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Autore: Lila May    30/09/2018    1 recensioni
/ Sequel di Disaster Movie / romantico, slice of life, comico (si spera) /
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10 anni dopo la terribile, anzi, mostruosa convivenza con i ragazzi della Unicorno, Esther Greenland passeggia per le strade di New York a tacchi alti e mento fiero. Il suo sogno più grande si è finalmente realizzato, e tutto sembra procedere normale nella Grande Mela americana.
Eppure, chi l'avrebbe mai detto che proprio nel suo luogo di lavoro, il gelido bar affacciato sulla tredicesima, dove non va mai nessuno causa riscaldamento devastato, avrebbe riunito le strade con una delle persone più significative della sua vita?
Il solo incontro basterà per ribaltare il destino della giovane, che si vedrà nuovamente protagonista del secondo disastro più brutto e meraviglioso della sua esistenza.
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❥ storia terminata(!)
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bobby/Domon, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter thirty.
 
Distance could be destroyed

 
Quando Erik e Silvia rientrarono in casa, un quarto d'ora più tardi, Mary si alzò dalla sedia e applaudì alla coppia, mentre Dylan ne accompagnava l'entusiasmo con una risata allegra.
<< Finalmente vi siete dati la decenza di farvi vivi! >>
Silvia si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, Erik si schiarì la voce. Erano ancora agitati, provati dalla tremenda discussione che li aveva visti protagonisti qualche attimo prima, ma sembravano un attimo più sereni.
Gli occhi grigi della Moore incrociarono le mani tenute salde dei due, e sorrise. Si sentiva stranamente felice per Erik. Nonostante il castano avesse combinato un disastro, dinanzi a tutto quell'amore e quella frustrazione non si era più sentita in grado di avercela con lui.
Silvia era stata in grado di dimostrarle che sì, lottare per Eagle era valsa eccome la pena.
E lui, d'altro canto, le aveva fatto vedere che sapeva essere molto più di un disagiante sciupa-femmine per placare la disperazione. Di questo gliene fu grata.
Glielo fece capire con lo sguardo, e quando lui comprese ricambiò il sorriso.
Non c'era altro da aggiungere, per quel che la riguardava. Le pagine scorrevano bianche verso il punto del non ritorno, la penna posata accanto al suo libro aspettava solo di poter essere impugnata. Era ora di riprendere in mano la propria vita; non avrebbe dimenticato, vero.
Avrebbe semplicemente chiuso entrambi gli occhi.
Mark sollevò lo sguardo dalla catasta di regali al centro del tavolo, le mani strette intorno ai polsi caldi. << Dobbiamo parlare, io e te. >>
<< Non ora. >> mormorò Erik, e lasciò la mano di Silvia per prendere posto. Aveva gli occhi arrossati, le gote ancora tremanti, ma dal modo in cui si muoveva sembrava aver riacquistato una nuova allegria. << Ne parliamo a casa. >>
<< A casa. >>
<< Perfect. >>
<< Mark. >>
E Mark lo fissò, lievemente scocciato.
<< Grazie. >>
Questa volta fu Esther a prendere la parola, sbattendo la mano contro il legno del tavolo. Lo fece con talmente tanta forza che Mark sobbalzò appena, suscitando le risatine di Dylan. << Eagle, prova ancora a toccare Kruger e ti giuro che diventerò il tuo incubo peggiore. >> poi si voltò verso Silvia, e la cascata di boccoli color prugna le scivolò verso un lato, mostrando a Kruger una buona porzione di collo scoperto che non lo lasciò indifferente. << Ah, e benvenuta tesoro. E' un piacere rivederti. >>
<< Anche io sono felice di riverderti, Esther. Ti trovo da dio. >>
<< Ed è così. Allora, verrai a New York con noi oppure no? >>
Silvia si accasciò tra le braccia ampie di Erik, respirando appena per l'emozione tesa che le scorreva nelle vene. Rispose il castano per lei. << Certo. >>
<< Che bello, avrò una compagna in più con cui andare a fare compere! >> esclamò Esther, dopodiché si riaccomodò sulla sedia, accanto a Mark. << Allora via quei musi lunghi! Scartiamo i regali? E' Natale! Ce lo siamo forse dimenticati? >> e afferrò il suo, su cui stava scritto in fretta e furia il suo nome. Riconobbe la scrittura, ricordò quando Mark le aveva lasciato il fogliettino col suo numero di cellulare, e sorrise nel sapere che aveva voluto identificare il pacchetto come suo. << Forza! >>
Gli altri la imitarono, e ognuno prese il proprio regalo, rigirandoselo tra le mani con aria curiosa.
Il tavolo ben presto si riempì di carta colorata, l'aria si impregò di gridolini esaltati, eppure Mark aveva come la sensazione che quello non era il giorno di Natale. Si sentiva strano, a disagio su quella sedia troppo scomoda, in attesa di capire quale fosse il suo pacco.
Vide Mary abbracciare Dylan, Erik avvolgersi la sciarpa al petto e poi avvolgere anche la sua Silvia, e si rese conto che quella vacanza non era stata una semplice rimpatriata tra amici, ma molto di più.
E che quello non era un semplice giorno di Natale.
Ma molto di più. Era come se tutti i pezzi di un enorme puzzle stessero tornando al loro posto, e probabilmente non era solo lui a pensarla così. A distrarlo da quella cortina di riflessioni ottimiste furono le mani di Esther, che gli coprirono dolcemente gli occhi.
Mark le annusò le mani curioso, azione istintiva che non seppe trattenere. Vaniglia.
<< Ehi! >>
<< Ciao >> esclamò lei, per poi baciarlo sulla guancia.
Kruger perse un battito mentre le basette si occupavano di mascherargli il rossore alle orecchie a sventola. Peggio dei bambini, maledizione. Ancora non riusciva a credere di aver trovato il coraggio di rubarle un bacio dalle labbra, lui, che a stento se la cavava con qualche spintarella da parte di Dylan.
<< e grazie per lo splendido regalo. Mi serviva proprio una fascia per i capelli! Sai non sopporto i cappellini di lana, mi danno prurito alla fronte ed è una cosa che odio. >>
Esther gli scivolò accanto e diede sfoggio della testa dai riflessi color mora, imballata in un'adorabile fascia di lana rosa con un fiocco al lato sinistro. Le stava bene, le stava d'incanto, e il biondo sollevò i pollici ad indicarle che era perfetta.
<< Apri il tuo, Mark. >> fece lei in risposta, e si allungò per prendergli il regalo.
Mark lo saggiò con mano esperta, mentre lo sguardo ingenuo si dipingeva di tutte le sfumature possibili e inimmaginabili del fattore “malizia”. << Che cos'è? >>
<< Aprilo e scoprilo. >>
<< Dai dai, dimmelo. >>
<< Dio, scordatelo! Apri quel cazzo di pacchetto. >>
Cominciò a strappare con estrema delicatezza la carta blu, come se avesse paura di romperne il contenuto celato al di sotto. Sentiva che si nascondeva qualcosa di bello, di fragile, solo per lui. Glielo aveva fatto Esther, e meritava di essere maneggiato con cura. Si liberò della carta – Greenland rubò la coccarda – e ciò che sollevò con entrambe le mani lo lasciò... sgranò le iridi.
Una foto.
Una foto rinchiusa all'interno di una cornice di legno, che mostrava lui, Dylan, Erik e Bobby abbracciati sotto una pioggia di coriandoli dai mille colori. Lui e i suoi migliori amici, lui e la sua famiglia.
Pensare al fatto che fossero ancora tutti e quattro uniti gli provocò un brivido alla spina dorsale che Esther notò con un sorrisetto soddisfatto, le dita impegnate a giocherellare con la coccarda. Con l'indice posato sul vetro della piccola cornice, Mark osservò le divise fradicie di sudore attaccate alla pelle, la sua fascia da Capitano mimetizzarsi con l'azzurro del cielo, i suoi occhi che brillavano vittoriosi, floridi d'orgoglio per la vittoria appena conseguita, e si sforzò di ricordare chi avessero sfidato quel giorno.
Si emozionò sul posto nel vedersi così piccolo e pieno di sogni, con quella frotta di biondi capelli scompigliati, e in reazione alla visione affondò la mano destra tra le ciocche della frangia ormai troppo lunga. Sembrava così ignaro di tutto quello che sarebbe successo dopo. Del trasloco, delle liti col padre, della lotta eterna per una libertà che era riuscito a trovare solo nella bocca di Esther, cristo. Era tutto così strano.
Tutto così bello.
Lasciò andare un sospiro di meraviglia e si voltò verso l'amica, esaltato. << Dove. L'hai. Trovata. >>
<< Ringrazia tua madre e i suoi tremila album su di te. >>
Grace. Avrebbe dovuto immaginarselo. La custode della sua meravigliosa prima adolescenza, quella fatta di calcio, di Dylan che cenava a casa sua, dell'aria calda di Los Angeles che soffiava sollevando la camicia a quadri.
Esther si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e Mark strinse forte la cornice, riconoscente. << E' bellissimo. Io... non lo dimenticherò. Thanks. >>
<< Scusami se questa mattina sono sparita con Dylan al posto di accompagnarti in aeroporto. Era per questa foto. Era importante che andassi a verificare di persona, metti che la tipa faceva un disastro?! >>
Kruger arrossì lievemente. E pensare che era stato pure geloso, che si era considerato messo da parte. << Questa va in camera, sul comodino. >> disse, e quando si alzò dalla sedia, diede un sonoro cinque alla mano lunga di Dylan, per ringraziarlo.
Non solo del regalo.
Semplicemente, per essere lì. Come tutti gli altri.
Insieme a lui.

 
 
Mark sfiorò l'increspatura della piscina con un dito, poi, dopo aver saggiato la temperatura, immerse tutta la mano. L'acqua gli sollevò i peli dorati delle braccia, gli rilassò le membra, gli rinfrescò il bollore del sangue; lasciò andare un sospiro di piacere mentre ascoltava in silenzio la dolcezza di quel contatto lavorare su tutto lui.
Disintossicarlo, quasi.
Era notte, forse le ventidue, o le ventitre. Mark non lo sapeva.
Sapeva solo che domani sarebbe dovuto tornare a New York, farsi altri quattromila chilometri a ritroso in uno scomodo sedile aereo. Eppure non aveva paura, non percepiva nessun sentore recalcitrante. Non questa volta. Avrebbe lasciato Los Angeles col sorriso, l'abbronzatura e la noia di dover tornare a maneggiare con le macchinette malandate del dipartimento di polizia.
Si sentiva pronto a fare marcia indietro, perché era curioso di sapere come avrebbe portato avanti la sua vita ora. Insomma, Melanie non c'era più, e con lei era morto pure il Mark schiavo, quello sottomesso e incapace di voler dare una strigliata alla sua vita.
Erano cambiate tante cose da quando era sbarcato in California.
Era cambiato tutto.
Spettava a lui portare avanti quella ventata di novità, e si sentiva pronto a mettere tutto se stesso per realizzare che sì, finalmente la sua vita poteva prendere il largo.
Era una riflessione a cui non aveva mai dedicato un pensiero. E poterlo fare lo fece sentire libero come un'aquila in volo, un cavallo selvaggio.
Fece per immergere anche l'altra mano, quando dei passi sull'erba lo distrassero dall'intento. Si voltò e sorrise, facendo brillare le iridi di un intenso tiffany.
Oh, eccola. La sua libertà.
<< Ehi. >>
<< Ehi! >>
Esther prese posto al suo fianco e sollevò il capo per poter ammirare le stelle. Era una notte silenziosa, buia e fitta, un filo dritto che ad ogni rumore si sfilacciava appena, si contorceva, si sollevava sotto il rombo delle auto in lontananza e il gracidio rilassante delle cicale.
<< Che ci fai ancora sveglia? >>
<< Non riesco a dormire. Ho l'ansia pre-viaggio. >>
Mark annuì. << Beh, non sei l'unica. Hai fatto le valigie? >>
<< Sì! >>
Assunse un'espressione sardonica, facendola arrossire. << Ci hai fatto stare tutto...? >>
<< C-certo che sì! >>
<< Come ci sei riuscita? >>
<< I poteri della donna, Kruger. >>
<< Domattina le pesiamo. >>
<< D'accordo. >> Esther strappò qualche ciuffo d'erba e se lo sparse sulle cosce lattee, come quando faceva sempre da bambina in attesa che la madre la venisse a prendere alle elementari e la portasse a ingozzarsi di cioccolata. Bei tempi, diamine.
Ora una cucchiaiata di quella, e si ritrovava con cento chili in più. << A che ora partiamo domani? >>
<< 14:00. >> Mark la osservò ricoprirsi d'erba. << Dylan viene con noi. >>
<< Ahhh, non sono sicura di voler tornare a New York! >> Esther si stiracchiò con veemenza, mostrando il petto prosperoso al cielo dello stesso nero dei suoi occhi. << Qui si sta così bene! >> poi gettò un'occhiata alla pelle baciata dal buio di Mark, prima di perdersi a fissare il pallore della sua con cipiglio irritato. Forse troppo. << Non ho preso nemmeno un po' di sole. Tu invece sei nero. >>
<< Io sono abbronzato naturale. >> fu la laconica risposta di Mark, che ne approfittò del momento di calma per immergere anche le gambe in quel paradiso terrestre a cui avrebbe dovuto – purtroppo - rinunciare.
<< E ti odio per questo. >>
<< Beh, Erik è un carbone in confronto a me. >>
<< Infatti odio pure lui. Anzi, lui soprattutto. >>
<< Allora ammettilo che forse un po' di bene mi vuoi, Est Coast. >>
Esther incrociò le braccia al petto e corrucciò le labbra. << Mark!! Questa è davvero pessima! >>
<< Sorry, volevo dire... W-Est coast. >>
<< MAAAAAARK, fai orrore! >>
Mark le fece il verso e la guardò con un sorriso divertito, e prima che Esther potesse attaccarlo con un'ondata d'erba degna della più furiosa delle amazzoni, fu lesto a schizzarle un po' d'acqua in faccia, aprendo e chiudendo le dita come le ali di una farfalla. << Est Coast, you can do more than this. >>
<< Smetti di parlare con quel tono perché ti prendo a tacconate in faccia. E soprattutto >> la mora si pulì il volto con un lembo della canotta bianca che usava come pigiama, fingendosi sdegnata. << smetti di chiamarmi. Est. Coast. >>
<< Okay, okay. Just kiddin. >>
Il silenzio voluto calò su di loro con la grazia di un lenzuolo, di una carezza materna, e con lui l'ilarità della mora. Esther sapeva che dovevano parlare di quello che c'era stato. Sapeva che domani sarebbe stata una giornata incasinata, stancante, e che molto probabilmente una volta arrivati lo avrebbe perso ancora di vista.
Lei a servire clienti, lui a salvare persone.
Mark sarebbe sparito in una coltre di neve e fumo, inghiottito dal viavai di Times Square, e tutto sarebbe tornato come prima. E lei non voleva.
Non dopo essersi resa conto di amarlo ancora, così forte, così tanto. Si portò il mento alle ginocchia e si perse ad ammirare l'acqua della piscina disegnarle strane curve celesti sulla pelle. Provava una sorta di insana paura all'idea di poterlo perdere così come lo aveva ritrovato.
Di smarrire l'odore del suo profumo, di non sentire più la sua voce calda e maschile premerle contro l'orecchio. Evitò di dirglielo, perché lo aveva già fatto quella sera in macchina, in attesa della cena. Perché quel bacio aveva già parlato, anche troppo.
<< Esther. >>
Sussultò nel sentirlo chiamarla, e si strinse le caviglie per l'ansia.
Mark si mosse appena vicino a lei, distendendo i muscoli intorpiditi dell'addome e delle braccia. << Dovremmo parlarne. Adesso che... c'è un po' di tempo. >>
<< Lo credo anche io. >> mormorò lei in risposta, eppure il modo in cui liberò quelle parole le fece male.
“Perché dopo non ce ne sarà più, vero Mark?”
Si guardarono, si specchiarono l'uno negli occhi dell'altra per attimi che parvero interminabili, dilatati da un tempo che si era disteso solo per loro. Mark avrebbe voluto rassicurarla. Riusciva a percepire la sua paura, il suo tormento come se fossero suoi, e non aveva dimenticato le lacrime che l'avevano scossa prima che il suo bacio avesse posto fine a quell'illogico dialogo febbrile di ansia.
Ma non trovava le parole per dirle che se tra loro si fosse messa in mezzo New York, avrebbe sorvolato tutti i grattacieli pur di raggiungerla e stringerla ancora, chiamarla di nuovo East Coast, o West.
Che l'amava e che la sua vita aspettava solo lei per partire.
<< Tranquilla >> si armò di coraggio e le sfiorò la spalla con le nocche, per tirarla su. << Ti prometto che quando torneremo a New York verrò al tuo bar--
<< Ristorante di lusso, prego. >>
<< Al... al tuo “ristorante di lusso” a darti il buongiorno, quando finirò il turno di mattina. >>
Esther sospirò docile, ancora scossa. << Vorrà dire che mi prenderò una pausa e ti aspetterò con due caffé filtro tra le mani. >>
<< Sarà così. >>
<< Me lo prometti? >>
Mark aggrottò i sopraccigli biondi e istintivamente si trascinò più vicino a lei, per poter sentire il suo profumo di donna, per poterla vedere meglio e rendersi conto di quanto fosse bella, ancora, a un passo dall'essere sua per un istante e magari per il resto della sua esistenza. << Mantengo sempre le promesse. >>
Ed era vero.
Persino Esther fu costretta a dargliela vinta.
Quando si voltò per guardarlo, si rese conto che le sue labbra erano pericolosamente vicine, ed ebbe un sobbalzo interno. Il suo respiro divenne affannoso, rise per scacciare l'imbarazzo ma gli occhi di Mark rimasero seri a guardarla.
A volerla.
<< Hai dei bellissimi occhi Mark. >>
<< Me lo dicono in tanti. >>
<< E in tante, immagino. >> portò una mano al suo mento cesellato, glabro, e lo accarezzò con l'esterno dell'indice. Era duro, teso, spinto come la corda di un arco pronta a caricare.
L'unica cosa che ne tradiva la posa statuaria, lo sguardo deciso.
Anche lui era nervoso per quella vicinanza.
<< Sarà diverso. >> Mark le afferrò la mano e gliela strinse con dolcezza, rilassando un po' i muscoli. Non l'avrebbe persa. Non questa volta.
Non ora, ora che era libero di scegliere, vivere, e di amarla e darle tutto se stesso. Distese il collo in avanti, socchiuse le iridi e la guardò sfumare appena oltre la fitta coltre di ciglia bionde.
E poi si sfiorarono con delicatezza, labbro superiore contro labbro inferiore, scambiandosi sospiri e baci fatti d'aria esitante. La mano di lei stretta ancora in quella fresca e umida di lui era l'unico contatto concreto tra loro, solido e forte nonostante il buio impedisse al mondo di poterlo vedere.
Esther si augurò potesse durare.
All'improvviso era come se non fosse più in grado di sentirsi sicura, su niente.
Provò a dire qualcosa, qualunque cosa, quando quattro mani di sua familiare conoscenza riuscirono a spingere Mark dritto spedito in piscina, e il contatto venne interrotto da un'immensa ondata di cloro e gelo, che la inzuppò da testa a piedi.
Accadde tutto così velocemente che a nulla valse gridare e ridere di spavento come una disagiata.
Si voltò e incontro gli occhi vividi di Mary e quel coglione di Erik; fu guerra. << Brutti luridi...! VOI. >>
Eagle scoppiò a ridere fragorosamente. Si vedeva che era felice.
Era pieno di vita, e gli occhi neri brillavano di gioia per aver finalmente potuto riavere indietro l'amore della sua vita – che evidentemente aveva scelto di tenersi fuori da certe cazzate, brava donna -. << Kruger sei una merda. >>
Mark emerse dall'acqua soffiando dalle labbra, i capelli biondi gravidi di un insolito castano sgocciolante e gli occhi oscurati per intero dalla frangia. Sembrava quasi irritato, ed Esther temette di vederlo gridare di rabbia con la stessa, banale facilità con cui era scivolato in acqua, distruggendo il loro piccolo momento intimo.
E invece Kruger non gridò, ne si arrabbiò. Greenland lo osservò togliersi la maglietta con uno scatto atletico delle braccia, guardò la sua pelle brillare sotto la luce fioca dei lampioni del viale, si perse a fissare la linea dei suoi muscoli contratti, e se l'attimo prima Erik le era accanto, l' attimo dopo Erik non c'era più, colpito e atterrato dall'indumento lanciato con forza sovrumana dal biondo.
<< Non farlo mai più. >> si limitò a dire quest'ultimo, per poi rientrare in casa con sfacciata arroganza.
Esther scoppiò a ridere mentre Erik sprofondava nel disagio e Mary lo umiliava del fatto che fosse debole, basso e persino stupido.
<< Come fa Silvia a sopportarti? >>
<< Infatti non si è nemmeno alzata dal letto quando le ho proposto di quasi ammazzare Mark. >>
<< Mai mettersi contro Mark! >> esclamò Esther, e alzò vittoriosa le mani al cielo stellato, quasi potesse accarezzarlo con la punta delle dita.
Mai mettersi contro Mark.
Doveva stare tranquilla. Calma.
Serena.
Perché se la distanza avesse anche solo provato a mettersi tra di loro, Mark, così com'era, l'avrebbe distrutta.


 
_________________________________________
nda
ok, avevo detto che avrei finito di pubblicare a settembre, ma siccome mancano due capitoli, e soprattutto, manca il tempo (?), credo che terminerò ad ottobre – e NON oltre, lo giuro. Come va? Io bene, è il mio ultimo anno di liceo quindi sono felicissima! Che dire di questo capitolo: è di transizione, indubbiamente, ma è comunque uno dei più importanti, in quanto finalmente tutti i drammi si ricongiungono e si sistemano. Erik smette di fare l'isterico e capisce di aver commesso un tragico errore ad aver seguito solo e soltanto il suo cieco orgoglio. Mark, vbb, Mark ormai è un pro (?), ha risolto la sua situazione e ora risolve le altre. Rimane solo un'ultima questione: maaa... Dylan e Mary? Eh vedrete vedrete.
Non ho altro da dire se non un grazie, se siete arrivati fino a qui senza morire, e un arrivederci, presto
xoxo

Lila
   
 
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