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Autore: Colarose    23/09/2018    4 recensioni
Quando si perde tutto, non si fa che rimproverarsi di non aver fatto di più per non perdere quel tutto.
E Harry ha perso tutto.
Ma gli verrà data un seconda possibilità.
Un viaggio nel tempo, 27 anni indietro nel passato.
Prima che Voldemort seminasse terrore, prima della Prima Guerra Magica, prima dei Mangiamorte e prima della fondazione dell’Ordine della Fenice.
Prima di quel 31 ottobre, prima di quell’esplosione.
Prima dei Malandrini.
Una nuova responsabilità si fa carico sulle spalle di Harry: vincere la Prima Guerra, prima che ce ne sia anche una seconda.
Ma ci sarà un piccolo imprevisto.
**********
Siete pronti per la lettura?
Ma soprattutto, siete pronti per la storia del quinto Malandrino?
Genere: Comico, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Marlene McKinnon, Mary MacDonald | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Contesto generale/vago
Capitoli:
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La Notte delle Lacrime


«James...»
«Dannazione! Perché non si sveglia!» quasi urlò James, scuotendo forte il padre. Harry lo osservò angosciato.

Quello doveva essere un incubo, pensò James, perché tutto questo non poteva essere vero.

Semplicemente non poteva.

Era tutto troppo improvviso, tutto troppo brutto per essere la realtà.

Sì, doveva essere così. Probabilmente stava dormendo nel suo letto, poi sarebbe stato svegliato da sua madre, come al solito, incazzata perché erano le 11:30. Poi sarebbe sceso giù facendo colazione ancora mezzo addormentato. Suo padre sarebbe entrato poco dopo nella stanza, tanto allegro di mattina da dargli fastidio, annunciando che aveva fatto dei progressi con la sua nuova pozione.
E poi, dopo aver finito di parlare, avrebbe cercato di convincerlo per l’ennesima volta ad assaggiare la sua disgustosa marmellata preferita.

«James…» ri-niziò Harry con voce roca «Lui è-»

«NO! No, non è…. no» Lo interruppe di scatto James infervorato.

«Questo… no» Ripeté il corvino «È un incubo.. questo… non è vero» farfugliò poi, scuotendo energicamente la testa.
James semplicemente non ci riusciva, non riusciva a credere che uno dei suoi principali punti di riferimento, suo padre, l’avesse lasciato da solo. Era qualcosa di impossibile.

Perché non era possibile?

Questo lui non lo sapeva, semplicemente reputava il tutto impossibile. Impossibile che suo padre l’ avesse lasciato all’improvviso; impossibile che un attimo prima scherzavano e parlavano e che l’attimo dopo combattevano; impossibile avesse perso così presto il suo papà.

Smise di scuotere quello che ormai si poteva chiamare cadavere, e abbandonò le braccia lungo i fianchi.

No, non era vero, si disse, deglutendo.

Poteva solo immaginare come fosse da fuori, sentendo lo sguardo di Harry bruciare sulla sua faccia china.

Quella doveva essere una giornata bella e divertente. Doveva semplicemente andare a prendere i suoi amici e portarli a casa sua, e dopo di che, si sarebbero divertiti tutti e cinque. Avrebbero potuto fare uno scherzo, convincendo Remus e Peter (Sirius e Harry non ce n’era neanche bisogno). Magari suo padre li avrebbe appoggiati e sua madre avrebbe fatto loro una ramanzina di quindici ore.

E invece si era trasformato tutto in un casino in pochi secondi.

Sempre ammettendo che non era nel suo letto a dormire, gli ricordò una vocina persistente nella sua testa.

Sull’orlo di un precipizio di disperazione, si voltò verso Harry con il bisogno che lui dicesse che aveva ragione.

Che non era realtà.
E sarebbe rimasto forse turbato dallo sguardo che egli ricambiò, se non fosse stato già di suo sotto shock.

Gli occhi verdi di Harry rivelavano tutti i demoni nascosti nella profondità della sua anima, mai mostrati liberamente a qualcuno. La sua espressione rivelava tutte le sue emozioni, era un libro aperto come ormai non era da due anni a questa parte.

Se gli occhi di Harry erano il covo dei demoni, quelli di James erano l’immagine della devastazione.

Ed era strano ed ingiusto vederlo così, per Harry. Non quando Jamie sfoggiava sempre un lucente sorriso che faceva invidia al sole, non quando i suoi occhi erano perennemente felici e furbeschi.

Non era giusto.
Ma cosa ci si poteva aspettare di giusto in un mondo del genere?

Nello sguardo di Harry, James non lesse quel che sperava.
E quasi cadde del precipizio, ma si aggrappò con forza all’orlo, lottando per resistere.

«Ragazzi» entrambi sobbalzarono e Harry sguainò immediatamente la bacchetta.

Un uomo sulla quarantina con il pizzetto, li osservava preoccupato.

Harry abbassò la bacchetta, notando la divisa Auror «Come vi chiamate?» chiese l’uomo in modo cauto, quasi stesse parlando con animali selvatici, gettando un’occhiata al corpo del signor Potter.

James non sembrava aver alcuna intenzione di rispondere, continuando ad avere lo sguardo assente che aveva un attimo prima.

«Harry e James Potter» rispose allora l’altro, cercando di mantenere la voce ferma, anche se con scarsi risultati.
L’Auror annuì, guardando di nuovo il cadavere «Forse è meglio se mi date i vostri indirizzi, in modo che io possa portarvi dalle vostre famiglie» disse con tono calmo.

«Io non lascerò mio padre» sibilò James inviperito, stringendo il polso del genitore.

Suo padre non sarebbe rimasto lì, da solo e a terra. Con che coraggio poteva lasciarlo lì e andare a casa?
Come poteva guardare sua madre e dirle ciò che era successo? Come avrebbe potuto guardare la sua espressione? Come avrebbe potuto dirle che la casa non sarebbe stata più la stessa, perché non c’era papà?

L’uomo sospirò con rassegnazione, e Harry ebbe l’impressione che si era trovato in situazioni del genere varie volte.

«Tuo padre non resterà incustodito, ma ora devi tornare a casa. Qui gli edifici potrebbero crollare da un momento all’altro, e credo che i tuoi cari si stiano preoccupando» disse.

James sembrava pronto a scatenare una guerra, prima di sentirsi poggiare una mano sulla spalla. Si voltò verso Harry, che lo osservava rassicurante.

E si chiese come cazzo riusciva a non disperarsi, a lasciar da parte per un attimo le emozioni negative per poterlo guardare così.

Sospirò, alzandosi, guardando il corpo di suo padre.

James continuò a osservare Fleamont, senza alcun movimento da parte sua.

Poi, all’ improvviso, disse l’indirizzo di Potter Manor con voce inespressiva.

L’Auror annuì e prese le loro mani, poi si smaterializzarono di fronte ai cancelli.
Rimasero un attimo immobili, guardando i cancelli chiusi.

Il cervello di James non riusciva a collegare molto in quel momento, se non la battaglia e il cadavere di suo padre. Harry sembrava intenzionato ad avvicinarsi ai cancelli nell’ingenua speranza di cercare di aprirli.

Come si doveva fare? Non se lo ricordava…

Forse, il membro della Famiglia Potter, doveva…

Harry fece un passo avanti e i cancelli si spalancarono, facendolo sobbalzare.

…fare un passo avanti.

James decise di non pensare al momento a possibili difetti delle protezioni. Guardò la sua imponente casa, per la prima volta senza il desiderio di entrarci. Ma l’Auror e Harry si avviarono, e lui non poté far altro che raccogliere il suo coraggio Grifondoro e camminare insieme a loro.

La porta si avvicinava inesorabilmente.



E pochi minuti dopo si ritrovavano in salotto. Euphemia non ci aveva messo molto a capire cosa era successo, due ragazzini feriti, sporchi e devastati, accompagnati da un Auror non lasciavano spazio a molte opzioni.

«State bene?» domandò preoccupata «Avete bisogno di qualcosa o…?»

«Va bene, mamma» rispose James, forzando un sorriso che gli venne piuttosto bene. «Ci sono cose più importanti da… dire» continuò, perdendo rapidamente il sorriso e deglutendo.

Euphemia sembrò rendersi conto che qualcuno mancava all’appello «Dov’è Fleamont?» chiese.

«A proposito di questo, signora» iniziò l’Auror, che si era scoperto che di cognome faceva Benett. Harry aveva supposto fosse il padre di Susan, una sua compagna Grifondoro del suo stesso anno. «Io… le do le mie più sincere condoglianze» continuò, abbassando gli occhi.

Euphemia lo osservò confusa e sconcerta «Cosa c’entrano le condoglianze?» domandò agitata.

«Suo marito… è stata una delle tante vittime dell’attacco a Diagon Alley» sussurrò l’Auror Benett, guardandola con occhi compassionevoli.

Euphemia si portò una mano davanti alla bocca, diventando pallida.

«Fleamont è…» iniziò con voce malferma

Il signore annuì.

Seguirono lunghi istanti di silenzio.
Mia si sentiva come se una parte di sé fosse stata improvvisamente rotta, distrutta. Un dolore straziante gli invase il petto, facendole per un attimo bloccare il respiro, quasi stesse per soffocare.
Le si stavano formando le lacrime agli occhi, prima che ritornasse alla realtà. L’Auror continuava a fissarla con uno sguardo fatto di pietà, Harry non la guardava neanche, mentre James, suo figlio, che aveva appena perso un padre a solo tredici anni, la osservava di sottecchi. Non poteva permettersi di essere debole, doveva essere forte, per James. Per Fleamont.

Strinse le labbra, in una linea sottile, cercando di far uscire una voce più ferma.

Poi annuì, per un’inspiegabile motivo.

«Grazie per aver accompagnato i ragazzi qui, Auror Benett. Immagino che tra un paio di giorni ci sarà qualche procedura legale per… quel che è successo a mio marito. Può andare, immagino abbia molto lavoro da fare» disse cortesemente, cercando di mostrarsi composta.

L’Auror la squadrò un attimo, prima di alzarsi dal divano.

«Grazie per l’ospitalità signora Potter. In effetti ha ragione, ho molto da fare» Disse, e con un cenno del capo, uscì dalla stanza, seguito da un Elfo che lo accompagnava alla porta.


*


Harry si alzò dal letto, frustrato.

Niente, non riusciva a dormire.

Non quando i sensi di colpa gli divoravano l’anima.

Harry pensava davvero che sensi di colpa così forti li aveva sperimentati troppe volte nella sua giovane vita. Si passò una mano fra i capelli, ricordando l’abbraccio che c’era stato tra la signora Potter e James, subito dopo che l’Auror se ne era andato. James non aveva versato una lacrima continuando a spargere sorrisi qua e là dopo un po’, con un comportamento troppo allegro. Ed era molto ma davvero molto convincente, ma Harry giudicava i suoi sorrisi e le sue risate più finti dei pianti che faceva una volta Dudley. Chiunque lo conoscesse abbastanza bene sapeva che quelle erano tutte balle.

Era così che faceva Jamie, fingeva di stare una meraviglia quando stava una merda.

Ed Harry aveva anche sentito i singhiozzi della signora Potter, quando loro due se ne erano andati di sopra. Ed erano stati strazianti e Harry si augurava di non sentirli più, perché già sapeva che non avrebbe dormito per almeno, almeno un mese, se poi si aggiungevano i pianti della famiglia, a questo punto non poteva che peggiorare.

Inutile dire che tutto quello lo aveva stravolto, era come se la realtà gli avesse sbattuto violentemente la sua testa contro un muro, risvegliandolo da un'illusione che si era creato in quei due anni.

Che poi, alla fine, era davvero colpa sua. Non era solo una colpa che qualcuno si infliggeva, prendendosi responsabilità che non erano sue. Era stato proprio lui, che intromettendosi nel tempo, aveva portato alla morte di Fleamont. Quell’uomo nella sua vita precedente non era morto così, no, Sirius aveva detto che quando aveva sedici anni era scappato di casa e i genitori di James lo avevano accolto a braccia aperte. Fleamont era morto di Vaiolo di Drago un anno prima che lui nascesse, per la miseria!
Nel 1979!

James aveva avuto un padre per tutta la sua infanzia e adolescenza, non l’aveva perso quando aveva solo tredici anni!

Il pensiero della stato d’animo di James in quel momento, lo fece alzare di scatto, non sopportando più quei pensieri che si insinuavano prepotentemente nella sua testa, facendogli venire voglia di piangere, e anche per altri motivi a cui voleva evitare di pensare anche solo lontanamente

Non. Doveva. Piangere.

Era venuto ventisette anni nel passato per una ragione precisa, non per fare scherzi idioti.
Come aveva potuto essere così egoista?

Ci era voluta una battaglia e tante vittime per riportarlo con i piedi per terra? Davvero si era distratto così tanto?
Ora doveva iniziare sul serio, doveva cominciare a prendere in mano le redini di quella guerra.

Harry se lo ripeteva e ripeteva, quasi a convincere sé stesso che ce l’avrebbe fatta.

Si mise le ciabatte e uscì dalla stanza per fare una passeggiata notturna. Ma appena aprì la porta, sentì dei rumori soffocati. Aggrottò le sopracciglia, uscendo fuori con cautela e chiudendosi la porta alle spalle.

Fece qualche passo, alla ricerca della fonte.

Si fermò di fronte alla porta della camera di James.
Harry spalancò gli occhi. Erano forse… singhiozzi?
Doveva… ignorarli? Non credeva di essere molto bravo a consolare la gente.

Ma nello stesso momento in cui fece per andare via, capì che non ce l’avrebbe mai fatta ad andarsene come se niente fosse. Gli amici servivano nel momento del bisogno, no? Se non c’era nei momenti brutti di James, ma solo in quelli belli, allora che razza di amico era?

Aprì lentamente la porta, cercando di non fare il minimo rumore.
Ma la porta evidentemente non era d’accordo, perché cigolò rumorosamente, facendo alzare di botto la testa di James dal cuscino.

Scie luccicanti di lacrime scendevano dagli occhi, e ad ogni battito di ciglia se ne aggiungevano altre. Stettero un attimo a guardarsi, poi James si asciugò le guance, tirando su con il naso.

Alzò il busto, quasi a sedersi

«Harry» disse semplicemente, con voce un po’ spezzata. «Cosa… cosa c’è?»

Harry non spiaccicò parola, e chiuse la porta lentamente. Poi si avvicinò al letto di James, sedendosi sopra, sotto lo sguardo spaesato dell’amico. James si asciugò di nuovo due lacrime, che testarde, erano sfuggite al suo controllo.

«Harry?» chiese, guardando l’amico, che se ne stava immobile.
Poi lo vide voltarsi e fare un piccolo sbuffo.
«Smetti di fare l’orgoglioso e vieni qui» borbottò, aprendo le braccia. James lo guardò un attimo esitante, prima di avvicinarsi e abbracciarlo.

Seppellì la testa nella sua spalla, lasciandosi andare.

James lo stringeva forte, mentre inzuppava la sua maglietta del pigiama, con il petto che si alzava e abbassava, stremato dai singhiozzi.

Era caduto, era caduto dal precipizio.

«Papà è morto» esalò Jamie, fra le lacrime «Non c’è più»
«Lo so» sussurrò Harry morbidamente, con gli occhi lucidi.

«Non ho più un padre» una nuova ondata di dolore lo scosse, portandolo alla disperazione più totale. Sentiva come se una parte di sé se ne fosse andata, si fosse rotta nello stesso momento in cui Fleamont se ne era andato per sempre. Una vita senza suo padre… era difficile da immaginare. Non ce la faceva così, non poteva farcela.

«Ce la farai, James» disse Harry improvvisamente, con tono sicuro e fiducioso, quasi gli avesse letto nel pensiero «Ti rialzerai e andrai avanti.»

James non disse niente, e passarono minuti e minuti così, abbracciati, mentre si sfogava.

Lui non avrebbe più sentito la risata di suo padre, non ci sarebbero state più partite il martedì, nessuno più avrebbe cercato di ficcanasare nella sua vita sentimentale, non avrebbe più dovuto assaggiare marmellata disgustosa per accontentare qualcuno, non avrebbe più dovuto passare ingredienti rivoltanti per una punizione e nessuno più gli avrebbe fatto i complimenti per qualche burla di nascosto dalla mamma.

Tutto sembrava così schiacciante…

E a James parve di avere una quantità infinita di lacrime.

Ma alla fine, semplicemente, non uscirono più. Riuscì a rilassarsi, mentre il respiro si regolarizzava e il corpo non veniva più scosso dai singhiozzi.

Ma una grande stanchezza lo colpì all’improvviso, la solita stanchezza post-pianto. Però si sentiva un po’ meglio, un po’ svuotato certo, ma era una sensazione piuttosto piacevole, che lo faceva respirare bene.

Dopo un po’ , si staccò lentamente, osservando il suo amico, che a un orario improponibile, era venuto nella sua stanza senza il minimo preavviso e lo aveva abbracciato.

Harry lo guardava, con una specie di dolorosa comprensione, quasi capisse alla perfezione cosa stesse provando. Ma come faceva a capirlo? Lui non aveva perso un genitore.

Osservò la spalla destra di Harry, dove fino poco prima aveva pianto.

Era inzuppata, completamente.

Si sentì leggermente in imbarazzo.

«Grazie» sussurrò e non era uno di quei grazie che si dicevano tanto per dire, come quando qualcuno ti passava qualcosa o ti facevano qualche complimento, ma era uno di quei grazie che traspariva una vera gratitudine. E la parola, detta in quel modo, era molto più bella.

«Farsi inzuppare la maglietta fa parte dell’essere un amico, credo» rispose Harry, facendo spallucce.

James sorrise. Non era un sorriso esuberante, non era un ghigno né un sorriso a cinquantadue denti. Era un sorrisetto, piccolo piccolo, ma vero almeno.

Harry ricambiò in modo stentato.
Di più non riusciva a fare, perché si sentiva sempre più vicino al punto di rottura. Vedere piangere così James, al suo animo non aveva sicuramente fatto bene. Voleva solo rifugiarsi nel suo letto e piangere, piangere e piangere.

Buttare fuori tutte le lacrime che si era trattenuto per anni e che sentiva l’urgente bisogno di cacciare via.

James aggrottò le sopracciglia «Stai bene, Harry?»

«Sì sì, non ti preoccupare» rispose l’altro, per poi alzarsi. «Fai la ninna, mi raccomando» cantilenò ghignando, prima di uscire dalla stanza.
James osservò per un attimo la porta, per poi scuotere la testa e sdraiarsi. Chiuse gli occhi, la stanchezza lo travolse in poco tempo, facendolo cadere addormentato.

Gli incubi, come previsto, non si risparmiarono.



Nella stanza affianco, lo stesso amico che lo aveva consolato, stava soffocando i singhiozzi e le lacrime nel cuscino.

Logorato dai sensi di colpa e dalla rabbia, quasi non riusciva a respirare.

Non ce la poteva fare.
Non era pronto a tutto questo.

Quella notte fu la notte delle lacrime, tutte quelle mai versate.

E quando riuscì a dormire, nemmeno nel mondo dei sogni Harry trovò pace.


*


«Come te la sei fatta quell’ustione?» chiese Nott, alzando un sopracciglio mentre guardava la mano fasciata di Avery.

L’interlocutore fece una smorfia, osservando la sua povera mano. Sotto quelle fasce c’era un’ustione che aveva colpito perfino i tessuti sottocutanei e l’ipoderma. Era bianca e marrone, e aveva varie croste. Ieri si era dovuto far medicare da uno dei Mangiamorte, che era una spia al San Mungo. Gli aveva detto che doveva tenersi quella fascia per tre settimane.

Wilfrid Avery non era stato per niente contento, ma evidentemente non sapeva che tra i Babbani, ustioni del genere richiedevano mesi di guarigione e interventi chirurgici.
Comunque, la cicatrice era inevitabile.

«Durante la battaglia» rispose vago.

«Non l’avrei mai detto» sibilò sarcastico Julian Nott. Wilfrid gli gettò un’occhiataccia.

«Ho duellato con un giovane… davvero impressionante» dovette ammettere, suo malgrado.
Perché per quanto bastardo fosse quel ragazzino, aveva duellato in modo eccezionale. E- Avery rabbrividì- lo aveva schiantato senza bacchetta.

«Un giovane?» domandò Julian, alzando un sopracciglio.
«Avrà avuto dodici-tredici anni» borbottò l’altro.
«Ti sei fatto battere da un ragazzino?» sussurrò Nott sembrando estremamente divertito.

«L’ho visto duellare con B-»

Wilfrid fu interrotto da una risata.

Si voltò verso Fenrir Greyback, che proprio in quel momento era passato di fianco a loro. Finora avevano parlato sussurrando, per non farsi sentire dagli altri Mangiamorte (figurarsi se voleva far sapere a tutti che era stato sconfitto da un ragazzino.) nella stanza.

Ma Greyback aveva dalla sua parte l’udito da Lupo Mannaro,e anche se era passata una settimana dalla Luna Piena, aveva ancora tutti i sensi amplificati. Non c’era da stupirsene, Fenrir era più un Lupo Mannaro che un umano.
«Ti sei fatto sconfiggere da un dodicenne?» quasi urlò Greyback quando si fu calmato. Aveva un ghigno canzonatorio stampato in faccia, e sembrava pronto a far diffondere la vergognosa notizia.

«Sta’ zitto, Grayback» cercò di zittirlo Wilfrid, notando le varie teste che si erano voltate.

«Quanto deve essere scadente il tuo livello per farti sconfiggere con tanta facilità?» continuò Fenrir ignorandolo, la perfidia irradiata dai suoi occhi blu grigiastri «Quindi, se ti trovavi con il più scarso degli Auror, saresti stato sconfitto ancor prima di iniziare il duello?»

«Se tu ti troveresti con una bacchetta in mano, non sapresti nemmeno come usarla» rispose Avery gelido.

«Io non ne ho bisogno» ribattè Fenrir ghignando.

«Oh, giusto» disse Wilfrid con noncuranza «Mi sono dimenticato che sei un ibrido» continuò sorridendo in un modo alquanto malefico.

Fenrir digrignò i denti e strinse i pugni «Prova a ripeterlo.»

«Sei un ibrido, uno schifoso Lupo Mannaro che non dovrebbe avere neanche il diritto di servire l’Oscuro Signore» proseguì Avery, sembrando stesse buttando fuori tutte le parole che si era trattenuto per un bel po’ di tempo.
Julian cercò di fermarlo, perché a differenza del compagno, il suo spirito di autoconservazione non era andato al quel paese.

Ma Wilfrid non lo ascoltò minimamente «Sei talmente una schifezza della società, che l’Oscuro Signore non ti ha nemmeno concesso il Marchio Nero.»

Greyback ringhiò rabbioso e gli si buttò addosso, cogliendo di sorpresa Avery.

Fenrir aveva una luce maniacale e omicida nelle sue iridi, e la forza non gli mancava affatto.

Il Purosangue si ritrovò- con suo grande disonore- ad azzuffarsi con Greyback, altrimenti sarebbe finita molto male.

«Cosa sta succedendo qui?» sibilò una voce, e poco dopo una forza magica li divise, buttandoli sui lati opposti della stanza e facendoli sbattere violentemente contro i muri.

«Mio Signore...» dissero contemporaneamente Avery e Greyback, inchinandosi.

«Cosa vi ha portato ad azzuffarvi in questo modo tanto da… barbari?» Voldemort fece una smorfia di disgusto.
«Mi ha provocato, Mio Signore» rispose Fenrir, voltandosi verso Avery.
«Questo non ti autorizza a buttarti come una bestia verso uno dei miei più fedeli Mangiamorte» disse il Lord con tono neutro, guardandolo negli occhi. Greyback strinse la mascella.

«Uno dei suoi più fedeli Mangiamorte, mio Signore, si è fatto battere da un ragazzino di dodici anni.»

«Stai forse mettendo in dubbio la mie scelte?» domandò curioso Voldemort, inclinando la testa, sembrando tanto gentile quanto pericoloso. Perché ormai tutti lo avevano imparato, il loro Signore non era mai gentile e quando lo era, non era altro che una falsa gentilezza, dietro alla quale si nascondeva un’ implicita minaccia.

«No, mio Signore» rispose in fretta Greyback, chinando la testa.

«Ah, mi era sembrato il contrario… mi sarò sbagliato» disse il Signore Oscuro, sorridendo dolcemente. Poi si voltò verso Avery.

«Ne abbiamo già parlato in privato di Fenrir, è uno di noi nonostante sia un licantropo. E mi pare di aver detto di non insultare la sua specie, o almeno, non davanti a lui.»
Wilfrid deglutì «Giusto, mio Signore.»

«Inoltre, quel che sosteneva Fenrir poco fa corrisponde a verità?»
Avery guardò ostinatamente il pavimento «Sì, mio Signore.»

Wilfrid gettò una veloce occhiata al suo Signore, vedendolo con le sopracciglia alzate «Ma in mia difesa, » iniziò rapidamente «posso dire che non so chi sia, ma sono sicuro che non era uno qualunque. Sapeva incantesimi a livello Auror, era scattante e veloce, e…» esitò.

«E?» lo esortò Voldemort, sembrando piuttosto interessato.

«Mi ha lanciato uno Schiantesimo… senza bacchetta» concluse Wilfrid, alzando lo sguardo.

Il Signore Oscuro lo osservò scetticamente «Mi stai forse raccontando menzogne?»

«Non mi permetterei mai, mio Signore.»

Avery strizzò gli occhi, sentendo un dolore lancinante alla testa, prima di abbassare le barriere mentali e permettere a Voldemort di setacciare la sua mente.

«Interessante» commentò Voldemort, uscendo violentemente dalla testa di Wilfrid e facendolo barcollare. «Se non fosse così giovane prenderei anche in considerazione di reclutarlo»

Però, pensò Voldemort, poteva sfruttare questa giovinezza. Quel ragazzino sembrava molto potente e promettente, e crescendo sarebbe solo migliorato. E se poi si aggiungeva la Magia Oscura, poteva essere ancor più temibile.

Ma il ragazzino era sembrato non usarla, combattendo con incantesimi, sì forti, ma non potenzialmente letali.

Sarebbe stato un ottimo acquisto per Silente.

Ma se lui lo modellava, magari con qualche giochetto psicologico che lui era tanto bravo a fare, avrebbe anche potuto portarlo dalla sua parte.
Forse doveva essere istruito per bene sulla parte oscura della magia, e solo quando sarebbe stato più grande, sarebbe andato in battaglia.

Poteva essere la sua arma più forte.

Il suo piano però doveva ancora essere definito per bene. Doveva conoscere di più il ragazzino, capire quanto le sue credenze erano forti, e se fosse davvero tanto potente come sembrava nella testa di Wilfrid.

Ma prima, doveva scoprire chi era.

«Rebastan, contatta Abraxas Malfoy e chiedigli di farmi un favore. Devo sapere il più possibile su questo ragazzino.»
















Angolo Autrice
Buon salve, ecco un nuovo capitolo. Anche questo in ritardo, ma credo che ormai non aggiornerò più ogni cinque giorni, ma ogni sei.
Nella prima scena, c’è quel che è successo dopo pochi minuti dalla fine della battaglia di Diagon Alley. Ci sono molti pensieri di James, che inizialmente si ostina a negare tutto.
È una cosa normale, il cervello si ostina a negare per proteggersi dal dolore.
Comunque, so che forse non è importante, ma davvero io non so dove sia Potter Manor. Molti lo inventano, perché la Rowling non ha detto niente. Io avevo pensato al Galles, ma non è che si può dire “Potter Manor, Galles”, cos’è? Potter Manor si estende per tutto il Galles? Non credo proprio. E non sapevo in che cittadina collocarlo, anzi no, preferirei fosse un luogo piuttosto deserto, lontano dai babbani. Tipo una pianura. Poi ho cercato, e ho trovato un sito inglese che spiegava tutta la storia del Potter Manor e tutte le persone che ci erano vissute. Diceva che si trovava in Scozia, a John O’Groats. Ecco, io stavo per mettere questo, però poi ho letto “James e Lily si trasferirono a Potter Manor dopo il loro matrimonio e vi rimasero fino all'autunno 1979; Lily concepì Harry e Lancillotto mentre risiedeva a Potter Manor. Avendo sentito la profezia riguardante il bambino che Lily portava - non sapeva che fossero gemelli - si erano nascosti, lasciando il Potter Manor vuoto.
Per tutto il 1980, Potter Manor rimase vuoto. Euphemia periodicamente controllava il maniero per assicurarsi che fosse ancora abitabile; visto che lo era, tornò a nascondersi sotto gli ordini di suo figlio.
Nel novembre del 1981, dopo la caduta di Lord Voldemort, Lily, James e Harry tornarono a Potter Manor. Euphemia si prese cura dei nipoti mentre James e Lily si rivolgevano al Ministro della Magia per dire cosa era successo.
Nel resto degli anni '80, James e Lily vissero una vita felice con i loro figli.”
Ehm… ????
Lancilot-
Vissero una vita fel-
Mmm, vvmfhs? O.o
Io non so…
Lasciamo stare.

Comunque, i cancelli di Potter Manor si spalancano, appena Harry fa un passo, essendo un parente diretto degli ultimi Potter. James ha ancora la mente piuttosto annebbiata, e non ci pensa più di tanto.
Euphemia me la sono sempre immaginata una donna forte, e non credo sarebbe scoppiata a piangere di fronte a suo figlio, già provato.
Nella seconda scena Harry si sente, come prevedibile, molto in colpa. Si sente come svegliato da un lungo letargo e non è pronto.
Sente poi i singhiozzi di James, e va a dargli una spalla su cui piangere.
Piuttosto veloce la piccola ripresa di James.
Sinceramente, io non lo vedo come qualcuno che si fa sopraffare completamente, piuttosto uno che cerca subito di rialzarsi.
Non ce lo vedo proprio un James depresso per troppo tempo, io credo che reagisca subito. Ora non si è completamente rialzato, ma ci sta provando e ci sta riuscendo.
Anche Harry alla fine crolla, chiudendosi in camera e piangendo in solitudine.
Ma prima o poi doveva arrivare il momento.
Piangere comunque fa bene.
Nell’ultima scena, al Margiamorte che duella con Harry l’ho fatto cambiare tre volte nome, giusto per informarvi.
Voldemort viene a sapere di Haaaarryyy. Forse potrebbe sembrarvi un po’ assurda questa idea di Voldemort, ma a me non sembra tanto impossibile che la pensi.
Forse sarò io, che ho letto troppe fanfiction su Tom Riddle, o Voldemort che invece di uccidere Harry lo fa diventare un bravissimo mangiamorte e bla bla bla.
Forse avrei dovuto farlo pensare come possibile nemico invece di come possibile alleato…?
Non lo so, io non sono sicura di entrambe.
E non sono sicura né del titolo del capitolo né del capitolo stesso.
Ora che sto scrivendo queste note devo ancora decidere il titolo, e sono sicura che non ne verrà uno tanto bello.


Saluti!
P.S. Mi scuso per eventuali errori di grammatica o/e battitura.






Capitolo gentilmente revisionato da lilyy, grazie!
   
 
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