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Autore: NPC_Stories    30/09/2018    2 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: La loro diplomazia


Il gruppo di elfi rimasti nel sottosuolo stava procedendo lentamente ma con costanza, in silenzio. Tazandil e Nelaeryn si erano posizionati rispettivamente in testa e in coda al gruppo, per proteggere i compagni più vulnerabili nel mezzo.
Per un po’ non incontrarono problemi. Tazandil aveva ragione nella sua valutazione: gli elfi scuri avevano fatto in modo che nessun mostro osasse desiderare di avvicinarsi troppo al loro accampamento. Ad un certo punto però cominciarono i problemi: scendendo si erano lasciati alle spalle dei piccoli segni di riconoscimento, ma abbastanza nascosti perché non volevano indicare ai drow una via per la Superficie, nel caso in cui la missione fosse fallita. Solo che ritrovare quei piccoli segni nell'oscurità, anche con l'ausilio degli incantesimi di luce, non era certo facile. Visne non era più con loro, o almeno Raerlan non la vedeva più, ed era comprensibile: sicuramente era accanto a suo marito.
Daren aveva fatto un'altra strada, all'andata, ma aveva esplorato un po' quel tratto di gallerie dal Piano delle Ombre. Non era certamente la stessa cosa, perché quel Piano era comunque impreciso e fluido, ma il panorama non gli era del tutto sconosciuto, e qualunque drow prima o poi impara ad orientarsi sotto terra. Non gli piaceva avere la responsabilità di indicare la via a quelle persone, era fin troppo simile al rischio di condannarli tutti nel caso in cui avesse sbagliato strada. Quegli elfi avevano già rischiato fin troppo a causa sua. Sulla spinta di questo senso di colpa preventivo, Daren teneva sempre la mano sinistra sul pomo di una spada corta, pronto ad entrare in azione se fosse stato necessario.
Ad un certo punto, cominciarono a sentire dei rumori concitati provenire da una galleria alla loro sinistra, un cunicolo che avevano ignorato perché sembrava portare verso le profondità del Buio Profondo. Si misero tutti subito in allarme, e per precauzione tutti quanti sfoderarono le spade.
Raerlan lanciò un'occhiataccia a Daren quando vide che anche lui aveva in pugno una spada corta.
“Cosa credi di fare tu? Stai insieme con lo spago!” Gli sussurrò, in tono di rimprovero.
“Voglio aiutare!” Ribatté seccamente il drow. “Non sono ridotto all’impotenza.”
“Sì che lo sei, avremmo dovuto toglierti le armi.” Insistette l'alicorn.
“Non sta a te decidere…” cominciò a dire il guerriero, ma fu Tazandil a finire per lui.
“Ha ragione lui, Raerlan, non sta a te deciderlo. Spetta a me. Toglietegli le armi.” Ordinò con secco pragmatismo.
Cosa?” Soffiò il drow, incredulo e inviperito. “Non ti fidi…”
“Non mi fido del tuo buonsenso. Da quando sei arrivato ti sei già lanciato incontro alla morte due volte, e sei qui da due giorni.” Riepilogò il ranger.
Daren cercò qualcosa da ribattere, ma le osservazioni dell'elfo erano corrette. Circostanziali, ma corrette.
Intanto i rumori si erano fatti sempre più vicini, e l'eco non aiutava a capire che cosa fosse a generarli. Sembravano tanti piccoli passi, a dire il vero, ma si trattava di un'orda di creature, o di un gigantesco millepiedi? O qualcosa di ancora peggiore?
Nelaeryn e Raerlan presero in custodia le armi del drow, che le cedette controvoglia. Pilindiel si nascose dietro una stalagmite, pronta a colpire a sorpresa, e Tazandil seguì il suo esempio in un altro punto della galleria. La luce di Solaias purtroppo avrebbe rivelato la loro presenza, o quantomeno avrebbe rivelato la presenza di creature che necessitavano di luce per vedere, anche se gli elfi si fossero nascosti.
Daren aveva una vista migliore nell'oscurità, e in realtà quella luce gli dava solo fastidio, impedendogli di estendere i suoi sensi nelle gallerie ancora buie. Il suo udito però funzionava ancora molto bene, e ad un certo punto captò qualcosa che non combaciava con la sua idea di mostro o di aggressore: il pianto spaventato di un bambino. Si avvicinò di più all’imbocco del cunicolo e cercò di cogliere altri dettagli; era una voce, quel rumore distorto dall'eco? Gli sembrava di sì. Una voce aspra, roca, come se qualcuno stesse cercando di urlare a bassa voce. Era tutto troppo confuso perché potesse riconoscere la lingua. Il bambino però non aveva smesso di piangere e ora il drow era assolutamente certo di quello che stava udendo.
Una moltitudine di voci che cercano di sussurrare, decine di passi che cercano di non fare rumore, ma con poco successo. Poi, finalmente, riconobbe alcune parole: “Luce!”, “Il mondo-sopra!”, dicevano quelle voci, e la lingua era quella dei goblin.
“Sono solo goblinoidi.” Aggiornò i suoi compagni, che si rilassarono leggermente a quella notizia.
I goblin erano antichi nemici degli elfi, ma erano acqua fresca se paragonati ai drow.
“Allora sarà facile.” Mormorò Pilindiel, sollevando la spada.
“No.” La fermò Daren, alzando la mano sinistra. “No, aspettate. Vorrei provare a parlare con loro.”
“Parlare? Sono goblin!” Sbuffò Nelaeryn, in tono di derisione.
Pochi istanti dopo, i primi goblin si riversarono di corsa nella caverna, con la fretta di chi sta scappando da qualcosa. Come videro il drow, che si era piazzato proprio in centro alla galleria più larga in modo da essere sulla loro strada, puntarono i piedi in un buffo tentativo di frenata. Quelli immediatamente dietro andarono a sbattere contro la prima linea, causando un tamponamento a catena e anche qualche ruzzolone. Calò un silenzio tombale mentre i piccoli ometti grigiastri fissavano in silenzio quel nemico nero come la notte, che andava a toccare i loro più antichi istinti di sopravvivenza.
Un paio di loro, fra quelli nelle retrovie, gridarono e scapparono da dov'erano venuti, andando a sbattere contro la seconda ondata di goblin, più indietro nel cunicolo. Daren sapeva che quando lo guardavano non vedevano un singolo elfo scuro ferito e disarmato, vedevano soltanto un predatore mortale. Il timore reverenziale per la sua razza malvagia stava paralizzando quelle creature inferiori senza bisogno che lui facesse una piega. Però era consapevole di dover agire subito, perché la loro paura non li avrebbe trattenuti a lungo.
“Cosa ci fate qui, al confine del territorio drow?” Domandò in tono minaccioso, facendo un passo avanti come se non avesse niente da temere da loro. Aveva parlato nel linguaggio sgraziato dei goblinoidi, e sperava che almeno qualcuno degli elfi lo capisse.
Quelle patetiche creature tentarono di rialzarsi e di darsi una parvenza di dignità.
“Noi non disturba grandi padroni.” Rispose il più coraggioso di loro, tentando un sorriso amichevole, ma venne tradito dai suoi denti che battevano per la paura. “Noi va di-sopra. Mai più vicino a grandi padroni drow!”
“Giù da quella parte c'è il territorio dei drow.” Daren indicò la strada da cui lui e gli elfi erano arrivati, con un cenno della mano sinistra. “Se ci andrete troverete la morte! Ma la Superficie è abitata dagli elfi chiari, e anche lì troverete la morte.”
I goblin si scambiarono occhiate desolate, mostrando sempre di più la loro paura. Il resto della tribù, una grande massa di goblin disarmati o male armati, femmine e bambini, cominciò ad intravedersi oltre le prime svolte del cunicolo pendente da cui erano arrivati. Daren poteva vedere solo i primi sfortunati di quel secondo gruppo, ma ne intuiva le dimensioni dal rumore che stavano facendo.
Anche gli elfi si stavano ormai rendendo conto che non si trattava semplicemente di un gruppo di razziatori, ma sembrava una vera e propria diaspora.
Il goblin che si era fatto portavoce della tribù venne praticamente spinto avanti dai suoi compagni, e si trovò a pochi passi dal drow con occhi colmi di spavento e di lacrime.
“Allora prego, prende noi schiavi. Noi obbedisce. Lavora per grandi padroni. Prego, togliete maledizione, noi fa tutto ciò che volete, durbuluk.” Daren riconobbe la parola, un po’ desueta, che significava dominatore. “Prego, toglie maledizione di booyahgvawshak.” Supplicò l'orrendo piccoletto, torcendosi le mani.
Daren rimase perplesso per un attimo. Non aveva idea di cosa fosse il booyahgvawshak. Però, pensandoci bene, si accorse che conosceva le parole di cui era composto quel nome. Poteva significare, a grandi linee, il morto magico, o forse lo stregone morto.
“È un morto? Un… goblin morto?” Volle indagare.
“Lui era nostro booyahg, nostro goblin di spiriti.” Balbettò, poi tacque per un momento. Deglutì a vuoto, un paio di volte, e cercò di tirarsi indietro e rientrare nel mucchio, ma i suoi compagni non glielo permisero, tornando a spingerlo in avanti. “Lui ha… lui grande testa di merda, lui ha sfidato booyahg di grandi padroni drow.” Ammise, tremando come una foglia. “Tornato da tribù come booyahgvawshak. Morto che cammina, succhia-ossa. Ucciso molti goblin. Alcuni morti senza ossa, alcuni diventati senza-cervello. Grandissima paura. Noi scappati, per molti giorni, ma succhia-ossa sempre trova! Noi ora scappa in mondo-sopra, forse booyahgvawshak non segue…” finì di parlare, abbassando progressivamente la voce. “Ma se padrone vuole, noi schiavi subito! Padrone toglie maledizione, sì?”
“Non metterete piede nel mondo-sopra!” Intervenne Tazandil, uscendo dal suo nascondiglio tattico. Daren prese nota senza stupirsi che anche lui conosceva il ghukliak, la lingua dei goblinoidi.
I goblin rabbrividirono all'unisono. Erano goblin delle profondità, non avevano mai visto un elfo di superficie, ma lo sguardo pericoloso sul volto del vecchio ranger li persuase in un attimo che gli elfi chiari dovevano essere semplicemente una variante estetica degli elfi scuri. E a quanto pare erano anche alleati dei loro cugini.
“Prego, padrone…” cominciò a piagnucolare il portavoce dei goblin, dando il via ad un coro di suppliche da parte di tutta la prima linea. Dalla massa alle loro spalle cominciavano a sentirsi rumori che tradivano impazienza e paura.
“Sarebbe meglio occuparsi di questo non morto che li segue.” Propose Daren passando a parlare in lingua elfica, prendendo in contropiede i suoi compagni.
“Dovremmo affrontare un non morto?” Esclamò Nelaeryn, incredulo. “Per dei goblin?”
“Non penso che abbiamo le forze per ucciderli tutti, in questo momento. E personalmente non sono molto incline a massacrare creature disarmate e bambini, anche se sono goblin.” Cominciò Daren. “Ma è molto pericoloso lasciare una simile massa nel panico e senza speranza, non si può sapere che cosa faranno. Dopotutto quali scelte hanno? Tornare indietro e morire, salire in Superficie e crearvi dei problemi, oppure scendere nelle caverne che prima erano abitate dai drow e scoprire che ora sono vuote… peccato che ci siamo lasciati dietro tutto l'equipaggiamento degli elfi scuri; non sono particolarmente interessato ai loro tesori, ma chissà quali oggetti maledetti si erano portati dietro. Non voglio pensare a che cosa accadrebbe se oggetti magici e pericolosi cadessero nelle mani perverse di un goblin. Preferirei che tornassimo con una seconda spedizione, quando ci saremo rimessi in sesto, per ripulire questo posto.”
La sua proposta fu accolta da un silenzio sbigottito, perché in effetti nessuno di loro aveva pensato a quei risvolti. In realtà nessuno di loro aveva pensato neanche alla possibilità di tornare laggiù, volevano tutti lasciarsi alle spalle quella brutta esperienza e quel luogo oscuro. Ora che però il loro alleato aveva parlato di quella possibilità e dei potenziali rischi connessi, tutti quanti si resero conto che era stato abbastanza insensato fuggire in quel modo senza pensare a cosa si stavano lasciando dietro.
“Affrontare un singolo non morto in effetti potrebbe essere preferibile a dover fronteggiare un esercito di goblin armati di magia drow.” Riconobbe Solaias, afferrando subito il suo simbolo sacro. “Qualunque cosa sia, non può essere peggio delle mummie.”
“Se sei già in grado di curarmi, buon chierico, potrei prendermi io questa incombenza.” Propose Daren. “È stato… dopotutto è stato un drow a creare quel non morto.”
“Un drow con cui tu non c'entri niente, quindi evita di sentirti coinvolto.” Ribatté seccamente Tazandil. “Ordina a questa sporca marmaglia di lasciarci passare, e quel mostriciattolo che mangia le ossa si troverà presto a mangiare la polvere.”

Fu così che quel giorno, forse per la prima volta nella Storia, si verificò un evento più raro dell'allineamento dei pianeti: un gruppo di elfi e drow alleati unirono le forze per aiutare una tribù di goblin.
In cambio di un piccolo sforzo ottennero di distruggere una creatura del male, impressionare a morte i goblin del sottosuolo, e strappare loro la promessa terrorizzata che non avrebbero mai messo piede nelle gallerie superiori e nemmeno nel territorio dei drow. Con un po' di fortuna, la notizia della loro grande prodezza si sarebbe sparsa negli strati superiori del Buio Profondo, disincentivando qualunque futura incursione goblin.
Dopo nemmeno mezz'ora avevano ripreso il cammino, sentendosi più sicuri di loro stessi e del loro sodalizio. Solo Raerlan sembrava essersi ombrato, ma nessuno gli faceva troppo caso, come al solito.

Il racconto del goblin aveva fatto vibrare una corda familiare nella sua memoria. Quel non morto, il beviossa, aveva il potere di uccidere in modo raccapricciante, ma non quello di far impazzire le persone. Certo, era sempre possibile che alcuni goblin avessero perso la sanità mentale semplicemente a causa della paura. Qualcosa però gli diceva che se uno degli incantatori drow si era preso la briga di svolgere un rituale, magari costoso, per trasformare un goblin in un folle non morto e poi mandarlo a terrorizzare e sterminare la sua tribù... poteva esserci dietro lo zampino di qualcuno che si nutriva della paura e delle emozioni estreme altrui. Qualcuno come una malvagia predagioia. Che magari per un po' di tempo si era divertita con quei goblin, e poi li aveva messi da parte come giocattoli usati, senza curarsi delle conseguenze.
Quella dannata unseelie è scomparsa dopo la battaglia. Si disse, rimuginando sulla cosa. E se è furba non si avvicinerà più alla foresta di Sarenestar finché avrà vita. Ma posso forse lasciarla andare in giro libera per il mondo?
La troverò. Troverò quella stronza manipolatrice e metterò fine alla sua esistenza. Tanto, avevo già messo in conto di lasciare la foresta il prima possibile.


Un’ora più tardi si fermarono a riposare un po’, perché la salita si stava facendo più ripida e in alcuni punti avrebbero dovuto aiutarsi con le mani, scalando un po’, per proseguire. Daren aveva ancora un braccio inutilizzabile. Poteva ricorrere ai suoi poteri di drow per levitare, ma solo un limitato numero di volte. Appena trovarono una piattaforma comoda per fermarsi, si sedettero per riprendere fiato. Solaias pregò il Padre degli Elfi per ricevere nuovi incantesimi, e finalmente riuscì ad elargire a tutti le cure che aspettavano. Da quel punto, il viaggio non diventò meno impervio, ma certamente fu più facile da affrontare. Pilindiel mancava ancora di una mano, ma Solaias non era in grado di lanciare incantesimi potenti come quello necessario a far ricrescere un arto. Gli altri l’aiutarono a superare i punti più difficili, e tutti insieme riuscirono a dominare la natura ostile.
Era decisamente una strada diversa da quella che avevano fatto all’andata, ma stavano salendo, e anche in modo abbastanza rapido. Forse era perfino una scorciatoia. Ogni passo li avvicinava alla Superficie ed era come se gli elfi stessero ricominciando a sentire il richiamo della foresta e del cielo stellato, come se la pietra sulle loro teste diventasse sempre meno opprimente.

Alla fine sbucarono in una caverna abbastanza ampia, un ovale quasi perfetto, così bassa che quasi tutti sfioravano il soffitto con la testa (non Daren), e tristemente senza uscita. Questa scoperta li paralizzò per un attimo, come un pugno improvviso allo stomaco; dopo tutta quella fatica…? Ma poi Raerlan richiamò la loro attenzione su un dettaglio: sopra le loro teste non c’era pietra, ma terra compressa. Terra vera, friabile, tenuta insieme dalle radici dei fitti alberi della loro foresta. A Solaias sfuggì un grido di giubilo, Pilindiel e Nelaeryn si abbracciarono con gioia e sollievo. Ce l’avevano fatta! La Superficie!
Attesero con calma mentre Raerlan sussurrava alle radici facendo appello ai suoi incantesimi, così simili a quelli di un druido. Le radici si spostarono di buona grazia, facendo cadere un mucchietto di terra e liberando un passaggio, un buco nel soffitto.
Daren uscì per primo, facendo appello ai suoi poteri di levitazione. Lo strato di terriccio era spesso più di un metro. Non era impossibile da scalare, e le radici avrebbero aiutato, ma non c’era motivo di complicarsi la vita. Dal suo zaino recuperò una corda di canapa, la legò al tronco di un albero e calò l’altra estremità attraverso il foro.
Pochi istanti dopo, quel coraggioso manipolo di eroi posò di nuovo i piedi sul terriccio soffice e naturale del bosco, beandosi del profumo resinoso delle conifere e dell’aria frizzante della notte, che a loro sembrava tiepida dopo aver sperimentato il clima freddo e umido delle gallerie.
“Ah… casa!” Sospirò il chierico, decidendo all’istante che non avrebbe mai più messo piede in una grotta in vita sua.
Tazandil condivideva il suo sollievo, ma non era altrettanto propenso a dimostrarlo. Pilindiel e Nelaeryn stavano perfino saltellando, dannati marmocchi. Il loro amico sciamano fece in modo di richiudere il buco, e poi tutti insieme cercarono di capire dove si trovavano, rispetto alla radura da cui erano partiti. Tazandil si arrampicò su un albero, si scambiarono le loro valutazioni e infine convennero che erano sbucati un po’ più a nord.
“Torniamo dagli altri. Saranno preoccupati a morte. Quando ci hanno lasciati, c’erano ancora un chierico e quattro mummie a piede libero.” Decise il ranger capo, richiamando tutti all’ordine.
“Ah… a questo proposito… nessuna speranza che tu abbia cambiato idea su quella cosa della gabbia?” Indagò l’elfo scuro.
“Mh, dovrei rinchiuderti, sì. Per essere un insopportabile bacia-goblin.”
Ehi!” Protestò Daren, offeso. “Non mi piacciono i goblin, sono delle piccole merde, ma sì, confesso che mi fanno un po’ pena. I drow danno loro la caccia solo per sport.”
“Danno la caccia anche agli elfi.” Gli fece notare Tazandil. “Dimmi, per caso ti facciamo pena?” La voce del vecchio elfo dei boschi grondava sarcasmo.
“No.” Ammise lui, cedendo alla sua logica con un sorriso di scuse. “Non sono così folle. No, tranne quando uno di voi diventa davvero una vittima, come Filvendor.”
La menzione del loro compagno appena emerso da un anno di torture ricordò a tutti che c’era molto da festeggiare, ma anche che forse non era il momento giusto per farlo.
“A proposito di Filvendor.” Raerlan si avvicinò a Daren e gli mise un braccio intorno alle spalle, con la sua solita invadenza. “Apprezzerei molto che nessuno di voi menzionasse il ragazzino, Mavael.”
“Suo figlio?” Daren gli lanciò un’occhiata perplessa. “Perché no? È stato lui a chiedermi aiuto per il padre.”
“Sì, ma fare il suo nome sarebbe solo causa di altro dolore per Filvendor. Vedi, c’è un motivo se un ragazzino come Mavael era al corrente dei drow, mentre nessun altro ranger del clan Gysseghymn lo era. C’è un motivo se non aveva bisogno di mangiare e di dormire, e pesava così poco. E… c’è un motivo se è comparso al tuo accampamento senza che tu, un drow, lo sentissi arrivare.”
Man mano che l’alicorn elencava quei punti, l’elfo scuro cominciò a rendersi conto, per la prima volta, che era tutto vero. Erano tutti dettagli molto strani, come mai non li aveva notati?
“Mavael non era reale?” Gli domandò a bruciapelo, troppo sorpreso per essere arrabbiato. Credeva di essere bravo a riconoscere le illusioni.
“Oh, no, era molto reale.” Negò Raerlan, togliendo il braccio dalle spalle di Daren. Anzi, discretamente si preparò a scappare, nel caso si fosse reso necessario. “Ma quel bambino era… lui non è più… Mavael è morto cinque anni fa.” Sganciò la bomba, preparandosi al peggio.
I cinque elfi e il drow si fermarono all’unisono, sbalorditi, e lentamente si voltarono tutti verso l’alicorn. Raerlan capì che per il momento erano tutti troppo scioccati per realizzare il suo inganno, e quindi andare in collera.
“È stata sua madre, Visne, a spiegarmelo. Cinque anni fa, il clan Gysseghymn aveva un problema ai suoi confini occidentali: una congrega di Streghe Verdi… o per meglio dire, di Megere Verdi, si era insediata in una piccola valle e stava deviando il torrente per trasformare quel luogo in una palude. I ranger sono riusciti a scacciarle, ma prima di andarsene per sempre quelle perfide creature hanno voluto vendicarsi. Hanno avvelenato il pozzo più vicino ad un villaggio, ed era il villaggio di Filvendor. Sua moglie Visne, il piccolo Mavael e alcuni altri sono morti in modo… doloroso, ma quasi immediato. La… la rapidità della morte ha permesso agli elfi di capire che il problema era il pozzo, ma ha anche reso inutile qualsiasi cura. Filvendor ha perso tutta la sua famiglia quel giorno.” Raccontò, in tono sempre più triste. “Gli spiriti di Visne e Mavael non sono riusciti a passare oltre e a raggiungere la beatitudine di Arvandor, perché il loro amato marito e padre era troppo sconvolto, ferito e depresso. Gli sono rimasti accanto, ma senza poter fare niente. Lui non li poteva udire. E poi, alcuni anni dopo, Filvendor è stato catturato dai drow. Visne mi ha detto anche questo. Era diventato sempre più imprudente, usciva in pattuglia da solo, era una preda facile e all’epoca non gli importava di vivere o morire. Adesso…” improvvisamente a Raerlan tornò in mente lo spirito del mago drow, che gli aveva indicato i suoi due compagni e poi Filvendor. Finalmente capì cosa avesse inteso dire. Dopo un momento, con lo sguardo ancora perso nel vuoto, riprese a condividere le sue elucubrazioni. “Adesso il suo spirito è ancora ferito, ma in modo diverso. Ha subito… tanti, grandissimi torti. È triste e furioso e ha bisogno di guarigione, ma ci vorrà tempo e non è detto che riesca a trovarla qui. Per cui… bisogna lasciargli il suo tempo, e non bisogna parlargli di Mavael. Lo farò io. Gli dirò… gli mostrerò gli spiriti dei suoi cari, lo farò parlare con loro, e forse acconsentirà a lasciarsi aiutare.”
Il suo racconto terribile si spense nell’ostinato mutismo dei suoi compagni. Alla fine fu Daren a prendere la parola per primo.
“È una storia immensamente triste.” Ammise. “E visto che stiamo parlando di Filvendor… io non penso che dovrebbe essere costretto a vedermi. Il mio aspetto gli ricorderà sempre i suoi carcerieri, e non voglio fargli rivivere quel dolore, nemmeno con la memoria. Possiamo arrangiare le cose in modo che mi stia lontano?”
“Ora penso che dovremmo andare tutti a Myth Dyraalis.” Propose Tazandil. “Filvendor ha bisogno di assistenza e di sentirsi in un luogo protetto, Pilindiel ha perso una mano, e inoltre Merildil, Mastro Wilhik e Solaias vivono lì. E tu… tu, Daren, hai tante cose da discutere con i nostri capi clan. Dobbiamo organizzare quella spedizione esplorativa per vedere cosa i drow avessero portato con loro, dobbiamo capire cosa ci facessero qui, e pianificare le prossime mosse.”
“Ma io non posso entrare a Myth Dyraalis, è la… la vostra città, giusto? Un luogo segreto, protetto. Io non sono uno di voi.”
“Non è una città di soli elfi. Anche una comunità di gnomi vive lì, e in passato alcuni umani e mezz'umani sono stati nostri amici e alleati.”
“Ma… portare un drow all’interno di una città protetta non scatenerà il panico?” Insistette lui.
Tazandil si passò una mano dietro la testa, una dimostrazione di grande incertezza da parte sua. “Verrai disarmato.” Cercò di tranquillizzare entrambi, affermando l’ovvio. “E non verrai condotto subito in città. Prima andremo io, Merildil, Filvendor e alcuni altri. Così quel poveretto non dovrà vederti, e noi potremo preparare il campo tranquillizzando la cittadinanza. Poi arriverai anche tu, fra qualche giorno, magari con Johlariel.”
“Johlariel sarà arrabb…”
“È un problema tuo.” Tagliò corto Tazandil. “Ho ben altre cose di cui preoccuparmi.”
Daren sospirò, gettò uno sguardo mezzo disperato a Raerlan e ripresero il cammino. Più tardi, quando erano quasi arrivati alla radura, l’elfo scuro prese discretamente da parte l’alicorn, che reagì in modo piuttosto nervoso a quella manovra.
“Ah… Daren, amico… mi dispiace di non averti detto…”
“Stai zitto.” Soffiò il drow. “Non fare il codardo manipolatore, sei meglio di così, razza di giullare.”
Raerlan sollevò un sopracciglio, sorpreso per quell’approccio. Percepiva che Daren era irritato, ma… forse non per il motivo che credeva lui.
“Ascoltami bene, non avevi bisogno di mentirmi su Mavael. Pensi che non sarei andato a liberare Filvendor, se non avessi pensato che aveva un povero tenero bambino di cui occuparsi? L’avrei fatto comunque, razza di idiota! Ma non sono arrabbiato per le tue menzogne.”
“Ah… ah no?”
“Non sono io quello a cui è morta la famiglia e che è stato torturato per un anno. Non credo di avere il diritto di essere arrabbiato per qualcosa, non gira tutto intorno a me. Ma sai cosa? Non mi avresti proposto questa missione se non ti fossi fidato di me almeno un po’. Forse non ti fidi tanto quanto dimostri, e mi dà fastidio che tu faccia l’amicone quando invece non hai piena fiducia in me, ma hai comunque investito su di me e sulla nostra amicizia abbastanza da manipolare le cose per farmi entrare nella foresta, e hai fatto in modo che queste persone scendessero a salvare… Filvendor, ma anche me. Hai tirato i fili per far sì che facessi bella figura agli occhi di Tazandil, di una importante druida e di un chierico. Ora, se tu fossi un drow ti chiederei qual è il tuo secondo fine, magari tenendoti in punta di spada. Ma sei un maledetto unicorno…”
“Un alicorn!”
Daren lo afferrò per il coppino e gli diede uno strattone portando le loro teste ancora più vicine, in modo che potesse sussurrare senza farsi sentire dagli altri.
“Un maledetto figlio di un ronzino magico e di uno scopaghiande, quindi mi dirai la verità perché te la chiedo per favore.” Sibilò in tono così minaccioso che Raerlan realizzò per la prima volta, completamente, che Daren era pur sempre un drow. “Qual è il tuo secondo fine?”
“Sono un alicorn.” Tornò a ripetere Raerlan, come se quella fosse una risposta. “Non ho un secondo fine. Sono una persona buona e voglio che i miei amici vadano d’accordo fra loro.”
“Ah, ed è tutto qui?”
Lo sciamano esitò, titubante. Daren allentò lentamente la presa sulla sua nuca.
“Be’... mi prenderai in giro a morte se te lo dico.”
“No. Lo prometto.” Lo incoraggiò Daren. “Non ti prenderò in giro, dimmi pure tutta la verità.”
“Ecco…” Raerlan rallentò, costringendo il compagno a fare lo stesso. “Io a volte ho delle sensazioni. Non sono premonizioni, sono… emozioni, ma riguardano il futuro. E su di te ho una buona sensazione. Credo che potremmo… potenzialmente… essere amici per sempre.” Ammise, con un filo di voce.
Daren lo lasciò andare, abbassando lentamente il braccio. Lo guardò in silenzio, a occhi sgranati, per qualche secondo. Poi gli scoppiò a ridere in faccia.
“Pah! Ahahahah! Amici per sempre? Ma certo, andremo insieme alle fiere e ti comprerò i bastoncini di zucchero.”
Raerlan incrociò le braccia, offeso.
“Poi ci scambieremo i diari segreti e prenderemo il tè con le bambole.”
“Sei proprio un cretino.” Masticò l’alicorn a bassa voce.
“Come facciamo a diventare amici per sempre? Dobbiamo giurare intrecciando il mignolino?” Lo prese in giro il drow, senza pietà.
“Il mignolino è per fare pace, bifolco ignorante.” Ribatté il biondo, in tono glaciale. “Avevi promesso di non ridere.”
“Sono un drow.” Gli ricordò Daren, rimettendosi in cammino per non restare indietro rispetto al gruppo. “I drow mentono.”
“Ma! Non puoi essere un drow solo quando ti fa comodo!” Protestò Raerlan, velocizzando il passo per restargli a fianco.
“Certo che posso. Sono un drow. I drow sono opportunisti.”
L’alicorn si fermò, perplesso, poi scosse la testa con un sorriso. Non riusciva a capire del tutto Daren. Era troppo assurdo. Ma se la sua sensazione era giusta, non c’era alcuna fretta.

           

   
 
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