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Autore: MisSilvieLemon    21/09/2018    1 recensioni
-Forse è arrivato il momento- sorrise lei, una mano sull'avambraccio caldo e dorato del ragazzo.
-Sei già stanca?- una risata appena accennata sulle labbra reduci da uno sbadiglio, e ora sorridenti
insieme a quegli occhi gonfi e pieni.
Erano settimane che tiravano avanti sino a notte fonda, così fonda che spesso diveniva mattina presto.
-Non hai capito…- lei continuava a sorridergli, ma lo sguardo iniziò a vagare oltre la spalla di lui, lontano, verso il mare.
Sguardo proiettato in un futuro non troppo lontano del quale lui non voleva saper niente ma che, loro malgrado, era proprio quello verso cui si stavano dirigendo; forse da sempre, da ancor prima di conoscersi.
Un lampo rapidissimo e lui scorse una tristezza nuova, un'ombra di dolore, forse.
Ma era passeggera e lei ritornò a lui con gli occhi carichi di coraggio.
-Forse..è ora che torni casa Harry-
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I


 

Sua madre si aspettava che, prima o poi, sarebbe arrivato il momento di risalutare Harry e buttarlo di nuovo nelle braccia del mondo, non accoglienti come le sue, forse, ma abbastanza spaziose per tutti i desideri che Harry ci nascondeva. Los Angeles, se la sarebbe aspettata, forse l'Australia, ma proprio la Giamaica no. Si diede della sciocca quando, pur di giustificare la scelta, pensò che l'idea doveva essergli venuta quella sera in cui sul divano di casa, loro tre, guardavano un documentario su National Geographic Channel riguardante una specie endemica della Giamaica in via d'estinzione.
No, si disse, suo figlio doveva avere una motivazione sicuramente più poetica.

 

-Gemma ti ricordi l'hutia giamaicano?- disse Harry, sdraiato a pancia in su sul tappeto nella camera di sua sorella, con gli occhi persi nel soffitto bianco.
-Non ci credo…- sospirò esausta, coprendosi teatralmente il volto con le mani.
-Ti immagini, se effettivamente ne vedessi uno?- continuo imperterrito per poi ridere, con le fossette a premergli le guance lisce, appena rasate.
Era l'ultima sera che passava a casa, ripensava ai mesi passati, agli anni passati, tutto era così assurdo, a tratti al limite del ridicolo, ma comunque una meraviglia che si palesava ai suoi occhi, ogni qualvolta ci pensava.
Era grato, si rendeva conto di quanto fosse banale un pensiero simile, ma era grato alla vita che gli scorreva nelle vene, che gli si presentava sotto forma di ricordi lampeggianti e gli chiedeva solo "stupisciti".
-Sei pronto a partire?- gli chiese Gemma, sapendo che questa volta era diversa da tutte le altre. Aveva il sapore, infatti, di una prima volta. Gli One Direction non si erano ufficialmente sciolti, no, certo, ma tutti, tutti coloro che avevano vissuto quegli anni di fuoco, di miraggi e meraviglie, sapevano che qualcosa era finito. Qualcosa era cambiato. I ragazzi erano diversi, le scelte non più incoscienti, gli sbagli, ora, avevano conseguenze eterne, nessuno che poteva mitigarli. Louis era padre, ed Harry non lo sentiva da mesi.
-Si può essere pronti?- ribatté mentre sentiva l'urgenza della vita che chiedeva di essere vissuta.
-Forse no…- rispose Gemma, nella cui testa si affollavano svariati pensieri, mentre realizzava che, nessuno sapeva cosa potesse uscirne da questo viaggio.
-Spero mi verrai a trovare, non so quando tornerò, ma forse avrai un regalo per il tuo ragazzo- rise lui, allungando un braccio verso il letto di lei per toccarle il braccio.
-Non è il mio ragazzo- sbottò lei, dandogli un colpetto sulla mano prima di stringerla nella sua  per un'istante, mentre tornavano ragazzini.


Quella sera Harry si prese tempo per gustarsi la sua famiglia, gli occhi di sua madre colmi di sorrisi, anche se lui continuava a scorgere il dolore costante per la morte di Robin, che ormai aleggiava su di lei come un velo. Tempo per perdersi nelle sciocchezze che accompagnavano quelle sue giornate monotone, e che pure ora riviveva una per una assaporando sulla lingua la sensazione di avere un posto dove tornare, immutato in qualche modo, semplicemente casa. Si era beato di una cena a base di tutti i suoi piatti preferiti, e di quella leggera tristezza che lo faceva sentire amato.
Era uscito al pub del paese, poi, con i suoi amici, per dirgli solo alla fine, in mezzo ai saluti, che sarebbe andato via. Con i suoi occhi grandi e chiari, corse subito a cercare lo sguardo di Felicity per trovarlo rivolto a terra, sulla punta delle sue vecchie Adidas. Aveva protratto quel momento fino all'ultimo ma sapeva che era arrivato il momento di parlare con lei, probabilmente tutti se n'erano accorti di ciò che passava negli occhi limpidi di Felicity negli ultimi mesi.
Pure, lei, doveva sapere, tanto che appena Harry le si avvicinò, disse, piano: -Quindi è arrivato il momento- con un sorriso fragilissimo a muoverle le labbra.
Harry davanti a lei come a proteggerla dagli occhi degli altri, la copriva con la propria stazza, il cuore che gli si stringeva per ciò che stava per accadere. Si sentiva un po' accaldato con il il sangue che gli arrossava la pelle chiara.
-Mi…dispiace, mi dispiace davvero- sussurrò, delicato "mi dispiace che non posso essere quello che desideri", continuò nei propri pensieri. I loro corpi erano illuminati dalle luci al neon, colorate, che provenivano dalle vetrate del pub nel quale erano stati, la musica, dal suo interno, si poteva ancora percepire, mentre sbatteva soffice sui vetri, suonava una canzone vecchia, della quale ad Harry sfuggiva il nome.
L'aveva visto, lo sguardo di lei, cambiare in quei mesi. L'aveva visto addolcirsi, intenerirsi, accendersi di desiderio per lui. C'erano giorni in cui era quasi insostenibile vedere quanto bene ci mettesse lei anche solo per salutarlo, per offrirgli una birra per ridere di ogni parola che usciva dalle sue labbra.
-Era così evidente, non è vero?- rise, grata che con Harry potesse essere semplicemente se stessa, anche ora, che il cuore le si stava spezzando, non aveva nemmeno dovuto chiedergli "Di cosa ti dispiace?".
-Ti conosco- rispose lui, semplicemente. Era pur sempre il suo primo bacio quella che ora era una donna, ancora così minuta, ai suoi occhi.
-Salutiamoci da amici e dimenticherò tutto- sorrise ancora, anche se le sue labbra stavano per tremare, pronte a cedere ad un pianto silenzioso. Harry senti lo stomaco stretto, eccome se la conosceva, per questo l'attirò a se per stringerla fra le sue braccia, sperando di non spezzarla.
-Ti voglio davvero bene- e non mentiva, mai.
Felicity sentiva quella voce muovere l'aria fra i suoi capelli, e pensò che più vicino di così, forse, non l'avrebbe mai più sentito.
-Mi hai fatta innamorare due volte in una decina d'anni, che disastro- rise, bagnando il maglione di Harry di lacrime calde.
-Beh, la prima volta mi hai piantato tu- disse cercando di farla ridere, anche se non smetteva di carezzarle la schiena, dolcissimo.
-Che stupida- scosse appena la testa, sfregando il viso sul petto di lui, petto di cui aveva conosciuto gli angoli nascosti quando ancora era un'informe adolescente, ma che lei aveva amato, in modo acerbo, certo, ma l'aveva amato. Harry la strinse un'ultima volta prima di lasciarla andare.

Poco dopo, era stretto e baciato dagli altri, un miscuglio di pacche, braccia che lo circondavano, raccomandazioni e infine quei "Ricordati di…" che vengono sempre e puntualmente dimenticati. L'ultimo ricordo impresso negli occhi degli amici fu la sua figura, in mezzo alla pioggia sottile che aveva ripreso a cadere, mentre si allontanava. E quante altre volte l'avevano visto così, di spalle, andare via.


Ripensò a Felicity, più tardi, quella notte. Erano anni che nessuna ragazza riusciva davvero a smuoverlo, a muoverlo, anzi. A farlo desiderare, inventare, scrivere e conquistare. Nessuna che fosse riuscita ad insinuarsi, a fermarsi con lui mentre attraversava la vita, di corsa cercando di sfinire ogni giorno, forse l'aveva incrociata ma era andato via, sempre troppo presto, sempre troppo poco tempo. La partenza si faceva chiara ora, effettiva, vicina.
Le sagome scure dei bagagli nella sua camera, bagagli che prospettavano un viaggio più lungo del previsto, Harry immobile ne seguì i contorni nel buio prima di cadere in un sonno profondo.


 

Anna, nella sua piccola stanza, dall'altra parte del mondo, si rigirava nel letto, e pensava "Senza prospettive, ecco cosa sono". Al solito la frustrazione si impadronì di lei, facendola quasi rivoltare, prima che il peso effettivo della sua vita le si rovesciasse addosso, al solito, e la facesse sentire semplicemente ingrata. Non riusciva a stare con se stessa, desiderava uscire, e con grande tristezza ogni volta si rendeva conto che era impossibile. La chiamata di quella mattina, in realtà, le aveva affibbiato una prospettiva, per i mesi a seguire, ma non era quella che lei chiamava "la svolta", quella che sognava di nascosto la notte, che l'avrebbe tratta in salvo, quella alla quale rivolgeva preghiere e attese, quella che le avrebbe cambiato la vita.
Si addormentò, maledicendo i suoi interminabili sogni e i suoi speranzosi e bellissimi desideri.

 

-


Appena atterrati il caldo asfissiante gli aveva sfiorato la pelle chiarissima e aveva iniziato a cancellare gli abbracci di sua madre e Gemma che ancora sentiva addosso, a riscaldare un po' la paura che lo stava attanagliando, a riempirgli il petto che non aveva una ragazza da far appoggiare.  Erano atterrati a Montego Bay, il villaggio in cui si dirigevano era il posto più agli antipodi del mondo che a Harry fosse venuto in mente. 
In macchina i finestrini completamente abbassati trascinavano dentro l'aria bollente, che sapeva di foresta, di scarico di automobili. Il mar delle Antille come linea costante li accompagnò sino a destinazione. Gli occhi di Harry erano abituati pressoché a tutto il mondo, oramai, ma quanto gli piaceva l'ignoto, fosse anche un nuovo colore, un nuovo profumo, una nuova risata. Mentre la macchina si infilava nei vari villaggi, dalle strade disastrate, lungo la via, Harry potè notare chiaramente la vita che si svolgeva con lentezza, con povertà, con risate con magnifica ordinarietà. 
Quando si fecero vicini, almeno secondo il loro autista, si infilarono in quello che era il paese ai piedi della collinetta, nascosta fra l'alta vegetazione, dove si trovata la Villa che avrebbe ospitato lui, la sua band e Jeff, il suo produttore.
La strada si faceva più pulita, più curata, la foresta addomesticata, mentre superavano il cancello automatico moderno, fuori luogo.

 

Anna uscì di fretta dalla porta scorrevole bianca, che dava sul retro del giardino dove suo padre annaffiava sotto il sole ancora tiepido. Aveva appena lasciato un biglietto, che sua madre forse non avrebbe approvato, sul tavolo della sala pranzo, in mezzo alle prime vivande, all'acqua, al latte fresco e alla frutta di stagione colta li vicino.
Corse a schioccare un bacio sulla guancia di suo padre, il vestito corto che le solleticava le gambe, il umore di una macchina nel viale di ghiaia le fece aumentare ancora più il passo mentre spariva dietro un portoncino.

 

Harry lesse a voce alta "Scrivete qui cosa desiderate e sarete esauditi", rise piano, guardando quella grafia frettolosa.

  
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