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Autore: NPC_Stories    01/10/2018    2 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: Il loro tempo


Il gruppetto di Tazandil raggiunse la radura dove gli altri si erano accampati, e potendo finalmente vedere le stelle, l’esperto ranger giudicò che fosse da poco passata la mezzanotte. Qualcuno aveva eretto una specie di casetta. Certamente il mago, ah, benedetti gnomi, pensò Tazandil alzando gli occhi al cielo. Ma il piccolo Wilhik aveva diritto a un po’ di comodità, dopo tutto quello che aveva fatto per loro.
Johel era sul tetto a fare la guardia. Allarmato dai rumori (di Raerlan, il ranger più goffo di Sarenestar) si era alzato in piedi e aveva già l’arco in tensione, ma si rilassò immediatamente quando vide che si trattava dei suoi compagni.
Il giovane elfo non poté fare a meno di sorridere, vinto dal sollievo. Suo padre era vivo, i suoi amici erano vivi, nessuno era rimasto indietro. Era perfino felice di rivedere Daren; non l’avrebbe perdonato facilmente per essere partito per quella missione senza dirgli nulla, ma... aver già affrontato i suoi stessi demoni interiori l’aveva lasciato stanco e molto più tranquillo, aveva prosciugato le sue forze e la sua rabbia. Inoltre, buona parte di quella rabbia veniva dalla paura di non rivedere più i suoi compagni, e dalla vergogna per i suoi sentimenti contrastanti. Ora che entrambe quelle questioni erano superate, anche la collera si era quietata.
Daren decise di rimanere ai confini della radura, non tanto per evitare Johel ma per non farsi vedere da Filvendor. È vero che lui e l'elfo dei boschi avevano già passato molto tempo insieme, ma era diverso: poche ore prima il ranger era prigioniero e aveva bisogno del suo aiuto per fuggire, quindi era costretto a sopportare la sua presenza. E poi si trovavano sottoterra, in un luogo che già di per sé Filvendor associava alla schiavitù e al dolore; in quel contesto Daren era stato forse il minore dei mali. Ma trovarsi un drow in casa propria, nella foresta che per lui rappresentava un luogo sicuro, era tutt’altra faccenda.

Per gli elfi di Sarenestar, riunirsi ai propri compagni fu un momento molto commovente. Non erano persone molto espansive, d’abitudine, ma erano appena sopravvissuti ad una prova durissima, una missione eroica che non tutti pensavano di poter tornare a raccontare.
Raerlan era quello che aveva meno dubbi di tutti, fin dall’inizio. Sapeva di non essere onnipotente, ma aveva sempre creduto di poter essere un valido aiuto per i suoi compagni.
Quindi sorrise, dispensò pacche sulle spalle, trovò una parola di lode per tutti, ma non si lasciò trascinare dall’emozione; il suo dovere non era ancora terminato. I guerrieri avevano fatto la loro parte per liberare Filvendor, ora toccava a lui. Doveva conquistare la sua fiducia, per liberarlo dalle ultime catene: quelle nella sua mente.
Raerlan era uno sciamano, ma anche un guaritore. La fragilità dei mortali era sempre stata un grande cruccio per lui. Imparare l’arte della guarigione era stata una naturale conseguenza delle sue pratiche da sciamano. Coniugando le sue abilità, forse sarebbe riuscito ad aiutare Filvendor: era necessario guarire il suo corpo, la sua mente e la sua anima.
Merildil aveva già iniziato a prestargli le prime cure, e si era comportata bene; un corpo così tormentato non sarebbe tornato in forma solo con qualche incantesimo che chiude le ferite. Quel tipo di magia poteva andare bene per metterci una pezza, per restituire un po’ di energie in caso di emergenza, ma la guarigione vera è un’altra cosa. La druida sicuramente lo aveva intuito, per questo aveva lasciato che Filvendor dormisse qualche ora e poi aveva iniziato a dargli degli infusi ricostituenti. Raerlan però sapeva che non era abbastanza. Il corpo del povero elfo avrebbe sentito lo spettro del dolore, a volte, senza motivo. La sua mente l’avrebbe ingannato con incubi e allucinazioni, probabilmente per anni, per decenni. Ma il dolore del corpo era un’illusione creata dalla mente, e il dolore della mente era anch’esso un’illusione, causata dalle ferite dell’anima.

L’elfo era seduto per terra, con la schiena poggiata alla casetta di Wilhik, e guardava le stelle con occhi colmi di meraviglia. Era come se le vedesse per la prima… no. Era come se le vedesse dopo un anno di prigionia. Che è molto più emozionante che vederle per la prima volta. Aveva l’aria di una creatura fragile che non dà più nulla per scontato.
“Ti saluto, Filvendor.” Raerlan lo chiamò a bassa voce, sedendosi al suo fianco.
Il ranger staccò a fatica lo sguardo dal cielo stellato, spostandolo sulla persona che l’aveva chiamato. Gli sembrava ancora così strano udire il suo nome.
La voce era gentile, ma apparteneva a qualcuno che l’elfo non conosceva. Oh, aveva sentito parlare di Raerlan, certamente; gli alicorn sono creature rare, dalla reputazione ambigua. Di indole buona, sono famosi per mettersi spesso al servizio dei più nobili ideali, eppure di solito sono snobbati dagli elfi per via dell’amore proibito fra i loro genitori.
“Ti saluto… amico. Perdonami, il tuo nome mi sfugge.”
“Raerlan.” Si presentò il nuovo arrivato, con un sorriso aperto e cordiale. “Sono ospite del clan Arnavel da molti anni, ma non mi reco spesso nel vostro territorio, quindi non ci siamo mai incontrati.”
Filvendor annuì lentamente, poi spostò lo sguardo da lui agli altri elfi alle sue spalle, intenti a pianificare le prossime mosse. I suoi occhi si velarono di lacrime, senza che riuscisse ad evitarlo.
“Il clan Arnavel.” Ripeté lentamente. “Come gli altri, giusto? Appartenete tutti a quel clan. E siete venuti a rischiare la vita per me. Io vi sarò eternamente grato ma… devo saperlo. Ti prego, buon Raerlan, dimmi la verità: cosa ne è stato del mio clan? I drow lo hanno distrutto?”
La domanda prese completamente in contropiede l’alicorn.
“No, niente di simile. I drow hanno fatto in modo di tenerci all’oscuro della loro esistenza, non hanno fatto nulla che potesse attirare l’attenzione… tranne catturare te. I tuoi parenti…”
“Non ho parenti.” Lo interruppe Filvendor. “Ero figlio unico, la mia famiglia è morta, i miei genitori sono morti molto tempo fa e nel clan ho solo dei cugini. È per questo che non sono venuti loro a liberarmi?” Domandò, in tono amaro. Non era sua intenzione recriminare, ma aveva appena realizzato quanto si sentisse abbandonato.
“Loro ti hanno cercato per mesi.” Raccontò il suo nuovo amico, a bassa voce, in tono quasi di scuse. “Immagino che ad un certo punto ti abbiano dato per morto. Ma non hanno mai saputo che eri prigioniero nel sottosuolo. Quando noialtri lo abbiamo saputo, abbiamo agito subito, non c’è stato tempo di coinvolgerli o consultarli. Ti prego di credermi, amico mio, se avessero saputo che stavamo venendo a salvarti certamente avrebbero voluto venire con noi. Ma Tazandil preferiva avere ai suoi comandi un gruppo ristretto, persone abituate ad agire ai suoi ordini e ad obbedire senza mettere in dubbio le sue scelte. Questo non sarebbe stato possibile con i ranger di un altro clan, visto il grado di autonomia che giustamente ci separa.” Tentò di spiegare, anche se quelle argomentazioni gli sembravano vuote davanti al dramma personale di Filvendor.
Lui tacque per un lungo momento, e Raerlan pensò che le sue spiegazioni gli fossero sembrate solo delle scuse macchinose.
“Lo capisco.” Disse infine l’elfo, sorprendendolo. “Era questione di vita o di morte, non ci si possono permettere errori quando si combatte contro dei drow.” Ammise, dimostrando grande senso pratico.
Raerlan fece per posargli una mano sulla spalla, ma poi pensò che forse non avevano abbastanza confidenza per un contatto fisico. Abbassò la mano lentamente, e decise di esprimere ciò che sentiva attraverso le parole.
“Sono ammirato per la tua lucidità, sei incredibile. Devi avere una grande forza interiore.”
Filvendor sollevò un angolo della bocca in un sorrisetto asciutto.
“Ironico. Lo dicevano anche i drow. Per non avermi spezzato del tutto.” Commentò. “Eppure io non mi sento così forte. Un tempo pensavo di non avere alcuna ragione per vivere, dopo che la mia famiglia è morta io mi sentivo come un guscio vuoto e niente aveva senso, il cibo non aveva sapore, il sole non mi scaldava. Ma… tutto quel tempo in mano ai nemici mi ha cambiato. Non so se in meglio o in peggio, una parte di me è debole e vorrebbe solo cancellare la memoria di tutto ciò che è successo nell’ultimo anno, negli ultimi cinque anni. Ma ora che è tutto alle spalle, ora che… non lo so. Sono diverso. Non so perché voglio vivere, ma lo voglio. Forse è solo per ripicca.”
“È meraviglioso che tu voglia vivere. È uno splendido punto di partenza. Avrò bisogno di questa tua forza, e ne avrai bisogno anche tu per sopportare quello che sto per dirti. Io posso aiutarti a guarire. Ma dopo tutto quello che ti è successo, la guarigione non sarà senza dolore.”
Filvendor lo guardò senza capire, senza riuscire a mettere a fuoco le sue parole.
“Che vuol dire, aiutarmi? Mi avete liberato. Che altro c’è da fare? Io soffrirò per quello che ho perso, perché è quello che succede quando perdi qualcuno che ami. E non ho perso solo la mia famiglia, ma anche me stesso. Il Filvendor felice e completo di cinque anni fa non esiste più. Vivrò con il rimpianto e la paranoia per sempre, e lo accetto, perché comunque io vivrò. Non passerà più un solo giorno senza che io benedica il calore del sole, non passerà una sola notte senza che io alzi lo sguardo sulla meraviglia del cielo stellato.”
“E magari cercherai di nuovo la felicità?” Propose Raerlan.
“Mai!” Filvendor scosse la testa, e nonostante la sua parziale guarigione l’alicorn vide che c’era un vuoto nei suoi occhi, nel suo cuore. “Fa troppo male quando si spezza.”
“Fa così male perché ne vale la pena.” Raerlan gli sorrise con tenerezza, ma anche con tristezza. Quel discorso gli aveva riportato alla mente tutte le persone, gli amici, che aveva amato e perso nel corso dei lunghi millenni della sua vita.
“Il mio cuore si poteva rompere una volta sola.”
“Io posso aiutarti ad aggiustarlo.” Gli propose Raerlan. “Ma solo se lo vuoi anche tu, e per volerlo devi essere forte. Sentiti libero di darmi un pugno, perché ho la pellaccia dura, ma hai il diritto di saperlo: tua moglie e tuo figlio non vorrebbero vederti infelice per sempre. Anzi… non lo vogliono. Io lo so.”
Filvendor trattenne violentemente il respiro, una reazione viscerale a quelle parole, ma Raerlan l’aveva messo in conto. Il ranger chiuse e riaprì i pugni un paio di volte, e lo sciamano si chiese se non stesse per approfittare di quell’offerta di dargli un pugno.
Alla fine, con la solita lucidità e controllo, Filvendor si rilassò. Raerlan riconobbe lo sforzo, e improvvisamente comprese che quella lucidità, quel raziocinio, era la barriera di vetro che stava impedendo alle sue emozioni di esplodere e devastare la sua psiche.
“Tu non li conoscevi.”
“È vero.” Ammise lui. “Non ho avuto la fortuna di conoscerli, non come te, quando erano vivi e le loro anime erano libere di maturare, di cambiare, di essere fallibili. Ma li conosco adesso. Io sono uno sciamano, parlo con gli spiriti. Coloro che sono oltre la vita acquistano una grande saggezza, e Visne me lo ha detto; vederti infelice, tormentato, le spezza il cuore. E Mavael, che bambino splendido e coraggioso, lui…”
Questa volta Filvendor scattò. Erano entrambi seduti a terra, ma riuscì a lanciarsi su Raerlan e ad afferrarlo per il bavero della casacca.
“Provalo!” Gli gridò in faccia. “Non parlare di loro se sono solo vuote menzogne! Non ho bisogno di essere rassicurato, o convinto da un imbonitore!” Allentò la presa e permise a Raerlan di allontanarsi un pochino, ma non lo lasciò andare. “Se davvero i loro spiriti parlano con te, se non sono andati in pace verso il nostro paradiso ad Arvandor, allora voglio che parlino con la loro voce, non con la tua!”
L’alicorn posò le mani sui pugni di Filvendor, ma non lo costrinse a lasciarlo. Era solo un contatto per trasmettergli la sua vicinanza. Poi annuì, mantenendo il contatto visivo.
“Sì. Ti farò parlare con loro. Sono sincero, Filvendor. Tutti noi vogliamo solo il tuo bene.”
Lentamente, l’elfo riacquistò la calma. Alla fine lasciò andare Raerlan. Se lo sciamano aveva qualcosa da mostrargli, se almeno una parte del suo racconto era vera, allora lui era ansioso di averne la prova.

Filvendor non ne capiva nulla di rituali sciamanici, ma prese nota di una cosa: Raerlan non aveva cercato di fargli assumere sostanze strane. L’elfo si era aspettato che fosse tutto un’impostura, che sarebbe stato indotto ad avere allucinazioni e visioni, con la scusa di proiettare la sua mente in un diverso stato di coscienza o altre baggianate fumose.
Invece il rituale dell’alicorn assomigliava molto a quello che avrebbe potuto fare un mago, cioè, non nella forma, non aveva nulla dell’ampollosità della magia arcana… ma negli effetti. Li richiamò nel mondo reale. Visne e Mavael, in piedi davanti a lui, reali come lo era lui. Raerlan aveva versato il suo sangue sulla terra per ottenere quel risultato, prestando una parte della sua energia vitale ai due spiriti che solo lui poteva vedere. Così erano diventati corporei, come quando Mavael era comparso per parlare con Daren poco più di due giorni prima.
Poter riabbracciare i suoi cari fu un’esperienza sconvolgente, surreale. Filvendor non aveva mai immaginato che fosse possibile. Tra gli elfi il concetto di resurrezione non è universalmente approvato, molti vedono la cosa come un atto innaturale, un atto di egoismo quasi, perché ci si aspetta che dopo la morte le anime vadano in pace ad Arvandor o in qualche simile paradiso. Solo i guerrieri a volte vengono resuscitati, e la cosa è vista come un’estensione del loro compito, un atto di abnegazione e di senso del dovere: tornano, per continuare a proteggere il loro popolo. Allo stesso modo, l’idea di non disturbare le anime dei morti si estende anche a pratiche come le evocazioni e le divinazioni.
Il caso di Visne e Mavael era diverso, perché quelle due anime non erano in pace.
Erano elfi, consapevoli (perfino il bambino) dell’importanza dei cicli naturali, e nessuno di loro per sua indole sarebbe mai diventato un non morto, uno spettro; però l’amore per Filvendor li aveva trattenuti, e il dolore di lui li aveva legati. Non potevano andarsene, fintanto che lui sentiva così acutamente la loro mancanza.
Riuscirono a dirglielo. Fra gli abbracci e le lacrime, riuscirono a farglielo capire. Nessuno dei due l’avrebbe considerato un tradimento, se lui avesse trovato di nuovo la felicità. Anzi, la cosa li avrebbe resi liberi. Un giorno si sarebbero ritrovati tutti, ad Arvandor. Ma prima Filvendor avrebbe vissuto la sua vita.
L’elfo strinse forte fra le braccia quella donna che aveva amato così tanto, che non l’aveva abbandonato, che aveva trovato il modo di chiedere aiuto per farlo liberare dalla prigionia.
“Non puoi lasciare che restino, vero?” Domandò, con le lacrime agli occhi. Raerlan sussultò; non pensava nemmeno che Filvendor si ricordasse della sua esistenza, in quel momento.
“Questa è una concessione temporanea.” Gli sussurrò Visne, accarezzandogli una guancia. “Uno sciamano sacrifica una parte della sua energia vitale per donare consistenza ad uno spirito. Non puoi chiedergli questo sacrificio. Il nostro tempo viene sottratto alla sua vita.”
Filvendor abbassò lo sguardo, sconsolato.
“Oh, al diavolo!” Sbottò Raerlan, mettendosi in mezzo fra i due. “Visne, Mavael, voi volete restare?”
I due rimasero momentaneamente confusi, senza parole.
“Be’... sì.” Ammise Mavael. “Io non so cosa c’è oltre, ma qui c’è il mio papà.”
Spostarono tutti lo sguardo su Visne. Lei esitò. Le anime dei viventi possono permettersi di essere egoiste e fallibili, ma chi è già al di là della morte...
“Non possiamo chiederti questo.” Ripeté, pacatamente. “Quanti anni…”
“Ne ho a sufficienza.” Le assicurò Raerlan. “Sono anni di vita potenziale, e potenzialmente potrei vivere fino a vedere questo mondo seccarsi e andare in pezzi. Ma il vostro amore vale più di un simile spettacolo, no? Chi vuole vedere un mondo senza vita?”
“È… è possibile? Veramente possibile?” Pigolò Filvendor.
“Sì, diamine, sì, è possibile. Oh, nessuno sciamano l’ha mai fatto, ma nessuno era me.” Batté le mani, in tono deciso. “Ma sarebbe molto più facile una resurrezione, sapete?”
“A me non interessa molto, tornare vivo, rimettermi in gioco, cambiare… dimenticare tutto quello che sono stato fino ad ora.” Mormorò Mavael. “Sarebbe come perdere un pezzo di me. Tornare ad avere tutti i limiti della mia età e del mio sviluppo mentale. A me piace essere… espanso.” Spiegò. Un discorso che Filvendor non riuscì a comprendere, ma Visne sì.
“Sono d’accordo con Mavael.” Annunciò lei, pacatamente. “Quando ci si trova in uno stadio spirituale, come noi, le limitazioni della carne appaiono come una prigione. Non è solo l’essere corporei, anche ora lo siamo. È come se… avere un cervello stabilisse dei confini a ciò che il pensiero può raggiungere. È un mezzo necessario, ma anche una limitazione. Noi non vogliamo una seconda possibilità, non vogliamo rinunciare alla strada percorsa finora. Vogliamo solo poter aspettare Filvendor standogli accanto giorno dopo giorno.”
“E sia.” Concesse Raerlan. “Ma dovete capire le condizioni: in quanto spiriti, anche se corporei, non avrete mai bisogno di mangiare, dormire, respirare. Mavael, tu non crescerai mai, resterai un bambino. E tu, Visne, non potrai avere altri figli. Ne vale la pena? Essere immobilizzati in un eterno istante, come un quadro che si muove e parla, un costante monito per Filvendor del fatto che la morte aspetta tutti voi? Così ci sarà sempre tristezza, accanto alla gioia.”
“Ho vissuto per mesi con lo spettro della morte imminente.” Intervenne il ranger. “Non ho bisogno di nulla che me lo ricordi. E preferisco il futuro che ci prospetti, piuttosto che vivere ogni giorno nella paura che i miei cari muoiano di nuovo.”
Raerlan si strinse nelle spalle. La decisione spettava a loro.
Non era un metodo ordinario di procedere, non era esattamente sano, ma perché bisognava sempre seguire le regole? Perché doveva costringere Filvendor a vivere di nuovo il suo lutto e costringerlo a guarire in fretta, quando poteva restituirgli la sua famiglia e lasciare che fossero loro a guarirlo? Che decideva che cosa era giusto e cosa no?
“Allora vivrete finché vive Filvendor.” Sancì, e le sue parole vibrarono di potere magico. Poi tornò ad un tono di voce normale. “Per me non è un problema concedere a ciascuno di voi… cinque o sei secoli della mia vita, o anche di più; perdonami, Filvendor, non so quanti anni hai.”
“Cinque o sei secoli è una stima generosa.” Ammise lui, con un sorriso sghembo. “Ho già passato i duecento.”
“Ogni tanto vi sentirete osservati.” Preannunciò lo sciamano. “Finché sarete in questa forma, una piccola scintilla della mia anima sarà con voi. Ma non vi starò davvero guardando, è solo una falsa sensazione.”
“E potremo allontanarci?” Domandò Filvendor, a bruciapelo.
Raerlan fu preso in contropiede da quella domanda.
“Allontanarvi? Intendi geograficamente? Sì, certo, potete andare ovunque. Anche io non pianifico di restare qui per sempre.”
“Io vorrei lasciare la foresta.” Ammise Filvendor, cercando con lo sguardo l’approvazione dei suoi famigliari. “Questo posto ormai per me è solo teatro di brutti ricordi. Vorrei… andare in un luogo sicuro.”
Quelle parole caddero nel silenzio, mentre tutti e tre gli altri confrontavano l’idea di luogo sicuro con le recenti disavventure di Filvendor.
“Oh, sì. Sì, ha molto senso. Ti consiglio Evermeet. È stata fondata apposta.” Gli ricordò Raerlan.
Filvendor annuì, concordando con la sua valutazione. L’isola incantata di Evermeet era famosa per accogliere qualsiasi elfo, tranne i loro cugini oscuri. Chissà, forse avrebbero accolto anche elfi già mutati in spiriti. Un luogo di tali meraviglie doveva essere abitato da grandi incantatori, abituati a cose anche più strane.
Evermeet. Un nuovo inizio. L’ultimo porto sicuro.

           

   
 
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