IL NONNO
Ci sono giorni tutti uguali.
Tutti dannatamente, stupidamente uguali.
È che… quando manca qualcosa, e quando i
ricordi riemergono dalle profondità di una coscienza che vorrebbe solo
seppellirli, fa davvero male.
Ricordo le tue mani, grandi e forti, che mi
sollevavano da bambino; la tua splendida risata, i tuoi preziosi consigli. Oh,
e ricordo anche molto bene quando mi raccontavi che avevi progetti importanti,
per me; essi erano tutti rivolti a sollecitare le mie passioni, a solleticare i
miei hobby. Insomma, non mi hai mai detto fai questo, fai quello.
È che forse non sapevi negarmi nulla.
Quando ero un adolescente ribelle, i miei
genitori mi promettevano un futuro in fabbrica; in particolare, in uno
stabilimento ben noto che sorge vicino a casa nostra. Io avevo veramente paura
di quel posto, e tu lo sapevi.
Là accadevano spesso infortuni, le persone
stavano male e facevano turni lunghissimi, anche di notte. Di tanto in tanto
qualcuno ci ha rimesso la pelle, con persone morte sotto il peso delle lamiere
di acciaio e tante altre che uscivano da quella sorta di inferno senza una
gamba o senza un braccio.
Ehm, insomma, bastavano questi pochi dettagli a
rendere codesta fabbrica il mio incubo.
E a scuola andavo pure male, alle medie mi
fioccavano gli Insufficiente ed ero sempre ampiamente sotto la soglia della sufficienza
in tutte le materie.
Ricordo che una volta sono venuto da te e ti ho
narrato le mie paure. Ti ho spiegato che i miei mi dicevano di studiare,
altrimenti sarei finito a lavorare in quella fabbrica, come tutti i somari
della zona.
Ma come potevo spiegare a loro che studiare non
mi piaceva? Mi piaceva la Storia, ecco, solo in quella materia e nei temi di
Italiano riuscivo a volte ad andare bene, ma quei voti positivi venivano
inghiottiti dal baratro oscuro di tutte quelle insufficienze.
Ero un vero asino, passavo intere giornate
scolastiche a guardare fuori dalla finestra e a immaginare storie e racconti
che un giorno avrei scritto.
Ecco, ricordo bene che ti ho raccontato tutto
questo, e anche al passato, poiché già allora credevo che per me fosse tutto
finito. La terza media stavo per concluderla e di voglia non ce n’era;
l’iscrizione alla scuola superiore era obbligatoria per raggiungere i sedici
anni e quindi concludere l’obbligo scolastico.
E poi? Poi cosa ne sarebbe stato di me?
Nonno, io me lo ricordo come se fosse ora
quando te ne ho parlato, te lo giuro. Io volevo provare a studiare e a fare
bene, ma non era colpa mia se non ci arrivavo. Non sapevo perché alla fine
dell’anno i professori mi promuovevano, forse avevano pietà di quel ragazzino timidissimo
che era inadatto a tutto. In più, non volevo finire nell’inferno di quella
fabbrica… preferivo morire.
Tu mi hai guardato attentamente, poi hai riso
con gentilezza; mi hai spiegato che i miei mi dicevano quelle cose solo per
spingermi a impegnarmi di più.
A me piaceva stare all’aria aperta, a giocare
senza pensieri e a stuzzicare la mia creatività con piccoli lavoretti manuali o
a restare immerso nella natura; non ho problemi, oramai, ad ammettere che a
quei tempi non avevo proprio voglia di mettermi a sudare su quei libri. Leggevo
i miei, di libri, quelli che sceglievo in biblioteca o nelle librerie, e non
quelli che mi imponevano gli insegnanti.
Ricordo anche che, dopo qualche settimana, mi
hai promesso che mi saresti rimasto per sempre a fianco e che avresti fatto di
tutto al fine di non farmi più sentire inadeguato. Se il mio sogno era quello
di coltivare alcuni hobby specifici e di dedicarmi all’agricoltura, molto bene;
tu ci saresti stato e mi avresti offerto tutta la tua esperienza a riguardo.
Allora divenni certo che avrei fatto bene. Le
tue parole, a suo tempo, mi hanno rassicurato così tanto da donarmi certezze
che mi sono sembrate indubbie, e… contrariamente a ogni possibile pronostico,
dalla prima superiore sono riuscito a ingranare. Avendo questo supporto
incondizionato in tasca, tutto il resto poteva aspettare, e così sono riuscito
a dedicare il giusto tempo anche ai libri di scuola.
Ciò non toglie che, appena ho potuto, ho anche
mollato; però ci ho messo impegno e non sono stato più una schiappa assurda.
Sono riuscito a cavarmela con buoni risultati.
Tuttavia, il tempo era trascorso, e anche solo
cinque anni per te sono stati come un’eternità… ti ho visto raggrinzire in
fretta, e forse non volevo crederci che qualcosa non andava.
Ho visto la tua vita che appassiva, e anche se
non riconoscevo questo cambiamento repentino ho sempre cercato di starti
vicino. Tornavo a casa dall’istituto superiore che frequentavo e non vedevo
l’ora di raccontarti tutto della mattinata appena trascorsa. Ti ho raccontato
del mio Esame di Stato, superato brillantemente, e poi è giunto il momento del
futuro.
Il momento tanto atteso; la mia scelta finale.
Non ho mai pensato seriamente di andare
all’Università, abitando lontanissimo da ogni centro abitato degno di nota,
quindi ho potuto finalmente cominciare a coltivare ogni mio sogno,
dall’agricoltura alla scrittura amatoriale. A quale costo, però? Ho perso te.
Nonno, tu stavi morendo, ed io non me ne sono
neanche accorto.
Ricordo quella giornata di luglio, molto calda,
ed io spensierato che facevo un bel bagno nell’acqua salata di un Mediterraneo
fantastico… poi quella telefonata… tu che eri stato portato d’urgenza in
ospedale… non potevo crederci. Sul serio. Un fulmine a ciel sereno.
Eri diventato più vecchio, più grinzoso, certo,
ma non eri mai stato male.
Tornato a casa, mia madre mi ha raccontato come
tu non fossi più capace di parlare e di muoverti, e com’eri rimasto. Ed io non
ho avuto neppure il coraggio di venirti a vedere in ospedale; ero atterrito da
tutta quella sofferenza, e ancora mi sembrava impossibile che tu non ci fossi
più.
L’ultimo ricordo che ho di te è quello di
qualche giorno dopo, quando ti mandarono a casa in ambulanza, quasi paralizzato
e incapace anche solo di respirare. Non mangiavi, non parlavi, non ti muovevi…
tutto doveva esser fatto grazie all’utilizzo di appositi strumenti tecnologici.
So solo che quando mi sono avvicinato al tuo
letto e ti ho parlato, sei riuscito a muovere le dita della mano destra e hai
afferrato la mia mano, donandomi un ultimo, caldo contatto. Anche se i medici
avevano sancito che l’ematoma nel tuo cervello ti aveva reso incapace anche solo
di comprendere, a quel punto ero più che mai certo che mi avessi sentito e che
avessi compreso ogni parola che ti avevo detto.
Quando rimembro quel momento, mi salgono ancora
le lacrime agli occhi e mi viene da piangere, poiché solo poche ore dopo quel
breve e ultimo contatto sei morto. Sei venuto a mancare senza emettere un solo
rumore, il tuo cuore ha continuato a battere flebilmente per qualche istante
prima di spegnersi per sempre.
Nonno, è accaduto tutto così in fretta! Solo
qualche giorno prima eri un anziano simpatico e vivace, con le tue battute a
volte pungenti e un po’ tristi, però sapevi che tutti ti volevano bene ugualmente.
Così ho imparato che la morte non ti
lascia dire addio… scava solo dei buchi… nella tua vita, nel tuo futuro, nel
tuo cuore.
Perché è rimasta una ferita che sanguina nel
mio cuore, e che non si è più rimarginata da quando sei venuto a mancare. È un
vuoto che ho dentro e che non riesco a colmare.
Adesso i miei sogni, i nostri sogni, sono
diventati realtà e tu non puoi vederli… mi piacerebbe che anche che potessi
leggere questo testo.
Sai cosa mi dispiace di più? Che non ho potuto
salutarti per bene. Non ho potuto donarti quell’abbraccio che avrei tanto
desiderato lasciarti come simbolo del mio affetto eterno.
Tra me e te c’è stata una brusca interruzione,
come se qualcuno si fosse messo di mezzo a rovinare tutto… la morte. Dannata
morte.
Ora so che ti consoli pensando che tutto qui va
bene, che è tutto a posto e che ogni nostro sogno condiviso è sempre più reale
e tangibile; so che lo sai perché ti avverto sempre con me… anche se a volte mi
manchi lo stesso. Mi manchi tanto.
Allora affogo questi ricordi, nascondendoli
negli abissi della mia coscienza. Ho così imparato che tutto prima o poi
riemerge.
Anche perché il tuo mezzo sorriso molto timido
è qualcosa che non si può dimenticare; non ti ho mai sentito ridere forte o
sbeffeggiare qualcuno, e questo ti ha reso un grande onore.
Se tu ora fossi a mio fianco, cosa mi
consiglieresti di fare? Nonno, aiutami, se puoi...
Ci sono delle volte in cui i dubbi prevalgono
sulla ragione e allora riemergi con forza e penso a quale scelta avresti
effettuato. So che posso fidarmi di ciò che mi hai lasciato, anche se avevi
ancora tanto da trasmettermi.
Sono convinto che un giorno recupereremo il
tempo perduto, anzi, avremo giorni infiniti da passare assieme… ma fino ad
allora, mi mancherai. Fino alla fine, fino all’ultimo istante di vita.
NOTA DELL’AUTORE
Piccolo racconto scritto un po’ in fretta,
spinto da una genuina ispirazione.
Inoltre tratta una miscela di sentimenti che da
tempo aleggiano nel mio cuore. Scrivere questo racconto mi ha fatto stare
meglio.
Ringrazio
la giudice del Contest per la bellezza delle sue iniziative. La frase
utilizzata in questo racconto è quella in corsivo (citazione c, “La morte non
ti lascia dire addio … scava solo dei buchi … nella tua vita, nel tuo futuro,
nel tuo cuore.” Riley – 1x09).
Grazie
a tutti ^^