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Autore: Bloody Wolf    25/09/2018    7 recensioni
Questa storia partecipa al Contest "A taste of summer" indetto dal gruppo di Facebook "The Writing Spell - gruppo di scrittura EFP ".
La storia di un detective che cerca la verità per poter mettere l'anima in pace.
[Storia 1° Classificata nel Gruppo FB The Writing Spell]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Storia che partecipa al contest "A Taste of Summer" indetto del gruppo facebook "The Writing Spell - Gruppo di sscrittura EFP".
Il mio Prompt era la canzone dei Delta V - Un'estate Fà.
Ho usato la canzone come se fosse un'inizio da cui partire quindispero di aver seguito la "consegna" a dovere.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno, seguiranno o recensiranno questa storia perchè per me è stata una vera e propria sfida.
Chiedo già scusa per la tristezza che essa genererà ma  purtroppo è un periodo così per me e, di conseguenza, è nata questa storia. 
Vi lascio alla lettura sperando che vi piaccia <3
PS: grafica fatta da me quindi vietato rubare grazie!

Jack salutò i colleghi alzando una mano, aveva sul volto un sorriso stampato, un sorriso spento e falso eppure nessuno sembrò notarlo.

Per tutti, quello era un giorno come un altro, un altro, insulso giorno…

Salì in auto allacciandosi la cintura e appoggiò le mani sul volante, chiuse gli occhi e si leccò le labbra con calma: erano tutti movimenti a lui familiari. Ormai alzarsi la mattina e qualsiasi altra singola azione era istintiva, era come se lui non vivesse più la propria vita. Era solo un burattino nelle mani di un destino crudele.

Sospirò accendendo l’auto e ingranando la prima, mentre la radio si accendeva brillando e cercando la frequenza che prendeva meglio in quel tratto di strada. La musica riempì l’abitacolo obbligando l’uomo a respirare con calma: sembrava che anche il mondo fosse contro di lui…

Un’estate fa

la storia di noi due,

era un pò come una favola.

Ma l’estate va

e porta via con sé,

anche il meglio delle favole.”

 

Accostò in un tratto di strada e prese dei bei respiri, aveva bisogno di silenzio e di calma, aveva bisogno di respirare con i propri polmoni per evitare di essere schiacciato sotto quel peso immenso.

Aprì la portiera scendendo da quella latta fredda e insensibile, portò le mani ai fianchi camminando con passo deciso: avanti e indietro, come un animale in gabbia.

Le mani risalirono ai capelli mentre dalla sua bocca usciva un lieve rantolo e gemito, carichi di dolore e di rabbia. Quella sensazione all’altezza del petto cresceva, aumentava man mano ci pensava.

“Maledizione!”

La sua voce uscì furente da quelle labbra mentre calciava una lattina vuota, l’immondizia fece un rumore metallico mentre piombava sull’asfalto e rotolava.

Jack chiuse gli occhi decidendo che era arrivato il momento di calmarsi, era passato un anno, 365 giorni di inferno. Eppure più il tempo scorreva e più lui si convinceva che a nulla sarebbe servito perché gli mancava tutto di lei e nulla poteva riportargliela.

Risalì in auto e spense la radio affrontando gli ultimi minuti di strada con gli occhi lucidi e il groppo alla gola. Lei era la sua luce, era la sua forza e la sua ispirazione ma soprattutto l’amava per la sua purezza d’animo...ed ora che non c’era più e che nulla gliela avrebbe riportata indietro, si sentiva solo.

Parcheggiò l’auto nel vialetto di casa, spossato e appesantito da quelle emozioni perché dopotutto era in piena estate e lei adorava quella stagione, adorava starsene per ore nel prato ad osservare gli insetti e i fiori.

Faceva male, faceva davvero male soprattutto quel giorno perché tornare a casa significava ricordare qualcosa di lei ad ogni singolo passo, ed era straziante.

Gwen era una donna meravigliosa, se la ricordava perfettamente mentre camminava su quel vialetto, mano nella mano assieme a lui mentre tornavano a casa da lavoro; quella sua chioma rossa e ribelle che si muoveva attorno a lei come se fosse stata un’aura benefica, quei suoi grandi occhi verdi e quel delizioso naso “a patata” che aveva sempre amato baciare la mattina presto.

Tutto andato in fumo.

Tutto scomparso assieme alla sua morte. Jack si ritrovò a stringere i pugni, facendo sbiancare le nocche mentre digrignava i denti rivivendo quei momenti cruciali.

 

Jack, Gwen, le vostre squadre si muoveranno assieme, abbiamo tutto in pugno. Il nostro Al Capone sarà messo in cella. Attenetevi alla missione. Andate”

Annuirono, era strano lavorare assieme, erano sposati da circa tre anni e si erano conosciuti al lavoro: lui un detective mentre lei era il capitano delle forze della polizia. Non era difficile andare d’accordo in quel caso, si erano studiati il piano e avevano agito.

Silenziosi, precisi e letali.

Erano entrati in quel magazzino sparando a quei narcotrafficanti, li avevano uccisi tutti mantenendo in vita il loro Boss, era stato difficile. Avevano dovuto impiegare tantissimo tempo ed energie per riuscire a racimolare abbastanza prove da usare in tribunale ma alla fine avevano vinto, avevano fatto uscire da quel magazzino ventidue prigionieri che venivano sfruttati per lavorare la droga, non potevano essere più contenti di così.

Poi successe, un sibilo che fendette l’aria e il corpo inerme di Gwen che cadeva a terra esanime.

 

Jack scosse la testa portandosi le dita sugli occhi per togliersi quelle immagini da dietro le palpebre. Poteva ancora sentire quel leggero rumore penetrare l’aria e la carne di sua moglie e il pensiero lo mandava in bestia.

Prese un bel respiro sbuffando, arrivando ai tre scalini della veranda: quanti ricordi che gli portavano quei tre semplici gradini… Tutto in quella casa gliela ricordava, persino quelle orribili venature del legno che lei adorava.

Salì il primo gradino sorridendo attaccandosi alla ringhiera mentre sorrideva di fronte alla mole di immagini che il suo cervello creava in quel momento.

 

Jack, vieni a sederti qui vicino a me…”

L’uomo si avvicinò a lei posandole una coperta sulle spalle, mentre lei sorrideva alla neve che cadeva da quel cielo chiaro. Tra le mani aveva una tazza fumante che la scaldava, l’uomo si sedette di fianco a lei ridacchiando e ammonendola con dolcezza

Ehi, guarda che fa freddo, che ci fai qui?”

La donna scrollò le spalle e abbassò lo sguardo in quel liquido scuro, non era la prima volta che lo faceva e Jack sapeva benissimo che lo faceva solo quando pensava a qualcosa che riguardava la sua vecchia vita.

Sai amore, quando arriverà l’estate voglio andare al mare, voglio sedermi su una spiaggia e prendere il sole, amo l’estate. Soprattutto ora che ci sei tu”.

L’uomo la baciò con amore, era una donna meravigliosa e lui la amava sempre di più.

 

Si ritrovò ad asciugarsi una lacrima e cercare di tamponare quelle gocce con le maniche di quella camicia che, ormai, era da lavare per via del sudore e dello smog.

Fino a quel giorno non ci aveva pensato, aveva buttato la testa nel lavoro, nelle ricerche e nell’aiutare il prossimo, ma non poteva più scappare da quel fatto, lei non c’era più e non ci sarebbe mai più stata.

Non avrebbe più bevuto cioccolata seduta in quel primo gradino mentre la neve cadeva al suolo sporcandole anche gli stivali e la testa. C’erano volte in cui pensava a quella donna come a una bambina che non sarebbe mai cresciuta.

Salì il secondo scalino mentre i ricordi tornavano prepotenti ad affollargli la mente con forza.

 

Uscì sull’uscio della porta alla ricerca della moglie, avevano organizzato di andare a fare un breve scampagnata nei boschi ma l’autunno era imprevedibile e quando si erano svegliati quella mattina avevano trovato solo la pioggia che cadeva dal cielo.

Pioveva a dirotto come succedeva spesso in quella zona, il vento soffiava forte e l’aria era fredda, non potevano andare nei boschi con quel tempo…

L’aveva trovata seduta sul secondo gradino, con il volto imbronciato e il labbro leggermente in fuori indignata di quel tempo e di quella situazione. Non aveva fatto altro che ridere e lei l’aveva guardato come se, per quelle leggere risate, lei si fosse offesa.

Non ridere! La pioggia rovina sempre tutto! Ma sai che ti dico, io non mi lascio scoraggiare!”

L’uomo guardò la donna camminare sul prato mentre alzava la testa verso l’alto e chiudeva gli occhi per godere di quell’acqua fredda mentre gli cadeva addosso, sembrava quasi che sperasse che quell’acqua la purificasse da qualsiasi cosa.

Jack camminò a piedi nudi verso di lei bagnandosi quanto lei per afferrarla e baciarla con dolcezza.

 

Si ritrovò fermo su quel secondo scalino mentre si guardava indietro, guardò quell’esatto punto dove lei era rimasta ferma immobile sotto quell’acqua scrosciante. Faceva sempre più male ricordarla ma…

“Devo farmene una ragione”

Guardò l’ultimo scalino e sospirò, ogni cosa portava la sua firma, ogni singolo oggetto in quella casa aveva interagito con lei e lui doveva affrontarlo, passo dopo passo.

Quello scalino era stato importante per loro, era stato il luogo in cui lui le aveva chiesto di sposarla… ma lei non era come tutte le altre, lei era differente ed era ancora lì, inciso.

 

Gwen, vuoi sposarmi?”

Jack era sotto i tre gradini che la guardava dal basso con amore e con un anello tra le mani. L’ amava tantissimo e non gli importava se la conoscesse da soli due anni, lei era la donna perfetta e non voleva lasciarla andare, a nessun costo.

Lei aveva sorriso a quella proposta, i suoi occhi si erano riempiti di meraviglia e di stupore mentre le sue mani si erano alzate a chiedere un secondo di tempo. Jack basito, allibito e quasi incredulo annuì, guardandola mentre lei rientrava in casa quasi di corsa.

Lei tornò tenendo tra le mani un piccolo coltello, si inginocchiò dandogli le spalle, iniziando ad incidere nel centro dello scalino delle lettere.

Jack non poteva vedere cosa stesse facendo ma si decise a dare fiducia a quella donna fantastica.

Quando ebbe finito lei si spostò lasciando che lui leggesse quel Sì a caratteri incerti ma indelebili su quel legno morbido, un sorriso gli riempì il cuore mentre la prendeva tra le braccia e la faceva ridere mentre gli infilava l’anello al dito.

 

Si chinò su quell’asse di legno mentre accarezzava quelle lettere un poco sbiadite, due semplici lettere che erano riuscite a scaldargli il cuore al tempo e che ora lo fecero ricominciare a piangere.

Le lacrime caddero su quegli scalini assorbendosi in maniera naturale, lasciando dietro di sé solo un leggero alone umido obbligandolo a coprirsi gli occhi con una mano.

Arginare tutti quei ricordi, quel dolore pressante era così faticoso e innaturale per lui. Semplicemente non poteva più farlo, non ce la faceva più.

Arrivò di fronte alla porta notando un pacchetto di piccole dimensioni, aveva una carta marrone e una corda che lo teneva assieme, non c’erano biglietti o ricevute, solo il pacco.

Si piegò sulle ginocchia afferrandolo tra le mani e girandoselo tra le dita con calma, non era pesante anzi, leggerissimo nonostante al suo interno ci fosse un oggetto perché lo percepiva mentre muoveva il polso.

Chi diavolo aveva potuto lasciarglielo di fronte alla porta?

Aprì la porta di casa appoggiando quell’oggetto sul tavolo per correre a rispondere al telefono in sala che stava squillando, distraendolo da quel pacco strano.

“Sì, scusami, certo che ho compilato le scartoffie sul caso, sono nel terzo cassetto… mi sono completamente dimenticato di dartele, perdonami amico. Passa una buona serata”.

Chiuse il telefono e si portò le mani al volto, sospirando stanco e afflitto… aveva bisogno di una doccia ristoratrice.

 

Passò la mano sullo specchio appannato mentre strofinava l’asciugamano in spugna tra i capelli corti, quella doccia lo aveva calmato, lo aveva fatto sentire meglio ma non era comunque riuscito a sciogliere quel macigno che aveva in mezzo al petto.

Si guardò allo specchio e gemette frustrato: i suoi capelli neri erano cresciuti parecchio durante quegli ultimi mesi, ormai gli arrivavano negli occhi e gli davano solo che fastidio: aveva sempre odiato averceli in disordine ma ormai non gli importava più di nulla. I suoi occhi erano grandi e avevano un color azzurro acceso anche se, ultimamente, avevano perso quel loro brio vivace, sembravano ricoperti di una leggera foschia triste.

Aveva la barba incolta di qualche giorno così decise di darsi una sistemata, almeno per quel giorno, doveva tornare ad essere il Jack che lei amava.

Si accorciò i capelli, si rase il volto con precisione ed infine si rivestì tornando in cucina dove recuperò quel pacchetto sconosciuto.

Si sedette mentre lo scartava, era una piccola scatolina con al suo interno un foglio piegato in quattro e una collanina.

Si perse ad osservare quella collana perché non l’aveva mai vista prima, era di bambina, era rosa e con i disegni decorati con un colore simile al violetto; c’era anche un pendolino con una gemma finta che doveva assomigliare ad un diamante. Si decise a stringerla tra le mani e sospirare spezzato da ulteriori ricordi.

Nonostante tutto anche Gwen avrebbe voluto dei figli ma anche quello ormai non era più possibile.

Si asciugò l’ennesima lacrima e si decise ad aprire quel biglietto piegato ritrovandosi a leggere con calma

 

< So che tu non c’entravi nulla ma Lei mi ha tolto la mia speranza

ed io, vergognosamente, l’ho tolta a te.

Un innocente come me, caduto preda della malasorte.

Ti chiedo scusa per il dolore che ti ho arrecato ma il sangue di un innocente

va pulito con il sangue dell’assassino.

Un anno non lenirà mai il dolore di una vita, Jack… Ricordatelo

perché il passato tornerà sempre a tormentarti.>

 

Dovette leggere quel biglietto più e più volte prima di capire che quel foglio era opera dell’assassino di sua moglie. Come aveva potuto mandargli una cosa simile dopo quello che aveva fatto? Come poteva una persona essere in pace con sè stesso dopo aver ucciso a sangue freddo un agente di polizia? Poteva solo che essere un mostro.

Afferrò il ciondolo girando quella finta gemma e leggendo l’incisione nel metallo economico:

<Da tua madre che ti protegga da lassù come l’angelo che era con noi.>

Si ritrovò ad osservare quella collanina con gli occhi sgranati. Perché un assassino avrebbe mai dovuto mandargli una cosa simile? Che diavolo voleva dire?

Aveva passato più di sei mesi ad analizzare i casi della sua defunta moglie per capire chi poteva esserci dietro quell’omicidio ma, non aveva trovato nulla.

Quel ciondolo apparteneva a una bambina che aveva perso la madre. Come potevano essere collegati a loro?

Afferrò il telefono e compose il numero della centrale, aveva bisogno di risposte, voleva solo quelle.

“Louis, ho bisogno di un favore. Devi cercare i casi archiviati di mia moglie, sia quando si trovava qui in questo distretto sia quando era nella vecchia città. Ti prego non farmi domande, voglio solo chiudere questa storia e, giuro, che questo sarà l’ultimo tentativo.”

 

Passarono tre lunghi giorni prima che Louis lo convocasse alla sua scrivania per mostrargli quanto aveva trovato:

“Puoi restringere il campo a quei casi in cui c’entrasse una bambina che ha perso la madre?”

L’uomo annuì digitando veloce quelle parole sulla tastiera del PC: la macchina ci mise alcuni minuti per cercare ciò che voleva il poliziotto ma alla fine trovò un paio di casi che si adattavano alla sua richiesta.

“Eccoti ciò che mi hai cercato, te li stampo subito.”

Due soli fascicoli avevano quei requisiti ma nessuno dei due sembrava contenere qualcosa che avesse a che fare con quel biglietto.

Quel maledetto pezzo di carta scritto a mano con una calligrafia delicata ma decisa, con un inchiostro nero su una carta bianca opaca: “Che stai cercando di dirmi, maledetto!”.

Nessuna pista, nessun indizio, brancolava nel buio più totale.

 

“Sì, salve, volevo chiedere delle informazioni riguardo una vostra ex agente: perché Gwen Tyron si è fatta trasferire di distretto?”

La donna che aveva risposto al telefono lo aveva messo in attesa, forse per avvertire i capi o forse per cercare sul database quell’informazione. Più passavano i secondi e più gli si formava un groppo alla gola, era sempre più difficile avere a che fare con la gente quando c’era lei di mezzo.

“Signore, Gwen è stata trasferita di distretto perché ha sparato ad una bambina innocente, ha chiesto il trasferimento e le è stato concesso per una delle sentenze del giudice. Non posso dirle altro.”

Le parole di quella donna gli rimbombavano in testa: come era possibile? Lei che non aveva mai avuto segreti nei suoi confronti, gli aveva nascosto il peggiore dei segreti. Si sentiva tradito, afflitto e frustrato perché nessuno poteva rispondere alle sue domande, nessuno poteva farlo perchè lei non c’era più.

La sua Gwen era un’assassina, era stata protetta dalla legge e semplicemente l’avevano mandata via, sebbene uccidere degli innocenti per loro che erano dei poliziotti, fosse comprensibile, era sempre uno sbaglio.

Si ritrovò in auto prima di quanto pensasse, guidò in silenzio mentre la radio rimaneva spenta, ascoltando solo il suono delle sue gomme che stridevano sull’asfalto caldo.

Arrivò in quella centrale di polizia fermando il primo uomo in divisa e chiedendo di poter parlare con il capitano di quella divisione.

“Cosa successe all’innocente ucciso da Gwen?”.

L’uomo si ritrovò spiazzato di fronte a quella domanda, lo aveva fatto accomodare nel suo ufficio e mai si sarebbe aspettato di sentirsi fare proprio quella richiesta.

Lo sguardo dell’uomo era fatto di lava, non ammetteva bugie perché necessitava della verità per poter andare avanti con quella sua vita ormai vuota. Così si decise a parlare a cuore aperto: “Un ricercato stava scappando, correva in mezzo alla gente e io, a quel tempo, lavoravo con lei, ero il suo compagno e quindi ho assistito a tutto...”.

 

Polizia! Spostatevi!”.

La gente correva a nascondersi mentre il ricercato scappava cercando di ostacolare i poliziotti che aveva alle spalle, ogni tanto l’uomo alzava la pistola e sparava dei colpi in aria per mandare in panico la folla.

Seguirono l’uomo fino a quando lo osservarono mentre afferrava una bambina puntando la pistola alla tempia del padre che, in quel momento era disperato e inutile in quel contesto così sbagliato.

Gwen aveva puntato al cuore dell’uomo e aveva fatto fuoco, senza pensarci due volte, ma aveva disgraziatamente colpito la bambina al petto mentre il mostro che l’aveva afferrata correva via inseguito nuovamente dalle forze armate.

 

“Ricorderò per sempre la faccia di quell’uomo. Mi ha tormentato per mesi... Era una bambina innocente e non doveva morire. Ho fatto delle ricerche”.

L’uomo si alzò andando a frugare in un cassetto della scrivania, estraendone un fascicolo e lo aprì di fronte a Jack invitandolo a sfogliare quelle pagine mentre lui parlava ancora.

“Gwen ha distrutto definitivamente quell’uomo… Gli ha ucciso la figlia davanti agli occhi mentre la moglie era morta da alcuni mesi per via di un tumore. La figlia Allyson era tutto ciò che gli era rimasto”.

Jack sfogliò quelle carte, non ne sapeva nulla di quella storia, Gwen aveva sparato sulla folla, su una bambina innocente. Ora, finalmente, poteva mettere insieme i pezzi di quel puzzle, poteva ricercare e spiegare nei lunghi silenzi di sua moglie il motivo, poteva finalmente capire quel suo modo di fare un po' spericolato e quel suo perdersi per ore a guardare la pioggia.

“Perchè non è stata condannata?”.

Quella frase, quella domanda uscì dalla sua bocca in maniera sofferta, aveva quasi paura di sentire la risposta ma era anche consapevole che ormai, il suo mondo si stava frantumando e che quindi poteva solo restarsene inerme e accettare ogni conseguenza.

“Suo padre, è un giudice molto influente e ovviamente hanno fatto sparire ogni singola prova. So che eri suo marito, ma dalla tua faccia penso che lei non ti avesse mai detto nulla”.

Jack negò con il capo mantenendo lo sguardo basso, non voleva incontrare gli occhi di quell’uomo: lei non aveva mai parlato dei suoi genitori, non aveva mai accennato ad una cena con loro e quando Jack glielo proponeva, lei riusciva ogni volta a cambiare discorso. La loro relazione era tutta una bugia, pensava.

“No… la sto conoscendo ora a quanto pare” rispose Jack.

Si alzò da quella sedia negando con il volto, non poteva più stare lì, aveva bisogno di respirare aria fresca e di stare in solitudine, ma soprattutto allontanarsi da quelle parole che bruciavano in quelle ferite mai rimarginate.

“Posso darti l’indirizzo di quell’uomo, anche se non potrei”.

Jack si bloccò, guardando il capitano con occhi spalancati mentre annuiva senza un vero scopo in testa. Forse lei se ne era andata proprio per stare lontana da tutta quella storia, forse era tutto una montatura. Troppi “forse” affollavano la sua mente e più ci pensava e più la consapevolezza di ciò che lei gli aveva nascosto faceva male.

 

Mi fido di te...”.

Lui aveva sorriso con dolcezza e poi l’aveva baciata con ardore: quella donna era una forza della natura. Avevano fatto una bella passeggiata in montagna e quando si erano persi in quei boschi lei lo aveva semplicemente guardato.

Aveva ridacchiato per poi afferrargli le mani e sussurrargli per un paio di volte quella frase

Mi fido di te...”.

E lui ci aveva creduto davvero, aveva afferrato quella mano e l’aveva condotta fuori da quel labirinto di alberi solo perché lei credeva in lui e perché si fidava di lui.

 

Gwen non si fidava affatto di lui a quanto pareva, e la cosa era abbastanza frustrante.

Si ritrovò a parcheggiare di fronte a una casa, l’indirizzo era quello che gli aveva dato il capitano.

Era sceso dall’auto con calma muovendo un paio di passi verso quel giardino curato, si ritrovò a sorridere in maniera malinconica di fronte a quella casa così semplice ma così vuota.

In fondo al giardino poteva ancora vedere un triciclo ormai arrugginito, sotto la veranda un dondolo si muoveva oscillando assieme al vento e il suo cuore si spezzò.

Era quasi certo di averne udito il suono, a quell’uomo gli era stato tolto tutto: la moglie e poi la figlia, entrambe in maniera atroce.

Mise le mani in tasca afferrando quella collanina con dolore, la osservò con tristezza mentre i suoi occhi avevano iniziato a piangere. Non poteva incontrare quell’uomo, non voleva incontrarlo. Appoggiò quel cimelio sul secondo gradino di quella piccola veranda e abbassò la testa sussurrando quelle uniche e poche parole: “Allyson ti chiedo scusa per ciò che ha fatto mia moglie… so che per il tuo papà non cambierà nulla ma mi dispiace”.

Jack si allontanò da tutto quello, tornò sui suoi passi mentre dai suoi occhi cadevano lacrime amare.

Fine.

   
 
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