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Autore: EstherLeon    25/09/2018    0 recensioni
Nuova Generazione.

Hogwarts è tornata definitivamente ad essere il luogo più sicuro del mondo magico, ma ci sono problemi dai quali neanche il Castello può salvarti se si è adolescenti. 
Così accadrà per la determinata Rose Weasley, costretta a dover sopportare il ragazzo che dal nulla si ritroverà sulla sua strada: Scorpius Malfoy. E non ci si può certo dimenticare di Roxanne Weasley, pronta a dover fare i conti con ciò che realmente significa per lei l’amicizia secolare condivisa con Lysander Scamander; di un Fred Weasley degno erede di suo padre, impegnato a sfuggire dall’incorruttibile Caposcuola Eleanor Wells; della radiosa Dominique Weasley, giudicata da tutti troppo libera di spirito, ma non dal misterioso Jonathan Steel; del combattivo Albus Potter, che lentamente dovrà scoprire Lorcan Scamander; di James Potter, soffocato da responsabilità che solo l’indipendente Evie Jordan riuscirà ad alleviare; e della dolcissima Lucy Weasley, improvvisamente travolta dall'uragano Charlie Chang.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Fred Weasley Jr, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione, Da Epilogo alternativo
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I. Primo giorno col botto.
 

Tornare ad Hogwarts il primo di ogni settembre aveva sempre avuto distinti significati a seconda del giovane mago o strega del quale si trattasse.
Molti lo vedevano come la fine delle vacanze estive, altri, decisamente più drammatici e meno inclini allo studio, come l’inizio dell’inferno. E poi c’erano gli irrimediabili romantici, che avevano trovato in Hogwarts la loro vera casa.
Per un gruppo particolare di studenti, però, tornare a scuola non significava nulla di speciale se non esattamente quello che era: il semplicissimo e noioso ritorno allo studio.
E così anche l’abituale banchetto di inizio anno fu per loro nient’altro che l’ennesima cena passata assieme.

« Fred, sei disgustoso. Smettila di abbuffarti in quel modo! »
« E tu, cara cugina, non mi guardare!» Rispose Fred Weasley, non mancando di farsi cadere dalla bocca qualche briciola del filone di pane che stava divorando.
La sua interlocutrice, Rose Weasley, lo conosceva fin troppo bene per capire che non avrebbe avuto senso sgridarlo oltre: se c’era una cosa che Fred Weasley non aveva imparato dopo i suoi lunghissimi diciassette anni di vita era senza dubbio la compostezza a tavola.
« Ha ragione Rose, contieniti! Sei al settimo anno ora, devi essere un buon esempio per i primini! Non vorremmo mai che non imparassero a mangiare correttamente il pane!» Intervenne allora Roxanne Weasley, dando manforte alla cugina per infierire sul proprio fratello.
Rose la guardò con un sopracciglio inarcato, non capendo come fosse possibile che proprio Roxanne, forse l’unica studentessa in tutta Hogwarts ad essere più indisciplinata di Fred, le stesse dando ragione.
Ma quando la vide stamparsi in viso un sorriso che aveva tutta l’aria di esprimere grande ironia, comprese tutto e scosse la testa sconsolata: d’altronde, se non era riuscita Angelina Johnson nell’impresa di educare un minimo i proprio figli, di certo non ce l’avrebbe fatta lei.
Roxanne e Fred si diedero immediatamente il cinque, scambiandosi occhiate di complicità a vicenda.
Se non fosse stato per quell’unico anno di età che li divideva sarebbero potuti benissimo sembrare gemelli, così simili nel carattere e nell’aspetto fisico: entrambi con la carnagione scura e gli occhi profondi.
C’era un’unica cosa che li differenziava a vista d’occhio: Roxanne Weasley faceva mostra di una matassa di capelli ricci di un arancione acceso, che tingeva da quando aveva appena tredici anni per aumentare il senso di appartenenza alla propria famiglia.
Fred d’altro canto non si era mai posto il problema, aveva risolto il tutto decidendo direttamente di tenere corti i capelli corvini e ricci ereditati dalla madre.
« Non te la prendere, Rosie. Questi due sono cresciuti in una caverna.» A concludere il felice quadretto dei discendenti Weasley al tavolo di Grifondoro ci pensò James Potter, il quale, nella più completa calma, si allungò sulla superficie lignea per strappare dalla mano di Fred il boccone di pane restante e gustarselo tranquillamente.
« Guarda, Jamie. Non vengo lì a riprendere il mio cibo con la forza solo perché sei il nostro Capitano, sappilo.» Disse Fred, visibilmente offeso dal gesto del cugino.
James gli rispose con un semplice sorriso smagliante e un veloce occhiolino di intesa: adorava quando gli veniva ricordato il suo ruolo di Capitano della squadra di Grifondoro.

James Sirius Potter sapeva meglio di chiunque altro di avere il Quidditch nel sangue; fin da quando era piccolo gli era sempre stato ripetuto di come avesse preso il nome da un grande eroe della Prima Guerra Magica, ma a lui era sempre invece importato di come James Potter fosse stato prima di tutto il miglior Cercatore dei suoi tempi.
E poi c’era chiaramente suo padre, il grande Harry Potter, ma perché gli sarebbe mai dovuto importare che era stato colui che aveva sconfitto il Signore Oscuro, quando era stato il più giovane Cercatore di tutti i tempi?
Così, quando all’età di dodici anni fu finalmente candidabile per lo stesso ruolo che avevano ricoperto prima suo nonno e poi suo padre, James non aveva avuto dubbi: quel posto sarebbe stato suo per tutti gli anni che lo avrebbero visto a Hogwarts.
Ma non si sarebbe di certo potuto accontentare di equiparare i suoi antenati, anche James Sirius Potter avrebbe dovuto detenere un primato tutto suo: fu perciò scontato che diventasse il più giovane Capitano di tutti i tempi, conquistando il titolo durante il terzo anno.
Nel fare ciò, conquistò anche inconsapevolmente qualcosa che con gli anni divenne per lui di estremo valore e cioè essere il punto di riferimento per tutti i cugini della famiglia.

James continuò a crogiolarsi nel suono che la parola ‘Capitano’ aveva sulla labbra di Fred, lo stesso Battitore di Grifondoro ben noto per non ascoltarlo mai durante gli allenamenti di Quidditch, e si risistemò sul naso la pesante montatura nera degli occhiali.
Occhiali che, a differenza di come erano invece stati quelli di suo padre, avevano due lenti rettangolari e spesse, che nascondevano due occhi color nocciola sempre vispi e attenti all’ambiente circostante: in questo Madre Natura lo aveva aiutato, la differenza con Harry Potter era chiara e visibile. 

« Hai pensato a come dare il via al nuovo anno?» Chiese Roxanne in direzione del fratello, tamburellando le dita sul piatto che aveva davanti.
« Ti sembra il caso di istigarlo, Roxy? L’anno scorso per poco non ha incendiato la Sala Comune di Tassorosso!»
« È il suo ultimo anno, Rose! Deve tenere alto il nome dei Weasley!» Sbraitò poi, annuendo convinta delle proprie parole; la cugina, d’altra parte, oramai sempre più stravolta dalla piega che la conversazione stava assumendo, sbuffò impazientita.
Non era di certo la prima volta che Rose si ritrovava a presenziare ad uno scambio di battute del genere: gli scherzi di Fred Weasley erano con ogni probabilità la cosa più nota e certa per chiunque avesse messo piede ad Hogwarts negli ultimi sette anni.
E il primo giorno di scuola, in particolare, rappresentava l’opera di apertura di una serie di capolavori che tutti, fantasmi compresi, sapevano si sarebbero susseguiti fino all’ultimo giorno di lezione.
« Pensavo di concludere il primo giorno facendo scoppiare dei fuochi d’artificio dalla Torre di Grifondoro!» Fred ignorò volutamente le parole di Rose e rispose alla sorella, stampandosi un sorriso compiaciuto sulle labbra.
« È un’idea stupida! Sapranno subito che sei stato tu!» Parlò con tono lamentoso Roxanne.
« Ha ragione. Prova con la Torre di Corvonero, il collegamento è meno immediato!» Diede il suo apporto James, incrociando le braccia al petto, forse nel tentativo di darsi un tono autorevole.
Fred sentì le parole del cugino e per poco non si strozzò con la propria saliva: anche solo l’idea di aver a che fare con quella Torre gli fece salire un brivido lungo la schiena.
« Sì, James. Ottima idea! Così finalmente Eleanor Wells avrà una scusa valida per lanciarmi contro un Avada Kedavra!»

Eleanor Wells, Corvonero di Casata e Dissenatore di Azkaban nell’animo - così amava definirla Fred.
Dacché aveva iniziato la sua eminente carriera nell’arte degli scherzi aveva infatti incontrato sulla sua strada un unico ma sostanziale ostacolo: la diligentissima e incorruttibile Prefetto di Corvonero, dedita al rispetto di qualsiasi regola esistente e che ne aveva fatto del castigo dei trasgressori la sua missione principale.
Insomma, il genere di ragazza che molto probabilmente se l’età non gli avesse separati così tanto sarebbe stata l’anima gemella del Signor Gazza.
« Oh, Godric! Sarebbe stupendo se ti facesse pulire tutte le stalle di Cura delle Creature Magiche come l’anno scorso!» Il ricordo evidentemente suscitò un’enorme ilarità nel giovane Potter, perché subito dopo aver pronunciato l’ultima parola dovette tapparsi la bocca con un palmo della mano per non scoppiare a ridere.
« Amico, ma che problemi hai?» Fred gli lanciò un pezzetto di pane che era rimasto sul tavolo, colpendolo in piena fronte. « Quella è stata la peggiore delle torture! La Wells è una sadica!»
« Fratellino, sei un uomo morto. Quest’anno Eleanor è Caposcuola.» Intervenne prontamente Roxanne, dando la notizia con lo stesso tono con cui si dà la notizia di un lutto.
Diede poi una pacca sulla spalla del fratello in segno di consolazione, posando gli occhi scuri in quelli dello stesso colore di Fred per guardarlo compatita.
Fred poggiò la mano su quella di Roxanne, stringendola con forza. Poi ricambiò lo sguardo, facendo finta di asciugarsi una lacrimuccia con la mano libera.
« Non preoccuparti, sorellina. Niente fermerà Fred Weasley, nemmeno la ragazza più spaventosa che io abbia mai incontrato!» Concluse il ragazzo con tono di commozione, annuendo col capo.
Roxanne stette immediatamente al gioco: gli si lanciò contro per stringerlo forte in un abbraccio, quasi il fratello stesse per partire per la guerra.
« Miseriaccia, siete così disgustosamente drammatici. Io me ne vado.» Sentenziò Rose Weasley, rompendo il silenzio che l’aveva coinvolta fino a quel momento.
Senza neanche porsi il problema che l’intera Sala Grande fosse gremita di studenti e professori, si alzò dal posto e mosse il primo passo per allontanarsi.
« Rose, cosa fai? Il banchetto non è neanche cominciato!» La guardò sconvolto James, nonostante nel profondo sapesse perché la cugina volesse scappare.

Sebbene fossero abituati da tutta la vita ad avere a che fare con la teatralità tipica di Fred e Roxanne Weasley, sapeva bene che Rose era la meno paziente tra i cugini: alla sopportazione preferiva di gran lunga un commento tagliente e un’uscita di scena.
Qualcuno avrebbe addirittura potuto obiettare che il suo comportamento fosse ancora più intrinseco di dramma di quello dei due fratelli, ma nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo in faccia: che lei venisse spesso alle mani non era di fatti un segreto. 

Rose non si degnò nemmeno di rispondere alla domanda del cugino, continuò solamente a camminare in direzione del pesante portone della Sala Grande, guadagnandosi le occhiate interrogative degli studenti che sorpassava: chi mai sarebbe stato così folle da perdersi il banchetto di inizio anno?
« Ti voglio tanto bene anche io, cuginetta!» Gli urlò dietro Roxanne, ridendo l’attimo dopo alla delicata e aggraziata reazione che Rose gli riservò: la ragazza infatti si girò brevemente per dedicarle un elegantissimo dito medio.
Nessuno dei Weasley, che bene la conoscevano, ebbe pressoché grandi reazioni: quel gesto era la cosa più vicina ad un ‘ti voglio bene’ che potesse appartenere a Rose Weasley.

 

 

« Quella pazza di tua cugina se ne sta andando dalla Sala.»
« Quale delle tante?»
« Quella coi capelli più rossi della sua divisa.» Esplicò atono Scorpius Hyperion Malfoy, portando un cucchiaio a infilzare la purea di patate che si era appena materializzata davanti agli occhi di tutti.
Il ragazzo seduto di fronte a lui, Albus Severus Potter, non ebbe il benché minimo segno di scompostezza; non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per accertare quello che il suo migliore amico gli aveva appena detto: quella che gli aveva appena descritto era una più che tipica reazione di sua cugina Rose Weasley.
« Questo perché Rose è una persona saggia. Probabilmente il resto della famiglia le stava facendo nascere istinti omicidi.» Albus si servì in un bicchiere del succo di zucca, procedendo a berlo l’attimo dopo con l’abituale nonchalance che lo rispecchiava.
« Potrebbe chiedere asilo politico a noi Serpeverde, secondo me siamo gli unici in tutto il Castello a sopportala.» Si intromise un altro Serpeverde del loro stesso anno, nonché terzo componente del loro gruppo di migliori amici, Jonathan Steel.
« Dici così perché non la conosci, Rosie ti mangerebbe vivo.» Gli rispose Albus, con una certa ilarità nel tono di voce.
« Oh, so bene chi è, la sua reputazione la precede. L’anno scorso Peakes ci ha provato con lei e lei ha deciso di prenderlo a pugni!»

L’anno precedente, l’episodio tra Leonard Peakes, Grifondoro del settimo anno, e Rose, allora al quinto, era stato l’evento che era rimasto sulla bocca di tutti per mesi: data la fama per la quale la ragazza rifiutasse ogni singolo ragazzo senza neanche prenderlo in considerazione, Leonard - sicuro delle sua capacità da ammaliatore - aveva ben pensato di scommettere con i suoi amici che sarebbe riuscito ad ottenere un appuntamento da lei.
Inutile dire che Rose, all’ennesimo agguato da parte del ragazzo - e anche all’ennesimo complimento poco galante - nel tentativo di chiederle di uscire, aveva deciso di ricorrere alle mani.

« Ha fatto un favore a tutti, Peakes era un’idiota.» Sbuffò Scorpius, continuando a nutrirsi di sola purea di patate.
Albus puntò gli occhi verdi sul suo migliore amico e non poté fare a meno che farsi spuntare un sorriso obliquo: sebbene avesse scambiato poco più che qualche sillaba nel corso degli ultimi sei anni con sua cugina Rose, Scorpius era l’unica persona che conoscesse a non aver mai espresso un’opinione su di lei.
Era oramai abituato a sentire da persone sconosciute per i corridoi dei Castello di quanto Rose Weasley fosse scorbutica o scontrosa, eppure il suo migliore amico non aveva mai osato emettere sentenze.
« Beh, sono comunque sicuro che non sia poi così male.» Commentò nuovamente Jonathan e Albus dovette riservare un secondo sorriso in sua direzione.

Osservò che per il nuovo anno scolastico, come d’altronde faceva ogni anno, Jonathan si fosse tagliato i capelli biondo cenere molto corti sui lati, lasciando qualche ciuffo ribelle in cima e mettendo così bene in vista l’orecchino ad anello che portava all’orecchio sinistro; retaggio dell’estate appena trascorsa nel mondo Babbano, lui che era un fiero Mezzosangue, figlio di due comunissimi Babbani.
Poi, inesorabilmente, fece il confronto con l’amico che stava seduto alla destra di Jonathan: Scorpius aveva sì i capelli biondi, ma chiarissimi, quasi incolori, lunghi e scompigliati che per poco non andavano a coprire gli occhi grigi; sui lobi, nemmeno l’ombra di qualsivoglia accessorio, per Scorpius, Purosangue per nascita, erano una vera e propria oscenità.
« Beh? Perché non ci hai ancora aggiornati su tutte le tue conquiste estive?» Lo interruppe dai suoi pensieri proprio quest’ultimo, che aveva interrotto il suo pasto di purè per puntare gli occhi grigi nei suoi.
Albus represse una risata; da quando due anni prima aveva detto ai suoi due migliori amici di essersi scoperto bisessuale, i due avevano creduto che ciò significasse che magicamente sarebbe stato in grado di conquistare il mondo intero.
Certo, il fatto che da un paio di anni a questa parte Albus avesse avuto una vita sentimentale parecchio movimentata, fatta di nuovi ragazze e ragazze ogni due mesi, non aveva di certo aiutato a superare il pregiudizio dei due amici.
« Il dolce Albus ha deciso di fare un ritiro spirituale quest’estate, Scorp! Non lo sapevi?» Scherzò Jonathan, prevedendo quella che sarebbe stata la risposta dell’amico e annuendo per enfatizzare le proprie parole.
« Molto divertente, Johnny. Sei solo geloso perché le ragazze mi preferiscono a te!»
« Facile quando hai quel cognome! Vengono direttamente loro a provarci con te!»

Il cognome Potter non era mai stato avvertito da Albus Severus Potter come un peso.
A differenza di suo fratello James, quel cognome gli provocava solamente un grande senso di indifferenza.
D’altronde Albus non aveva mai rappresentato niente che potesse collegarlo direttamente coi Potter: non aveva alcun interesse per il Quidditch, non era per niente portato per Difesa Contro le Arti Oscure e soprattutto non condivideva i tipici colori vermigli di Grifondoro, lui che invece andava fiero della sua appartenenza a Serpeverde.
Vi erano però dei tratti fondamentali che non potevano esimerlo dall’essere inesorabilmente collegato alla sua famiglia.
Gli occhi in primo luogo, verdi e brillanti come lo erano stati quelli di sua nonna Lily, ereditati unicamente da lui dopo suo padre; poi i capelli, folti e neri, sempre in disordine e per i quali aveva abbandonato qualsiasi tentativo di domarli; infine, l’audacia e istintività che tante volte da giovane lo stesso Harry Potter aveva dimostrato e che ora ardeva nell’animo di Albus.
Audacia che, da quando era entrato in contatto due estati prima con il mondo giovanile dei Babbani, lo aveva portato a chiedere insistentemente ai propri genitori di poter partecipare attivamente ad eventi e manifestazioni che coinvolgessero i ragazzi della sue età, richiesta che più volte era stata inspiegabilmente respinta.

«Beh? Sei stato almeno a quei rave di cui tanto parlavi l’anno scorso?» Incalzò nuovamente Scorpius.
« Sì, certo. Sono andato dritto da mio padre e gli ho chiesto se potevo scappare a Londra per ubriacarmi.»
« Dai! Non sapevo che il Signor P. fosse così liberale!»
« Era ironico, Johnny. » Dovette spiegare Scorpius all’amico, causandone l’inevitabile broncio di delusione.
Albus dovette trattenere una risata: in fondo, Hogwarts e tutto ciò che essa implicava gli era davvero mancata.
Decise poi di dedicarsi finalmente al banchetto e senza pensarci troppo si buttò a capofitto sulla porzione di tacchino che si era appena servito nel piatto; d’altra parte, da qualche parte sopiti dentro lui vi erano pur sempre geni Weasley.

Jonathan Steel era sempre stato il tipo di ragazzo poco interessato a dare il meglio di sé in presenza di un grande numero di persone, ma che, al contrario, diventava sempre più brillante e spigliato al diminuire dei presenti.
Inutile dire che fosse al massimo dell’agio in compagnia di Albus e Scorpius e fu proprio per questo motivo che non ebbe problemi a guardarsi intorno per analizzare ogni piccolo particolare di ciò che lo circondava, o più precisamente di chi lo circondava: sebbene non avrebbe avuto grosse difficoltà a parlare con chiunque gli si fosse presentato davanti, Jonathan preferiva di gran lunga conoscere una persona osservandone i gesti più insignificanti piuttosto che avendoci una conversazione che il più delle volte risultava, a suo dire, superficiale e improduttiva.

Fu così che lasciò che i suoi occhi blu vagassero per la Sala Grande e, contro ogni sua aspettativa, si fermarono presto su una postazione del Tavolo di Tassorosso, posto alla diretta destra del suo.
Lì, tra volti che Jonathan aveva già visto ma ai quali non avrebbe saputo dare un nome, vi era seduta una ragazza dai folti capelli ricci e biondi, che guardava il bicchiere che aveva tra le mani con un sorriso smagliante.
Jonathan controllò se non stesse effettivamente parlando con qualche compagno di Casa, ma dovette costatare che chi le era seduto affianco la stava ignorando bellamente.
« Al, perché tua cugina Dominique sorride sempre? Cosa la diverte tanto?» Si ritrovò a dire spontaneamente, dando finalmente un nome alla ragazza che stava osservando.
Albus si sporse immediatamente ad osservare ciò che l’amico gli aveva indicato e subito fece cadere la questione in quel reparto del suo cervello dove custodiva le cose irrilevanti.
Per lui, che li conosceva da tutta la vita, i comportamenti strambi dei membri della sua famiglia non erano nulla su cui perdere pensieri.
« Immagino la vita. O i Tassorosso.» Ribatté pungente Albus, tornando a vertere la sua attenzione su un più interessante piatto colmo di cibo.
Jonathan rimase a fissare la ragazza e pensò che avesse fin troppi capelli in testa dato che gli fu quasi impossibile scorgerne gli occhi.
Non che avesse avuto comunque bisogno di vederli direttamente per conoscere di che colore fossero, erano già molti anni che la osservava da lontano; sapeva bene che erano di un nocciola chiaro, così diversi dal resto dei suoi familiari.
Poco dopo scrollò le spalle e tornò a mangiare in silenzio: se Dominique Weasley avesse voluto passare l’intera cena a sorridere al suo succo di zucca lui non l’avrebbe di certo disturbata.

 

*
 

Il giorno seguente l’euforia che aveva impregnato gli studenti al loro arrivo al Castello era sparita definitivamente. Evidentemente le lezioni della mattinata avevano dato i loro frutti e così, ora, nella tanto agognata pausa di mezzogiorno, ciascuno cercava di riposarsi come meglio credeva.
Con il ritorno alla routine scolastica era tornata una tradizione che oramai imperversava la Sala Grande da anni: a differenza del banchetto di inizio anno, ora i quattro tavoli della Sala Grande facevano mostra anche dei colori che non gli appartenevano, accogliendo ai loro posti studenti di qualsiasi Casa.

In particolare, il tavolo di Corvonero poté vantarsi di essere tornato ad avere come ospite Roxanne Weasley, la quale, con un braccio poggiato sulla superficie lignea volto a sostenerle il viso, sembrava sul punto di implodere da un momento all’altro, tanto guardava insistentemente la pila di pergamene poste davanti a lei.
« Fanno tutti schifo, io ero una bomba alla loro età!» Disse con tono lamentoso, staccando finalmente lo sguardo dai fogli per posarlo sul ragazzo che aveva di fronte.
Lysander Scamander, Corvonero del suo stesso anno, ignorò palesemente la lamentela della ragazza, sporgendosi lungo il tavolo per prendere in uno scatto tutte le pergamene che lei aveva letto fino a quel momento.
« Non sono così male. E fortunatamente per loro sono io che li devo correggere, non tu!» Le rispose poi, lanciandole uno sguardo d’ammonizione prima di tornare al suo operato.

Da quando era diventato Prefetto al quinto anno, Lysander aveva sempre affrontato come missione personale ogni attività che gli venisse assegnata.
Oramai aveva sviluppato un’abitudine a correggere i compiti degli studenti dei primi anni per aiutare i professori nel loro insegnamento, ma ora si ritrovò a domandarsi perché mai aveva acconsentito a farsi aiutare proprio da Roxanne.
Non che Roxanne non fosse in grado di giudicare e correggere un tema di appena mezza pergamena sull’incantesimo di levitazione, ma Lysander avrebbe dovuto sapere meglio di chiunque altro che aveva la capacità di concentrazione pari allo zero.

« Beh, e fortunatamente per te ci sono io qui ad intrattenerti o saresti già morto di noia da un pezzo!» Disse con voce forse troppo squillante la Grifondoro, e il ragazzo dovette fare un respiro profondo per evitare di risponderle con tono polemico.
Di certo non avrebbe avuto difficoltà a risponderle a tono, ma aveva un compito preciso da terminare e non avrebbe permesso a nessuno, nemmeno a Roxanne Weasley, di ostacolarlo.
Roxanne notò la piccola ruga di espressione che gli comparve sulla fronte e che aveva imparato a conoscere nel corso degli anni e capì subito che fosse tornato a concentrare tutta la sua attenzione sulle pergamene; sbuffò rumorosamente incrociando le braccia al petto: odiava quando il suo migliore amico - o più in generale quando chiunque - smetteva di prestarle le attenzioni che sapeva di meritare.

Lysander e Roxanne erano diventati amici quasi per caso; quando, sei anni prima, avevano vissuto il loro primo giorno in assoluto a Hogwarts, erano stati gli ultimi due studenti ad essere smistati. Quando tutti i membri della sua famiglia furono stati già indirizzati alla loro Casa di appartenenza, la ragazza non ebbe più nessuno con cui parlare, lei, che fin da piccola, aveva il bisogno di straparlare per alleviare il nervosismo; così, voltandosi, aveva subito individuato l’allora undicenne Lysander, già a lei noto perché le loro famiglie erano amiche di vecchia data.
Gli si era avvicinata lentamente e, facendo finta di nulla, aveva cominciato a dire i nomi delle quattro Case di Hogwarts storpiandone le parole, in una misera parodia del Cappello Parlante; ci fu poco che Lysander poté fare se non scoppiare immediatamente a ridere e ad essere riconoscente a quella ragazzina che, seppur in modo alquanto buffo, era riuscita a fargli dimenticare l’ansia che stava provando.
Da quel momento in poi Roxanne decise che non si sarebbe mai più separata dal ragazzo, non ora che aveva finalmente trovato qualcuno che ridesse del suo senso assurdo dell’umorismo, e Lysander non disse mai nulla per fargli intendere di non essere d’accordo: anche lui, nonostante non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, vedeva nella loro amicizia la possibilità di essere tranquillamente il ragazzo riservato che era.

Roxanne constatò di aver testato la sua pazienza fin troppo, dati i lunghissimi cinque minuti che passò a osservare Lysander scarabocchiare parole ai margini delle varie pergamene, perché decise di emettere un fortissimo colpo di tosse che di naturale non aveva proprio niente.
« Tranquillo, ignorami. È solo un po’ di tosse!»
Nel vedere il migliore amico continuare imperterrito nella sua attività, la Grifondoro pensò bene di emettere un lungo sospiro, definitivamente alquanto teatrale.
Il ragazzo si ripromise di non cedere, e in tutta risposta aprì la bocca per fare mostra di uno sbadiglio. Roxanne non si diede per vinta: sospirò con ancora più forza.
« Che c’è?» Le disse finalmente Lysander, consapevole di non darle alcuna soddisfazione se continuava a tenere gli occhi puntati sulla pergamena.
« No, no, non voglio disturbarti!» Rispose addolorata Roxanne, incrociando le braccia al petto.
Nel sentire il tono di voce della ragazza, il Corvonero comprese che non sarebbe potuto tornare al suo lavoro fino a quando non l’avrebbe degnata di un minimo di attenzione; così fece cadere la piuma che teneva in mano violentemente sul tavolo ed alzò finalmente lo sguardo su quello di lei, scoprendola ad osservarlo con un vistosissimo broncio che le incurvava le labbra.
« Che c’è!?»
« Sei davvero così curioso?» Presto sul volto di Roxanne comparve un sorriso vittorioso, conscia di essere tornata al centro dell’attenzione.
« Cosa? Cosa c’è adesso?»
« Mi annoio, andiamo a raccontare maledizioni false ai primini?» Chiese con occhi innocenti, condendo la richiesta con qualche battito di ciglia.
« No.» Ribatté secco Lysander, tornando una volta per tutte ai suoi doveri da Prefetto.
« Sei proprio un guastafeste, Lysander Scamander!» Si lamentò infine lei, sbuffando per l’ennesima volta.

Chiunque nella sua situazione si sarebbe alzato e sarebbe andato a cercare qualsiasi cosa da fare altrove, ma non Roxanne.
La ragazza rimase lì, con espressione imbronciata a guardare il suo migliore amico lavorare, mentre si fece strada dentro di lei la consapevolezza che la monotonia derivante dalla scuola era definitivamente tornata.

 

*

 

Per qualsiasi studente di Hogwarts il Cortile d’ingresso rappresentava un mero punto di passaggio, ma ciò non lo era mai stato per James Potter.
Fin dal suo primo anno, il Grifondoro aveva scoperto che il muretto che separava lo spiazzo principale dai porticati era molto più comodo di quanto non sembrasse, e così aveva deciso che da quel momento in poi quello sarebbe stato il suo personalissimo rifugio dalle follie della quotidianità.
Non l’imponente viadotto del Castello, da cui si poteva ammirare la panoramica mozzafiato del Lago Nero, né tantomeno la Biblioteca, gremita di libri preziosi e rari; no, James Potter aveva scelto un semplice muretto che il massimo della vista che poteva offrire era quella del passaggio dei numerosi studenti.
Fu così che pensò bene di iniziare il suo ultimo anno scolastico passando la pausa pranzo nel suo posto di fiducia, appoggiato con la schiena contro una colonna e stringendosi nel misero maglione rosso che indossava.
Per essere settembre - si ritrovò a constatare sulla sua pelle - quel giorno il vento era troppo pungente.

« Ohi! Potter!»
Sentì una voce chiamarlo e si voltò immediatamente: con sua grande sorpresa, uno studente che faceva mostra dello stemma di Serpeverde gli stava venendo incontro con un sorriso smagliante stampato in volto.
« Chang, mi stavo chiedendo dove fossi finito!» Rispose il Grifondoro una volta che il nuovo arrivato gli si sedette affianco.
« Mi perdoni, sua maestà, se ieri non sono venuto a salutarla per primo!»
James non poté fare altro che scuotere la testa divertito; d’altronde, l’ironia del ragazzo che aveva di fronte era il motivo principale per il quale ci andasse tanto d’accordo.

Sulla carta Charlie Chang aveva molte cose in comune con James Sirius Potter: Mezzosangue per nascita, particolarmente attento al rispetto delle tradizioni e a mantenere alto il nome della sua Casa di appartenenza, e, sopra ogni cosa, grandissimo appassionato di Quidditch e fiero membro della squadra di Serpeverde, dove giocava come Battitore.
Chiunque li avrebbe incontrati per strada però non avrebbe potuto definirli in altra maniera se non l’uno l’opposto dell’altro; James sempre contenuto e misurato nelle proprie reazioni, Charles unicamente interessato alla propria opinione e perciò incurante di doversi in alcun modo controllare.
Nemmeno loro avrebbero saputo spiegare come avevano fatto nel corso degli anni a diventare tanto amici, né tantomeno avrebbero mai confessato ad alta voce di esserlo.
Tuttavia, tra le varie partite che li avevano visti rivali e le lezioni di Pozioni passate a lamentarsi assieme, erano finiti per legarsi indissolubilmente.

« Stavolta tuo cugino si è superato! I fuochi d’artificio dalla Torre di Corvonero sono stati geniali! Pare che quei secchioni non abbiano dormito per tutta la notte dallo spavento!» Disse Charles, con gli occhi scuri e a mandorla che brillavano dall’entusiasmo.
« Grazie, grazie. Modestamente è stata una mia idea!»
« Certo, come se un’idea tanto geniale possa provenire da te!» Lo schernì il Serpeverde, lasciandosi sfuggire una risata nel momento in cui vide comparire sul volto dell’amico l’ombra di un broncio.
« Mi eri proprio mancato, Charlie, eh.» Commentò allora sarcastico James, stringendo i pugni dentro le tasche dei pantaloni.
Charlie represse una risata ma non poté fare nulla per l’espressione sciocca che gli nacque naturalmente sul viso.
« Lo so benissimo che le tue giornate a Hogwarts non hanno senso senza di me!»
Udite le parole dell’amico, un sopracciglio del Grifondoro si inarcò vistosamente, palesando così quanto ritenesse insensata la piega che aveva assunto la conversazione.
« Hai ragione, tu mi dai l’ispirazione che mi serve per sapere come non voglio essere.» Rispose poi con estrema convinzione, tanto che l’amico in un primo momento credette di star ricevendo una vera lusinga; quando però Charlie si soffermò a comprendere il reale significato delle parole, si adoperò all’istante per ribattere a tono.
« Sì, sì, ti piacerebbe avere il mio talento a Quidditch!»
« Sì, sì, ti piacerebbe essere il Capitano della tua squadra!»
Il Serpeverde capì subito di aver perso quel loro personalissimo battibecco; si strinse nelle spalle, aveva davanti a sé un intero anno scolastico per recuperare.
Senza che potesse controllarlo sul volto di James aleggiò un sorriso vittorioso; nonostante quelle che viveva con Charlie erano sempre scenette poco mature per i diciassette anni di età di entrambi, non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo: quelli erano i momenti dove poteva essere un adolescente sciocco come chiunque altro, e non il cugino maggiore che doveva tenere unita la famiglia.

« Hey! Jamie!»
Lo ridestò per la seconda volta dai suoi pensieri una nuova voce e, a differenza della precedente, la riconobbe ancor prima di girarsi per sincerarsi di chi fosse.
Sua cugina Lucy gli stava venendo incontro con una mano alzata che sventolava in segno di saluto e una pesante borsa che le pendeva da una spalla dalla quale era possibile scorgere enormi libri pronti a riversarsi al suolo da un momento all’altro.
« Ciao, Lucy. Tutto a posto?» Le chiese premurosamente James, sorridendole con tenerezza.
Anche se non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, nel profondo sapeva bene che Lucy era la cugina a cui era più affezionato: sempre gentile con tutti, con quell’aria di innocenza che la circondava e che la rendeva impossibile da non amare.
E poi c’era anche il fatto che, nonostante avessero solamente un anno di differenza, Lucy era cresciuta considerando James il suo eroe, e non vi era niente di meglio per aumentare l’orgoglio del ragazzo.
« Sì, grazie! Sono passata solo per darti questo…» Disse Lucy, una volta piazzatosi di fronte alla figura del Grifondoro.
Mise una mano dentro al proprio borsone e cominciò a rovistare al suo interno alla ricerca di qualcosa; quando la tirò fuori, pochi secondi dopo, le dita tenevano strette un libretto dalla copertina flessibile, che prontamente porse in direzione di James.
« Parla di uno sport Babbano che si chiama rugby, dicono sia simile al Quidditch! Pensavo ti sarebbe potuto piacere!» Aggiunse poi, spostando il peso da un piede all’altro.
« Oh, grazie mille. So già che lo adorerò!» Rispose sinceramente riconoscente il Grifondoro, prendendo il libro dalle mani della cugina.
Lucy fece un breve cenno col capo, facendogli intendere che non c’era proprio nulla di cui ringraziarla, e si sporse per lasciargli un bacio sbrigativo su una guancia.
Si sistemò poi meglio la borsa di libri sulla spalla e, così come era arrivata, se ne andò senza farsi sentire, lasciando dietro di sé i due ragazzi a guardarla allontanarsi.

« È cieca per caso? È stato come se non esistessi!» Si lamentò Charlie una volta che Lucy fosse definitivamente sparita dalla loro vista, puntando gli occhi allucinati in quelli dell’amico.
« Calmati, Chang. Quella è Lucy! Si comporta così quando ci sono persone che non conosce!» Lo liquidò velocemente James, facendo spallucce.
« Oh, andiamo! Come fa a non conoscermi? Tutti sanno chi sono! Sono il miglior Battitore di Hogwarts!»
« Questo non è assolutamente vero, ma come vuoi.»
Charlie gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma seppe che ricominciare a battibeccare sul Quidditch sarebbe stato inutile.
Rimase dunque a pensare a ciò che era appena successo e a come quella ragazza, la stessa che aveva visto crescere negli anni ma con la quale non aveva mai scambiato neanche una parola, lo avesse trattato come se fosse stato invisibile; proprio lui, che invisibile non lo era mai stato.
Charles Chang era abituato a vedere le teste girarsi quando passava per i corridoi e di questo ne era stato sempre più che felice, perciò - senza neanche mettersi in discussione - si ritrovò a riflettere su quale razza di problema avesse affitto Lucy Weasley per averlo ignorato in una tale plateale maniera.

« Peccato, è anche diventata più carina. Ci avrei scambiato due chiacchiere volentieri!» Diede poi serenamente voce ai propri pensieri.
« No, non se ne parla. Non ci pensare nemmeno!» Lo ammonì immediatamente James.
« Cosa!? Cosa ho fatto?»
« è mia cugina, scordatela.» Concluse secco il Grifondoro e Charlie comprese immediatamente a cosa si riferisse.

In quanto migliori amici, non vi era molto che potevano nascondere l’uno all’altro, e perciò James conosceva a fondo quale fosse la relazione di Charles con il sesso opposto.
Il Serpeverde era istintivamente portato a volersi far piacere da qualunque ragazza incontrasse, sempre pronto a incantare e ad ammaliare ogni viso carino che incrociava per la sua strada.
Ma il più delle volte - se non quasi sempre - Charlie si fermava lì; scappava e passava alla prossima ragazza ancor prima di poter concludere: in poche parole, come recita un detto Babbano, Charlie Chang era tutto fumo e niente arrosto.

Tornò a guardare James stampandosi un finto sorriso d’innocenza e alzò i palmi della mani in segno di resa.
Non avrebbe mai e poi mai fatto nulla che potesse incrinare la loro amicizia, di questo Charlie ne era più che certo.

  
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