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Autore: EstherLeon    28/09/2018    1 recensioni
Nuova Generazione.

Hogwarts è tornata definitivamente ad essere il luogo più sicuro del mondo magico, ma ci sono problemi dai quali neanche il Castello può salvarti se si è adolescenti. 
Così accadrà per la determinata Rose Weasley, costretta a dover sopportare il ragazzo che dal nulla si ritroverà sulla sua strada: Scorpius Malfoy. E non ci si può certo dimenticare di Roxanne Weasley, pronta a dover fare i conti con ciò che realmente significa per lei l’amicizia secolare condivisa con Lysander Scamander; di un Fred Weasley degno erede di suo padre, impegnato a sfuggire dall’incorruttibile Caposcuola Eleanor Wells; della radiosa Dominique Weasley, giudicata da tutti troppo libera di spirito, ma non dal misterioso Jonathan Steel; del combattivo Albus Potter, che lentamente dovrà scoprire Lorcan Scamander; di James Potter, soffocato da responsabilità che solo l’indipendente Evie Jordan riuscirà ad alleviare; e della dolcissima Lucy Weasley, improvvisamente travolta dall'uragano Charlie Chang.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Fred Weasley Jr, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione, Da Epilogo alternativo
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II. Caposcuola diligenti e Prefetti inadempienti.
 

Il Lago Nero, per quanto nelle sue profondità nascondesse pericoli immani e mostruosità di vario genere, persisteva ad avere quell’aspetto di calma e quiete che tanto giovava agli studenti di Hogwarts dopo una giornata piena di lezioni.
D’inverno le rive del Lago divenivano desolate, fatta a eccezione per qualche coraggioso studente che, pur di trovare un attimo di pace, decideva di sfidare il freddo scozzese, ma a settembre inoltrato, quando ancora le giornate non erano completamente buie, diventava uno dei luoghi più frequentati del Castello.

Vi era però chi dalle sponde di quella nerissima distesa d’acqua non cercava tranquillità, ma l’ennesima occasione per adempiere al proprio dovere.
Eleanor Wells, di fatti, sedeva compostamente su una panchina, accompagnata dall’amica Evie Jordan, a scrutare ogni movimento degli studenti che le passavano di fronte, in attesa di poter finalmente mettere alla prova le sue capacità di Caposcuola.
Fin dal suo primo anno, Eleanor era stata uno dei più grandi orgogli di Corvonero: sempre il massimo dei voti, pronta ad aiutare chiunque avesse bisogno, ottime relazioni sia col corpo insegnanti sia con quello studentesco.
Nessuno era rimasto sorpreso quando, due anni prima, la ragazza era tornata a scuola con il vistoso stemma da Prefetto cucito sulla divisa; né tantomeno ci furono grandi reazioni quello stesso anno, quando il tanto agognato titolo di Caposcuola le fu finalmente assegnato.

« Lo sai vero che non c’è bisogno della tua vigile attenzione ventiquattro ore su ventiquattro?» Disse Evie, Grifondoro anche lei del settimo anno.
« Questo è quello che credi tu, ma basta anche solo un secondo di distrazione per fare sì che questa scuola esploda!» Le rispose convinta Eleanor ed Evie non poté fare altro che guardarla con un sopracciglio inarcato: forse, all’amica era leggermente sfuggita la situazione di mano.
D’altronde, da quando aveva subito quel tremendo attacco alla Sala Comune di Corvonero - fuochi d’artificio, Evie! Ti rendi conto? Poteva saltare in aria tutta la Torre! - la guardia della Caposcuola era esponenzialmente aumentata.
Improvvisamente, probabilmente guidata dal suo sesto senso o dalla repentina visione di una figura che conosceva fin troppo bene, la sua attenzione fu completamente catturata da un particolare gruppetto di studenti intenti a parlare tra loro nascosti dietro ad un albero.
Le gambe di Eleanor si mossero ancor prima che il cervello potesse realizzare cosa stesse succedendo e ben presto si ritrovò in piedi a camminare spedita verso quella direzione.
« Ellie, dove stai andando?» Dovette quasi urlare Evie, osservando l’amica con gli occhi sgranati.
« Weasley ad ore dodici! Stavolta non la scampa!» Ribatté sicura la Corvonero, con l’animo che ardeva di una ritrovata motivazione.

 

« Frederick Weasley!»
Il suddetto ragazzo, riconosciuta la voce - e soprattutto il tono per niente amichevole - che lo aveva appena chiamato, ebbe un sussulto: in un istante nascose dentro al proprio mantello il quadernino che fino a poco prima stava mostrando ai due ragazzi che aveva attorno, e, preso un lungo respiro, si voltò a fronteggiare Eleanor con il sorriso più finto che riuscisse a stamparsi in faccia.
« Eleanor, cara! Quanto tempo!» Parlò poi, puntando gli occhi scuri in quelli accesi - di rabbia forse? - di lei.
« Non ci provare, ti ho visto con i miei occhi!» Puntò i piedi al suolo Eleanor, mettendo le mani sui fianchi e assumendo una posa alquanto autoritaria.
« Oh, cara! Lo so benissimo che non riesci a distogliere il tuo sguardo da me!»
La Corvonero ebbe la brillante idea di contare mentalmente fino a dieci, se avesse dato ascolto al primo istinto che le nacque dopo le parole di lui, molto probabilmente sarebbe finita col friggere il cervello di Fred Weasley con un misuratissimo Cruciatus.
L’espressione che poi si stampò in viso non dev’essere stata delle più serene, perché i due studenti che poco prima stavano discutendo con Fred decisero di darsela a gambe.
Il Grifondoro non ebbe la stessa intuizione: rimase immobile a fronteggiare la ragazza, con l’espressione fiera di chi era convinto di farla franca.

« Accio quaderno!»
Fred non comprese quanto Eleanor lo avesse colto con le mani nel sacco fino a quando non vide l’oggetto che aveva nascosto dietro al mantello svolazzare in aria fino a posarsi, sicuro, tra le mani di lei.
La vide guardarlo con sguardo vittorioso e notò il modo in cui le labbra le si incurvarono in un ghigno compiaciuto, e pensò che le sue occasioni per uscirne intonso stavano diminuendo drasticamente ad ogni secondo che passava.
Se fino a poco prima la sicurezza era il sentimento che più lo dominava, ora Fred Weasley cominciava a provare un certo timore.
«Weasley, stai davvero piazzando scommesse illegali a scuola!?» Sbraitò Eleanor, una volta aperto il quaderno e dopo averne sfogliato qualche pagina.
« Oh, no, tesoro! È solo la tua immaginazione! Che mente creativa che hai!»
La Corvonero lo fulminò con lo sguardo e pensò bene di reagire alla faccia da schiaffi di lui sbuffandogli vistosamente contro.
« Bene, allora non avrai niente in contrario se porto questo innocentissimo quaderno alla Preside McGonagall! Sono sicura avrà una grande immaginazione anche lei!» Concluse perentoria lei, prima di voltarsi e cominciare ad allontanarsi dal ragazzo, che d’altra parte adesso la guardava con un’espressione di puro terrore.

A prima vista Eleanor non avrebbe intimorito neanche il più pavido dei codardi, lei che a primo impatto era solamente una esile ragazzina di diciassette anni dai tratti rassicuranti: pelle diafana - toccata raramente dalla luce solare per via delle giornate passate chiusa in Biblioteca - capelli biondi, il più delle volte raccolti in una coda alta, e corporatura a tratti troppo magra.
Ma i suoi occhi, verdi con striature marroncine, quando brillavano di rabbia erano in grado di terrorizzare chiunque e qualunque cosa.

 

« Eleanor! Ellie, cara!» Cominciò a pregarla Fred, mentre la rincorreva con urgenza.
« Eleanor! Mia magnifica Caposcuola! Siamo amici da tanto noi due, no?» Addolcì il tono di voce, unendo i palmi delle mani in segno di preghiera.
« No.» Ribatté secca Eleanor, ma il Grifondoro ne ignorò la risposta.
« Ti prego, ti prego, no! Verrò espulso davvero questa volta! Farò di tutto, giuro! Accetterò perfino di uscire con te!»
Appena udì le parole del ragazzo, Eleanor si arrestò di colpo. Fred sperò che la sua disperata richiesta fosse andata a buon fine, ma dovette ricredersi nel momento in cui vide la smorfia inorridita che ottenne come risposta.
Evidentemente, anche solo il pensiero di andare ad un appuntamento con Fred Weasley era in grado di creare immagini di disgusto nella mente di Eleanor Wells.
« Beh, credo tu debba iniziare a pregare tutti gli dei Babbani che conosci allora!»
Disse perentoria la Corvonero, cominciando l’attimo dopo a camminare a passo più spedito.
Fu subito raggiunta da Evie Jordan, che fino a quel momento aveva osservato la scena da lontano, e Fred si ritrovò a guardarle entrambe sparire lungo il sentiero che portava al Castello.

 

Il ragazzo non riuscì a smuoversi dallo stato di catalessi in cui cadde: pensò prima alla sgridata che avrebbe ricevuto dalla Preside e poi alla Strillettera che sua madre gli avrebbe sicuramente mandato. 

Sorrise per un istante, assieme a quella Strillettera avrebbe certamente ricevuto anche una lettera di congratulazioni da parte di suo padre; ma l’attimo dopo il terrore tornò ad impossessarsi di lui e, proprio come gli era appena stato consigliato, cominciò ad elencare mentalmente il nome di tutti gli dei Babbani che conosceva.

 

 

*

 

Mentre correva per il sentiero che portava al campo da Quidditch con la pesante attrezzatura che gli penzolava da una spalla, Jonathan Steel pensò che questa volta Scorpius Malfoy, il suo Capitano, non l’avrebbe perdonato.
Non se era già in ritardo il primo giorno di allenamenti della stagione, non se era già in ritardo di almeno venti minuti.
Scorpius, in quanto suo migliore amico, aveva sempre dato mostra di grande pazienza quando si trattava di Jonathan e dei suoi clamorosi ritardi; ma se c’era qualcosa ad Hogwarts capace di incrinare qualsiasi rapporto, quella era decisamente il Quidditch.
Soprattutto se il giocatore mancante agli allenamenti in questione era il Cercatore della squadra, soprattutto se si trattava di uno dei migliori giocatori che Serpeverde aveva visto negli ultimi dieci anni.
A Jonathan d’altronde non era mai importata granché la fama che quel ruolo gli aveva portato; per lui il Quidditch era puro divertimento, l’unica valvola di sfogo che si concedeva durante l’anno scolastico.
E forse proprio per questo lasciava che il suo migliore amico Scorpius si prendesse il merito di tante vittorie che invece erano da attribuire a lui, perché in fondo - che si vincesse o si perdesse - l’unica cosa che contava veramente era giocare.

 

Perciò Jonathan quel giorno correva con la mente rivolta al migliore amico, sentendo il vento pungente di metà settembre che premeva contro la sottile divisa di Quidditch.
E ce l’avrebbe davvero fatta a fare felice Scorpius e correre spedito senza distrarsi verso il campo, se solo i suoi occhi non fossero stati improvvisamente catturati dalla figura che se ne stava sdraiata al suolo con il volto rivolto verso il cielo.
Tra l’altro non era colpa sua se proprio quella figura si trovava sul sentiero che stava percorrendo, né tantomeno che la persona in questione fosse Dominique Weasley; fu più forte di lui: Jonathan Steel dovette assolutamente capire che cosa quella ragazza - che da anni era fonte di infinite curiosità - stesse facendo.

 

« Ehm… stai bene?» Chiese cauto una volta che ebbe raggiunto la ragazza.
Ora che le stava così vicino, si permise finalmente di scrutarne ogni particolare: ne osservò il volto delicato e rotondo, la matassa di capelli dorati e ricci che lo contornavano e soprattutto i due occhi color nocciola che si puntarono su di lui una volta che finì di parlare.
« Oh, sto benissimo, Jonathan Steel, grazie mille per aver chiesto!» Rispose con sincera cordialità Dominique, stampandosi un enorme sorriso in viso.
« Cosa stai facendo esattamente?» Decise di approfondire lui e indicò con una mano la distesa d’erba su cui era sdraiata la ragazza.
« Non si vede? Mi sto godendo il sole!»
Se le parole della Tassorosso lo resero perplesso, questo non apparve affatto nell’espressione di Jonathan: si limitò a fissarla mentre lei tornava pigramente a chiudere le palpebre e a volgere il viso verso il cielo uggioso.
Dovette perfino costringersi a sopprimere una risata, non sarebbe di certo stato carino ridere così clamorosamente di lei.
Fu così che lasciò che la sua bocca parlasse naturalmente, palesando quello che era stato il suo primo pensiero.
« Beh, scommetto che anche il sole sta godendo di te!»
Non ci fu ironia nella voce del Serpeverde, tuttavia quelle parole - che per lui erano state una semplice ovvietà - giunsero alle orecchie di Dominique come la migliore delle battute.
Scoppiò a ridere fragorosamente, tanto che dovette alzarsi a sedere per non strozzarsi; quando le risate scemarono, qualche secondo dopo, tornò a rivolgere un sorriso radioso al ragazzo.
Jonathan, dal canto suo, non poté fare altro che ricambiare quell’espressione di gioia con una altrettanto divertita.
Era sempre stato abituato a veder reagire le ragazze ai suoi buffi tentativi di flirt arrossendo visibilmente e rimanendo senza parole dall’imbarazzo, ma quella era decisamente la prima volta che si trovava di fronte ad una risata così tanto sonora.
« Questa era davvero bella, Jonathan Steel! Sei spiritoso!»
Il Serpeverde provò a non sbuffare quando si sentì chiamare nuovamente per nome e per cognome, non sapeva bene neanche lui perché la cosa gli provocasse tanta ilarità.
La vide poi puntellare le braccia al suolo per cercare di rialzarsi e, senza esitazioni, fece cadere il borsone contenente l’attrezzatura da Quidditch per protendere un braccio per aiutarla.
Dominique accettò volentieri quell’appoggio e in uno scatto si ritrovò in piedi a fronteggiare il ragazzo.
Adesso che gli era così vicina, poté finalmente notarne la reale altezza: Jonathan la sovrastava di appena dieci centimetri, ma ciò non le impedì di dover alzare il viso per poter puntellare gli occhi in quelli blu di lui.

« Sei anche gentile, Jonathan Steel! Aveva ragione Rosie, forse non sei così male dopotutto!» Commentò infine, scuotendo il capo in segno di approvazione.

Non sono poi così male? Si ritrovò a ripetere mentalmente il Serpeverde, non potendo impedire al proprio cervello di chiedersi quale fosse stata l’opinione che Dominique aveva avuto di lui fino a quel momento.
« Oh, beh, grazie?» Ribatté stavolta esplicitamente sarcastico, ma la Tassorosso diede nuovamente prova di non capirne le intenzioni.
« Non c’è di che! Dico solo la verità!» Parlò Dominique senza mai smettere di sorridere e Jonathan si domandò come fosse possibile riuscire a farlo.
D’altronde però, ogni volta che aveva posato lo sguardo su di lei negli ultimi sei anni non l’aveva mai vista con un’altra espressione in viso che non fosse quella.
In cuor suo avrebbe voluto rimanere a parlare con quella bizzarra ragazza per più tempo e magari scoprire perché sembrava emanare positività da ogni poro della pelle, ma improvvisamente sentì un grido provenire dalla lontananza e nuovamente il pensiero tornò rovinosamente al suo migliore amico.
Riconobbe l’urlo provenire dal campo da Quidditch e seppe che stavolta non avrebbe potuto farsi distrarre da niente e nessuno; si rimise la pesante borsa in spalla e si voltò pronto a salutare Dominique; quando però poggiò lo sguardo verso il punto dove si era trovata poco prima, non la vide più. Guardando più in là, finalmente la ritrovò: si era già incamminata sul sentiero in direzione del Castello, lasciandolo lì solo a fissarla imbambolato.

Jonathan scosse la testa, non poteva assolutamente permettere che una Tassorosso lo distraesse oltre dai suoi impegni; si posizionò rivolto verso lo stadio e cominciò a correre più velocemente di prima, con una triste - e faticosa - consapevolezza in testa: un ritardo di mezz’ora gli sarebbe costato almeno una decina di giri di campo.

 

 

*

 

 

« Ragazzi, sono talmente stanco che potrei morire in questo momento.»
Dichiarò un fiacco Albus Potter, sdraiato scompostamente sopra al materasso del proprio letto a baldacchino.
Se c’era una cosa alla quale non sapeva resistere, di certo quella era la comodità dei letti del Dormitorio maschile di Serpeverde.
« Ti rendi conto che non sono passate neanche due settimane?» Scorpius rispose con tono canzonatorio e, senza neanche degnarlo di una sguardo, continuò a piegare alcune camicie e a riporle nel proprio baule.
« Al, devi pensare alle vacanze! è l’unico pensiero in grado di farmi andare avanti!» Si aggiunse alla conversazione Jonathan.
« Steel, tu vedi di pensare al Quidditch invece!» Fu prontamente rimproverato da Scorpius e non poté fare altro che alzare le spalle in segno di resa: sapeva bene che dopo il fallimentare allenamento di quel giorno, il suo Capitano - ancor prima di migliore amico - gli sarebbe stato col fiato sul collo per tutta la stagione.
« E comunque non serve che mi sforzi, penso già tutto il tempo alle feste che mi aspettano nella Londra Babbana.» Disse con muta rassegnazione il giovane Potter, schiacciandosi un cuscino contro al petto.
« Cos’è quell’aria da funerale? Andrai a dei rave non a dare i M.A.G.O.!»
Albus ignorò le parole che Scorpius gli rivolse; si limitò a sbuffare e a ribattere con tono ancora più demoralizzato.
« Dimentichi che i miei amati genitori non sono molto favorevoli alla cosa.»
« Oh, andiamo! Come se loro non avessero fatto di peggio alla tua età!»
« Eh, ma il Signore Oscuro è molto meno pericoloso di un rave Babbano!» Commentò questa volta con sarcasmo Albus, e sia Scorpius che Jonathan non poterono non sorridere per l’uscita dell’amico.
« Comunque hanno detto che mi lasciano partire solo se James o Rose mi accompagnano.» Aggiunse poi, e l’aria cupa e intristita tornò a impossessarsi di lui.
« Beh? Chiedilo a loro allora!» Disse Jonathan con ovvietà.
Albus si alzò in uno scatto a sedere e puntò gli occhi verdi sul viso del ragazzo che aveva appena parlato.
« Hanno detto i loro nomi perché sono gli unici due che non mi diranno mai di sì. James è vecchio dentro e Rose… beh, lei fa solo quello che vuole fare lei, è impossibile ragionarci!» Spiegò poi con esasperazione e Jonathan, comprendendo cosa gli stesse effettivamente dicendo, non poté fare altro che annuire in segno di assenso.
Scorpius d’altro canto rimase per qualche secondo in silenzio, assorto nei propri pensieri; sembrò essere alla ricerca della soluzione a tutti i problemi e forse - se avesse saputo come sarebbe terminata quella conversazione tra amici - avrebbe avuto l’accortezza di rimanere con le labbra serrate.
« Di tuo fratello non se ne parla, questo è certo. Devi insistere con la Weasley.»
« Sì, ed è proprio per questo che sono fottuto.»
« E se provassi ad addolcirla un po’? Magari con una distrazione, che ne so!» Provò a dire Jonathan e - per quanto i suoi interventi il più delle volte suscitassero alzate di occhi al cielo - stavolta si stupì di vedere gli altri due prendere in considerazione quanto da lui detto.
« Ma sì, trovagli un ragazzo con cui uscire! Alle ragazze piacciono quelle cose!»
Toccò a Scorpius l’ingrato ruolo di venire deriso per le proprie parole: quando terminò di parlare, infatti, Albus per poco non si strozzò per le risate che gli nacquero spontanee mentre Jonathan si lasciò sfuggire una risata di divertimento.
« Chiaramente non conosci Rose abbastanza! Lei non esce coi ragazzi, lei se li mangia vivi!» Riuscì a dire tra le sghignazzate il giovane Potter, probabilmente gustandosi mentalmente l’immagine di sua cugina che usciva ad un appuntamento come se fosse stata una qualsiasi ragazza normale.
« Sì, certo, come se esistesse davvero una ragazza del genere!» Disse Scorpius gonfiando il petto, talmente pregno di orgoglio maschile che dovette addirittura emettere uno sbuffo in risposta a ciò che gli era appena stato riferito.
Lui, che di ragazze ne aveva conosciute tante nel corso della sua vita e tante altre era riuscito a conquistarne, era fiero di poter affermare che per lui non vi erano segreti riguardo il gentil sesso: chi più rapidamente delle altre e chi meno, prima o poi tutte si arrendevano ad un ragazzo che sapeva dimostrarsi affascinante e interessato.
Nel vedere il miglior amico dimostrare evidente sopra stima di sé, Albus fu colto da una illuminazione improvvisa; si stampò in viso un ghigno degno del Serpeverde che era e, con la più totale innocenza, aprì bocca per fare una proposta a Scorpius.
« Sai che c’è? Hai ragione, non è una cattiva idea… perché non ci provi per un po’ con Rose? Tanto per ammorbidirla! Sono sicuro che se poi gli dirò che ci sarai anche tu a Londra quest’estate, vorrà sicuramente venire!»
« Io? Sei impazzito!?» Fu la sobria reazione di Scorpius.
« Sì, perché proprio lui? Non sapevo che a Rose piacessero i ragazzi brutti!» Decise di canzonarlo Jonathan e in tutta risposta ricevette un’occhiata di fuoco da parte dell’amico.
« Ah, sì? Perché non lo fai tu allora?»
« Perché Rose ed io andiamo d’accordo e ciò vuol dire che mi ha già rifiutato a priori nella sua mente.» Ribatté con ovvietà Jonathan, scrollando le spalle.

 

Era vero, Jonathan Steel era forse uno dei pochi ragazzi in tutta Hogwarts - fatta a eccezione per i numerosi parenti - che non era mai stato maltrattato o preso a cattive parole da Rose Weasley.
Nemmeno lui avrebbe saputo spiegare il perché, ma aveva il presentimento che ciò fosse perché i commenti taglienti di lei lo avevano sempre fatto divertire a tal punto che, invece di incupirsi e offendersi come facevano tutti gli altri, aveva sempre reagito con un grande sorriso stampato in viso.
D’altronde, nemmeno Rose Weasley avrebbe potuto prendere in antipatia un ragazzo che comprendeva la sua - per quanto aperta ad interpretazioni - ironia.

 

« Sì, Scorp! Sei perfetto per questo! Sei l’unico in grado di tenerle testa, saresti un’ottima distrazione!» Ora negli occhi di Albus non vi era più alcuna traccia di tristezza, le iridi verdi erano tornate a brillare come loro solito.
Scorpius non dovette pensarci su più di tanto, incurvò le labbra in una smorfia che tanto sembrava urlare ‘ma, sì, perché no!?’ e alzò una spalla con fare di indifferenza.
« Va bene, tanto quanto può essere difficile? È una ragazza come tutte le altre, sarà facile.» Disse poi, dando prova di grande sicurezza.

« Amico, chiaramente non conosci affatto Rose Weasley!»

Stavolta fu il turno di Jonathan a rischiare di strozzarsi per le fragorose risate; si scambiò un’occhiata di intesa con Albus, anch’egli altrettanto divertito, e ben presto il pensiero dell’amico che avrebbe dovuto cercare di addolcire la furia che era Rose Weasley cominciò a provocargli grande gioia: ne avrebbero di certo visto delle belle.

 

 

*

 

 

Il titolo di Prefetto non aveva mai significato nulla per Albus Severus Potter.
Quando, l’anno precedente, gli era stato conferito uno degli onori più grandi che Hogwarts potesse offrire, nemmeno un briciolo di entusiasmo lo aveva attraversato.
Forse perché in cuor suo sapeva di non aver mai fatto nulla per meritarselo - lui che non studiava più degli altri, lui che tantomeno era attento e vigile alle lezioni - o, addirittura, una parte di sé era dell’idea che il suo cognome fosse stato decisivo per la nomina.

Ma essere un Prefetto significava tutt’altro per il resto della sua famiglia, tanto che suo padre, con la commozione negli occhi, gli aveva detto che finalmente il titolo tornava ad essere di un Potter; Albus avrebbe voluto ribattere che forse la spilla da Prefetto sarebbe stata molto meglio sulla divisa vermiglia di suo fratello James, che già per il solo fatto di chiamarsi in quel modo sarebbe stata la persona più indicata.
Eppure in famiglia erano tutti fieri di lui, il primo Serpeverde del clan Weasley-Potter, il primo tra i cugini a diventare Prefetto.

 

E così, ecco che Albus si era ritrovato anche al sesto anno a dover rinunciare alle sue amatissime ore di sonno per vagare per i corridoi del Castello alla ricerca di trasgressori del coprifuoco.
Le ronde notturne, d’altronde, erano la parte meno divertente; se essere un Prefetto avesse significato solamente il libero accesso al bagno dei Prefetti, allora Albus non avrebbe sentito il bisogno di maledire quel titolo come invece ora stava facendo mentre svoltava per immettersi nell’atrio centrale dell’ala est.
Il compito poi non si era mai dimostrato entusiasmante come avrebbe potuto sembrare in astratto: non aveva mai colto sul fatto né un trasgressore con cattive intenzioni, né tantomeno coppiette che si davano appuntamento a notte fonda.
In poche parole, essere un Prefetto era, più che un onore, una vera e propria tortura.

 

Albus fece roteare tra le mani la bacchetta con la quale stava illuminando la strada che percorreva, lasciando vagare lo sguardo tra i quadri e le figure in essi rappresentate; non poté non provare invidia, almeno loro potevano dormire beati.
Nonostante fosse probabilmente il Prefetto più distratto che Hogwarts avesse mai avuto, una volta giunto in prossimità della Biblioteca, la sua attenzione fu subito catturata dalla flebile luce che proveniva dall’uscio della porta semiaperta.
Dentro di sé si accese un briciolo di speranza, forse stavolta la ronda notturna non si sarebbe rivelata essere la solita noia mortale.

Si avvicinò alla porta della Biblioteca lentamente, stando attento a non palesare il rumore dei propri passi.
Notò immediatamente che la serratura della porta era stata visibilmente forzata con la magia, opera di qualcuno in grado di eseguire un Alohomora alla perfezione.
Appoggiò le dita sull’uscio e il più delicatamente possibile scostò la porta quanto bastava per entrare; una volta dentro, si apprestò a camminare in prossimità di un folto scaffale in direzione della luce: più si avvicinava e più questa diventava intensa.

 

Se però la sua mente aveva pensato di scoprire chissà quale scena scabrosa, dovette presto rassegnarsi all’idea che lui ad Hogwarts non avrebbe mai trovato niente all’infuori dell’ordinario.
Forse per questo avrebbe dovuto ringraziare suo padre Harry; probabilmente tutti i misteri nascosti nel Castello erano già stati svelati da lui molto tempo addietro.

Ciò nonostante, lo spettacolo che si trovò davanti non lo deluse quanto si sarebbe invece aspettato che facesse.
Nascosto dietro una pila immensa di tomi di vario genere e circondato da una cerchia di candele che gli galleggiavano magicamente in aria, vi era un ragazzo che Albus conosceva bene.
Lorcan Scamander, gemello di Lysander, era stato infatti suo compagno di giochi in parecchie occasioni prima di entrare in età scolastica.
Quando poi era finalmente giunto il momento di frequentare Hogwarts, Albus aveva perso completamente i contatti con Lorcan; probabilmente a causa della differenza di Case - lui rilegato nei sotterranei di Serpeverde e Lorcan in cima alla Torre di Corvonero - o forse per via della natura introversa del ragazzo, che con gli anni non aveva fatto altro che peggiorare.
Vi erano pochissime persone che potevano vantare di avere un rapporto stretto con Lorcan o addirittura di essere stati parte di una conversazione che fosse durata più di due minuti.
Tra i due gemelli, per quanto fosse paradossale, era stato Lysander ad ereditare il dono della socialità.

 

Albus rimase per qualche secondo ad osservare la scena e pensò che tra tutte le persone che conosceva, se avesse dovuto dire il nome di un folle che preferiva chiudersi in Biblioteca a leggere piuttosto che dormire, Lorcan sarebbe stato decisamente il primo a saltargli in mente.
La luce delle candele gli contornava perfettamente il viso e, assieme alla pelle naturalmente pallida, giocavano un ruolo fondamentale nel conferirgli un’aria quasi eterea.
Albus non poté fare a meno di compararlo a Lysander, con il quale aveva mantenuto i rapporti negli anni unicamente grazie a sua cugina Roxanne: Lorcan aveva un aspetto più trasandato, con i riccioli biondi che cadevano scompostamente sul viso, a differenza di quelli del gemello che venivano regolarmente tagliati; anche l’aspetto della divisa non giocava a suo favore, stropicciata e con i primi bottoni della camicia slacciati, in un chiaro segnale che al Corvonero interessasse di tutto fuorché l’opinione di chi lo circondava.

 

E proprio come se la luce delle candele, o la visione di un ragazzo tanto concentrato sui libri, lo avessero fatto cadere in trance, improvvisamente Albus si ridestò violentemente dai propri pensieri con un sussultò.
Realizzò che se si trovava lì era perché era nel pieno dei suoi doveri da Prefetto e che in quanto tale non avrebbe dovuto lasciar correre se uno studente non solo si trovasse al di fuori della propria Sala Comune in piena notte, ma che per di più aveva scardinato con la magia la porta della Biblioteca.

Si ricordò però che la punizione che sarebbe toccata a Lorcan consisteva solamente nella detrazione di qualche decina di punti, perciò perché avrebbe dovuto spendere tanta fatica per così poche conseguenze?
D’altronde non gli era mai interessato nemmeno della Coppa delle Case, a quello già ci pensavano fin troppo Scorpius e Jonathan.
Si stampò un sorriso di comprensione in viso, notando come gli occhi chiari di Lorcan non si staccassero mai dal tomo che teneva in mano, e, proprio come era arrivato, tornò sui propri passi per uscire dalla Biblioteca.
Varcò l’uscio d’ingresso accompagnando la porta dietro di sé, stando ben attento a non chiuderla, e, una volta che fu di nuovo nell’atrio buio dell’ala est, puntò nuovamente davanti a sé la bacchetta illuminata da un Lumos.

Nel giro di pochi secondi sentì il rumore di passi frettolosi che gli venivano incontro e ben presto la figura minuta ma solenne di Eleanor Wells gli si palesò davanti.

« Allora, tutto a posto qui?»
« Come al solito, cara Ellie. Una noia mortale.» Mentì con nonchalance Albus, accompagnando le parole con una vistosa scrollata di spalle.
Eleanor gli fece un gesto di assenso con il capo, si voltò verso la direzione da cui era venuta e cominciò a camminare, conscia che il Serpeverde l’avrebbe raggiunta.

Albus lanciò un’ultima occhiata alla porta della Biblioteca, prima di emettere un lungo sbadiglio e allontanarsi da lì, con in testa la sola prospettiva del suo comodissimo e verdissimo letto a baldacchino.

Forse, per essere solamente una noiosa ronda notturna, quella sera avrebbe dovuto ammettere che non era stata così traumatica come al solito.

 
  
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