Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    30/09/2018    2 recensioni
La luce obliqua di un tramonto di settembre nasconde un sentimento mai sopito, il buio della notte lo protegge, ma la luce del giorno illumina senza pietà la realtà.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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L’aria frizzante della sera era un piacevole ristoro dopo quel tedioso banchetto funebre a cui aveva dovuto presenziare, intrattenendo gli ospiti, nascondendo il fastidio per quelle condoglianze ipocritamente recitate, per quel dolore ostentato,  per quelle conversazioni fatue di nobildonne, fingendo di non sentire le voci che si diffondevano circa l’assenza di suo marito, non ancora giunto nonostante le promesse, circa la presenza poco opportuna di Elisa al loro stesso desco, circa il suo contegno troppo riservato. Perciò molto le era gradita quella brezza leggera che smuoveva le cime dei grandi alberi del giardino, oltre la fontana. La respirava a pieni polmoni, in quell’angolo recondito del giardino, protetta dall’oscurità. Le era sempre piaciuto, quel luogo, fin da ragazza. Era lì che si rifugiava a riflettere, meditare, fantasticare; era quel luogo che aveva accolto i suoi sospiri, le sue speranze, i suoi sogni d’amore giovanili. Da molto tempo non metteva più piede nei giardini della tenuta: le sue brevi visite alla madre non le consentivano di attardarsi a passeggiare per i camminamenti di ghiaia, osservare gli zampilli d’acqua della grande fontana, cogliere i fiori dalle aiuole. La sua vita ormai era altrove, a palazzo Radicati a Torino, tra visite di cortesia, chiacchiere da salotto e quegli sfarzosi e smodati ricevimenti allestiti da suo marito, a cui lei cercava in ogni modo di sottrarsi. Le erano, dunque, preziosi quegli attimi di pace e tranquillità, di cui poteva godere soltanto nella sua amata Rivombrosa. Ma quella sera, insieme alla serenità e alla pace, riaffioravano anche quei malinconici ricordi che la vista fugace di Antonio le aveva riportato alla mente. Da molto tempo non lo rivedeva, per lunghi anni non aveva fatto altro che evitarlo: le poche volte in cui non si era in alcun modo potuta sottrare ad un incontro, l’aveva trattato freddamente, con distacco, anzi quasi con disprezzo. Come quel pomeriggio. Non poteva incrociare il suo sguardo perché non avrebbe sopportato che lui scorgesse, dietro il biasimo, la delusione e la rabbia, l’amore mai sopito che provava per lui. Ed era sicura che per scovarlo sarebbero bastati pochi istanti a lui, al quale non era mai stata in grado di nascondere nulla della sua vera natura; lui, l’unico che sapeva leggere nel suo animo sognatore e malinconico.
Un fruscio alle sue spalle la fece tutt’a un tratto trasalire e la riscosse delle sue malinconie. Si voltò di scatto.
-Non volevo spaventarvi, perdonatemi. –
La sua voce calda, rasserenante, solo appena un po’ incerta, nel buio della sera la fece paralizzare, la rese incapace di qualsiasi gesto. Mai si sarebbe aspettata di trovarselo di fronte, lì, in quell’angolo remoto del giardino, di notte. Che ci faceva ancora alla tenuta? Non se ne sarebbe dovuto andare già da ore, dal momento che al ricevimento funebre erano stati invitati soltanto i nobili amici della loro amata madre? Ma la risposta a queste domande non era impellente come a quella che le balenò immediatamente per la mente. Che cosa voleva da lei? Per quale motivo la stava cercando? Lo interrogò dapprima con lo sguardo, ma, nella semioscurità attenuata soltanto dalla luce argentata della luna, i suoi occhi celesti le rimandarono soltanto un’espressione dolce e compassionevole, timida e incerta. Non le restava che esprimere a parole quell’interrogativo che la attanagliava.
-Che cosa state cercando, dottore? – domandò senza sforzarsi minimamente di dissimulare l’aggressività di quell’esordio. Antonio se ne stava a qualche passo da lei, la braccia lungo i fianchi, immobile finché non abbassò il capo a quella domanda, quasi a voler prendere tempo. Anna non distolse nemmeno per un attimo i suoi occhi indagatori: per la prima volta dopo anni si stupì di essere in grado di sostenere la sua vista.
- Volevo parlare con voi, esprimervi il mio dispiacere per la morte di vostra madre. – si limitò a rispondere, senza muovere un passo, in attesa di un suo cenno per avvicinarsi a lei. La fissava negli occhi, adesso, senza filtri, senza inutili difese dettate dall’orgoglio. Fu Anna a distogliere per prima lo sguardo, rivolgendolo ai cespugli fruscianti alla sua sinistra.
- Non mi pare questo il contesto adatto, anzi mi pare una situazione del tutto inopportuna per porgere le vostre condoglianze: avreste dovuto aspettare di essere ricevuto questo pomeriggio, come tutti gli altri amici della nostra famiglia. Anche se dubito che vi si possa annoverare come tale.- ribatté freddamente, senza smettere di tenere gli occhi fissi su cespugli.
- Questo pomeriggio non me l’avete permesso. – si giustificò Antonio in tono pacato, scevro da ogni recriminazione.  Con estrema circospezione fece un passo verso di lei.
- Vi riferite al fatto che ho dovuto ricevere il duca Moreschi di Moncalieri? – domandò sarcastica, poi aggiunse senza aspettare una superflua risposta. – Dovreste sapere che l’etichetta impone di ricevere prima gli aristocratici. E voi non lo siete più. Dunque…- ora lo sfidava con lo sguardo, con quegli occhi tanto profondi.
Antonio si astenne da ogni reazione a quella risposta provocatoria, ma nei suoi occhi si poté leggere la pena crescente che provava per lei, per quei suoi disperati tentativi di difesa. Di difesa da che cosa, poi? Da lui?  Credendo di aver riportato una vittoria, Anna infierì: - Ciò non toglie che avreste potuto aspettare il vostro turno; sapete bene che in una simile circostanza non avrei negato la mia attenzione nemmeno alla gente del volgo. – concluse sorridendo sarcastica, soddisfatta almeno in apparenza della propria prontezza di spirito in un quell’assurdo frangente.
-Anna. –
Lei sussultò: il suo nome pronunciato così, a bruciapelo, senza preavviso, senza altro motivo se non quello di volerlo pronunciare, quel nome. Avrebbe potuto scegliere altri appellativi, più consoni, forse, al rapporto che intercorreva tra loro: marchesa, contessa, signora. E invece no, quel nome, che non poté non farla svolgere all’indietro i calendari fino alle sere d’estate di molti anni prima. Lo odiò, in quel momento, il suo nome; eppure avrebbe voluto sentirglielo ripetere all’infinito.
-Io non sono qui per litigare, volevo solamente dimostrarvi il mio cordoglio, in nome dell’affetto che, malgrado quel che pensate, mi lega alla vostra famiglia da sempre. – proseguì lui, forse ignaro del turbinio di emozioni che le aveva scatenato al semplice chiamarla per nome. Anna non fu in grado di sostenere quell’affermazione ribattendo con il suo solito sarcastico disprezzo, non fu in grado di spegnere con parole crudeli quel barlume di speranza, mai sopito in lei. Perciò rimase in silenzio.
 Per qualche istante i loro occhi si incrociarono, poi Anna si voltò, dandogli le spalle e sistemandosi il mantello sulle spalle ad un refolo di vento freddo.
Antonio le si avvicinò, seguitando a parlare, come a voler infrangere quel muro di silenzio che lei gli opponeva.
-Potete anche non credermi, ma vi assicuro che sono molto legato alla vostra famiglia, a questa tenuta, a questo giardino anche. Vorrei solo che sapeste che la mia pena è sincera; vorrei che capiste…no, lo so, non lo capireste. – lasciò a metà il discorso, preso da una sorta di pudore; scosse il capo e abbandonò le braccia lungo i fianchi.
- E’ tardi perché io possa capire. E’ tardi perché io possa comprendere il vostro affetto, la vostra sincerità, il vostro dispiacere. E la colpa di questo non è certo mia. –  un profondo sospiro suggellò queste parole.
Il muro che aveva innalzato sembrava invalicabile: ogni dialogo era precluso, ogni parola sembrava cadere nel vuoto, risuonare inerte nella notte. Eppure lui percepiva chiaramente la dolorosa solitudine in cui si era richiusa. E voleva provare a scalfirla, ma non ne aveva il coraggio.
-Avete ragione, non posso darvi torto. Ma se c’è qualcosa che possa fare per alleviare la vostra sofferenza io…- abbozzò incerto, sfiorandole timidamente la spalla.
- Voi cosa? Ah certo, siete un medico, avete una cura per tutto. Che sbadata, me ne stavo dimenticando!- lo interruppe maldestramente: aveva paura di quello che avrebbe potuto sentirgli dire, aveva paura di doversi abbandonare alle sue premure, alla sua dolcezza. Aveva paura di essere costretta a deporre le armi e offrirsi a lui ormai senza difese.
- Non vi sto parlando da medico, per questi dolori non esistono rimedi che la medicina possa fornirvi. Vi sto parlando da uomo. – replicò, ma con un tono tanto dolce e sincero che Anna dovette stringere gli occhi per trattenere quelle lacrime che per tutta quella funesta giornata era riuscita faticosamente a ricacciare. Le mani che torceva convulsamente si arrestarono di colpo avvertendo il contatto delle dita di lui che le stringevano le spalle.
Stava per reclinare il capo all’indietro e appoggiarlo sul suo petto abbandonandosi ad un pianto liberatorio, quando dal piazzale giunsero lo scalpiccio dei cavalli sulla ghiaia e delle voci imperiose e concitate. Vennero portate delle fiaccole. Il marchese era arrivato.
-Non ho bisogno di alcun farmaco, sono benissimo in grado di prendermi cura di me stessa. – si risolse a rispondere infine, riprendendo un certo contegno dopo quell’attimo di debolezza. – E ora, vogliate scusarmi, ma devo andare ad accogliere mio marito. – concluse sottolineando con amaro compiacimento queste ultime due parole. Poi si voltò e si dileguò con un lieve fruscio della veste sull’erba umida di rugiada notturna. Antonio restò ancora per qualche minuto a fissare lo spazio poco prima occupato da lei, come se sperasse che la sua sagoma prendesse corpo dall’oscurità in cui quell’angolo recondito era precipitato.   
 
 
-Che spreco di tempo questa buffonata, dopo il brutto tiro che ci ha giocato vostra madre! – bofonchiò spazientito Alvise all’orecchio della moglie che gli sedeva accanto nel primo banco della piccola chiesa. Lei non si scompose e continuò compita nella recita delle orazioni guidata dal monsignore. A quella voce roca e funerea rispondevano le voci dei fedeli lì radunati per le esequie della contessa. Rispondeva dal primo banco Fabrizio, il capo chino, la voce profonda e malinconica; rispondeva Anna accanto a lui, devota e assorta; rispondeva Emilia, con la sua voce squillante; rispondevano le nobildonne amiche di famiglia, esibendo la loro devozione come un punto d’onore; rispondevano i loro consorti, le voci impastate e arrochite; rispondevano, infine, i membri della servitù negli ultimi banchi: Amelia, affranta e preoccupata, Angelo, Bianca, e tra loro anche Elisa, il velo nero a coprirle il volto, addolorata, inconsolabile. Era lì, in mezzo alla servitù, nonostante tutto, pensavano i presenti. Nonostante quelle concessioni che andavano ben oltre la giusta ricompensa dovuta ad una serva fedele. Tra un Salve Regina e un Eterno Riposo non si vociferava d’altro che dell’iniquo, a detta dei nobili, del generoso, a detta della servitù, testamento della contessa, reso noto quella mattina stessa. Questo mormorio giunse alle orecchie di Antonio, che aveva preso posto negli ultimi banchi, fra la gente del popolo, contadini e domestici. Del resto era quello il posto che gli competeva, non avrebbe potuto né voluto ambire a prendere posto tra l’aristocrazia della contea.
- Lasciare ad Elisa quel diamante, quasi come fosse una figlia! –
- La contessa Agnese l’amava molto, proprio come una figlia, anzi più della sua stessa figlia-
- Come biasimarla! La marchesa ha dei modi davvero insopportabili, prepotente e presuntuosa! -
- Hai proprio ragione, una vera megera! Non come il conte Fabrizio, così affabile…-
- La contessa avrà pensato bene di tagliare fuori quel pallone gonfiato di suo genero. Il marchese non si merita nemmeno una briciola dell’eredità dei Ristori. –
- Già! Ben detto! Lui uno sbruffone avido e debosciato, lei un’arpia arrogante e insopportabile. Mi spiace solo per la bambina, lei avrebbe meritato qualcosa in più dell’eredità dei Ristori. –
Queste erano le chiacchiere sussurrate a mezza voce durante l’omelia che Antonio riuscì a raccogliere. Ogni parola rivolta contro ad Anna gli pareva un insulto verso lui stesso. Accuse ingiuste, anche se comprensibili da parte di chi non poteva conoscere la vera Anna, di chi si limitava a giudicare i suoi atteggiamenti stizzosi senza comprenderne le intime cause. Sospirava Antonio, quello era l’unico modo per manifestare il suo dissenso e per sfogare il dispiacere che provava per lei.
-Lasciamelo dire, cara, ma Agnese si è comportata proprio in modo superficiale. Lasciare un gioiello di tale valore a una serva e menzionare solo di sfuggita la figlia nel testamento? Ti pare corretto?-
- Certo che no. Un’imprudenza da parte sua. E un’ingiustizia nei confronti della marchesa. Già deve sopportare gli eccessi di quel depravato del marito…-
- Oh Cielo, poveretta! Non mi ci far pensare! Tutta Torino conosce i suoi festini…donnicciole, alcol e ogni genere di vizio. Anna, anche solo per quello che sopporta, avrebbe dovuto ereditare l’intera Rivombrosa-
- A mio parere, invece, la contessa Ristori è stata molto saggia. Ha agito nel migliore dei modi lasciando a Fabrizio la tenuta. Pensate se fosse finita nelle mani del marchese Radicati…un vero scempio! –
- Anna sta scontando quel matrimonio disgraziato che le è toccato in sorte. Ha concluso un pessimo affare la contessa Agnese dando in sposa la figlia a quel vizioso. Quel marito è la rovina di Anna! –
La diretta interessata coglieva qua e là qualche scampolo di discorso di nobildonne che non si peritavano di abbassare la voce nemmeno durante la distribuzione della comunione, davanti al feretro di sua madre. Che vergogna, pensava tra sé, che disonore! Doveva fare un immane sforzo per trattenere le lacrime che le salivano agli occhi. Lacrime di indignazione, di vergogna per le chiacchiere della gente, di rabbia e delusione per le ultime volontà di sua madre e insieme di dolore per la sua perdita. Ma non si sarebbe mai potuta permettere il lusso di piangere in pubblico, davanti a nobili e servitù riuniti in quella piccola chiesa. Doveva ingoiare le lacrime amare, stringere le labbra in una smorfia di superiorità, tenere la testa alta, la schiena dritta e sfogare la sua frustrazione unicamente attraverso i gesti convulsi delle mani.
-Ite, missa est. – pronunciò solennemente il sacerdote, ponendo fine all’ufficio funebre. Dietro al feretro della contessa Agnese cominciarono ad accodarsi dai primi banchi i figli, Anna e Fabrizio, la nipotina Emilia, il genero e il resto della parentela; via via, lungo la navata, si aggiunsero, uscendo silenziosi dai banchi, gli aristocratici; solo quando la testa del corteo avesse già raggiunto il sagrato, si sarebbero potuti unire tutti gli altri, la servitù e la gente del popolo. Antonio non perse di vista Anna nemmeno per un istante da quando si era allontanata dal suo posto per raggiungere il fratello dietro al feretro. Ne aveva seguito i movimenti austeri ma aggraziati, aveva cercato in ogni modo il suo sguardo, ma teneva il capo chino e la veletta di pizzo nero le copriva in parte il viso. Alvise le si accostò, poggiandole con fare forse troppo disinvolto una mano sull’avambraccio, trascinando goffamente il passo, puntellandosi col bastone. - Che impudenza!- pensò Antonio non appena il marchese la prese a braccetto. Ma, realizzò subito dopo, correggendo quel pensiero che era sfuggito al suo controllo razionale, si trattava pur sempre di suo marito. Trattenne il respiro quando Anna gli sfilò a fianco, uscendo di chiesa. Lei si voltò nella sua direzione e i loro sguardi si incrociarono. Fu questione di pochi istanti, ma entrambi trattennero il respiro. Gli occhi lucidi di lacrime trattenute, di indignazione, di frustrazione e di dolore per un attimo incrociarono quelli limpidi e accorati di lui, che non poté far altro che esprimerle con lo sguardo la sua vicinanza, il suo supporto, convinto, però, che lei l’avrebbe frainteso, o meglio, avrebbe fatto di tutto per ignorarlo. Non avrebbe mai ceduto al suo orgoglio, avrebbe piuttosto negato a se stessa il bisogno di averlo vicino.
   
 
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