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Autore: EvelynJaneWolfman    29/09/2018    1 recensioni
In un classico liceo americano non possono mancare gli atleti, le cheerleader, gli strambi, i nerd e gli invisibili. Ed è esattamente ciò che Sophie è; un misto tra una nerd ed una persona invisibile. Innamorata cotta di Kevin, giocatore della squadra di football del liceo, la giovane ragazza sa che può solo ammirarlo da lontano. Eppure, quando tra loro sembra inizi ad esserci intesa, lui la tradisce nel più subdolo e doloroso dei modi: rivelando a tutti il suo segreto e facendola deridere.
Perché Sophie non è solo Sophie, ma Sophie Beatrice McIntosh, principessa di un piccolo ma fiorente principato europeo. Ovviamente, con il suo stile poco trendy e gli enormi occhiali, chi la crederebbe una reale? Nemmeno il cane di sua zia Irma.
Delusa e ferita, la giovane torna al proprio paese e dopo cinque anni, rinata dentro e fuori, rifarà i conti con Kevin. Questa volta nelle vesti di... Sua guardia del corpo!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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TENP - Capitolo 6 per EFP

L'unica volta in cui Sophie aveva messo piede in una tavola calda, era stato in una calda mattina primaverile di cinque anni prima quando lei e Jane avevano deciso di marinare la scuola per fare colazione in un posto che l'amica aveva dipinto come il paradiso delle colazioni super diabetiche. Così avevano preso l'autobus e fatto un viaggio lungo quasi un'ora solo per mangiare degli enormi pancake ai mirtilli stracolmi di sciroppo d'acero, per lei quella mattina fu una delle più belle di tutta la sua vita e non l'avrebbe mai dimenticata.

Quando Kevin aprì la porta della tavola calda in cui si erano fermati, i ricordi di quella fantastica giornata le ritornarono alla mente e sorrise nostalgica; avrebbe voluto passare altri giorni come quello, con Jane... Jane! Dannazione, aveva completamente dimenticato di chiamarla la sera prima o quella mattina! L'avrebbe sicuramente ammazzata appena il suo collo fosse entrato nel suo campo visivo... rabbrividì al solo pensiero.

«Ehi, Kevin!» una donna di mezza età si sporse dal bancone del negozio, dove alcune persone stavano mangiando, e le lanciarono occhiate irritate o sconsolate. I capelli grigi erano raccolti sulla nuca ed una sottile retina ne evitava l'imbarazzante e possibile caduta in qualche piatto, mentre gli occhi azzurri brillavano come quelli di una ragazzina nonostante fossero accerchiate da alcune rughe d'espressione.

Il volto del giovane uomo s'illuminò appena si fu voltato verso la donna, e un'enorme sorriso - di quelli che non aveva mai più visto dai tempi del liceo - gli curvò le labbra facendolo sembrare, se possibile, ancora più bello del solito. Il cuore di Sophie perse un intero minuto di battiti per poi, paradossalmente, recuperarli tutti in una tachicardia quasi dolorosa ed allora capì che forse la cotta per lui non gli era passata poi del tutto, come aveva creduto.

«Gin!» esclamò lui, con la voce ridente.

Quella consapevolezza non le fece affatto piacere, poiché non riusciva a perdonarlo né a spiegarsi il brutto tiro che gli aveva giocato quella mattina di cinque anni prima. Possibile che l'infatuazione per lui l'avesse accecata al punto da mascherarle la sua vera natura? Allora tutti quei sorrisi, quelle parole dolci o gli sguardi fugaci rubati di nascosto erano state tutte illusioni, parti della sua mente adolescenziale ormai andata? Come spiegazione non le andava giù, pensare di essere stata così ingenua e stupida era una colpa che l'attuale Sophie non perdonava alla se stessa ragazzina.

Stupida idiota, ecco cos'eri e cerca di non esserlo nuovamente, si ammonì.

No, né lui né nessun altro le avrebbe tirato di nuovo uno scherzo simile, aveva sfruttato quegli anni per rinforzare il suo carattere e la sua volontà. L'ingenuità che l'aveva caratterizzata da giovane era sfumata insieme all'ideale di ragazzo perfetto che aveva sempre associato a Kevin. Il giorno in cui era salita sull'aereo per ritornare a casa aveva sentito chiaramente il suo cuore spezzarsi e perdere quella parte candida e gioiosa che le aveva sempre permesso di essere una ragazza dolce e un po' sciocca, di quelle che credono veramente nell'esistenza del principe azzurro e non perché crescono in un castello con la propria madre che le insegna a distinguere un mero baronetto da un successore reale, ma per l'ideale di amore eterno e incontrastato che aveva sempre trovato nei romanzi che rubava a Gerthie, la figlia della cuoca. A ripensarci ora, li avrebbe volentieri bruciati quegli odiosi libri irrealistici.

La risata della donna la fece uscire dalla bolla rossa dei suoi furiosi pensieri, e solo allora si rese conto che aveva abbandonato il bancone per avvicinarsi a Kevin. I due stavano parlando animatamente e lui sembrava molto felice e a suo agio, quasi rilassato. Non immusonito come quando stava con lei...

Irritata, da cosa non lo sapeva nemmeno lei, sospirò come un bufalo a cui avevano appena pizzicato i testicoli e si voltò per prendere posto ad uno dei tanti tavoli disposti accanto alle grandi finestre. I due non si accorsero nemmeno di quel gesto, soprattutto Kevin e la cosa non fece altro che farla indispettire. Non si aspettava certo che la presentasse come fosse una sua grande amica o peggio, la sua fidanzata - non poté trattenere un piacevole brivido a quel pensiero - ma almeno un po' di considerazione l'avrebbe gradita. Si sedette con poca grazia ad uno degli ultimi tavoli, dando le spalle ai due perché se avesse visto nuovamente il fantastico sorriso di lui ignorarla come se fosse un minuscolo moscerino, gli avrebbe tirato addosso la boccetta in vetro del sale.

Rimase a braccia conserte e con l'espressione di chi ha appena subito un'esportazione dei genitali non desiderata a fissare le persone che passeggiavano accanto alla finestra del locale fino a quando, dieci minuti dopo o forse anche più, Kevin non la raggiunse.

«Scusami, ma è da un po' che non vengo qui e rivedere Gin dopo tanto tempo mi ha fatto perdere la cognizione del tempo» tentò di giustificarsi lui, sedendosi di fronte a lei. Aveva ancora un sorriso da ebete sul viso e lo insultò mentalmente, come avrebbe desiderato fare anche vocalmente.

«Figurati» disse con finta indifferenza, aprendo con poca grazia il menù lasciato sul tavolo. Se sua madre l'avesse vista fare tutte quelle scenate per nulla, come avrebbe sicuramente detto lei, le sarebbero venuti i capelli bianchi per l'orrore. Una bigotta snob come lei, che nel cassetto invece della Bibbia aveva una copia del Bon Ton, non ammetteva perdite di controllo e compostezza, riteneva che le persone di un rango superiore dovessero comportarsi con la giusta superiorità ed evitare di mostrare sentimenti troppo espliciti, come appunto la rabbia. Perché ciò li avrebbe resi comuni come tutti gli altri.

Ah, ma fanculo lei e le sue lezioni del cavolo! Sono incazzata con lui? Bene, che se ne accorga e marcisca chiedendosi il perché.

«Tutto bene?» chiese infatti lui, abboccando come un pesce lesso.

Sophie nascose il sorrisetto compiaciuto dietro il menù e si ricompose in fretta. «Certo, perché mai lo chiedi?»

«Perché stai parlando con un'indifferenza e una superiorità irritanti» le fece notare lui e la cosa la infastidì perché non era sua intenzione essere l'una o l'altra. «Per caso le da fastidio questa bettola, milady?» la schernì lui, facendo scoppiare il palloncino del suo autocontrollo.

Sbatté con rabbia il menù sul tavolo, facendolo trasalire. «Ora mi hai veramente stancato, se hai qualcosa da dimmi dimmelo in faccia invece di nasconderti dietro frasi tutt'altro che sarcastiche ed insulti velati. Forse credi che avere un titolo nobiliare automaticamente mi renda una cretina? Un ignorante? Incapace di decifrare le tue prese in giro mascherate da frecciatine? Be', informazione shock: ho un cervello, strano eh? Uno che funziona, per giunta! Sicuramente un'eresia per te. Quindi sai cosa ti dico? Fottiti, Kevin, non passerò un minuto in più accanto ad un uomo che mi considera meno acuta di un baco da seta, dimentica il nostro patto e addio.» Si alzò velocemente dal divanetto rosso ed uscì a passo spedito dalla tavola calda. Sentiva le lacrime salirle agli occhi e tentò di frenarle, senza successo, nemmeno l'irritante voce di sua madre che le ricordava quanto fosse terribilmente sconveniente per una come lei piangere in pubblico riuscì a ridarle il controllo di se stessa.

Si sentiva in preda ad una crisi di nervi, era stanca di doversi controllare sia a palazzo che lì, dove aveva creduto di essere finalmente libera. Invece aveva trovato in Kevin una nuova prigione, in sua presenza doveva sempre soppesare ogni parola per evitare che lui fraintendesse e le lanciasse una delle sue insopportabili frecciatine, quante ne aveva sopportate in sole ventiquattro ore? Lui si rifiutava di vedere oltre la superficie, di conoscere la vera Sophie e ne ignorava totalmente il motivo. Era sempre più convinta che il dolce ragazzo delle superiori fosse stata una sua illusione, che il vero Kevin fosse sempre stato quello e lei come una cretina gli aveva permesso di rubarle il cuore e lanciarlo via con la stessa potenza che usava in campo. Il fatto che piangesse stava solo a significare che le importava cosa lui pensasse di lei, e tanto, e questo non poteva accettarlo. No, il suo orgoglio fremeva di rabbia e desiderava soltanto far sparire l'uomo come un ricordo non desiderato, ma era difficile e tentava di farlo da più di cinque anni.

Si rese conto di aver camminato per un bel po' e di non sapere esattamente dove si trovasse solo quando le gambe iniziarono a farle male, intorno a lei c'erano soltanto alberi e non riusciva più a scorgere la tavola calda.

Fantastico, mi sono anche persa!

Respirò a fondo e prese un profondo respiro per calmarsi. Quando si era trasferita lì per studiare, non era mai uscita molto di casa e quelle poche volte che lo aveva fatto insieme a Jane, le due erano sempre andate in locali del centro e mai in periferia quindi non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. Le sarebbe bastato fare il percorso a ritroso, se solo avesse saputo in qualche direzione si uscisse dal bosco in cui si era addentrata.

Chiuse gli occhi, tentando di ricordare qualche particolare della strada che aveva percorso, un qualsiasi dettagli che avrebbe potuto aiutarla ma tutto ciò che riusciva a vedere era il buio assoluto. Il nulla.

Una mano le afferrò improvvisamente la spalla e Sophie si allontanò di scatto, gridando con tutto il fiato che aveva in gola.

«Sono io, calmati!»

Ancora in preda allo spavento preso, ci mise un po' per capire che aveva davanti proprio Kevin, la causa di quella disavventura. «Co... cosa vuoi?» chiese con la voce ancora scossa dai tremolii della paura. «Se sei venuto qui per infierire ancora ti conviene sparire. E in fretta» lo avvertì.

Lui la fissò con una strana espressione colpevole e questo la fece sentire stranamente bene. Si sentiva in colpa per averla trattata in modo orribile o per averla spaventata? Ad ogni modo, meritava di sentirsi colpevole.

«Non voglio assolutamente infierire, e ti chiedo scusa per averti ferita, non sono più abituato ad avere persone intorno; soprattutto donne, e sì, ho dato per scontato tu avessi una personalità tua e un cervello funzionante.» Si infilò una mano nei pantaloni e volse lo sguardo al terreno ai propri piedi, come se avesse timore di guardarla in volto.

«Dev'essere parecchio strano per te vedermi come un essere umano senziente, giusto?» chiese con cupo sarcasmo. Tirò su col naso e si asciugò le lacrime che ancora le bagnavano il viso. Per uscire da quella situazione aveva bisogno del suo aiuto, eppure avrebbe preferito cento volte passare tutta la sua vita in quel boschetto piuttosto che affidarsi nuovamente a lui.

Si sentiva tradita. Di nuovo. E non avrebbe sopportato un terzo giro, quindi era meglio per lei chiudere con lui e stavolta per sempre.

«Ad ogni modo puoi andare, sei libero e non devi più portarmi in giro né continuare a lavorare per mio padre. Appena tornerò a casa ti spedirò l'assegno col tuo compenso e non sarai costretto a tornare al principato.»

A questa frase, finalmente lui alzò il capo e la fissò con un'espressione che lei non seppe decifrare, ma la mise molto a disagio. Le si avvicinò lentamente, prendendole la mano tra la sua e stringendola appena. «Torniamo alla tavola calda, Sophie, devo ancora mantenere la mia promessa di portarti in campeggio. Te lo devo.»

Sophie negò col capo e tentò di allontanare la mano dalla sua presa, ma questa si fece più forte. «Te lo ripeto, Kevin, non desidero restare accanto ad una persona che mi disprezza. Quindi se lo fai solo per pulirti la coscienza, tranquillo e vattene.» Tentò un'ultima volta di liberarsi dalla sua presa, ma lui sembrava deciso a non mollare.

«Non sto affatto tentando di pulirmi la coscienza, desidero davvero poter fare quello che nessuno ha mai fatto per te. So di essermi comportato da stronzo e prometto che passerò i prossimi giorni a farmi perdonare, perché lo voglio Sophie. Perché guardando il tuo volto rigato di lacrime mi sento morire dentro, mi sembra di aver commesso un peccato orribile, di aver sporcato la cosa più bella su questo mondo» le sussurrò, ormai ad un palmo dal suo viso. La sua voce era roca, le sue pupille dilatate e sembrava vederla per la prima volta.

«Sophie... la mia Sophie» pronunciò il suo nome con così tanta emozione che le si fermò il respiro in gola.

Le sue braccia l'avvolsero in un abbraccio forte, possessivo ma allo stesso tempo delicato, come se temesse di romperla. Avvicinò le labbra alla sue lentamente, così lentamente che le sembrò di morire nell'attesa di assaporarlo per la prima volta. Tutta la rabbia e la collera di prima erano svanite, le sembrava di trovarsi in una bolla luccicante, quasi magica.

Finalmente, dopo un tempo che le era parso infinito, le labbra di lui si posarono sulle sue, delicate e gentili, fin troppo e Sophie non voleva essere trattata come una bambola di porcellana, non da lui, voleva sentirsi donna almeno una volta nella vita. Si alzò sulle punte e gli circondò il collo con le braccia, infilò una mano tra i suoi capelli e lo spinse di più contro di lei, cercando di approfondire il bacio. Kevin sembrò recepire il messaggio perché in un secondo si ritrovò con la schiena contro un albero, mentre lui prendeva pieno possesso della sua bocca. Sospirò estasiata e gemette quando le prese il labbro inferiore tra i denti, tremò tra le sue braccia e si sentì piacevolmente stordita, come se avesse bevuto un bicchiere di champagne di troppo.

La mano di lui, grande e bollente, le accarezzava dolcemente la schiena, spingendola di più contro il suo corpo. Sophie non avrebbe saputo dire come mai, all'improvviso, avesse scatenato tutta quella passione per lei e nemmeno le importava più, voleva solo annegare in quella piacevole sensazione. Le sembrava di non aver mai baciato nessuno prima di lui, di aver sempre e solo aspettato quel momento.

Quando la sua bocca abbandonò la sua per percorrerle il mento fino al collo, capì di essere ormai solo una marionetta nelle sue mani. Avrebbe potuto farle tutto ciò che voleva, lei sarebbe stata più che felice di accontentarlo.

Il corpo morbido, arrendevole e caldo di Sophie era come un'oasi o il paradiso, difficile allontanarsene. Eppure, con molta forza di volontà, riuscì a staccarsi da lei e dalla dolcezza delle sue labbra, mettendo fine al bacio. La vide sbattere velocemente le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la situazione ed uscire da quella coltre di sensazioni che li aveva avvolti improvvisamente.

Più che altro era stato lui a fiondarsi su di lei, improvvisamente. Non era riuscito a frenare se stesso, peggio di un animale in calore, quando aveva visto il viso della giovane donna rigato di lacrime si era sovrapposta a lei, come un flashback o un fantasma, l'immagine della ragazzina che aveva amato al liceo e la somiglianza tra le due era stata impressionante. Sconcertante. Ed allora aveva capito, ormai era sicuro che la Sophie che aveva davanti e quella del suo passato fossero la stessa persona. Come, non sapeva spiegarselo nemmeno lui, ma era così. Ovviamente doveva esserne sicuro al cento per cento e in quel momento lo era all'ottanta, l'assurdità della situazione lo lasciava ancora un po' incredulo e diffidente. Se davvero le due erano la stessa persona, perché lei aveva frequentato il loro liceo da ragazzina? Un capriccio adolescenziale? Si trovava lì con la famiglia per qualche motivo politico? Non lo sapeva, ancora, ma questo spiegava la sua misteriosa ed improvvisa scomparsa.

«Torniamo alla tavola calda» le disse, prendendole la mano come si fa ad una bambina, nel terrore che lei potesse sparire nuovamente lasciando dietro sé le milioni di domande che aveva sempre voluto farle.

Tornarono indietro nel totale silenzio, senza nemmeno rivolgersi una parola e Kevin non seppe come interpretare la cosa. Lei era arrabbiata con lui per il bacio? Si era offesa ancora di più? Dal modo in cui si era stretta a lui non gli era sembrato anzi, aveva approfondito lei per prima il bacio quindi era sicuro non fosse quello la causa del suo mutismo. Tuttavia, si sentiva a disagio, si era fatto prendere dal momento, dall'emozione ed aveva baciato una donna che poteva benissimo non essere la sua compagna di liceo.

Si schiarì la voce per stemperare l'aria di imbarazzo che sentiva scendere su entrambi. «Sarà meglio tornare alla tavola calda, ho ordinato qualcosa e sono uscito senza pagare, inoltre ho ancora fame» disse, sentendosi un idiota subito dopo. Che cosa interessava a lei del fatto che avesse fame? Non era nemmeno la verità visto che gli si era chiuso lo stomaco, tutto quello che avrebbe voluto fare in realtà era mettere le mani su uno degli annuari della sua scuola e verificare se la donna davanti a lui fosse la stessa ragazzina dei suoi ricordi.

«Sì... anche io ho ancora fame, in effetti» gli rispose, guardandosi intorno per capire dove andare, o per sfuggire al suo sguardo insistente.

«Andiamo allora» la superò e con un gesto della mano la invitò a seguirlo.

Tornarono alla tavola calda in poco tempo e Sophie rimase di sasso nello scoprire che non si era allontanata poi così tanto, nonostante le fosse sembrato il contrario. Forse si era lasciata prendere dal panico una volta entrata nel fitto boschetto e non aveva pensato con lucidità. 
Appena varcarono le porte del locale, la donna che Kevin aveva salutato prima venne loro incontro con un vassoio di bicchieri sporchi fra le mani.

«Finalmente siete tornati» esordì con un sorriso, spostando poi lo sguardo su di lei. «Vi conviene sedervi e mangiare prima che i vostri piatti si raffreddino» puntò il loro tavolo senza smettere di fissarla e nonostante fosse abituata alle occhiate anche insistenti, non poté fare a meno di sentirsi di disagio. Dopo qualche secondo, finalmente lo sguardo della donna si spostò su Kevin e gli sorrise prima di ritornare dietro al bancone.

Raggiunse il loro tavolo e rimase sorpresa quando notò che lui aveva ordinato anche per lei prima di inseguirla.

«Mi sono permesso di ordinare anche per te, così una volta tornati avremmo trovato già tutto pronto. Spero non ti dispiaccia.» Kevin si accomodò al suo posto e puntò il piatto accanto a lei. Restò imbambolata, iniziando di certo a sembrare un tantino stupida e strana visto che se ne stava in piedi accanto al tavolo, iniziando anche ad attirare l'attenzione dei clienti seduti vicini a loro.

Prese posto velocemente ed annuì all'uomo. «Tranquillo, ti ringrazio per il pensiero.» Lo vide rilassarsi e accennare un sorriso, una cosa molto strana da parte sua di solito così composto e privo di qualsivoglia espressione facciale che non fosse l'ostilità. Per non parlare del bacio e delle cose che le aveva detto prima, ancora adesso si sentiva stordita; sin da ragazzina aveva sempre sognato un bacio da lui, anche se nelle sue fantasie adolescenziali non c'era stato nessun litigio prima dell'incontro delle loro labbra. Ma doveva ammettere che era stato mille volte meglio dei suoi sogni ad occhi aperti, bellissimo e inspiegabile. Cosa lo avesse spinto a farlo le era ancora sconosciuto, forse per il senso di colpa? Dio, pregava proprio di no, sarebbe stato umiliante.

Spaesata, mangiò chiedendosi cosa fosse successo a Kevin nei minuti in cui era stata via. Che si fosse ricordato di lei e stesse nuovamente cercando di prenderla in giro? Quel pensiero le chiuse improvvisamente la gola e dovette bere in fretta un sorso d'acqua per non soffocare con il boccone che aveva mandato giù. 
Era impossibile che lui si fosse ricordato di lei, avevano passato insieme più di ventiquattro ore e lui non aveva mai dato segno di averla riconosciuta, anche perché sapeva di essere cambiata molto dall'insipida ragazzina che era stata un tempo. E poi, anche ammesso avesse ricordato, non aveva nessun motivo per giocare di nuovo con i suoi sentimenti; erano entrambi adulti ormai.

Accantonò quel pensiero e tentò di calmarsi, ma la morsa allo stomaco non se ne andò, così come l'orribile sensazione di essere stata trasportata indietro nel tempo a quando era la vecchia Sophie; una Sophie stupida, ingenua e paurosa che preferiva farsi mettere i piedi in testa da quattro amebe senza cervello piuttosto che reagire e combattere. 
Spinse via il piatto, ormai incapace di mangiare altro visto lo stomaco stretto in un nodo di apprensione, ed iniziò a torturarsi le unghie dei pollici, fissando distrattamente fuori dalla finestra.

«Tutto bene?» le chiese il soggetto delle sue preoccupazioni e fisime mentali.

«Sì, mi sono già saziata e non riesco a mangiare altro.» Continuò a fissare fuori dalla finestra, preferendo la vista delle auto in strada al viso dell'uomo. Aveva terrore di scorgere qualcosa che non le sarebbe piaciuto, qualcosa che le avrebbe fatto capire di essere stata presa in giro di nuovo e non voleva. Non sapeva se esattamente ci fossero secondi fini nelle intenzioni di Kevin, ed effettivamente lui poteva anche volersi vendicare di lei per averlo costretto a farle da balia, ma nel dubbio preferiva prendere le distanze da lui ed essere cauta.

Nonostante sentisse il suo sguardo dubbioso su di lei, l'uomo finì in poco tempo di mangiare e si allontanò per pagare il conto mentre Sophie si diresse verso l'uscita, ansiosa di buttarsi a capofitto nei preparativi per il campeggio in modo da allontanare le preoccupazioni che l'affliggevano. Prima però aveva un'altra cosa fare, una urgente che non poteva più essere rimandata.

Kevin le venne incontro, riponendo il portafogli e lo scontrino nella tasca del suo capotto. «Pronta?» le chiese, puntando il suo furgoncino con un cenno del capo.

«Certo, ma prima vorrei chiederti se è possibile accompagnarmi in un posto.» Lo vide alzare un sopracciglio sorpreso prima di sospirare ed annuire.

«Nessun problema.»

* * *

«Tu!» Il telefono che Jane le puntò alla gola sembrava una pericolosa arma di distruzione di massa, soprattutto perché era nelle sue mani e lo sguardo furioso e lucido con cui la fissava le fece capire che era molto arrabbiata con lei.

«Scusami, Jane, ti spiegherò tutto ma prima potresti rifoderare la tua arma?» Sophie sentì chiaramente Kevin trattenere le risate e si accigliò, se la sua amica non fosse stata così fuori di sé gli avrebbe volentieri lanciato un'occhiataccia.

«Mi hai fatta morire dalla paura, ho addirittura denunciato la tua scomparsa a mio fratello perché non sapevo cosa fare! Credevo ti avessero rapita o peggio!» Le parole di Jane la raggelarono. Aveva denunciato la scomparsa a suo fratello? Un agente di polizia? E se suo padre ne fosse venuto a conoscenza? L'avrebbe trovata in meno di un secondo. Non poteva di certo rimproverare la sua amica per averlo fatto, era da quasi un giorno che non le dava sue notizie.

Tirando su col naso, Jane le allontanò il cellulare dalla gola e se lo portò all'orecchio. «Jacob? Falso allarme, è appena tornata a casa e sta bene. Scusa se ti ho disturbato.» Una volta riagganciato, si buttò su di lei stritolandola fra le braccia.

«Jane...» ricambiò l'abbraccio dell'amica e rimasero in quella posizione per qualche secondo. Sophie si sentì in colpa per averla fatta preoccupare, era un'amica orribile ed avrebbe passato gli anni che le restavano da vivere a farsi perdonare.

Le due si separarono e solo in quel momento Jane notò la presenza di Kevin. «Ehm... chi è lui?» chiese, fissandolo con circospezione.

«Lui è... Kevin» pronunciò quel nome con fin troppa lentezza, mandando all'amica uno sguardo che pregò capisse.

«Kevin» ripeté l'altra confusa, prima di spalancare gli occhi e puntarli su di lei. «Kevin?» Il suo tono nascondeva una chiara domanda e Sophie annuì impercettibilmente.

«Sì, mi chiamo proprio così» esordì all'improvviso l'uomo, avvicinandosi alle due. Fissò per qualche secondo Jane prima di voltarsi nuovamente verso di lei. «Scusami, Sophie, devo andare da una parte, ti dispiace se passo a prenderti più tardi?»

«No, vai pure. Prometto di non scappare.»

«Lo spero» borbottò cupo prima di andarsene.

Appena il veicolo di Kevin si fu allontanato, Jane la spinse dentro casa e si chiuse svelta la porta alle spalle.

«Kevin?!» chiese di nuovo, con un'espressione tale che in altre circostanze l'avrebbe fatta morire dal ridere. «Che ci fai con lui?»

Avrebbe preferito non risponderle, dimenticare che era lì per un tempo determinato e molto breve, in parte anche a causa dello stesso Kevin che doveva riportarla indietro, ma sapeva benissimo che l'amica non avrebbe tollerato altri silenzi.

«Ti conviene sederti, è una storia molto lunga.»

  
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