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Autore: Miryel    29/09/2018    18 recensioni
Dopo un tragico incidente di percorso, durante un salvataggio, Peter Parker causa la morte di otto persone innocenti.
Il senso di colpa è logorante e Peter inizia a desiderare solo di sparire per sempre. Così decide che, l'unica soluzione per mettere a tacere quel dolore, è smettere di parlare.
Tony Stark, da parte sua, vorrebbe essere in grado di spezzare quel silenzio. Tornare a vivere una vita deliziata dalla voce di quel ragazzo che gli sta cambiando la vita e, allo stesso tempo, salvare Peter dalla convinzione di essere ciò che non è: un assassino.
[ Tony x Peter | Angst | Malinconico | Tematiche Delicate ]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ironguy and SpiderKid into the Canonverse'
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[ Starker | Tony x Peter | Angst | Malinconico | Tematiche Delicate | Word Count: 3288 ]

The Silence Remains

Starker â¤

•••



 

Capitolo IV - Enter My Silence


 

Gli occhi gli bruciavano terribilmente, colpa del fumo e la polvere che lo avevano inondato come uno tsunami, subito dopo l'esplosione. Si stropicciò un occhio, pentendosi subito dopo di averlo fatto. Ora sì che bruciava! Che stupido.

«Cos'è che si fa, in questi casi?», chiese Clint, improvvisamente, mentre fuori dalla stanza che avevano raggiunto – che a Peter sembrò una sorta di salotto, decisamente qualcosa che mai avrebbe immaginato di vedere nel quartier generale degli Avengers –, si sentivano ancora rumori di ambulanze e vigili del fuoco, quasi sicuramente ancora impegnati a sistemare la tragedia che aveva causato. Che arrogante era stato, nel pensare di poter fare l'eroe... Abbassò lo sguardo. Il signor Stark gli circondò un braccio intorno alle spalle. L’uomo sorrise subito sicuramente nel tentativo di rassicurarlo. Non riuscì a ricambiare. Si sentì in colpa per questo.

«Parker non è un Avenger. Non ufficialmente, almeno. Questo significa che non risponderà di alcuna responsabilità all’interno del nostro gruppo, ma… è chiaro che tutti noi dovremo fingere di non conoscere la sua identità, quando qualcuno dei piani alti verrà a chiederci spiegazioni. Le acque poi si calmeranno, col tempo. La gente dimenticherà questa storia e tutto tornerà come prima», rispose Natasha Romanoff. 

Tutto tornerà come prima, aveva detto la donna. A Peter venne quasi da ridere. Come poteva tornare tutto come prima? Per lui, almeno? Il mondo era abituato a dimenticare presto le tragedie che vi accadevano all'interno, ma accadeva lo stesso per quelli che le tragedie le causavano? Quanto era difficile solo pensare di aver fatto una cosa del genere? Come poteva solo contemplare l’idea di poter vivere la sua vita esattamente come la stava vivendo meno di ventiquattro ore prima?

«È ovvio che per un po’ Spider-Man dovrà sparire», aggiunse Banner, poi si sedette accanto a lui, sul divano, forse notando che aveva sussultato, a quelle parole. «Ascolta, Parker. So che non è facile, so che forse privarti di questa possibilità potrebbe essere tutt'altro che positivo ma la gente ha strani modi di vedere gli incidenti, tende a dimenticare quanto bene siamo in grado di fare e non ammette gli errori umani, perché per loro noi siamo infallibili e l’unica nostra consapevolezza è che non sarà mai così.»

«È successo a tutti di perdere dei civili durante un salvataggio», aggiunse ancora Natasha, e vederle fare un sorriso impercettibile non fu di conforto. Anzi, non sapeva perché, ma Peter avrebbe preferito vederle fare uno sguardo di puro disgusto, troppo convinto di meritarlo.

«Ricordati che è successo perché stavi salvando delle persone», continuò Clint, le braccia conserte, una sorta di autorità che cercava di indirizzarlo verso la logica e non verso i sensi di colpa.

Logica? Impossibile. Ridicolo.

«Peter, dì qualcosa. Per favore», sbottò Tony, «abbiamo bisogno di sapere che stai bene, malgrado quello che è successo».

Bene?, pensò, come possono solo pensare che io possa stare bene? Dopo quello che sono stato capace di fare, dopo aver spezzato così tante vite… come?Alzò gli occhi, guardando uno per uno gli Avengers, i suoi eroi, le persone che sempre aveva stimato, che sempre aveva voluto emulare, da quando aveva preso coscienza di possedere quei poteri incredibili. Gli stessi che ora rimpiangeva di aver ricevuto da chissà quale caso della vita. Non era la persona adatta ad averli. Non era la persona giusta, perché le responsabilità erano grandi, grandissime e finché andava tutto bene e non ci rimetteva nessuno, era anche una gran bella soddisfazione, di quelle che Peter nella vita aveva avuto raramente. Eppure… eppure adesso, le cose erano cambiate. Ripensò alle parole del signor Stark, quelle che gli aveva pronunciato quel giorno di qualche tempo prima, quando aveva sfiorato la tragedia su quella nave.

«Se fosse morto qualcuno? Tutt'altra storia, no? Sarebbe stata colpa tua! Se fossi morto tu... mi sarei sentito in colpa io. Non voglio avere rimorsi», gli aveva detto. E chissà se ora li aveva addosso, quei rimorsi. Trattenne il magone in gola, abbassando di nuovo la testa, annuendo e basta. 

Sì, sto bene. Contenti?, pensò.

«Forse il ragazzo vuole andare a casa, Tony… non è stata una giornata facile. Ne riparleremo, ora ha bisogno di farsi una doccia e di rilassarsi un po’», sbottò Banner, e Peter lo guardò sperando potesse capire solo con quello sguardo quanto gli fosse grato per averlo detto al posto suo. «È sotto shock e questo non mi pare esattamente il momento di chiedergli come sta.»

Grazie. Grazie davvero., avrebbe voluto dirgli, se solo la sua stupida bocca non avesse preso la stramba decisione di voltargli le spalle e lasciarlo muto di fronte ad un numero indefinito di adulti in cerca di risposte. Incapaci di immedesimarsi solo un attimo in quello che stava provando. Non avrebbe nemmeno potuto rendere partecipe zia May di quel dolore, ben sapendo quanto potesse essere pericoloso rivelare alla donna la sua identità segreta, specie per la propria incolumità. Sebbene Spider-Man, ora, avrebbe dovuto sparire per un po’ - e Peter era convinto che lo avrebbe fatto per un tempo indefinito, forse per sempre - non era saggio lasciare che sapesse. I suoi pensieri profondi furono interrotti dal rumore frustrato e impaziente di un sospiro, e si voltò verso Tony, riconoscendo indistintamente che quel suono era venuto dalla sua bocca.

«D’accordo. D’accordo io… lo accompagno a casa», sbuffò l’uomo. Peter ebbe un tuffo al cuore, di quelli così intensi, taglienti. Quelle parole sarebbero potute essere anche una premura gradita, se solo Tony non le avesse detto con una leggera punta di disappunto e delusione, come se lo avesse appena accusato di non averci provato nemmeno. Era così. Peter non ci voleva provare, a farsi passare quel velo di apatia che gli era caduto addosso. Come avrebbe mai potuto fare, dopotutto? Come si poteva dimenticare una cosa tanto orribile, ancor prima di averla assimilata? Sì, perché era così che stava andando. Peter si sentiva in bilico tra il mondo delle fiabe e quello reale e non era ancora riuscito a cadere e impattare contro il duro pavimento della realtà e, sinceramente, si sentiva meglio lì, sospeso. Triste, apatico e fuori dal mondo, ma almeno non era ancora del tutto consapevole. Sarebbe stata una bella batosta, quella che ne sarebbe conseguita. Si alzò in piedi, quando Tony lo invitò a farlo e, dopo aver salutato tutti con un gesto della testa e aver ricevuto pacche sulla spalla, dei: «Coraggio, che passa» e occhi tristi e comprensivi, che non lo scalfirono, si avviò silenziosamente con Tony ed Happy verso l’auto dell’imprenditore. Fu tutto distante, persino il chiudersi delle sicure quando il veicolo partì verso casa. Tony sembrava nervoso, incapace anche solo di regalargli uno sguardo premuroso. L’unico che avrebbe voluto vedere e l’unico che non ricevette.

«Peccato Rogers non fosse con noi. Lui avrebbe potuto sicuramente tirarti su di morale e confortarti. È la sua specialità», disse Tony, e fu l’unica cosa che disse, e fu l'unica cosa che mai avrebbe dovuto dire, specie con quel tono aspro.

Vorrei che ci avesse provato lei, a tirarmi su… l’ho delusa, vero?, si chiese Peter, cercando gli occhi dell’altro per poterglielo dire, mordendosi un labbro, ma non ricevette un solo sguardo da Tony Stark, troppo impegnato a guardare fuori dal finestrino, in disappunto con se stesso per non essere come Steve Rogers, forse, in grado di risolvere i problemi invece di causarne. Peter si rese conto di non essere l’unico ad essere tormentato dai sensi di colpa e quando infine l’auto si fermò di fronte al suo appartamento, scese ricevendo solo un borbottato: «Ci sentiamo più tardi».


E così fu. Dopo una lunga doccia bollente e per nulla ristoratrice, aveva trovato un messaggio di Tony, sul cellulare. Un unico e semplice messaggio che non sapeva nemmeno se racchiudeva più rancore o senso di colpa.

«Come stai?» 

Peter si asciugò le mani ancora umide contro l'asciugamano stretta intorno alla vita. Una goccia d’acqua gli scivolò sul monitor, cadendo da un ciuffo arricciato e ancora bagnato.

«Bene.»

«Non è vero.»

Alzò gli occhi al cielo, senza riuscire a trattenere uno straccio di frustrazione.

«No, non è vero ma non posso farci niente.»

Sospirò, chiudendo la porta della propria camera e appoggiandosi con la schiena. Reclinò la testa all'indietro e riprese a scrivere.

«Passerà… come passa tutto.»

«Non è colpa tua.»

«Lo so.»

«Cercheremo di superarla insieme. Ti scriverò ogni giorno, chiaro?»

«D’accordo, grazie signor Stark.»

«Non sparire, Peter. So che vuoi farlo, ma non lo fare.»

«No, non lo farò.»

Sospirò di nuovo, afflitto, dilaniato da un dolore al petto che sembrava in procinto di dividerlo in due e avrebbe preferito aprirsi, scucirsi dall'interno, pur di smetterla di sentire quella sensazione di esserci e non esserci che lo stava facendo impazzire. Il signor Stark che si lasciava sopraffare dai sensi di colpa, poi, non era d’aiuto. Si percepiva chiaramente il suo tentativo di rimediare alla freddezza e all'ostilità che gli aveva rivolto, in quello che era stato un inutile tentativo di vederlo reagire. Un tentativo sbagliato, ma almeno ci aveva provato. Lanciò il telefono sul letto, e alzò gli occhi verso il soffitto. Sarebbe sparito e sapeva di aver mentito, e di averlo fatto per il bene dell’uomo. Dopotutto a cosa serviva, ora come ora, dire la verità?

 

...

 

Tony non era più tornato sul luogo dell’esplosione, dopo il tragico evento, e a dirla tutta non ne era mai stato realmente interessato, dopotutto. Non c'era niente di bello in qualcosa di distrutto, specie se questo aveva lasciato una ferita indelebile nel cuore di Peter Parker, il ragazzo per cui il suo, di cuore, aveva ricominciato a battere come quello di un adolescente per non si sapeva quale astrusa ragione. C'era un vuoto. Un vuoto tra due palazzine. Un vuoto che ora faceva filtrare in mezzo ai grattacieli la luce del tramonto e ospitava una grossa e maestosa gru, rossa come l’armatura che Tony indossò immediatamente, pigiando con la pressione dei polpastrelli contro il suo reattore Arc ancora luminoso sul petto. Lo aveva individuato subito, Peter, seppur inizialmente non ne era stato proprio sicuro. Un puntino nero irriconoscibile per chiunque, forse perfino invisibile, ma non per Tony, faceva da contrasto al colore acceso della carrupola. Si alzò in volo, e fu un sollievo e allo stesso tempo un peso nel cuore, trovarlo seduto lì, con le gambe penzoloni nel vuoto, di fronte ad un panorama mozzafiato che non stava nemmeno guardando; la tuta di Spider-Man, un paio di Vans nere ai piedi, una felpa grigia che una volta doveva essere stata nera, ormai logorata dagli anni per i troppi lavaggi, e il cappuccio tirato su. Lo sguardo triste e assorto di chi ha troppo a cui pensare. Assurdo, a quell'età.

«Non senti freddo, quassù?», gli chiese, quando mise i piedi contro il ferro e si sedette subito accanto a lui, per un attimo stordito da quell’altezza che non sembrava scalfire le vertigini del giovane. Peter si tolse le cuffiette dalle orecchie con un gesto secco. Dagli auricolari Tony poté riconoscere una vecchia canzone di Bessie Smith, e ne fu sorpreso. Davvero quel ragazzo ascoltava certa musica? Si vide puntare addosso le iridi castane per un paio di fulminei secondi, poi Peter tornò a guardare giù, visibilmente scocciato di quella visita apparentemente non gradita.

«Che cosa volevi fare, Peter?», gli chiese, in un lungo e preoccupato sospiro. Il giovane esitò per un secondo, poi rispose con un diniego della testa.

Niente, voleva dire quel gesto, niente, perché non ho il coraggio di farlo.

«So che se sei salito quassù di certo non lo hai fatto per essere trovato, ma… credevi davvero che nessuno sarebbe venuto a cercarti? Che io non sarei venuto a cercarti?»

Peter gli lanciò una seconda occhiata, priva di alcun sentimento, se non quello di un vuoto incolmabile. Già rassegnato alla sua presenza lì, come se dopotutto non cambiasse un granché le cose… Tony si sentì impotente, anche privato della possibilità di fare qualcosa, ma niente, proprio niente, lo avrebbe fermato dal provare a fare qualcosa per Peter.

«Sai qual è il tuo problema?», sbottò, col suo solito tono da sotutto che un po’ lo portava a lanciare sempre la bomba che poi aiutava a trovare spunti per riflettere. Appoggiò i palmi delle mani fasciate dai guanti, contro il ferro della gru dove si erano seduti. Sorrise leggermente quando il giovane gli lanciò una rapida occhiata curioso. «Che sei troppo diverso da chiunque altro e non lo vuoi accettare. È facile somigliare agli altri, ma le persone come te, altra gente che può fare quello che tu puoi fare, non esiste. È successo quello che è successo, ma tu rimani l’unico in grado di fare cose straordinarie, fuori da ogni immaginazione… e continui a rimanere l’unico che ha evitato una tragedia molto più grande. So che insistere su questo non servirà a nulla. So che continuare su questa linea non ti farà uscire una sola parola dalla bocca ma è tutto ciò che devi sapere, ed è tutto ciò di cui ti devi convincere: non hai ucciso nessuno. Quel terrorista, lo ha fatto, impiantando delle bombe in un centro di ricerca per chissà quale motivo religioso o politico. Il governo le ha uccise, lasciando entrare in America gente che non le nasconde nemmeno, le sue intenzioni. La tua unica colpa è quella di aver dovuto inventare Spider-Man per aiutare le persone, e doverne pagare le conseguenze quando non ci riesci ingiustamente… questa è la verità. È chi pretende che tu debba essere infallibile, a sbagliare, non tu», disse, poi prese una pausa ponderando ancora le parole da usare, «La verità è che ti sei fatto carico di alcune responsabilità che nessuno ti ha chiesto di prenderti, pensando che sarebbe andato sempre tutto per il verso giusto… esattamente ciò che abbiamo pensato tutti, quando ci siamo ritrovati a pretendere di poter sempre fare la cosa giusta; non è sempre così. O lo accetti o smetti di farlo, m-»

«Sa, signor Stark…», Tony si bloccò, esattamente come il tempo intorno a loro. Arricciò le labbra, e lo fissò e basta, inerme. Peter si tirò giù il cappuccio, e continuò a non guardarlo, a fissare il vuoto sotto di sé, e le macerie sembravano uno sconfinato lago dorato, per via della luce del tramonto che le bagnava. Una terrificante e affascinante pantomima di un paesaggio naturalistico del nord Europa.

«Ci prova la mia testa a trovare questo ragionamento coerente. il mio cervello ha capito perfettamente che non sarebbe andata meglio se non fossi intervenuto eppure… eppure il mio cuore non ci riesce, men che meno la mia coscienza», continuò il giovane, parlando come se non avesse mai smesso di farlo e Tony sentì qualcosa fare crack nel suo petto, conscio che non era una cosa totalmente negativa. Significava che c'era ancora un organo, lì dentro, che si era solo crepato per la gioia di sentirlo di nuovo parlare. Con lui. Per lui. Di nuovo. Tony si concesse qualche secondo per assimilare quel fatto, quel gol, se così si poteva chiamare, e sorrise dentro. Così tanto che si sentì splendere.

«Peter, c’è una cosa che devi capire e che deve entrarti bene in testa:» esordì, con calma, posandogli una mano guantata sulla testa e spettinandola, «crollare e lasciar libere le emozioni non significa essere deboli. Cercare di reprimerle, cercare di cancellarle e provare il nulla assoluto, quello è da deboli. Ed è anche da vigliacchi, in un certo senso ed è, soprattutto, autodistruttivo. Ci hai provato a farlo, ma hai fallito ed è un bene! L’apatia non porta mai a niente di buono, invece quello che stai facendo ora è un enorme passo. Farà male, ancora per molto tempo, ma passerà prima o poi, lo accetterai. So anche che le mie parole, ora come ora, sembrano assurde, ma presto scoprirai che non lo sono poi così tanto».  

«Non è così assurdo, a dire il vero», ammise Peter.

«È per quello che hai rimesso la tuta?»

«Volevo provare a capire se il problema sono io o… Spider-Man», disse ancora, e lo spiazzò di nuovo. Tony lo osservò alzare una mano, stringere il pugno, riaprire il palmo e picchiettare poi i polpastrelli delle dita tra di loro, in un gesto che gli aveva visto fare spesso. Gli era sempre sembrato un modo per non dimenticare cos'era stato e cos'era diventato, che dopotutto quei poteri li aveva nelle mani in ogni momento, e quel gesto serviva a ricordarlo. Per quello trovare la risposta da dargli non fu così difficile, influenzato da quel pensiero.

«So quanto è difficile accettarlo, Peter. So quanto è strano pensare a te e lui come la stessa persona, ma dentro quella tuta ci sei tu. Per quanto tu possa sentirti più sicuro e coraggioso, ogni volta che la indossi, rimani sempre tu. Come la stessa sensibilità nei confronti degli altri fa parte di Spider-Man perché fa parte di te.»

«Vorrei non essere così sensibile, vorrei essere in grado di accettare certe cose come ci siete riusciti tutti voi, trovando la forza di andare comunque avanti. Non so se sono in grado di farlo, ho paura di provare… e di fallire, ancora e ancora e ancora e non voglio», disse, e la voce gli si ruppe in mille pezzi, quando la gola tradì quel pianto che stava trattenendo da un po’ e lo lasciò esplodere. «Non voglio fallire», concluse e si passò la manica della felpa sugli occhi per asciugarli, inutilmente. Aveva tenuto dentro troppe cose, ed ora le stava tirando fuori come un fiume in piena che straripa e inonda tutto e non risparmia niente. Quello sfogo stava distruggendo muri su muri, che Peter aveva creato nel tentativo di smettere di provare emozioni e una delle conseguenze era il doverle poi provare tutte in un colpo solo.

Meglio così, pensò Tony, mentre gli circondava un braccio intorno alle spalle, piangi fino a crollare, dormi e passa tutto. È quello che fanno gli adulti, no?

«Non fallirai. Perché non sei solo, e chi non è solo non fallisce mai», gli rispose, facendogli posare la testa sulla sua spalle e lasciandogli un bacio sui capelli mossi e profumati, morbidi come una coperta invernale.

«Mi dispiace tanto… per tutto. Non avrei mai voluto causare tutto questo, e di averla allarmata così. Mi dispiace tanto.» Tony sospirò, alleggerito dal fatto che, malgrado la situazione delicata e la fragilità di Peter, il peggio era passato. Non era felice di vederlo piangere, di sentirlo scusarsi stupidamente per cose di cui non avrebbe dovuto, ma era sempre meglio del silenzio. Quello aveva fatto decisamente più male, ad entrambi.

«Chi se ne frega, Peter. Stai parlando, di nuovo, per me conta questo ora come ora. A te sembrerà niente ma per me è molto più di quanto  tu possa credere», ammise Tony, svuotato di ogni ansia. Il cuore leggero, lo stomaco in subbuglio e tante domande per la testa, ma non era il momento di porsele. Non ancora. Figuriamoci di darsi delle risposte.

«Mi dispiace anche per… quello che è successo a casa sua, l’altro giorno… io non so cosa accidenti mi sia preso, io non…»

«Ehi! Non è il momento! Non… è il momento! Ci sarà anche spazio per parlare di quello ma non ora e soprattutto non preoccuparti. Smettila di preoccuparti, o mi farai impazzire», lo interruppe, sfumando in un tono fintamente lamentoso che fece sfuggire dalle labbra di Peter uno sbuffo divertito. L'ennesimo colpo al cuore.

«D’accordo, signor Stark», disse semplicemente, «grazie mille per quello che sta facendo per me», mormorò poi. 

Che cavolo mi stai facendo, ragazzino?, pensò Tony prima di baciargli di nuovo la testa, tornando poi a guardare il tramonto che poteva godere da quell'altezza, concedendosi per un po’ il tepore di quella piccola gioia nel cuore.

    La voce di Peter.


Fine.



 
Angolo angolare delle angolate angolose di Miryel che è un angolo maggiore di 90°, quindi ottuso:

Niente, non ce la posso fare, i capitoli saranno 5, perché malgrado sia finita nel migliore dei  modi (COME ERA GIUSTO CHE FOSSE), ci sono ancora delle cose da dire e, sinceramente, non è questo il momento e il capitolo giusto per farlo.
Era una storia già bella che conclusa, una volta... e ad ogni revisione aggiungevo troppe cose, infine, perché questi due mi complicano la vita, me la rendono una vera e propria sfida con me stessa e spero davvero, davvero col cuore, che questa soluzione finale sia stata di vostro gradimento, che questo piccolo momento tra i due possa aver prima di tutto rispecchiato e soddisfatto almeno un po' le vostre aspettative e, nel prossimo capitolo, semplicemente voglio chiudere questo cerchio, questa voglia di andare avanti, di non cadere di nuovo, da parte di entrambi.
Tendono a fare troppi errori, questi due imbecilli, e alla fine feriscono l'uno il cuore dell'altro e poi... e poi risolvono con effusioni, contatto fisico. Quel genere di cose che, di solito, scanserebbero a priori, per come sono fatti, ed entrambi per motivi troppo diversi, eppure eccoli qui... a farmi dannare ancora una volta.
Okay, se comincio a parlare di Tony e Peter facciamo Natale, quindi, sperando che il capitolo vi sia piaciuto, ringraziandovi tutt*, vi do appuntamento a sabato prossimo.
Ed è davvero l'ultimo, giuro (forse ahah).
Un abbraccio,
Miry ♥
 
   
 
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