! La palla!»
            Il ragazzo sapeva che la palla era di primaria importanza e abbassò lo sguardo per vedere dove fosse caduta, ma quel gesto imbufalì Diego che sbraitò:
«Alza il casco, cristo! Gli avversari non aspettano il tuo comodo!»
            Loris ubbidì e a quel punto, libero dalla visuale a scacchi dovuta alle protezioni metalliche del casco, vide la palla in mezzo alle sue gambe e la prese in mano, rilanciandola a Ezio. Questi la prese al volo e non fece nulla per celare il sogghigno divertito.
            I successivi dieci minuti furono un incubo per Loris e un divertimento per Ezio, che già pregustava le risate nello spogliatoio.
            Quando l’allenamento ebbe termine e tutti andarono a farsi la doccia, Luciano commentò con aria saccente:
«Non ci si inventa ricevitori se non si ha quel ruolo nel sangue.»
«Sì,» accondiscese Ezio con tono mieloso, «ma occorre dare un’opportunità a tutti, anche agli incapaci.»
            Loris serrò le labbra per non rammentargli che si era limitato a lanciargli palle che in partita non avrebbe mai tirato, ignorando tutti i cenni che lui gli faceva. Preferì rimanere in silenzio, cullandosi nella certezza che, se si fosse allenato adeguatamente, sarebbe stato un buon ricevitore. L’allenatore probabilmente si era accorto delle sue potenzialità e lo aveva messo alla prova.
            Si spogliò e raggiunse gli altri sotto la doccia. In quel momento arrivarono anche i giocatori della squadra seniores. La cacofonia di voci si amplificò e risa e battute si alternarono a commenti sarcastici e rivisitazioni di situazioni in campo.
            Loris si insaponò, passò lo shampoo e strofinò bene la testa, lo sguardo fisso sulle maioliche, le orecchie chiuse. Come sempre gli dispiaceva lasciare il diamante, ma ormai era sera e doveva ancora finire i compiti.
«Se solo avessi lanciato meglio, lui avrebbe preso ogni palla.»
            Quel commento lo strappò dalle proprie riflessioni e si accorse che Valerio aveva risposto a una battuta di Ezio. Vide il volto tirato di quest’ultimo attraverso il getto dell’acqua e un secondo dopo la visuale fu riempita dal viso di Valerio.
«Sei stato bravo.» si complimentò questi iniziando a insaponarsi.
«Grazie.» rispose allontanandosi dalla doccia.
            Si avvolse nell’accappatoio e si avvicinò al borsone per prendere gli abiti e vestirsi. Solo dopo afferrò l’asciugacapelli e con calma si asciugò la massa informe e ondulata che gli circondava il viso.
«Io ho lanciato bene,» udì Ezio ribattere con stizza, «è lui che non è in grado di ricoprire quel ruolo.»
            Si girò verso le docce e vide i due ragazzi fissarsi in cagnesco.
«Io so quello che ho visto: un potenziale ottimo catcher che è stato in grado di prendere ogni palla prima che il pitcher decidesse di lanciare a caso.» ribatté Valerio con fermezza.
«Se ci fossi stato tu al suo posto, saresti riuscito a prenderle.» rincarò Ezio, per niente intimorito. «Anche Luciano le avrebbe prese.»
«Hai mai provato a fare il catcher, ragazzino?» borbottò Valerio lanciandogli un’occhiata sprezzante.
            Ezio sgranò gli occhi, l’acqua che continuava a cadergli addosso portando via il sapone e si girò verso Loris, come se fosse stato lui la causa della sua umiliazione dinanzi a un seniores.
            Loris ricambiò quello sguardo che, se avesse potuto, l’avrebbe incenerito e scrollando le spalle prese il borsone e se ne andò.
 
***
 
Suonò a casa di Ombretta e la madre della ragazza gli aprì.
«Ciao Loris.» lo accolse gioviale. «Vieni, si sta preparando.»
            Entrò in casa con un sorriso e la donna s’informò con tono preoccupato:
«Non farete tardi, vero?»
«No, assolutamente. Domani ho la partita, non voglio presentarmi stanco.» spiegò.
            Lei parve più sollevata e in quell’istante spuntò Ombretta, tallonata dal padre.
L’uomo stava facendo una smorfia che a Loris parve un fallito tentativo di sorridere e si domandò per quale motivo i genitori si preoccupassero così tanto. In fondo stavano solo andando in discoteca. Be’, rifletté, in realtà era la prima volta e aveva accettato solo perché Ombretta aveva insistito, visto che lui odiava la musica da discoteca.
            Il padre della ragazza lo guardò e chiese:
«Volete che venga io a prendervi?»
«Papà!» esclamò Ombretta indignata, girandosi di scatto a fissarlo con occhi spalancati. «Non siamo più bambini!»
«Lo so, ma siete ancora minorenni.» ribatté con falsa dolcezza.
«Non si preoccupi.» intervenne Loris. «Il venerdì sera la metro chiude presto, quindi non possiamo fare tardi.»
            L’uomo scambiò un’occhiata con la moglie e si rassegnò all’evidenza che la figlia fosse ormai una donna.
«Tenete i cellulari a portata di orecchio.» disse.
            Loris inarcò un sopracciglio, domandandosi se si rendesse conto dei decibel sparati in discoteca. Tuttavia non replicò e in quel momento Ombretta lo afferrò per la mano e lo trascinò verso l’uscita, non volendo più perdere tempo.
            Si diressero alla metro in silenzio e una volta sulla carrozza Ombretta studiò l’amico da capo a piedi, facendogli presente:
«Non ti sembra di essere vestito un po’ troppo ordinario?»
            Di riflesso a quella osservazione Loris abbassò lo sguardo, prendendo nota dei jeans e delle scarpe da ginnastica, della maglietta nera e del giubbotto jeans e alzò le spalle con noncuranza. Quindi studiò Ombretta lasciando vagare lo sguardo dalla minigonna alla maglietta scollata e sorrise.
«Stasera sembri quasi una donna!» esclamò divertito.
            Lei gli diede una spinta e toccò i capelli raccolti sulla nuca che lasciavano in bella mostra il collo sottile e lungo.
«La nostra prima volta in discoteca, ci pensi?» disse poi incapace di trattenere l’eccitazione.
            Loris annuì, non trovandoci nulla di esaltante in quell’uscita, se non per il fatto che il Muccassassina fosse un locale rinomatamente per gay sebbene frequentato da molti etero. A essere onesti provava un certo timore, non sapendo cosa avrebbe potuto trovare all’interno della discoteca.
«Chissà,» commentò Ombretta con aria sognante, «magari conosceremo l’anima gemella.»
            Loris scrollò le spalle senza neppure commentare e si concentrò sulla partita del giorno dopo. La prima di campionato era sempre elettrizzante e quell’anno iniziavano giocando in casa contro una squadra celebre per essere forte.
            Ombretta si incupì quando lo sorprese con espressione vacua, perso in un mondo tutto suo e gli assestò una gomitata nelle costole, richiamandolo al presente.
«Stasera ti proibisco di pensare al diamante! Ci penseremo domani, ok?» lo redarguì.
            Loris si piegò sotto il colpo e quando ebbe ripreso fiato domandò:
«Assisterai alla partita?»
«Certo! Come al solito.»
            Quella risposta parve rilassarlo e osservò l’amica rivolgendole un caldo sorriso.
 
***
 
            Seguì lo spettacolo ai piedi della pedana, abbagliato dai giochi delle luci, dai lustrini, dai corpi seminudi messi in bella mostra dai ballerini, nelle orecchie l’assordante musica house. Al suo fianco, Ombretta sembrava accalappiata dall’atmosfera e ballava stando sul posto. Del resto non poteva fare altrimenti, poiché erano stretti come sardine.
            Si accorse che un ragazzo lo fissava con evidenti intenzioni e abbozzò un sorriso, distogliendo l’attenzione per non incoraggiarlo.
«Andiamo a prendere qualcosa al bar?» urlò nell’orecchio di Ombretta.
            Lei tentennò incerta, tornò a osservare i ballerini sul palco e alla fine accettò. Si fecero largo a gomitate e solo dopo qualche metro iniziarono a respirare meglio.
«È tutto fichissimo!» esclamò lei con occhi brillanti. «E fa un caldo pazzesco!» aggiunse sfilandosi la maglietta e rimanendo in reggiseno.
            Loris si incupì e stava per dirle qualcosa, quando una ragazza si avvicinò a Ombretta e le parlò all’orecchio, allungando la mano sul suo seno. Lei si irrigidì e si scansò con un moto di stizza. Sbraitò qualcosa e l’altra rispose con un gesto eloquente delle dita.
«Stronza.» sibilò avvicinandosi a Loris. «È difficile capire che non sono gay?»
«Cosa ti aspettavi?» rispose lui con condiscendenza. «Siamo in un locale gay, sei carina, è normale che le donne ci provino.»
            Indispettita, Ombretta lasciò cadere l’argomento e si rivestì, prima di combinare altri guai. Si avvicinarono al bancone circondato da molta gente in attesa di essere servita e con pazienza si misero in fila.
«Allora?» domandò lei curiosa. «Hai trovato qualcuno che ti interessa?»
            Loris fece una faccia strana e rispose:
«Parecchi, a dire il vero. Ma sono io a non interessare a loro. Solo un tipo mi ha fissato, però non mi piaceva.»
            La ragazza scosse la testa e ribatté:
«Te lo avevo detto che sei vestito in modo troppo dozzinale.»
«Ma cosa c’entra?»
            Lei allungò le mani e gli sfilò gli occhiali, facendo un gesto per indicarlo.
«Vedi?»
«No, non ci vedo.»
            Ombretta impiegò alcuni secondi prima di scoppiare a ridere, spiegando:
«Ma no, scemo! Vedi, sei carino eppure la gente non sa andare oltre le lenti. Se non conoscessi le tue preferenze, ci proverei: sei adorabile.»
«Che idiozie.» borbottò riprendendo gli occhiali e rimettendoli sul naso.
            In quell’istante lo sguardo gli cadde su un ragazzo che sorrideva a un altro e gli accarezzava i capelli con modi seducenti. Si irrigidì e aprì la bocca per dire qualcosa, senza riuscirci. Ombretta se ne accorse e lo afferrò per un braccio, scuotendolo.
Ma Loris rimase con gli occhi puntati su Valerio che baciava l’altro ragazzo e l’unica cosa che riuscì a fare fu di sbattere le palpebre, stupefatto.
Si scosse solo quando Valerio alzò lo sguardo continuando a sorridere e il sorriso gli morì sulle labbra nel momento in cui lo riconobbe.
   
 
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