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Autore: Saigo il SenzaVolto    27/09/2018    1 recensioni
AU, CROSSOVER.
Prequel de 'La Battaglia di Eldia'
Boruto Uzumaki, il figlio del Settimo Hokage di Konoha. Un prodigio, un genio. Un ragazzo unico nel suo genere.
Un ragazzo il cui sogno verrà infranto.
Una famiglia spezzata. Una situazione ingestibile. Un dolore indomabile. Una depressione profonda. Un cuore trafitto.
Ma, anche alla fine di un tunnel di oscurità, c'è sempre una luce che brilla nel buio.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. La sua crescita, la sua famiglia, il suo credo, i suoi valori.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. Un prodigio. Un ninja. Un traditore. Un Guerriero.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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UN PROBLEMA DEMONIACO





.

.

.

IO
SONO
TUTTO
CIÒ
DI
CUI
HAI
BISOGNO
!!!


.

.

.
 
“Boruto!”

I suoi occhi si aprirono di scatto, tutto il corpo che divenne rigido come la pietra. Boruto ammiccò una volta, poi due. Quindi, sollevò istintivamente un braccio in avanti per bloccare con uno schiaffo un potente gancio montante destro sferratogli da Sarada. L’aria gli passò accanto con una folata udibile mentre evitava il pugno.

“Cazzo!” imprecò il biondino, schivando un calcio successivo. Lo stinco di Sarada si schiantò addosso ad un pilastro di roccia e pietra sopra cui si era precedentemente addormentato in un sacco a pelo. L’attacco distrusse e frantumò la roccia, riducendola a polvere e ghiaia.

KATON;” sibilò Sarada, tessendo una serie di sigilli con le mani. Boruto imprecò di nuovo. Sebbene non avesse timore dell’arte del Fuoco, adesso si trovava nel deserto. Non era esattamente il luogo giusto dove poter evocare facilmente un jutsu acquatico. “Goukakyuu no jutsu!” (Palla di Fuoco Suprema)

L’Uchiha soffiò, e dalle sue labbra uscì un vero e proprio inferno di fiamme che difficilmente poteva essere definito come ‘Palla di Fuoco’. Illuminò il cielo notturno per centinaia di metri e colorò la sabbia di un colore rosso acceso. Boruto balzò indietro e cercò a tastoni una pergamena che teneva in una delle borse legate alla vita. La afferrò saldamente, aprendola e spiegandola con un solo movimento del braccio. La pergamena svolazzò nel vento mentre la tecnica cominciava ad attivarsi.

Boruto impugnò il rotolo con una mano e formulò un sigillo con l’altra. Non ebbe nemmeno il tempo di intonare le parole prima che l’inferno di fuoco si abbattesse su di lui. Emise un sospiro di sollievo quando la Tecnica di Assorbimento del rotolo prese a risucchiare e divorare le fiamme. Una volta assorbito tutto l’attacco, il simbolo del ‘Fuoco’ rimase impresso nel centro della pergamena.

“Boruto, aiuto!” sentì la voce di Mikasa urlare.

Boruto voltò la testa di lato e vide che la sua amica era intrappolata tra una colonna di pietra abbattuta e le figure di Himawari e Shikadai che si stavano minacciosamente avvicinando verso di lei. Sua sorella era in una posa d’attacco del Pugno Gentile, e Shikadai aveva le mani unite nel sigillo del clan Nara, pronto a dispiegare un esercito di ombre. A poche decine di metri di distanza, Sora giaceva a terra nella sabbia. Il biondino poteva vedere un grosso squarcio che gli attraversava il petto.

Un grosso senso di orrore e sgomento lo pervase a quella visione. Non ebbe il tempo nemmeno di sbattere le palpebre che subito Himawari si lanciò contro Mikasa con una mano caricata all’indietro. Il suo pugno centrò e frantumò la colonna di pietra come vetro, ma fortunatamente Mikasa riuscì a saltare di lato e ad evitarlo. Era riuscita e schivare sua sorella, ma saltò proprio sopra la Tecnica d’Ombra del Nara. Atterrò con un tonfo leggero senza riuscire più a muoversi, e venne prepotentemente colpita da un cazzotto in faccia che la fece crollare a terra con un urlo di dolore.

Boruto era solito essere fiero della sua prontezza di rilessi. Ma questa volta non ebbe modo di accorgersi di ciò che accadde. Avvenne tutto in un batter d’occhio. Sembrava quasi che il fuoco, che il Potere che aveva sigillato da sempre dentro di sé si fosse di colpo scatenato senza controllo. Una rabbia feroce e sfrenata gli ottenebrò la mente. E questo era strano. Boruto non ricordava di essere così arrabbiato. Persino il litigio che in passato aveva avuto con Hinata e Naruto sembrava un mero capriccio dinanzi alla rabbia che sentiva scorrergli nelle vene in quel momento.

Non si rese nemmeno conto di essersi mosso. Era solo vagamente consapevole del dolore alle gambe mentre esse avevano preso a muoversi da sole talmente velocemente da strappare i muscoli dalle ossa. Boruto abbassò la sua spada su Shikadai con una forza tale da sprigionare un suono simile ad un tuono. Non si era neanche reso conto che la sua Scia di Fulmini era stata attivata.

Shikadai morì in un istante mentre veniva tagliato da una spalla all’altra. Non ebbe neanche il tempo di urlare prima che il suo sangue macchiasse la sabbia con forza. Ci fu un ruggito arrabbiato dietro di lui, e Boruto si voltò di scatto e afferrò il pugno di Sarada mentre lei lo scagliava contro di lui. Sentì le ossa del suo braccio gemere dinanzi alla forza necessaria per bloccare la potenza titanica del pugno, ma la sua rabbia alimentò i suoi sforzi in maniera indescrivibile.

Boruto serrò la presa. Non sussultò nemmeno appena sentì echeggiare tra le dune il rumore delle ossa della ragazza che si spezzavano. Sarada gridò di dolore, mugolando pietosamente. In un atto di misericordia, il biondino alzò la sua mano libera e, prima che potesse comprendere cosa stava facendo, mandò un lampo di elettricità contro al petto dell’Uchiha.

Boruto trasalì appena quando un copioso getto di sangue gli schizzò sulla faccia. Il suo cuore batteva in modo irregolare senza ritmo o scopo. Nella parte posteriore della sua mente, c’era una voce che urlava qualcosa. Ma lui non poteva sentirla; era gibbosa e ovattata, come un ubriaco che cerca di fare un discorso sensato.

Ci fu un urlo di rabbia e furia. I peli sul collo di Boruto si rizzarono quando sua sorella gli corse incontro con le lacrime che scorrevano lungo le sue guance. Saltò giù sulla sabbia, scavalcando il corpo di Mikasa in maniera innaturale, e lanciò il suo pugno contro di lui.

Il fuoco del Potere si fece più forte dentro di lui. Boruto sentì la sua mente divenire completamente bianca per la rabbia. Il fuoco nelle sue vene stava bruciando dall’interno. Se prima questa sensazione lo aveva fatto sentire potente, adesso il giovane Uzumaki si sentiva vuoto. Come una candela che bruciava da troppo tempo. Ammiccò due volte, e appena la sua vista sfuocata si schiarì trovò la sua mano avvolta intorno alla gola di sua sorella mentre la schiacciava contro un muro di pietra. La sua testa ciondolava mentre i suoi occhi roteavano nella parte posteriore del cranio. Boruto la stava soffocando con così tanta forza da farla spasimare in modo incontrollabile.

I suoi occhi si sgranarono per l’orrore. Appena si rese conto di quello che stava facendo, la lasciò andare di scatto, e Himawari cadde a terra con un tonfo secco. Boruto crollò in ginocchio, facendo scorrere le mani tremanti sul petto di sua sorella. Poteva vedere che il suo collo era stato maciullato e serrato oltre ogni salvezza. L’unica persona che avrebbe potuto salvarla, Sarada, giaceva morta o morente nella sabbia a pochi metri di distanza.

Boruto sentì lacrime calde riempigli gli occhi mentre singhiozzava.

“NOOOOO!”

.

.

.

ACCETTA
IL
TUO
VERO
SCOPO
!!!


.

.

.
 


10 Novembre, 0015 AIT
Deserto, Terra del Vento
22 Km dal Confine con il Paese della Terra
07:27

“Boruto!”

Il biondino trattenne il fiato e si tirò su a sedere di scatto, scalciando violentemente qualsiasi cosa gli avesse immobilizzato le gambe. Era solo il suo sacco a pelo. Ammiccò rapidamente con le palpebre, rendendosi vagamente conto del fatto che il suo occhio destro era stato attivato. Vide che Mikasa e Sora erano inginocchiati accanto a lui a pochi passi di distanza. Dietro di loro, Mitsuki e Gray avevano sguainato le loro spade e guardavano il deserto in ogni direzione, cercando una minaccia che non c’era. Alla sua sinistra, Juvia, Shirou e Kuro lo fissavano con timore e sgomento. Il sole appena sorto ardeva basso nel cielo, illuminando la piccola caverna rocciosa dove lui e tutti gli altri avevano passato la notte.

Boruto si portò rapidamente una mano sulla faccia, accecato dall’improvvisa luce che gli aveva investito gli occhi. Era sudato e visibilmente pallido. Rimase a bocca aperta per diversi secondi, ansimando pesantemente. Era stato un sogno. Solamente un sogno. “S-Sto bene,” gracchiò, rendendosi conto solo adesso delle occhiate piene di timore che gli altri gli stavano lanciando.

“Stai davvero bene?” chiese Sora, con cautela.

“S-Sì,” rispose, ancora senza fiato. “Sto bene. Starò bene. M-Mi dispiace di avervi svegliato.”

I suoi amici annuirono, rilassandosi visibilmente e sedendosi con sollievo accanto a lui. Boruto si maledisse silenziosamente per averli fatti preoccupare di nuovo. E maledisse anche la sua maledetta mente debole. Detestava il fatto che i suoi amici dovessero subirsi i suoi risvegli frenetici per via degli incubi, e detestava il fatto che la sua testa gli facesse ancora vedere quei dannati sogni terribili e agitati. Sin dalla battaglia nel Forte del clan Yuki, non era più riuscito a dormire tranquillamente per più di qualche notte senza avere un incubo. E questa cosa era insopportabile.

Si disse che, sì, la guerra era una cosa terribile, ma faceva anche parte della natura umana. Si disse che, sì, aveva compiuto cose terribili e ucciso innumerevoli uomini, ma lo aveva accettato. Lo aveva accolto. Il suo passato era maledetto, ma era pur sempre una parte di lui.

Ma questa consapevolezza non aveva fatto andare via i sogni. Tutte quelle stronzate che aveva sentito sussurrare dalle labbra di soldati veterani in passato non erano altro che bugie deliranti inventate da vecchi. Nessuna quantità di comprensione e rassegnazione sulle proprie opere poteva tenere a bada gli incubi. Nessuna quantità di pensieri razionali poteva impedirgli di vedere i volti di coloro che aveva ucciso durante la notte.

Boruto lanciò uno sguardo abbattuto ai suoi amici. Poteva vedere ancora la preoccupazione nei loro occhi. E questo lo faceva soffrire ancora di più. Non voleva accollare anche a loro il peso del suo dolore. Non era giusto. Non voleva farli soffrire come stava soffrendo lui. Eppure, fu grato a tutti loro per la loro presenza silenziosa e per il loro supporto costante. Senza i suoi amici, Boruto era certo che di questo passo sarebbe impazzito.

Inconsciamente, Boruto allungò una mano e si concentrò col pensiero verso quella piccola porzione di chakra che aveva tenuto nascosta. Formulando un sigillo con la mano, il biondino si concentrò focalizzando la mente verso i Sigilli Maledetti che aveva impresso su Himawari, Sarada e Shikadai. Erano innocui, e servivano esclusivamente a percepire anche a distanza la presenza e il chakra delle persone marchiate. Non che il biondino lo avesse fatto intendere durante lo scontro, certo. Aveva semplicemente mentito, quando li aveva chiamati ‘Sigilli Maledetti dell’Obbedienza’.

Appena i sigilli si attivarono, il biondino sentì delle fonti di chakra trascinare la sua coscienza verso Est. Verso un luogo distante. Bene. Sua sorella e gli altri erano tutti e tre nella Foglia. O almeno, nella Terra del Fuoco. Stavano bene, lontano dalla dura sabbia del deserto e dalle sue mani insanguinate.

Appena si fu accertato che i tre che aveva sognato non fossero morti, la sua mente riprese a focalizzarsi sulla sua situazione presente.

Erano passati due giorni da quando lui e tutti gli altri avevano combattuto Kankuro e il suo Team, uscendo vincitori dallo scontro. Da allora, lui e i suoi compagni avevano continuato a viaggiare per il deserto verso Nord, dirigendosi verso le montagne di roccia che fungevano da confine tra il Paese del Vento e quello della Terra. Lì, avrebbero continuato a cercare il loro obiettivo: il Ragno della Sabbia che stava creando un esercito di marionette umane da diverse settimane.

Non avevano più incrociato nessuna pattuglia ninja da quando erano riusciti a sconfiggere Shinki e gli altri. Nessuno, né esploratori né altri Team di ricerca. Solo sabbia, vento, calore e qualche sporadico cactus. Questi erano stati i loro unici e perenni compagni di viaggio. Il che era positivo. Boruto non era certo di volersela vedere ancora con altri Shinobi dell’Unione. Sapeva di essere forte, certo, ma non abbastanza da ritenersi invincibile. Un avversario più potente di lui avrebbe potuto soggiogarlo con facilità e rispedirlo a Konoha in un batter d’occhio. Una prospettiva del genere non era molto allettante.

Kuro, la loro allegra e spensierata guida, li aveva condotti fedelmente a Nord attraverso il deserto dorato. Ormai, in lontananza, le montagne verso cui erano diretti si potevano cominciare ad intravedere all’orizzonte. Erano una striscia di roccia rossa e brunastra che spuntava nel mezzo del deserto inesorabile. Le avrebbero raggiunte in giornata, se fossero partiti presto.

E così fecero.

Camminarono per circa tre ore, diretti sempre e solo a Nord. Dopo circa dieci chilometri, la sabbia mutò consistenza, e divenne da dorata ad un colore marrone terroso. Terriccio si mescolava con la sabbia mano a mano che proseguivano verso le montagne, e il deserto lasciava sempre di più il posto ad una vegetazione bassa e sparsa. Le montagne, prima una misera ombra in lontananza, adesso erano chiaramente visibili. Boruto poteva vedere la neve che ricopriva le loro vette e le falesie rocciose che si estendevano sulla terra. Tra le rocce alla loro base erano chiaramente visibili sentieri accidentati e alberi resistenti. Secondo le loro informazioni, l’Assassino che cercavano operava da qualche parte nella zona settentrionale di quelle montagne.

Proseguirono a camminare per altre due ore, fino a quando tutti si resero conto di star lentamente cominciando ad avvicinarsi al Paese della Terra. Il confine era appena a qualche chilometro più a Nord. Si stavano lasciando alle spalle la Terra del Vento.

“Sei sicuro che siamo sulla strada giusta?” domandò allora il biondino a Kuro.

“Sicurissimo,” ripose la guida, proseguendo la marcia verso la base di una montagna. “La catena montuosa più settentrionale è questa. Se il Ragno della Sabbia è davvero qui, allora potrete cominciare le vostre ricerche appena giunti alla base di questa montagna.”

Solo un’ora dopo, proprio quando il sole stava per cominciare la sua lenta e costante discesa, i sette giovani trovarono la loro destinazione. Era una caverna, talmente ben nascosta che se non fosse stato per Kuro che la conosceva non l’avrebbero mai trovata. Era nascosta dietro una fessura a forma di luna crescente. Nella fenditura, una caverna spalancata mostrava le sue zanne; due grandi stalattiti che pendevano dal soffitto.

“Cos’è questo posto?” domandò Juvia, poco convinta.

Kuro posò le braccia sui fianchi con un ghigno. “Questo è l’ingresso ad una galleria che conduce nel cuore delle montagne,” spiegò. “Secondo le voci, coloro che si sono addentrati qui dentro alla ricerca del Ragno, non sono più tornati indietro. O meglio, sono tornati indietro completamente vuoti.”

Boruto annuì, fissando la caverna con il suo occhio destro attivo. “Percepisco del chakra provenire dall’interno,” confermò seriamente. “C’è indubbiamente qualcuno dentro le montagne.”

“Allora credo che dovremo salutarci, amici,” disse Kuro, cominciando ad allontanarsi. “Non sono un combattente come voi. Se volete proseguire, dovrete farlo senza di me. Io me ne tornerò in una cittadina più vicina.”

I ragazzi lo salutarono, dandogli una manciata di Ryo per il servizio che aveva offerto loro. “Grazie di tutto,” disse il biondino.

Una volta che Kuro se ne fu andato, i sette giovani rimasti s’inoltrarono all’interno della caverna nelle montagne. La grotta andava più in profondità di quanto pensassero, dividendosi in numerose gallerie e insenature che si sparpagliavano in diversi cunicoli. Una piccola insenatura attraversava una galleria, aprendo un varco verso una qualche zona in alto sulle montagne.

Ma questo era tutto ciò che c’era lì dentro. “Non vedo nulla fuori dall’ordinario,” disse Gray. Boruto si fece serio, ammiccando ed osservandosi attorno col suo occhio. Non riusciva a percepire nessun chakra adesso che era entrato nelle viscere della roccia. L’aria attorno a loro era fredda e umida, ma priva di energia. Così come anche le rocce e i cunicoli.

“Eppure il punto dovrebbe essere questo,” disse Mitsuki. “Non c’è nessun altro posto sulle montagne che offrirebbe riparo e nascondiglio come questa caverna.”

“Abbiamo anche perlustrato la zona esterna prima, due volte,” aggiunse Sora.

“Forse questo Ragno è in grado di nascondersi alla vista del tuo occhio, Boruto?” suggerì Shirou.

Il giovane Nukenin si accigliò. Se il tizio che stavano cercando era un marionettista, allora non avrebbe dovuto essere in grado di nascondersi al suo Dojutsu (Arte Oculare). I marionettisti in genere necessitavano di energia e chakra per muovere i loro burattini. Ovviamente potevano celarsi alla vista grazie a dei Sigilli, ma non c’era modo di dirlo veramente. Il suo stesso clan, il clan Hyuuga, aveva dei sigilli che bloccavano la vista del Byakugam, ma lo usavano per la privacy nella loro case. Era difficile fare il bagno sapendo che tutto il tuo clan era in grado di vedere attraverso i muri, dopotutto. E pensare che qualcun altro oltre agli Hyuuga avesse dei sigilli simili era preoccupante.

“Stiamo in guardia, allora,” disse Boruto, scivolando in una posa di difesa ed avanzando lentamente. Teneva gli occhi puntati sull’oscurità, alla ricerca di ogni accenno di movimento o trappole. I tunnel erano bui e umidi, e non c’era segno che qualche forma di vita avesse mai camminato lì dentro. Licheni e muschio erano attaccati alle pareti e piccoli rivoli d’acqua scorrevano nel centro del tunnel più ampio.

Insieme, i sette giovani si addentrarono sempre più a fondo nelle profondità. L’aria si faceva sempre più calda e stantia, come se non si fosse mossa da molti anni. Forse loro erano davvero i primi ad essersi avventurati lì dentro. Mano a mano che proseguivano, Boruto diveniva sempre più scettico.

Poi, li vide. Dei segni erano stati impressi sulla parete di un muro roccioso. Erano così scuri che se non fosse stato addestrato a leggere i caratteri del Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli) non li avrebbe mai notati. Boruto si fermò, scrutando attraverso l’oscurità del tunnel ed esaminando il muro. Dovette raschiare qualche lichene dalla parete con un kunai per notare un insieme circolare di caratteri sigillati ad incastro. Era diverso da qualsiasi tipo di carattere che aveva studiato. La scrittura del Vortice era fluida ed elegante; quasi calligrafica nella sua bellezza. Qualunque scrittura fosse questa invece, essa ricordava a Boruto la forma della sabbia quando veniva colpita dalla roccia, o ancora quella di un serpente che scivolava tra le dune. Era ondulata e grezza, quasi morbosamente semplice e rozza.

Boruto ronzò nei suoi pensieri, cercando di studiare quei simboli. “È sicuro?” domandò Mikasa.

“Non c’è modo di saperlo,” rispose il biondino. Non aveva il tempo né l’esperienza per decifrare appieno quel Fuuinjutsu straniero. “Non credo sia una trappola, visto che i caratteri non sono ripetuti e concentrici, ma non c’è modo di esserne sicuri,” disse. Di solito, i sigilli delle trappole erano molto più lunghi e complessi rispetto a come apparivano questi. Era difficile trovare un modo semplice e diretto per descrivere un modo per uccidere una persona in poche parole, in fondo.

Scrollando le spalle, il giovane superò il sigillo. Poté sentire chiaramente il suono dei suoi amici che trattenevano il fato per il timore. Guardandosi attorno, non accadde nulla. “Sembra che non fosse una trappola,” commentò, riportandosi in posizione difensiva e continuando lungo il tunnel.

Fu allora che ci fu il click.

Era un suono basso e metallico che echeggiava in lontananza. Boruto lo riconobbe quasi immediatamente: il rumore delle giunture delle marionette che si muovevano. Non ebbe bisogno nemmeno di voltarsi per accertarsi che i suoi amici erano già pronti a combattere. Prese d’istinto ad accumulare chakra nel braccio destro.

Non dovettero aspettare a lungo. Un minuto dopo, uno sciame di marionette grezze con le zampe artigliate si riversò nel tunnel. Boruto sollevò il braccio, puntando il palmo in avanti. Divaricando le dita, rilasciò il chakra che stava accumulando di colpo. Un potente getto d’aria e vento schizzò fuori dalla sua mano, travolgendo le prime file di burattini. Di essi non rimase altro che tessuto sminuzzato, plastica frantumata e metallo deformato. Quelli che rimasero furono immediatamente incendiati dalle fiamme di Mikasa o affettati dai colpi di bastone di Sora.

Una rapida occhiata col suo occhio destro gli permise di capire che tutte le marionette erano davvero distrutte. Non vide chakra latente nei loro corpi o fili di energia che li controllavano. “Andiamo,” disse allora, impaziente di finire quella caccia nella Terra del Vento. Adesso aveva la prova che ci fosse qualcuno qui dentro. Qualcuno che aveva a che fare con le marionette.

I ragazzi continuarono a vagare per le gallerie. Ad un certo punto, i tunnel smisero di scendere nelle profondità della terra e iniziarono a spostarsi verso Nord. Quindi, avevano iniziato a risalire verso la superficie ancora una volta. “Penso che ci stiamo avvicinando,” sussurrò Gray, impaziente. Le sue braccia tremavano per l’adrenalina. Era passato un po' di tempo da quando era stato in uno scontro che gli aveva davvero fatto ribollire il sangue. Era desideroso di mettersi alla prova di nuovo.

C’era una luce alla fine del tunnel. Un tenue bagliore blu-bianco. Un lieve sussurro di vento sibilava dalla luce dinanzi a loro, e Boruto sospirò di sollievo. Era stato immerso nel calore per troppo tempo.

Poi, i giovani si ritrovarono all’interno di una grandissima anticamera del sistema delle caverne. Si erano aspettati di trovare una specie di fortezza sotterranea presidiata da un esercito di marionette. Ciò che trovarono invece li mise in soggezione. Il tetto della caverna era stato eroso dal tempo, esponendolo al cielo. La luce filtrava attraverso grandi fori nella pietra, e attraverso di essi soffiava una leggera brezza. Boruto poteva vedere le cime innevate in lontananza dai buchi nel soffitto.

Ma fu ciò che c’era al centro della caverna ad attirare la loro attenzione. Era difficile da descrivere. Una massiccia colonna di pietra si ergeva verso l’alto, partendo dal pavimento e raggiungendo il soffitto. Avvolti attorno ad essa c’erano un numero incalcolabile di fili di chakra, così numerosi da essere visibili ad occhio nudo ed emettere un bagliore quasi accecante. Dovevano esserci milioni, se non decine di milioni, di fili avvolti attorno al pilastro. Era quasi come se la colonna agisse come un rocchetto di fili titanico. I fili erano concentrati attorno alla colonna, ma le loro tele si stendevano sul tetto della caverna e sulle pareti come una ragnatela.

“Non sareste dovuti giungere qui,” sentirono parlare una voce all’improvviso. I sette ragazzini alzarono uno sguardo.

Una figura scese giù verso di loro dalla parete attraverso un filo di chakra aggrappato al soffitto. Dall’aspetto sembrava essere un uomo, ma a giudicare dal suono delle giunture che schioccavano e tintinnavano, dedussero che doveva essere una marionetta. Una marionetta umana. Oltre a lui, sempre più marionette cominciarono a cadere dal soffitto una ad una. Alcuni erano burattini umani come lui, altri erano comuni pezzi di legno e metallo. Nessuno di essi però sembrava essere controllato da fili di chakra.

Gli occhi di Boruto si assottigliarono pericolosamente mentre osservavano le marionette posizionarsi dinanzi a lui e ai suoi amici. Adesso, per la prima volta, si rese conto del perché tutti si riferissero al misterioso tipo che abitava qui come ‘Il Ragno della Sabbia’. Quell’intera caverna era una gigantesca rete di fili di chakra, simile ad una ragnatela. Letteralmente, un nido di ragno. E nessuno era mai riuscito a tornare vivo da quel luogo. Diversi cadaveri di ninja e ladri erano appesi ai soffitti, completamente aperti e vuoti anche loro. Nessuno era riuscito a sopravvivere. Chiunque controllasse queste marionette, era riuscito ad uccidere ogni visitatore.

“Dov’è il Ragno della Sabbia?” domandò ad alta voce Boruto, cominciando ad infondere chakra nel suo sistema. Aveva commesso un errore tattico avventurandosi nella tana del nemico. Erano in svantaggio nella casa dell’avversario. “Siamo qui per porre fine alle sue stragi inammissibili!”

La marionetta che aveva parlato prima scosse meccanicamente la testa. “Nessuno qui ha fatto niente di male. Nessuno dei miei fratelli e sorelle ha mai ucciso a meno che non fosse per autodifesa,” disse.

“Non ci credo,” ribatté l’Uzumaki. C’erano un sacco di storie dell’orrore che circolavano sul Ragno della Sabbia. Innumerevoli corpi privi di vita che venivano ritrovati nel deserto. Ancor più agghiaccianti erano i racconti che narravano delle marionette umane che uccidevano le persone vere per sostituirle. Nessuno poteva inventare delle storie simili senza che ci fosse un fondo di verità.

“Che ci crediate o meno, è vero,” dichiarò ancora la marionetta, la sua voce metallica. “Noi abbiamo solo cercato di salvare questo Paese dalla rovina che ha gettato su sé stesso.”

“Chiunque ti stia controllando ha ucciso centinaia, se non migliaia, di innocenti. Come può tutto questo essere per la salvezza della Terra del Vento?” ringhiò Boruto. Iniziò silenziosamente ad accumulare chakra nei suoi pori, senza farsi notare. Con un semplice pensiero, avrebbe potuto evocare la sua Scia di Fulmini e colpire quella marionetta prima ancora che potesse reagire.

“Questa è una bugia. Né io, né i miei fratelli e sorelle, né nostro Padre abbiamo assassinato un solo uomo, o una donna, o un bambino per rafforzare i nostri ranghi,” ribatté il burattino.

“Certo che no…” sussurrò Sora, lanciando delle occhiate nella caverna per cercare il marionettista. Doveva essere lì da qualche parte.

“Sei cieco, ragazzo. Non puoi osservare una foresta guardando ai singoli alberi,” dichiarò la marionetta con foga.

“Adesso basta, Toku,” fece una voce, echeggiando attraverso tutta la caverna. Era un tono soprano, quasi fanciullesco. Boruto e tutti gli altri s’irrigidirono, cercandone la fonte. Una marionetta si fece avanti, trascinandosi per terra con delle gambe scheletriche. Sembrava apparentemente giovane, forse di una manciata di anni più grande di Boruto, ma i suoi capelli erano bianchi come la neve e la sua faccia magrissima. Si potevano vedere le sue guance scheletriche e le sue costole scoperte. Era magro come la morte, e il cappotto da laboratorio bianco e logoro che indossava non impediva minimamente di notare questa cosa.

Boruto aggrottò le sopracciglia mente studiava quell’uomo coi suoi occhi eterocromi. Focalizzò la vista, e rimase senza fiato quando vide un luccichio di luce biancastro tutt’intorno al corpo della marionetta. Fu allora, grazie al suo occhio destro, che si rese conto che quel tizio non era una marionetta. Era il marionettista. Innumerevoli fili di chakra, così minuscoli da essere quasi invisibili, partivano dalla sua schiena e si connettevano alla colonna al centro della caverna.

Il biondino non aveva immaginato che il loro nemico sarebbe stato così… normale. Aveva pensato che il Ragno fosse un uomo mostruoso, contorto e malvagio. Un vecchio lupo di guerra di un’epoca passata che si dilettava nell’arte proibita del teatro con marionette umane. Quell’uomo dinanzi ai suoi occhi era tutto tranne che quello. Poteva essere a malapena un diciassettenne, e nessun ninja degno di quel nome avrebbe mai permesso al proprio corpo di ridursi in quello stato così pietoso. Era magro quasi quanto i suoi stessi burattini.

“Chi sei tu?” domandò Boruto, con il cuore che prese a martellargli con trepidazione nel petto.

Il tizio scheletrico indietreggiò, oscillando avanti e indietro coi piedi metodicamente. Si contrasse e abbassò lo sguardo, rifiutandosi di incrociare gli occhi con quelli eterocromi del giovane Uzumaki. “Nome… è Kumo,” raspò, raddrizzando il corpo e accarezzandosi pigramente i capelli in modo decisamente meccanico. Il biondino pensò che poteva essere un segno di nervosismo.

“Sei il Ragno della Sabbia, dunque,” disse Gray. “Il marionettista che ha creato queste cose.”

“Non cose!” ribatté Kumo con un sobbalzo della testa, scrollando le spalle. Boruto cominciò a rendersi conto che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quell’uomo. “Persone!” dichiarò, incontrando lo sguardo del biondino per un secondo, prima di distoglierlo nervosamente di nuovo.

“Stai creando degli abomini,” enunciò lentamente Mikasa, alzando le mani per formare sigilli. Una singola fiammata sarebbe bastata per ridurre quei patetici burattini in cenere in un batter d’occhio. Avrebbe accelerato drasticamente la battaglia. “Devi essere fermato.”

“Aspettate!” gridò Kumo, facendo una smorfia e tirandosi furiosamente la manica del cappotto. “Ascoltatemi,” chiese. La sua testa scattò di nuovo, e la sua bocca si aprì come per parlare. Poi si richiuse con uno schiocco secco. “Non facciamo… male a nessuno,” tentò di dire.

Mikasa formulò un secondo sigillo. “Per favore,” esclamarono tutte le marionette in coro. “Ascoltate nostro Padre!”

“Io non uccido,” mormorò Kumo, il suo naso che si contraeva. “Io riporto indietro.”

Boruto alzò una mano, e Mikasa smise di formulare sigilli. Poteva vederlo col suo occhio destro. Quel tipo non stava mentendo. Non percepiva negatività in lui. E per quanto volesse portare a termine la battaglia, una parte curiosa di lui si chiedeva perché quel tizio avesse creato un esercito di marionette simili se non era per formare un esercito. Fece un cenno di stare fermi ai suoi amici, per poi rivolgersi a Kumo e fissarlo con serietà. “Continua,” ordinò.

Lui ubbidì. “L’Ichibi (Monocoda) uccide. Io riporto indietro,” affermò nervosamente l’uomo, cercando ancora una volta di spiegarsi. Era evidente che non fosse capace di parlare fluidamente. Forse aveva qualche disfunzione, oppure non aveva mai imparato a farlo. “Demone distrugge il mio villaggio. Uccisi tutti. Mamma. Papà. Sorella. Vicino. Amici. Rimasto solo io.”

Boruto poté vedere chiaramente la sincerità negli occhi di Kumo. Il suo discorso divenne sempre più chiaro mano a mano che continuava a parlare. “Era luna piena,” disse ancora. “Un mese fa. Nessuna casa. Nessuna famiglia. Dovevo sopravvivere. Mio padre era… marionettista. Mi insegnava a usare chakra e fili. E io li riporto indietro.”

In quel momento, altre due marionette discesero dalla rete di fili di chakra. Un uomo alto con la pelle abbronzata e i capelli castani e una donna bionda cogli occhi color giada. “Mamma. Papà,” disse Kumo, abbracciandoli dolcemente entrambi. Le marionette ricambiarono l’abbraccio in modo meccanico e privo di vita.

“Ma l’Ichibi non si ferma,” intonò ancora il marionettista. La tristezza ossessiva nella sua voce era palese. “Continua uccidere. Ogni luna piena. Più gente morta. Più bambini senza casa. Senza famiglia. Devo aiutarli. Devo salvarli. Proprio come me.”

Boruto sentì una rabbia ribollente nascergli dentro appena i pezzi del puzzle presero ad unirsi assieme.

“Non fare mai male a nessuno. Solo aiutare,” disse Kumo. Sembrò quasi ritirarsi in sé stesso dopo quelle parole, uno sguardo infestato che contornava i suoi lineamenti mentre i suoi occhi si spalancavano per il terrore. Si tirò con forza i capelli, strappandosi delle ciocche bianche senza controllo. I capelli strappati caddero a terra, ricoperti di sangue. “Padre, per favore,” fece una marionetta, prendendo il braccio di Kumo e abbassandolo delicatamente.

Boruto lanciò un’occhiata ai suoi amici. Sora, Gray e Juvia erano impietriti, intenti a fissare il marionettista con degli sguardi combattuti. Shirou e Mitsuki erano impassibili come sempre. Mikasa invece aveva gli occhi socchiusi e il suo corpo era rigido. Boruto suppose che la storia di Kumo riecheggiasse con la sua, da un certo punto di vista. Anche lei aveva perso tragicamente i suoi genitori e suo fratello, anche se lui non ne sapeva i dettagli.

Kumo emise un gemito frenetico, la sua testa si sollevò di scatto e si inclinò di lato mentre i suoi occhi spalancati scrutavano la caverna. Il biondino poteva vedere chiaramente i segni della follia nei suoi occhi. Indipendentemente dal fatto che la storia fosse vera o meno, quell’uomo ci credeva. Il suo occhio riusciva a percepirlo. Aveva senso, in fondo. Cos’altro poteva distruggere mentalmente un uomo? La lista di risposte era breve. Tra le scelte principali, l’attacco di un Demone di chakra era presente. Eccome se era presente.

E non un Demone qualunque. Il Demone Tasso. L’Ichibi. Shukaku della Sabbia.

Boruto rifletté un istante. Il Monocoda era famoso per la sua follia distruttiva. Era risaputo ancora oggi che il Kazekage Gaara, quando era stato un Jinchuuriki (Forza Portante), aveva avuto dei seri problemi mentali a causa del Demone Tasso. Persino gli scritti di Nagato dicevano che l’Ichibi era una massa vivente di sabbia, odio e pazzia la cui rabbia non conosceva limiti e il cui unico diletto era il massacro di uomini. Tra tutti i Bijuu, Nagato aveva scritto che il Monocoda era quello più incline agli attacchi di follia durante le notti di luna piena. Ad oggi le sue crisi isteriche sembravano essere terminate sin dalla fine della Guerra, ma evidentemente non era così. Il Bijuu stava ancora causando stragi in questa Nazione.

Questo fu l’unico motivo per cui il biondino si sentiva di dare peso alla storia di Kumo. Non solo era plausibile, ma era anche probabile. I Demoni Codati erano ammassi di chakra e odio che vagavano incontrollati solo grazie alla legislazione dell’Unione. Gli unici ancora in gabbia erano l’Hachibi (Ottocoda) e il Kyuubi (Enneacoda). Gli altri sette erano liberi di fare quello che volevano senza nessuno che li fermasse. Dopotutto, se l’Ichibi voleva vagare per il deserto e massacrare centinaia e centinaia di umani, chi mai avrebbe potuto fermarlo?

“Per favore,” la voce di Kumo lo riscosse da quei pensieri. “Non facciamo male. Lasciaci in pace. Lasciaci continuare la nostra missione.”

Boruto disattivò il suo occhio. Era combattuto. Da una parte, quello che Kumo stava facendo era… sbagliato. Ma era anche giusto. Le marionette umane erano abomini, ma il marionettista le creava per restituire una famiglia a chi l’aveva persa per causa del Demone. Dall'altra, se la sua storia era vera, allora lui non avrebbe potuto uccidere Kumo così senza rifletterci. Se la colpa delle stragi non ricadeva veramente su di lui, allora il responsabile era l’Ichibi. Il suo obiettivo era quello di portare la pace nelle Nazioni, e non aveva senso uccidere una persona innocente.

“Che cosa facciamo, Boruto?” domandò Mikasa.

Juvia sbruffò. “La vera domanda è: che cosa possiamo fare?”

Boruto rimase in silenzio mentre rifletteva sul piano che si stava formando nella sua mente. Cosa potevano fare? Scrutò nella caverna e i suoi occhi guizzarono tra Kumo e tutte le sue marionette. Quell’uomo stava cercando di portare la pace nella Terra del Vento, ammassando un esercito per combattere il Demone codato. Se avesse scelto di combatterlo, Boruto era certo che lui e i suoi amici sarebbero riusciti a sconfiggerlo. Ma una parte di lui voleva credergli. Voleva credere che al mondo ci fossero altre persone come lui. Persone che volevano portare una fragile pace in un mondo dilaniato dalla guerra.

Lasciò cadere le mani, sospirando pesantemente. “Non ti ucciderò,” disse alla fine. “Ma se mi tradirai, o se scoprirò che hai mentito, non sarai in grado di vedere la morte appena giungerà su di te.”

Kumo sembrò calmarsi a quelle parole, sospirando a sua volta adesso che sapeva che non era più in pericolo di vita. Supponeva che lo stress di una morte imminente avrebbe fatto quell’effetto su chiunque. Specialmente su uno afflitto dalla follia.

“Anzi,” aggiunse il Nukenin, quasi casualmente. “Se la tua storia è vera, allora io stesso ti aiuterò a sconfiggere l’Ichibi.”

Kumo fece schioccare la testa a quelle parole, e per un momento, l’Uzumaki poté vedere la tristezza e la follia svanire completamente dai suoi occhi. Divenne leggermente più alto, raddrizzando la schiena e allargando le spalle, poi dondolò la testa un paio di volte in segno di approvazione e ringraziamento. “Mi piacerebbe molto,” disse, il suo modo di parlare che fece trapelare un’intelligenza acuta che non era stata presente nelle sue parole precedenti.

Dietro il biondino, i suoi amici lo guardarono con delle espressioni scioccate. “Che cosa vuoi dire?” esclamò Mikasa, tesa. “Che cosa possiamo fare noi contro un Bijuu?!”

Boruto sentì un sorriso predatorio contornargli le labbra.

“Possiamo creare un Jinchuuriki,” rispose.
 


10 Novembre, 0015 AIT
Villaggio della Sabbia, Terra del Vento
16:30

“Nome?”

Kakashi sospirò. “Kakashi Hatake,” disse.

La guardia alzò lo sguardo. Ci fu un lampo di riconoscimento, come l’anziano si era aspettato, prima che svanisse nel protocollo. “Numero di registrazione Ninja?”

“009720” rispose l’uomo. Si sarebbe ricordato quel numero fino alla morte. Era stato marchiato nella sua mente. Ancora oggi aveva incubi sul suo capitano degli ANBU che lo svegliava nel cuore della notte dopo una missione, urlando “Numero di registrazione!”

La guardia annuì. “Motivo della visita?”

“È classificato,” si limitò a dire Kakashi senza problemi. Il ninja di guardia annuì di nuovo. Probabilmente non era stato pagato abbastanza per preoccuparsi della visita dell’ex Hokage.

“Sembra tutto a posto. Benvenuto nel Villaggio della Sabbia,” disse la guardia, lasciandogli un permesso per passare. Con un rapido movimento delle mani che formarono dei sigilli, la gigantesca pietra posta dinanzi ai cancelli si spostò automaticamente, permettendogli di accedere al Villaggio.

Era cambiato rispetto all’ultima volta che era stato lì. Kakashi suppose che era una cosa normale. Erano passati… diciassette anni, più o meno, dall’ultima volta che aveva messo piede nella Sabbia. Non c’erano più motivi per fare visite in questo posto in quei giorni. Telefoni e computer ormai avevano sostituito quel bisogno, e la linea di treni transcontinentale che Naruto e Gaara avevano fatto costruire aveva praticamente dimezzato i viaggi a piedi.

Le rozze e crude case di pietra e sabbia erano sparite, sostituite da palazzi di acciaio e vetro. Le strade adesso erano fatte d’arenaria, non sabbia. Nel centro del Villaggio, dove risiedeva in passato la torre del Kazekage, adesso c’era un’imponente monolite d’acciaio che si ergeva su tutti gli altri edifici. In cima alla torre, una violenta tempesta di vento teneva a bada la sabbia del deserto, impedendole di accumularsi ed investire il Villaggio.

Kakashi si diresse verso la torre. La gente si allontanava da lui quando vedeva i suoi capelli e la sua maschera, il che era positivo. Non era tipo da scambiare convenevoli, ed essere riconosciuto da tutti aveva i suoi vantaggi. Gli evitava di doversela vedere con le noiosissime questioni burocratiche. Entrò nell’edificio aprendo le porte senza esitazione, trovandosi in un grande atrio. Una receptionist dietro una scrivania alzò gli occhi dal suo computer una volta, poi due, poi tre. Poi si alzò bruscamente, rossa in volto e balbettante. “Rokudaime-sama!” esclamò. “Non sapevo che avesse un appuntamento col Kazekage!”

“Infatti non ce l’ho,” ribatté Kakashi, scrollando le spalle e dirigendosi verso l’ascensore sul lato opposto della stanza. Due ninja della Sabbia stavano di guardia su entrambi i lati. Saggiamente, nessuno dei due si mosse per fermarlo. “Dì a Gaara che ho bisogno di parlare con lui. Immediatamente.”

La segretaria annuì subito, sollevando il telefono e parlando in fretta e furia con chiunque ci fosse dall’altra parte. Le porte dell’ascensore si dischiusero con un tintinnio, e Kakashi sentì il suo corpo diventare pesante mentre la cabina saliva nell’edificio. La torre era più alta di quanto pensasse. Ci volle più di un minuto per giungere al piano più alto. Il tintinnio si ripeté e le porte si aprirono. Come previsto, la segretaria personale di Gaara era in fervente ansia e delirio appena lo vide arrivare. Era piccola. Carina. Dai capelli scuri. Kakashi sorrise dietro la maschera. La sua figura tendeva ad avere quell’effetto sulle persone, specialmente sulle donne.

L’Hatake entrò nell’ufficio del Kazekage senza preamboli. Gaara alzò la testa dai suoi documenti mentre entrava, non un accenno di sorpresa o dispiacere sui suoi lineamenti. “Yo,” lo salutò Kakashi, sedendosi davanti a lui su una delle lussuose sedie davanti alla scrivania.

“Benvenuto, Kakashi,” lo saltò a sua volta Gaara, riprendendo a leggere le carte che stava firmando. Quella visione ricordò vagamente al Sesto Naruto. “Cosa ti porta da noi?”

“Temo di essere qui per lavoro, non per piacere,” cominciò allora a dire l’anziano Hokage. “Un uccellino mi ha detto che Kankuro e la sua squadra hanno avuto un incontro con una nostra conoscenza reciproca.”

Gaara alzò lo sguardo su di lui, la sua mano che smise di firmare i fogli. Poi poggiò casualmente la penna sulla scrivania e fece schioccare le dita. Kakashi sentì la porta dell’ufficio chiudersi da sola alle sue spalle. Un trucchetto interessante. “Come lo sai?” gli chiese il Kazekage.

“Sono passato per un piccolo villaggio tre giorni fa. Ho passato lì la notte. Apparentemente, Kankuro e il suo Team sono passati da lì a loro volta. Ho sentito gli abitanti del villaggio parlare del combattimento,” rispose lui con un’alzata di spalle.

Gaara sospirò. “Avevo promesso a Naruto di mandare delle squadre di ricerca nel caso suo figlio fosse diretto qui dalla Terra della Pioggia. Boruto e i suoi compagni si sono rivelati molto più forti di quanto mio fratello si aspettava,” spiegò.

Kakashi fece un cenno col capo. “Mi piacerebbe parlare con lui. Se è possibile,” chiese.

Gaara annuì, premendo un pulsante sul suo telefono. “Ayami, per favore, fai chiamare subito mio fratello qui nel mio ufficio,” disse, prima di premere nuovamente il pulsante.

Non ci volle molto prima che Kankuro entrasse nell’ufficio. Quando lo fece, Kakashi vide che zoppicava, camminando con l’ausilio di una stampella. Le bende sotto i suoi vestiti erano visibilissime. Kankuro sembrava visibilmente spossato ed esausto, sedendosi sulla sedia accanto a lui con un sospiro di sollievo. “Non dovevi venire, se non stavi bene,” disse Kakashi.

Kankuro sbruffò. “Per favore,” ribatté, un po' senza fiato.

Gaara si schiarì la gola. “Kakashi è qui-”

“-a proposito di Boruto, lo immaginavo,” concluse per lui il fratello. Il Kage annuì.

“Puoi dirmi quello che è successo?” domandò il Sesto.

Kankuro sospirò ed annuì, cominciando a raccontare tutto ciò che era successo senza tralasciare nessun dettaglio. Kakashi si accigliò mentre il racconto si concludeva. “Dovresti farti controllare da Sakura o da Tsunade,” gli disse alla fine. Gli effetti delle Tecniche di Boruto sul corpo umano non erano certo piacevoli. Nessuno ne era ancora a conoscenza, a parte i Kage. Naruto era riuscito a celare le notizie indesiderate, tenendo per sé gran parte delle informazioni pericolose su suo figlio.

“Lo so, lo so,” disse Kankuro, facendo un cenno a suo fratello. “Gaara me lo ha detto diverse volte. Partirò tra qualche giorno. Mi dà una scusa per venire a trovare Temari, in fondo.”

“Hai idea di dove sarebbero potuti andare Boruto e i suoi amici? Quale era il loro obiettivo qui nella Terra del Vento?” chiese ancora Kakashi.

Kankuro corrugò la fronte, pensieroso. “No,” rispose. “È successo tutto così in fretta. Boruto non ha ereditato il talento di suo padre di parlare coi nemici, questo è certo. Una volta che ha evocato la sua cappa elettrica, beh, le cose sono andate peggiorando da lì in poi. Io e la mia squadra abbiamo dovuto lottare semplicemente per restare in vita. Non abbiamo avuto il tempo per tentare di estrapolargli informazioni.”

Era ciò che Kakashi temeva. Boruto era arrogante, ma non era stupido. Non avrebbe permesso a sé stesso di parlare coi nemici. Kakashi odiava davvero i geni.

“Però…” disse all’improvviso Kankuro, facendo una pausa.

“Però, cosa?” lo esortò il Sesto.

Kankuro lo fissò con serietà. “Boruto… ha menzionato Sasori. La sua marionetta. Per nome,” spiegò lentamente. “Ha rubato il suo corpo durante il combattimento. So che l’Akatsuki non è più un segreto al giorno d’oggi, ma la cosa mi è parsa strana.”

Kakashi ronzò nei suoi pensieri. L’Akatsuki non era più un argomento top secret. Non era più nemmeno un segreto. Ogni libro di storia nella Foglia aveva un ampio capitolo su di loro. Persino gli ANBU avevano un intero dossier sul gruppo, nel caso in cui qualche ‘copione’ avesse avuto l’idea di ricopiare le azioni dell’Organizzazione più infamata del mondo. Perciò, il fatto che Boruto sapesse di Sasori non era sorprendente. Ma il fatto che avesse riconosciuto la sua marionetta come il suo vero corpo lo era. Ma non era un’informazione abbastanza rilevante.

“L’ho notato,” disse Kakashi. “Ma sfortunatamente questo non mi dice nulla.”

“Posso ordinare ai miei ANBU-” cominciò a dire Gaara, ma s’interruppe di colpo appena venne squassato da un violentissimo colpo di tosse. Kankuro si rimise in piedi e si portò accanto al fratello in un batter d’occhio. Anche Kakashi si rimise in piedi, e il terrore si posò su di lui appena vide del sangue scorrere sulle mani del Kazekage.

La sua tosse si protrasse per quella che parve un’ora, ma che in realtà era solo un minuto. Gaara si accasciò sulla sedia, ansimando. Non stava visibilmente bene. “Hai visto un dottore di recente?” chiese il Sesto, esitante.

“No,” rispose Kankuro per suo fratello. “Si strema sempre troppo. I medici dicono che dovrebbe riposare, ma è troppo testardo per farlo.”

“Forse dovresti venire anche tu nella Foglia. Sono sicuro che a Naruto farebbe piacere vederti di nuovo,” disse Kakashi. “Sakura e Tsunade potrebbero darti un’occhiata e mantenere segrete le tue condizioni.”

Gaara scosse la testa. “Il Villaggio ha bisogno di me,” esalò. “Devo restare qui.”

Kakashi esitò, poi si limitò ad annuire. Poteva solo sperare che Gaara potesse rimettersi in fretta.
 


10 Novembre, 0015 AIT
Montagna al Confine tra il Paese del Vento e della Terra
Nascondiglio di Kumo
20:43

“Possiamo creare un Jinchuuriki,”

Mikasa si era pentita immediatamente di aver fatto quella domanda. La risposta di Boruto le riecheggiava ancora nella mente mentre camminava attraverso le buie gallerie della montagna. Provava compassione per Kumo, la provava davvero. Ma una cosa del genere era un’impresa che non avrebbe mai, mai immaginato di poter intraprendere in vita sua. Combattere un Bijuu era un suicidio. I Demoni codati erano mostruosità abominevoli. Chakra a cui era stata data forma fisica. Masse di odio e di brama di distruzione.

Il fatto che Boruto volesse combatterne uno era follia. Il fatto che volesse sigillarlo dentro uno di loro era pazzia. L’unico barlume di ragione che aveva sentito era stata la domanda fatta da Juvia.

“Chi mai si offrirebbe volontario per sigillare dentro di sé il Demone?”

L’unica risposta alla domanda era stata un clamoroso silenzio di tomba.

La cosa era normale, in fondo. La fama dei Jinchuuriki era vista con repulsione da tutti. Mikasa non poteva incolpare la gente per l’odio nei loro confronti. Le persone temevano la morte. E i Jinchuuriki erano la morte. Causavano morte e distruzione. Morivano tutti, inevitabilmente, per mano dei Demoni sigillati dentro di loro. Il Sigillo che teneva a bada il Bijuu poteva rompersi in qualsiasi momento, o la Forza Portante stessa poteva prendere troppo potere da parte del Demone e diventare essa stessa il Demone. Cavolo, in passato era successo innumerevoli volte. Non era raro per due Jinchuuriki di Nazioni rivali scontrarsi fino alla morte per scatenare la piena potenza dei loro Demoni. E, anche se un Jinchuuiki non fosse morto in guerra e avesse potuto vivere fino alla vecchiaia, sarebbe inevitabilmente morto lo stesso una volta che il Bijuu veniva estratto dal suo corpo.

Era una maledizione. Come il Potere che risiedeva in lei, in un certo senso. Causava morte, dolore, e stragi in ogni occasione si manifestasse. Proprio per questo era temuto e respinto da tutti nel suo mondo.

Nessuno voleva diventare un Jinchuuriki. E nessuno, in particolare, voleva diventare il Jinchuuriki dell’Ichibi. Persino Boruto, che di solito era confidente e sprezzante del pericolo, si era rifiutato. Senza dubbio, le storie della follia del Kazekage lo avevano spinto a prendere quella decisione. Il Demone Tasso era uno dei più problematici tra tutti i nove Cercoteri.

Mikasa svoltò un angolo, imbattendosi quasi addosso ad una marionetta umana. Il suo istinto le urlava di farla a pezzi, ma la sua mente frenò immediatamente quel desiderio. I burattini che Kumo aveva creato erano un’aberrazione della natura che non pensava avrebbe mai visto. Alcuni erano freddi e privi di vita, nient’altro che strumenti da guerra. Altri invece, erano così realistici e quasi autonomi da costringerla ogni volta a ricordarsi che non erano veri umani. Parlano, come se avessero una mente con cui pensare. Sembrano vivi, non solo col corpo, ma coi volti. Con le espressioni che trasmettono emozioni.

Era una cosa disturbante. Non che Mikasa lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Superò la marionetta senza degnarla di uno sguardo, lasciandola alla sua ronda. Kumo lasciava che i suoi burattini umani pattugliassero la montagna giorno e notte.

Si trovò dinanzi ad una caverna molto più piccola. Era più grande di una capanna e allestita appositamente per ospitare umani piuttosto che marionette. Diversi tavoli e scrivanie stavano allineati lungo le sue pareti, e dei tappeti di stoffa erano stati stesi sul pavimento roccioso. Sembrava una specie di studio. Ora invece fungeva da luogo di incontro non ufficiale del loro gruppo. Boruto e Kumo erano già lì, intenti a studiare delle carte su un tavolo. Sora e Gray sedevano accanto a loro, visibilmente annoiati dalla discussione e in procinto di addormentarsi. Mitsuki e Juvia chiacchieravano a bassa voce in un angolo, assieme a Shirou che stava di guardia nell’ombra.

Mikasa annuì, compiaciuta. Quel samurai aveva preso sul serio il suo dovere. Era perennemente in guardia per proteggere Boruto. La nera poteva notare molto bene come la presa sull’elsa della sua spalla si facesse più forte ad ogni singolo movimento di Kumo. Era una persona a cui poteva affidare la salvaguardia del biondino. Dopotutto, si erano alleati con il marionettista, ma non era saggio abbassare la guardia. Una lezione che avevano appreso da tempo.

“Cosa mi sono persa?” chiese lei, avvicinandosi a Boruto e Kumo.

Quei due erano una strana coppia. Così diversi, eppure così simili. Entrambi geni, entrambi abili nel Fuuinjutsu (Arte dei Sigilli). Li aveva sentiti parlare quando pensavano di non essere ascoltati da nessuno, discutendo di Sigilli e delle loro applicazioni. C’era una minaccia inespressa nel modo in cui parlavano dei loro caratteri, dei loro fogli e delle loro idee, Come se le parole che scrivevano potessero uccidere qualcuno con la stessa garanzia di un pugnale o una spada.

Boruto si girò per guardarla. “Stavamo discutendo su come sigillare l’Ichibi,” rispose. “Naturalmente, dato che non abbiamo contenitori umani, avremo bisogno di un contenitore artificiale. Una marionetta umana non funzionerà. La sua costituzione è troppo debole, e richiederebbe un corpo unico con un chakra potente.”

Mikasa annuì. Buono. Una cosa del genere le avrebbe lasciato un amaro in bocca. Le marionette umane erano abomini. “Abbiamo alternative, allora?”

Boruto distolse nervosamente lo sguardo da lei. “In un certo senso,” rispose. Dal suo tono serio e calcolatore, la nera sapeva già che quello che stava per dire non le sarebbe piaciuto. “Il primo Jinchuuriki dell’Ichibi era un uomo di nome Bunpuku. Era universalmente odiato e temuto da tutti, quindi la Sabbia decise di utilizzare una prigione speciale per l’uomo, che ha vissuto lì dentro fino al giorno della sua morte.”

Le sopracciglia di Mikasa si restrinsero. Come faceva Boruto a saperlo? “Come lo sai?”

Boruto non le rispose. La risposta era nei suoi occhi. Akatsuki. La nera non sapeva se essere felice o preoccupata da questa cosa. Certo, le informazioni che avevano ottenuto nei rotoli dell’Organizzazione Alba erano dettagliate e preziose, ma provenivano pur sempre da fonti criminali e oscure. I membri di quella setta non erano certo molto pacifici. “Quindi?” continuò lei.

Il biondino si schiarì la voce, mentre tutti gli altri presero ad ascoltarlo. “La prigione che la Sabbia ha usato non è altro che un antico artefatto. È un gigantesco bollitore per il tè, fatto d’arenaria. Il popolo della Terra del Vento ritiene che sia stato creato dallo stesso Eremita delle Sei Vie, ed è intriso con un potente chakra che dovrebbe essere in grado di contenere il Demone.”

“Dovrebbe?” ripeté Gray, scettico. Non potevano combattere un Bujuu e sperare che il sigillo potesse funzionare.

Boruto scrollò le spalle. “È un artefatto antico. Secondo quanto sta scritto su queste antiche pergamene, l’artefatto è custodito all’interno di un vecchio tempio di monaci al confine del Paese. Le marionette di Kumo sono andate a recuperarlo diversi minuti fa,” spiegò. “Una volta che lo avremo ottenuto, lo ispezionerò e nel caso gli apporterò delle modifiche personalmente con dei Sigilli. Dovrebbe funzionare, visto che non sarà la prima volta che il Demone Tasso è stato sigillato al suo interno. Speriamo invece che sia l’ultima.”

Tutti i ragazzi annuirono. Se non altro, loro avevano visto di cosa fosse capace Boruto con un foglio di carta e un pennello. Aveva compiuto l’impensabile grazie ai suoi sigilli durante la guerra nella Pioggia e la traversata del deserto. Se c’era qualcuno che poteva migliorare una prigione per un Demone, quello era lui.

“E cosa facciamo nel frattempo?” domandò Sora, curioso.

Boruto spostò lo sguardo verso l’oscurità. “Ci alleniamo,” rispose semplicemente.
 


Mikasa fu accolta da uno spettacolo molto interessante entrando nella camera di Boruto. Sembrava che una tempesta fosse esplosa nella stanza della caverna, facendo cadere libri e pergamene dagli scaffali e facendoli rotolare sul pavimento. C’erano numerose fiale d’inchiostro. Alcune vuote, alcune a metà e alcune piene. Il biondino era seduto su una piccola sedia di legno che si trovava a pochi metri da un muro di solida roccia, intento a leggere un foglio di carta scarabocchiato. Lo stava fissando con un’intensità snervante. Così intensa che, persino, non si accorse del suo arrivo.

“Cosa fai?” chiese lei, confusa.

Alle sue parole, lui non batté neanche ciglio. La zittì, portandosi un dito sulle labbra. La nera lo fissò con un sopracciglio incurvato, ma lasciò perdere l’interesse. Scrollando le spalle, posò lo sguardo sul disastro che era l’alloggio del suo amico. A caso, afferrò una pergamena dal suo posto d’onore sopra al tavolo accanto a Boruto. La maggior parte di ciò che si leggeva nel rotolo era scritto in una sorta di lingua morta, ma diversi passaggi erano scritti nel linguaggio comune dei sigilli.

FUUINJUTSU: Osorubeki?” (Arte di Sigillo: Draghi Spettrali) lesse lei ad alta voce. Sotto i caratteri c’erano dieci diagrammi di anelli simili, ma leggermente diversi tra loro.

Ciò fece svegliare Boruto dalle sue fantasticherie. Le strappò il foglio dalle mani con una velocità accecante. Mikasa lo guardò con un cipiglio curioso. L’Uzumaki era da sempre molto protettivo con le sue pergamene e le sue invenzioni. “Non è niente,” balbettò. “Niente.”

L’ombra di un sorriso le tirò su le labbra appena si rese conto che il rotolo era già sparito dalle mani di Boruto. Lui era davvero un portento nelle Arti di Sigillo. Lo aveva già sigillato per tenerlo nascosto. “Vuoi dirmi che cosa stai facendo sì o no?” domandò, seria.

“Sto studiando un sigillo di Kumo,” borbottò quello in risposta. “Quel tipo ha talento. Molto talento. Ricordi quel sigillo posto sulla parete di roccia nel tunnel? È stato progettato per impedire alle arti oculari di vedere cosa si cela oltre ad esso. È per questo che il mio occhio non riusciva a percepire niente nella caverna. Questo,” fece un cenno con le mani al foglio che stava leggendo. “È una contromisura temporanea a quel sigillo. Sto studiando un modo per neutralizzarlo.”

Mikasa annuì, colpita. Rimaneva sempre spiazzata dal modo in cui Boruto si metteva all’opera e studiava. La sua genialità e il suo acume erano impareggiabili. Era un vero portento inventivo. “A cosa sta lavorando quel… quel tipo?” chiese allora lei.

Boruto si accigliò e impallidì contemporaneamente. “Non… Non lo so,” disse. “È difficile da spiegare, ma le sue marionette sono diverse. Lo hai visto anche tu. Sono troppo intelligenti, troppo umane.”

“Sai come riesce a crearle?” chiese la ragazza, sedendosi accanto a lui.

Il biondino deglutì pesantemente. “L’ho visto ieri sera. Raccoglie i cadaveri delle persone e riesce in qualche modo a sifonare il chakra residuo dal cadavere e trasferirlo in un corpo fantoccio. Mi ha mostrato come esegue i sigilli che, ha detto, emulano la coscienza di una persona mentre era viva basata sul chakra residuo del corpo. In questo modo riesce a creare una specie di Tecnica di resurrezione. Ovviamente è imperfetta, ma di per sé è un miracolo affascinante. Disgustoso, ma affascinante.”

Mikasa pregò il cielo che una tale aberrazione della natura non finisse mai per essere eseguita su di lei. Il pensiero che qualcuno potesse dissacrare il suo corpo e costringerla a vivere come uno schiavo morto le fece venire un brivido lungo la schiena. “Sei sicuro che funzioni così?”

Boruto annuì, visibilmente disgustato. “Abbastanza,” rispose. “Non riesco ancora a decifrare bene i caratteri con cui scrive, ma la sostanza è questa.”

Poi, detto ciò, il biondino scosse la testa e la guardò con curiosità. “Allora, di cosa hai bisogno?”

Mikasa sospirò con pesantezza a quella domanda. Doveva aspettarsi una domanda del genere da parte sua. Il biondino era furbo, troppo furbo per il suo stesso bene. Sapeva che lei aveva un motivo per cui si era diretta nella sua stanza.

Un motivo che la faceva contorcere dentro.

“Boruto,” cominciò allora a dire lei, incerta su come esprimere i suoi pensieri. “Sei sicuro di poter sconfiggere l’Ichibi?”

Il biondino ammiccò a quella domanda, fissandola con confusione. “Certo,” le disse, senza un accenno di esitazione o paura nel suo tono.

Mikasa sentì l’acida bruciatura della gelosia nel suo cuore. Come diavolo faceva ad essere così sicuro e confidente? “Come?” ribatté. “Come puoi essere così sicuro? C’è qualche sigillo o qualche tecnica che stai nascondendo? Qualche trucco per addomesticare i Bijuu come degli animaletti da compagnia?”

La nera si pentì immediatamente di aver pronunciato quelle parole. Sapeva che il suo amico era furbo, quindi avrebbe dovuto aspettarsi che fosse in grado di leggere la paura nel suo cuore. Vide l’espressione di Boruto farsi preoccupata all’istante appena finì di parlare. “Mikasa, cosa succede? Cosa c’è? Hai forse paura?”

“Certo che ne ho!” esclamò lei, incredula e frustrata. “Come potrei non averne? Ma la cosa che mi fa più paura è vedere che TU non sei spaventato! Come diavolo fai ad essere così confidente? Come fai ad essere così sicuro della vittoria? Non stiamo per combattere dei ninja, Boruto! Stiamo per affrontare un Bijuu! Un Demone! E tu non hai paura?!”

Boruto la fissò con attenzione, i suoi occhi azzurri che scrutavano con solennità e serietà quelli neri dell’altra. “Dimmi una cosa, Mikasa,” cominciò allora a dire il biondino. “A cosa mi servirebbe avere paura?”

La nera sgranò gli occhi.

“A che cosa mi servirebbe esitare?” continuò imperterrito lui. “Cosa ci guadagnerei io nel provare timore? Avere paura mi aiuterebbe forse ad essere più ragionevole? Mi aiuterebbe a tenermi fuori dai guai? No, Mikasa. Avere paura non serve a niente. Le paure vanno affrontate se vuoi crescere davvero. L’ho imparato proprio nella guerra.”

Mikasa sentì la sua smentita morirle in gola.

“E poi ti sbagli se pensi che io non abbia paura,” disse subito dopo Boruto, sorridendo appena con le labbra. “Anche a me terrorizza il pensiero di dover combattere un Bijuu. Ma non posso lasciar vincere il timore. Non posso arrendermi al terrore. Ho deciso di aiutare le persone di questa Nazione, perciò… che razza di uomo sarei se mi tirassi indietro dinanzi alle difficoltà?”

La ragazza abbasso lo sguardo a terra dopo quelle parole, serrando i pugni con forza. “Boruto, io… io non so se potrò aiutarti in questa missione,” disse, il suo tono triste. “Non sono potente come te. Non sono veloce come te. Non conosco le Arti di Sigillo come te. Sora e tutti gli altri sembrano essere decisi a combattere, ma io… io non so come contribuire a questa impresa.”

Il biondino sgranò gli occhi. “Cosa stai dicendo? Tu sei forte! Sei incredibilmente forte! E poi, non devi temere; non abbiamo intenzione di combattere seriamente l’Ichibi. Dobbiamo solo attirarlo nel contenitore e sigillarlo dentro.”

“E se qualcosa va storto? Se, contro ogni previsione, contro tutti i tuoi preparativi, il Demone si libera dalla prigione?” chiese Mikasa.

Boruto esitò e si accigliò dopo quelle domande. Ecco. Quello era uno dei suoi pochi, veri difetti. Non pensava mai che avrebbe potuto fallire. “Se si libererà, noi fuggiremo,” rispose semplicemente.

Mikasa rise; una breve risatina senza allegria. “Boruto, io ti conosco. Tu non fuggi mai,” lo incalzò lei. “Rimarrai e combatterai contro il Demone perché pensi di dover dimostrare a te stesso qualcosa. E alla fine tu, Sora e tutti gli altri morirete per mano del mostro. Ed io non voglio restare da sola. Non di nuovo.”

Un lampo di genuino dubbio e apprensione gli balenò sul viso dopo quelle parole. Fu gratificante per lei vederlo, in un certo senso. “Q-Questo non succederà!” disse poi lui con convinzione. Fece una pausa, esitando per formulare i pensieri che aveva in testa. “Quando la mia famiglia mi ha abbandonato, tu mi hai insegnato una cosa,” disse. “Il potere non è qualcosa che può essere dato. Deve essere preso. Per questo non mi tiro mai indietro dinanzi alle sfide. Perché esse sono l’occasione che abbiamo per migliorarci e diventare più forti.”

Gli occhi di Mikasa brillarono di incertezza. “E… E se io non volessi farlo?” domandò, triste.

Boruto la guardò seriamente, come se stesse studiando le emozioni nei suoi occhi. “Mikasa, non sei obbligata a seguirmi per sempre. Sei libera di rifiutare se vuoi. Così come sono liberi tutti gli altri. Io non vi forzerò mai a seguirmi nelle mie imprese,” la rassicurò.

La nera scosse la testa. “Ma non posso lasciarti da solo,” sussurrò. “Noi siamo una famiglia. Una famiglia non abbandona i propri membri.”

“Lo so,” disse il biondino, afferrandole una mano dolcemente. “Ma essere una famiglia non significa doversi buttare a capofitto nelle follie dei suoi membri. Essere una famiglia significa supportarci a vicenda. Aiutarci nel momento del bisogno. Come tu hai fatto in queste settimane con me, ricordi?”

La nera annuì lentamente. Boruto le afferrò dolcemente il mento, spingendola a guardarlo negli occhi.

“E poi, non è vero che non sei potente,” la corresse lui, sorridendo affettuosamente e facendola arrossire. “Tu sei la persona più forte che io conosca. Sia caratterialmente che fisicamente. Ti ho vista sconfiggere ninja due volte più forti ed esperti di te. Non pensare di essere debole, perché non è vero. E anche se tu non dovessi essere al mio livello… per me resterai sempre e comunque una ragazza straordinariamente forte!”

Le guance della ragazza avvamparono di rosso dopo quelle parole così cariche di sicurezza e sincerità. Era davvero strano il modo in cui quel biondino fosse capace di risollevarla sempre dai suoi dubbi e dalle incertezze. Era bello avere qualcuno accanto che credeva in te; qualcuno disposto ad aiutarti a superare le tue debolezze e i tuoi difetti. Forse era questo il tratto più bello di Boruto. “Grazie…” mormorò lei.

Boruto annuì, poi ghignò come un bimbo. “Vuoi sentire qualcosa di divertente? La moglie del Primo Hokage, Mito Uzumaki, è stata sempre considerata come uno dei maestri dei Sigilli più potenti che siano mai nati nel nostro clan. Tutti la conoscono come la donna che ha aiutato Hashirama Senju a costruire la Foglia. Quello che nessuno sa però è che le sue riserve di chakra erano pietosamente basse,” spiegò lui con divertimento. “Certo, prima che la Volpe a Nove Code fosse sigillata dentro di lei, ovvio.”

Mikasa lo ascoltò con attenzione.

“Naturalmente, Mito era furiosa per via della scarsa quantità di chakra che il suo corpo riusciva a generare. Quindi decise di escogitare un modo per aumentare le sue riserve di chakra. Inventò un sigillo speciale, uno che è abbastanza famoso ancora oggi. Quello utilizzato da Tsunade Senju e da Sakura Uchiha: il Byakugō no In (Forza di un Centinaio di Sigilli)” disse, toccandosi la fronte con una mano e disegnando la forma di un diamante con un dito. “Ironicamente, è stata sua nipote a perfezionare la Tecnica. Ma Mito è quella che l’ha creata originariamente.”

“In che senso?” domandò Mikasa.

“A differenza di quella del Quinto Hokage, la Tecnica originale di Mito non serve a curare le ferite, ma funge semplicemente come una massiccia batteria di chakra per il corpo,” spiegò. “La morale della storia è: non importa quanto siano grandi le difficoltà; l’importante è riuscire ad affrontarle. O aggirarle, come ha fatto Mito. Se tu ritieni di non essere abbastanza potente, niente di impedisce di trovare un modo per superare questo limite, Mikasa.”

La nera lo guardò con un’espressione confusa. “Stai dicendo,” disse lentamente. “Che esiste un modo per rendermi più potente, come nel caso di Mito?”

Boruto ridacchiò. “Certo che c’è! Dobbiamo solo trovarlo. Ma noi siamo qui apposta! Possiamo allenarci e studiare assieme un metodo per sopperire ai difetti che ritieni di avere in battaglia. Noi due insieme, come una squadra!”

Poi, di colpo, Boruto arrossì come un peperone appena si rese conto di quello che aveva appena proposto alla sua amica. Si portò una mano dietro al collo, ridacchiando nervosamente. “Se, ovviamente, la cosa ti piacerebbe, ovvio…” aggiunse con imbarazzo.

Mikasa lo guardò con un sorriso. C’era solo una cosa che poteva rispondere.

“Va bene.”
 


10 Novembre, 0015 AIT
Deserto, Terra del Vento
22 Km dal Confine con il Paese della Terra
07:27

Boruto passò i successivi cinque giorni allenandosi ininterrottamente nell’Arte dei Sigilli e del Ninjutsu (Arte dei Ninja). Era stato di parola con Mikasa, e i due si erano allenati assieme per ore e ore durante questi giorni. Si erano allenati nel Taijutsu (Arte della Lotta), nel Kenjutsu (Arte della Spada) e persino addestrandosi nelle Tecniche Proibite lasciate loro da Urahara-sensei. I due ragazzini poi avevano passato insieme delle ore anche per studiare i Sigilli di Kumo e il suo stile di scrittura antico e indecifrabile. Boruto stava progredendo a vista d’occhio nella lettura dei caratteri, ma Mikasa era meno portata rispetto a lui. La mente del biondino era davvero geniale nonostante avesse ancora tredici anni.

Fu durante una delle loro sessioni di lotta che il suono di una mano che bussava alla loro porta attirò la loro attenzione. Mikasa e Boruto smisero di allenarsi subito, fissando la porta con attenzione.

“Sì?” fece il biondino.

La porta si aprì lentamente, rivelando dietro di essa la figura scheletrica di Kumo. Il suo volto era serio e solennemente grave “Lo abbiamo trovato,” disse.

Bastarono solo quelle parole. Boruto e Mikasa abbandonarono rapidamente il loro addestramento, infilandosi un paio di stivali e seguendo il marionettista mentre scivolavano lungo i tunnel oscuri nel cuore della montagna. Raggiunsero lo studio dopo appena tre minuti. Sora, Mitsuki e tutti gli altri erano già lì, seduti attorno ad un tavolo. Gli altri tre si unirono a loro senza fiatare.

“Ebbene?” domandò Boruto, serio e conciso come sempre.

Kumo fece inclinare la testa di lato. “Uno dei figli… trovato… artefatto… dal tempio,” disse.

Tutti e sette i ragazzi annuirono con fervore. “Portalo qui,” disse Sora.

Il marionettista fece schioccare le dita. Dopo nemmeno cinque secondi, il suono legnoso e raccapricciante delle giunture delle marionette che si muovevano prese ad echeggiare nella stanza. Una serie di tredici burattini di legno apparve nello studio dalla galleria più grande della caverna, intenti a reggere sopra le loro teste con le braccia un gigantesco oggetto dall’aspetto antico.

E, appena la luce delle torce illuminò l’oggetto in questione, Boruto, Mikasa, Sora e tutti gli altri trattennero il fiato. Le loro bocche si spalancarono per lo stupore. Quando avevano letto nel rotolo dell’Akatsuki dell’antico bollitore da Tè che il popolo della Terra del Vento aveva usato per combattere l’Ichibi sin dai tempi antichi, i giovani si erano immaginati che esso fosse un vecchio e rozzo vaso di ceramica o una roba simile. Ma questo, questo era qualcos’altro.

L’artefatto era alto quindici, forse venti piedi, e grande quasi il doppio in larghezza. Era interamente fatto in pietra di color sabbia, simile all’argilla, ed era ornato nella sua parte centrale. Il corpo era perfettamente liscio e simmetrico nella sua forma, con un elegante collo e delle maniglie su cui erano incisi dei motivi floreali. Nella parte centrale, un grosso mosaico del deserto era stato inciso nella pietra; con dune di sabbia a perdita d’occhio, nuvole che fluttuavano pigramente, palme verdi e un fiume tortuoso da cui nascevano fili d’erba.

“Porca p*****” imprecò Gray appena lo vide, allibito. “Questo sarebbe l’artefatto che cercavamo?”

Kumo annuì, un movimento meccanico e repentino della testa. “Ma come è possibile che un oggetto simile non sia stato custodito da qualcuno fino ad oggi?” domandò Boruto, incredulo. “Era davvero abbandonato all’interno di un tempio?”

“Non proprio,” lo corresse una marionetta vivente. La sua voce era metallica e meccanica. “Era nascosto. Abbiamo dovuto scavare le pareti di una sala cerimoniale per trovarlo. Era stato nascosto lì dentro da secoli.”

Le marionette agirono subito dopo. Con un movimento lento e automatico, cominciarono tutte insieme ad abbassarsi col corpo e con le braccia, poggiando delicatamente per terra l’antico artefatto con un tonfo leggero. Poi, come un branco di formiche, si dileguarono dalla stanza con dei suoni metallici e legnosi. Boruto si alzò immediatamente in piedi, avvicinandosi al gigantesco artefatto per esaminarlo col suo occhio destro.

“Interessante,” disse, allibito. “Tutto il vaso è letteralmente impregnato d’energia. Non ho idea di come sia possibile una cosa del genere, ma è proprio vero che possiede un chakra particolare. È diverso da qualsiasi altro tipo di chakra che ho visto finora.”

Kumo si portò accanto a lui. “Allora… cosa facciamo?”

Boruto ghignò. “Ci mettiamo all’opera,” rispose.
 


10 Novembre, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Campo di Addestramento del clan Hyuuga
10:00

“Ha!” grugnì Himawari, inviando una raffica di colpi verso sua madre.

Hinata tenne salda la sua posizione, irrigidendo il corpo e schiaffeggiando via ogni palmo che schizzava contro di lei con facilità e destrezza, costringendo la bambina a raddoppiare i suoi sforzi. Il volto di sua figlia si contorse in un’espressione di frustrazione, decisione e ammirazione. Quando combatteva e si allenava, la sua solita espressione afflitta e piena di rammarico e dolore – sia fisico che emotivo – spariva dal suo viso. Era uno dei pochissimi momenti in cui Hinata si permetteva di dimenticarsi momentaneamente di quanto fosse spezzata la sua famiglia.

I colpi rotanti di palmo di Himawari le si scagliarono addosso, e lei li deviò tutti con grazia. La bambina barcollò e cadde all’indietro, agitando impotentemente le braccia e le gambe. Hinata sorrise mentre il suo petto ansimava per lo sforzo. “Ben fatto, Hima,” disse, sedendosi accanto a sua figlia. Era stata una bella mattinata quella. Era calda, e le estese collinette erbose e i boschi radi della tenuta estiva degli Hyuuga erano bellissimi in questo periodo dell’anno. Le loro foglie autunnali colorate di rosso e giallo erano gradevolmente piacevoli alla vista. E poi, allontanarsi da casa faceva bene ad entrambe. Le teneva lontane dal dolore e dai ricordi. Dal ricordo di ciò che avevano perso, e che rischiavano ancora di perdere ulteriormente.

La donna passò una mano sulla testa della figlia per liberarla dai ciuffetti di erba impigliati nei suoi capelli. “Nessun dolore?” chiese.

Himawari scosse leggermente la testa, toccandosi il sigillo sul collo con una mano. Il dolore era sparito completamente, ma nessuno era ancora riuscito a rimuovere o decifrare quel Sigillo Maledetto che Boruto le aveva impresso addosso. Quando Jin Uzumaki era giunto nel Villaggio un paio di settimane fa, aveva esaminato per giorni e giorni il marchio che lei, Sarada e Shikadai avevano ricevuto, ma nemmeno lui era riuscito a comprendere a cosa servisse. Né era stato in grado di rimuoverlo. Qualunque cosa le avesse fatto Boruto, sembrava impossibile da decifrare.

Alla fine, vedendo che il Sigillo non sembrava avere effetti negativi sui loro corpi, Jin era tornato nella sua Terra, con la promessa di continuare a studiarlo per trovare un modo di rimuoverlo. E i tre ragazzi erano rimasti perennemente sotto costante osservazione. Fino ad oggi.

“Bene,” disse allora Hinata, ritirando la mano. “Sakura e Tsunade-sama sono i migliori medici del mondo. Sapevo che potevano farti guarire.”

Himawari strinse le labbra. “Però non è abbastanza, mamma,” disse. “Non sono ancora guarita completamente. E Tsunade-sama dice che potrei non guarire mai del tutto.”

Hinata sospirò. “Ha detto che la tua guarigione sarebbe stata lenta e che avresti sperimentato un leggero calo di forze ed energie prima del periodo di crescita,” spiegò. Aveva parlato a lungo, sia con Tsunade che con Sakura. Si fidava di entrambe. Sapeva che sarebbero riuscite a curare sua figlia, e sapeva che non avrebbero mai potuto mentirle. “Devi solo avere pazienza. La tua forza tornerà col tempo.”

Himawari annuì, e le lacrime ripresero a formarsi nei suoi occhi a quel punto. Le ammiccò con le palpebre, girandosi con la testa in modo da non farle vedere a sua madre, ma Hinata le notò lo stesso. La donna sentì il suo cuore spezzarsi a quella visione. Non sapeva cosa fare. Non sapeva cosa dire. Quindi si limitò a passare le dita tra i capelli di sua figlia, sperando di poterle fornire un minimo conforto.

Rimasero entrambe sedute lì, nel mezzo della radura, per un po' di tempo.

“Mamma?” disse ad un certo punto la bambina. “Perché pensi che Sarada sia riuscita ad essere abbastanza forte da accettare di vivere senza suo padre, ma Boruto invece no?”

Hinata abbassò gli occhi con dolore dopo quella domanda. Quello era un quesito che anche lei si era posta molte, moltissime volte. Ma non avrebbe mai, nemmeno sotto tortura, avuto la forza di dirlo ad alta voce. Dopotutto, lei lo aveva visto. Aveva visto come l’assenza di Naruto avesse cominciato a divorare e straziare l’animo di suo figlio quando era piccolo. Aveva visto come essa era riuscita a distruggere la sua felicità e il suo amore fino a quando non scomparvero dal suo cuore. E lei aveva cercato di rimediare, all’epoca. Hinata aveva cercato di includere Boruto nelle sue attività proprio per questo motivo. Lo aveva portato con sé a fare spesa, gli aveva insegnato le basi della scrittura. Lo aveva persino addestrato nei primi passi del Pugno Gentile prima ancora che avesse l’età in cui gli allenamenti del clan iniziavano ufficialmente. I ricordi di quei momenti erano i più belli che possedeva con Boruto.

A volte, Hinata sentiva la sua rabbia ribollirle nel cuore. Nei confronti di Naruto. Nei confronti di sé stessa. Ma lei sapeva che non era colpa di Naruto. Lui era l’Hokage. Aveva un dovere sulle sue spalle. Un dovere che, sfortunatamente, gli imponeva di sacrificare la propria felicità personale per assicurarsi che le persone del Villaggio fossero al sicuro e potessero essere felici. Le varie famiglie degli Hokage venivano sempre tenute in grande considerazione per il sacrificio che facevano, rinunciando a quella parte della loro famiglia.

Eppure, lei sapeva che per quanto le loro azioni avessero ferito Boruto, esse avevano ferito anche Naruto. Poteva ricordare chiaramente la notte in cui lei gli aveva detto di essere incinta. Naruto era scoppiato in un tenerissimo pianto di lacrime e felicità. Le aveva detto che aveva sempre desiderato una famiglia da bambino. Di come avesse sempre sognato di avere una madre e un padre, e poi di come i suoi sogni fossero cambiati, facendogli desiderare dei figli. Naruto aveva sempre desiderato una famiglia, proprio come Boruto.

Boruto era la luce nella vita di suo marito. E adesso, quella luce stava tremolando pericolosamente, col rischio di spegnersi per sempre.

“Mamma?” la voce di Himawari la riscosse da quei pensieri. I suoi occhioni azzurri, così simili a quelli di suo padre e suo fratello, brillavano intensamente mentre la guardavano.

Hinata sospirò. “N-Non lo so, Hima,” rispose lei, la sua voce bassa e triste. “Sarada non è forte come fa sembrare. Anche lei è triste, anche se lo nasconde meglio di altri, penso.” Fece una pausa. “Penso che lei cerchi di essere forte per Sasuke. E in questo che lei e Boruto sono diversi. La gente sussurra voci strane su Sasuke ancora oggi. Sarada sta cercando di essere forte per dimostrare che hanno torto. Per dimostrare che suo padre non è ciò che la gente crede. Che gli Uchiha non sono un clan maledetto,” spiegò. Ancora oggi, Hinata stessa non riusciva a togliersi dal cuore quel minuscolo sentimento di rabbia e – osava dire – odio nei confronti di Sasuke per aver tentato di uccidere Naruto. Quella era una cosa che lei non avrebbe mai potuto perdonargli.

“E Boruto?” insistette Himawari.

“E Boruto… penso che, in un certo senso, per lui sarebbe stato meglio se Naruto fosse stato come Sasuke. Distante. Sempre lontano dagli occhi della sua famiglia. Per Boruto, la sua figura da Hokage era un ricordo costante di ciò che avrebbe potuto avere, ma che non ha mai avuto. L’amore e la felicità che desiderava erano sempre davanti ai suoi occhi… ma sempre fuori dalla sua portata. Penso che sia stato questo a spezzarlo completamente. Era sempre vicino ad ottenere ciò che voleva, ma non ci riusciva mai,” disse debolmente sua madre.

Himawari annuì, e le due non dissero e fecero più nulla per un po'.

“Pensi che tornerà mai a casa?” chiese poi la bambina, dopo pochi minuti.

Hinata guardò sua figlia. “Certo,” rispose, mentendo. Doveva farlo. Per sua figlia. Per sé stessa. Doveva avere speranza. Doveva sperare che la loro famiglia potesse ancora essere riparata. “È testardo come suo padre, ma un giorno sono certa che tutto si risolverà per il meglio.”

La donna poteva solo pregare che questo fosse vero.
 


17 Novembre, 0015 AIT
Montagna al Confine tra il Paese del Vento e della Terra
Nascondiglio di Kumo
20:43
 
L’opera andò avanti per una settimana intera.

Mikasa entrò nella stanza con passi leggeri e silenziosi. Era stata rivendicata come il laboratorio in cui Boruto e Kumo avrebbero lavorato sull’artefatto.

Era un disastro.

C’erano letteralmente migliaia e migliaia di montagne di rotoli e pergamene, innumerevoli pozzanghere d’inchiostro e decine di spazzole e pennelli abbandonati che riempivano il pavimento della stanza. La nera si scostò una ciocca di capelli dagli occhi. Era passato troppo tempo, e ancora quei due non avevano finito i preparativi sul vaso per poter dare ufficialmente inizio all’operazione di cattura dell’Ichibi. L’attesa stava diventando snervante per lei e gli altri ragazzi.

Kumo sedeva all’estremità della stanza. Due pergamene stavano agli angoli della parete accanto a lui, distesi in modo che le pergamene aderissero al muro. Dalle sue dita, innumerevoli fili di chakra si estendevano e manipolavano decine di pennelli intrisi d’inchiostro. Ognuno lavorava su un paragrafo separato, disegnando caratteri arcaici sui fogli in rapida successione. Il marionettista sembrava più spaurito del solito. I suoi capelli, bianchi come la neve, erano disordinati e sporchi di sabbia. Indossava sempre lo stesso camice leggero da laboratorio sudicio e pieno zeppo di buchi.

Boruto invece si era moltiplicato. C’erano sei copie di lui. Quattro sedevano assieme, schiena contro schiena, vicino all’estremità opposta della stanza rispetto a quella dove stava Kumo. Come lui, anche loro avevano diversi rotoli e pergamene appoggiati ai muri e al pavimento. Apparentemente, il marionettista scheletrico gli aveva insegnato come creare fili di chakra. Non era una cosa difficile, considerando la sua abilità a manipolare l’energia grazie agli addestramenti del clan Hyuuga. Ogni clone aveva una manciata di pennelli che danzavano ad ogni piccolo movimento delle sue dita, mentre anch’essi scrivevano infiniti caratteri arcaici sui fogli.

Gli altri due cloni avevano compiti diversi. Uno, notò Mikasa, stava seduto davanti ad un grande rotolo. Non usava fili di chakra come facevano gli altri. Invece, faceva le cose con calma. Lentamente, scriveva caratteri su caratteri per diverse righe, con minuziosa attenzione. Poi rilesse il suo operato e, scuotendo la testa, scartò l’intero paragrafo e ricominciò daccapo.

L’ultimo Boruto, che la ragazza dedusse fosse l’originale, sedeva da solo, vicino ad un angolo spoglio della stanza. Fissava un singolo foglio con un’intensità morbosa. Su di esso stavano scritti i caratteri della parola ‘Fuuin’ (Sigillo).

“Qualche progresso?” domandò Mikasa, appoggiandosi al muro e guardandolo dall’alto in basso.

Boruto si lasciò sfuggire un lungo e lacerato sospiro dalle labbra. “Un po' qui, un po' là,” rispose, indicando i quattro cloni seduti assieme. “Stanno lavorando alla seconda di cinque pergamene che abbiamo bisogno di alterare per modificare l’energia sigillante dell’artefatto. Kumo ha completato la terza pergamena due giorni fa, e adesso sta lavorando alla quarta. Probabilmente siamo a metà del lavoro.”

La nera annuì e il suo sguardo trovò il clone frustrato e solitario. Lo vide ringhiare e buttare giù il pennello. “Ehi, ti ho visto!” urlò l’originale. “Torna al lavoro!”

Il clone sbruffò e batté un piede per terra, ma raccolse il pennello. “Va bene, va bene,” ringhiò sottovoce, esasperato.

“Mister Allegria laggiù sta lavorando invece su una mia nuova Tecnica che voglio sperimentare quanto prima. È più difficile di quanto pensavamo,” spiegò l’Uzumaki.

“Ancora nessun passo avanti?” chiese lei, incerta se avesse dovuto fare quella domanda.

Boruto scosse la testa. “È come se ci fosse un blocco. Il chakra è lì, vuole fare qualcosa, ma semplicemente non sa come. O io non so come…” ammise.

Mikasa si limitò ad annuire, incerta su cosa dire. Lei non era esperta in materia come lui. Boruto sospirò. “Allora, come procede il tuo allenamento? Ti sei addestrata con Sora?” chiese alla fine lui.

Lei annuì di nuovo. “Sta andando bene,” rispose. “Sto lavorando per raffinare e rafforzare la mia potenza. Se riuscissi a colpire il Monocoda e a togliergli parte della sua sabbia dal corpo, è possibile che Sora o uno delle marionette di Kumo possano trasformare la sabbia in vetro prima che la bestia abbia la possibilità di rigenerarsi. E se riusciremo ad attirare il Bijuu sui terreni rocciosi, la mia Arte del Fulmine combinata con la tua e con gli attacchi degli altri potrebbe rivelarsi utile.”

“Buona idea,” disse Boruto. Avevano discusso molte volte durante questa settimana per decidere una strategia. Stavano, lentamente ma inesorabilmente, costruendo un piano d’attacco che a parere di tutti avrebbe assicurato loro la massima possibilità di successo contro l’Ichibi. Il loro avversario era un Demone. Un mostro più forte di quanto potessero anche solo immaginare. Non potevano permettersi di essere impreparati contro di lui.

Mikasa sorrise. “Sora sta continuando a migliorare nelle sue Tecniche di Acqua e Terra,” lo informò ancora. “Juvia gli sta dando una mano. Gray e Shirou si allenano a loro volta con Mitsuki. Come vedi, tutti si stanno dando da fare mentre tu resti chiuso qui dentro,” scherzò la nera.

Il biondino ridacchiò. “Sono fiero di voi,” disse con orgoglio.

Mikasa lo guardò con timore. “Allora… quando saremo pronti?” chiese alla fine.

Boruto ricambiò il suo sguardo con serietà. “Presto,” rispose.
 


17 Novembre, 0015 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Ufficio dell’Hokage
11:09

“Sarada Uchiha al rapporto, Hokage-sama,” esclamò Sarada mentre stava in piedi e immobile davanti alla scrivania dell’Hokage. C’erano due enormi pile di documenti su di essa, una su entrambi i lati della scrivania. Nel mezzo delle due ‘torri’, Naruto prendeva una pagina dalla pila di destra, la leggeva velocemente, poi imprimeva il suo marchio su di essa e infine la poggiava sulla pila di sinistra. Meccanicamente. Come una macchina. Foglio dopo foglio.

Ad un certo punto l’Hokage sospirò, flettendo le dita e scuotendo il torpore nelle sue mani dovuto ad ore ed ore passate a compilare moduli. “Non c’è bisogno di essere così formale, Sarada,” sospirò.

“Sì, Hokage-sama,” lo ignorò lei. L’Uchiha gli avrebbe mostrato lo stesso rispetto che lei avrebbe richiesto ai suoi subordinati quando sarebbe diventata Hokage.

Il Settimo sospirò di nuovo. “Come sta andando la tua terapia fisica?”

Sarada fu colta alla sprovvista da quella domanda. Non pensava che Naruto-sama avrebbe preso del tempo dalla sua schedule evidentemente impegnata per fare quattro chiacchiere con lei. “Bene,” rispose. “Tsunade-sama ha aiutato moltissimo sia me che Himawari, e ci stiamo riprendendo molto più velocemente di quanto avesse previsto.”

“Bene, molto bene,” disse l’Hokage, leggendo pigramente un altro documento mentre i suoi occhi e la sua attenzione si spostavano tra le parole del foglio e lei. Sembrava quasi riflessivo, pensò Sarada. “Immagino sia per questo che Sakura mi ha chiesto di affidarti una missione.”

Sarada sogghignò. Non riuscì a contenersi. Era ciò che aveva sperato. “Mi ha detto che stavi uscendo pazza,” aggiunse il Settimo.

L’Uchiha si costrinse a mantenere un’espressione seria. “Solo un po', Hokage-sama,” ammise.

Naruto sospirò, stropicciandosi gli occhi con i palmi delle mani. “Sasuke mi ucciderà quando verrà a sapere che ti ho dato una missione mentre eri ancora in terapia fisica,” piagnucolò il biondo.

Sarada vide che le possibilità che le venisse affidata una missione stavano diminuendo. Doveva agire. Non avrebbe permesso di lasciarsi sfuggire un’occasione del genere. “La prego, Hokage-sama,” disse lei. “Ne ho bisogno. Sono pronta e carica per una missione. Non ce la faccio più a restare ferma.”

Naruto annuì. “Sì, lo sei,” ammise. “E sei anche la figlia del mio migliore amico. Vedrò cosa posso fare per rimetterti in servizio il prima possibile. Te lo assicuro.”

“Grazie, Hokage-sama!” esclamò seriamente lei.

Il biondo inarcò un sopracciglio. “Hai intenzione di rivolgerti a me sempre così formalmente?” domandò, confuso. “Sto cercando di essere più informale coi miei subordinati.”

Questa cosa la fece riflettere un secondo. “Ma lei è l’Hokage…” disse, confusa.

“Sì, ma mi fa sentire a disagio,” scherzò Naruto, portandosi una mano dietro la schiena e sorridendo con imbarazzo. “Non mi piace essere sempre serio. Sai, a volte sono così maldestro che Shikamaru e gli altri consiglieri hanno persino cominciato a chiamarmi Nanadaime Bukiyo-sama (Settimo Re dei maldestri)” rivelò con sarcasmo.

Sarada non poté evitare di emettere una risatina all’udire ciò, e il giovane Hokage davanti a lei scoppiò a ridere a sua volta imbarazzatamente, il suo volto più sereno del solito. “Davvero?” gli chiese lei.

Naruto annuì, grattandosi il collo. “Già. A quanto pare non posso fare a meno di combinare pasticci,” ammise scherzosamente. “Eppure credevo di essere diventato meno maldestro negli ultimi anni…”

L’Uchiha rise, e le labbra del Settimo si incurvarono in un sorriso sereno. Il primo che Sarada gli vedeva in volto da moltissimo tempo. “Comunque sia, ti affiderò una missione per domani mattina,” disse, tornando alla serietà. “Una missione strettamente diplomatica. Sarai sotto il comando di Moegi, e verrai accompagnata da due Jonin. Il vostro obiettivo sarà quello di aprire delle trattative con il clan Inugami, assicurando il loro sostegno alla Foglia,” spiegò.

“Il clan Inugami?” ripeté lei. Non aveva mai sentito quel nome prima d’ora.

“Sono dei cugini distanti del clan Inuzuka,” rivelò il Settimo Hokage. “Si sono separati dal clan principale durante la fondazione di Konoha a causa di disaccordi con la leadership. Sono un potente alleato, ma da sempre restano in disaccordo con la Foglia a causa del coinvolgimento del clan Inuzuka nel Villaggio. È nel nostro principale interesse che restino nostri alleati e non si facciano amicizie nelle altre Nazioni.”

Sarada annuì. Meglio tenersi stretti gli amici, e ancora più stretti i nemici. “Giusto,” disse.

Il Settimo le fece un cenno con la testa. “Partirai per la missione domani mattina. Incontrerai gli altri al cancello principale,” disse. “Puoi andare.”

Sarada accennò un inchino, uscendo dall’ufficio con un sorriso stampato in faccia. Finalmente poteva tornare a svolgere missioni. Era quello che stava aspettando da tempo.
 


20 Novembre, 0015 AIT
Terra del Vento
Deserto
09:00

Boruto si osservò intorno dalla cima di una colonna di roccia solitaria. In tutte le direzioni, per quanto lontano l’occhio potesse vedere, c’era solo sabbia. Sotto di lui, una distesa di roccia si estendeva per diverse centinaia di metri in ogni direzione.

Era un punto di riferimento famoso in quel punto del deserto. ’Albero del Diavolo’ lo chiamavano le persone del posto. L’unico terreno solido nel deserto per miglia e miglia. Come un iceberg, solo la punta della roccia si innalzava in alto nel cielo. Sotto la sabbia, c’era una vera e propria montagna di pietra sepolta dalle sabbie mobili.

Era perfetto.

Il posto ideale per reclamare ufficialmente il suo titolo di criminale di rango S.

Il posto ideale per domare un Demone codato.

Boruto ghignò feralmente.

Non vedeva l’ora di iniziare.








 
Note dell'autore!!!

Salve a tutti gente! Ecco a voi il nuovo capitolo. Spero vi sia piaciuto.

Non c'è che dire. Boruto tende sempre a ficcarsi in situazioni indesiderabilmente pericolose. Il fatto che abbia deciso di combattere contro un Bijuu è la prova che non riesce proprio stare lontano dai guai (e anche che sta diventando piuttosto arrogante). Ma quello che lo spinge a muoversi è il suo senso di giustizia. Shukaku è da sempre stato incline ad attacchi di follia, e la sua brama di sangue sta causando morti e stragi di innocenti. Boruto Uzumaki, per quanto sia un traditore e un reietto dal cuore spezzato a causa della guerra e della sua situazione familiare, non può restarsene a guardare.

In questo capitolo ho cercato di dare spazio anche ad altri personaggi per non fossilizzare l'attenzione solo su Bolt. E anche per dare un senso di scorrimento del tempo alla vicenda. Dopotutto, le cose cambieranno molto presto per tutti loro.

Nel prossimo capitolo vedremo una battaglia che cambierà per sempre le redini del mondo.

Vi invito come sempre a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo. 

A presto!
   
 
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