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Autore: Carme93    01/10/2018    1 recensioni
Avete presente Conan, il piccolo e geniale detective?
Avete presente il film Seventeen again con Zac Efron?
Avete mai immaginato che cosa potrebbe accadere se anche il grande Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico, si ritrovasse un giorno a ritornare un ragazzino di dodici anni e calcare nuovamente i corridoi di Hogwarts in compagnia dei figli? E se questo li permettesse di conoscerli ancora meglio?
James e Albus sono pronti ad aiutare il padre a risolvere il nuovo caso e a farlo tornare adulto. Voi siete pronti a seguire le loro avventure?
(Storia ispirata proprio dal cartone e dal film sopracitati).
Genere: Fluff, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Harry Potter, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Arthur/Molly, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo IV
 
«Non abbiamo trovato nulla» annunciò Ron entrando nella camera del San Mungo, che era stata riservata al suo migliore amico. Era stanco: i suoi occhi erano cerchiati di nero e il suo viso pallido. Aveva trascorso la notte a perquisire Hogwarts e persino Ginny decise di non arrabbiarsi con lui.
«Come nulla?» ripetè Harry estremamente deluso. Aveva sperato che avrebbero trovato immediatamente il colpevole e che quell’assurda situazione si sarebbe risolta rapidamente. D’altronde si chiamava Harry Potter, come avrebbe potuto pretendere una cosa del genere? Ormai, avrebbe dovuto farci l’abitudine a tutti i guai che attirava!
«Nulla» confermò Ron mestamente. Era stato accompagnato da Adrian Wilson, uno dei sotto vice ufficiali della squadra Auror. «Abbiamo perquisito ogni angolo del castello e, con particolare attenzione, gli uffici degli insegnanti».
«Quindi gli arrestati hanno mentito?» chiese Ginny contrariata ed anche ella visibilmente delusa e sconfortata.
«Ne dubito. Come da protocollo, abbiamo utilizzato il Veritaserum. Non sembrano dei maghi abbastanza abili da opporsi a una pozione tanto potente» replicò Ron. «Comunque, in questo momento, Dora Morgan li sta interrogando nuovamente».
«Andrò a darle una mano» sospirò Harry, scostando le coperte. Lui e la moglie non avevano dormito molto quella notte, ma ora che stava albeggiando sicuramente non avrebbero ripreso sonno.
Ron non trattenne un piccolo sbuffo divertito. «Non mi sembra una buona idea, Harry» disse cautamente. «I ragazzi probabilmente ti obbedirebbero pur di non mancarti di rispetto, ma quei criminali da strapazzo ti riderebbero in faccia e si prenderebbero gioco di te».
Harry lo fulminò con lo sguardo, ma Ginny sospirò: «Odio essere d’accordo con mio fratello, ma in questo momento persino Albus farebbe fatica a prenderti sul serio».
Il Capitano degli Auror non apprezzò il commento e imprecò prendendo a pugni il materasso.
«Oh, Ginny, il bambino fa i capricci» celiò Ron, ma il sorrisetto appena sorto sulle sue labbra sparì quando la sorella tentò di colpirlo con una fattura. «Ehi!».
«Oh, fratellino, i tuoi riflessi sono migliorati!» lo derise Ginny. I due iniziarono a litigare. Harry scosse la testa, perfettamente abituato ai loro battibecchi e fece cenno all’altro Auror di avvicinarsi al letto.
«Adrian, se i medimaghi saranno d’accordo, penso che in mattinata tornerò a casa. Mi sembra inutile rimanere qui. In più a stare sdraiato in questo stupido letto m’incazzo ulteriormente. Nessuno a parte te, Dora, Rick e Gabriel devono conoscere le mie reali condizioni. Quanto ai ragazzi che mi hanno soccorso, intimateli il silenzio».
«Ron e il Ministro hanno già provveduto» rispose Adrian.
«Ottimo» sospirò Harry, tentando di ricomporsi nel letto. «In mia assenza Ron prenderà le redini della squadra. Dite che sono rimasto ferito e ho bisogno di tempo per guarire pienamente. O qualcosa del genere… basta che non attiriamo troppo l’attenzione su quello che è accaduto».
«Certo, stai tranquillo» lo rassicurò Adrian.
«Vorrei che mi portaste a casa i verbali dei due interrogatori a cui avete sottoposto i guardiamaghi e quelli del blitz alla villa. E, naturalmente, tutto il materiale che abbiamo raccolto in merito. Tutto. Dev’esserci qualcosa e la troveremo!».
«Agli ordini» rispose fermamente Adrian.
Harry lo congedò, pregandolo di portarsi Ron prima che Ginny gli facesse veramente male. Rimasto solo con la consorte, le riferì le decisioni prese.
Ginny sospirò e annuì. «Avrei preferito averti tutto per me in versione adulta, però».
«Non mi hai neanche dato un bacio» si lamentò allora Harry.
«Non è vero» ribatté la donna.
«Mi hai baciato sulla guancia e sulla testa! Voglio un bacio vero!» ribatté Harry, tentando di attirarla a sé, ma era decisamente troppo alta per lui.
«Non ci riesco» ammise Ginny a malincuore. «Sei veramente identico ad Al e Jamie!».
Harry sbuffò, ma si lasciò comunque abbracciare.
«A proposito dei bambini, che cosa li diremo?».
«Non lo so. Per ora sono alla Tana, speriamo di trovare una soluzione nel frattempo» rispose Ginny sconsolata.
Per essere dimesso Harry dovette aspettare che Anthony iniziasse il suo turno, perché a quanto pareva nessuno aveva il coraggio di assumersene la responsabilità.
Così era già mattina inoltrata quando finalmente tornarono a casa, dove vennero a trovarli prima Hermione e poi Arthur. La prima scambiò solo qualche rapida parola perché doveva rientrare immediatamente in ufficio. Harry apprezzò ugualmente la sua visita. Arthur portò una torta alla melassa, sfornata quella mattina dalla moglie. L’Auror sorrise come gli capitava sempre di fronte ai dolci della suocera e se ne mangiò più di una fetta, mentre la moglie aggiornava il padre sulle ultime novità.
Arthur li assicurò che i bambini sarebbero potuti rimanere alla Tana per tutto il tempo che sarebbe stato necessario e Ginny gli consegnò alcuni libri di James e Lily perché almeno provassero a finire i compiti delle vacanze. L’uomo le promise che li avrebbe aiutati lui, e, naturalmente, che non avrebbe raccontato loro delle nuove dimensioni del padre, e si congedò.
Nuovamente soli, Ginny andò a farsi una doccia prima di cucinare qualcosa per pranzo e Harry ne approfittò per chiudersi nel suo studio a riflettere. Si gettò sul divano ed estrasse la bacchetta. Provò a compiere degli incantesimi via via più complessi e vi riuscì senza problemi. Evidentemente la pozione aveva avuto effetto solo sul suo fisico, invece le sue capacità mentali e magiche erano rimaste quelle di un adulto.
Ripose la bacchetta e tentò di riposarsi sul divano, ma invano. Si alzò e raggiunse la scrivania, sperando di poter lavorare su qualche documento o ad aggiornare qualche cartella che si era portato a casa appositamente. Non fu una grande idea. Se si appoggiava allo schienale della sedia non solo i suoi piedi non raggiungevano il pavimento, ma aveva anche difficoltà a scrivere senza doversi spostare sul bordo. Scontento per quella posizione, allungò la mano per prendere il calamaio e la piuma, ma non ci arrivò senza allungarsi sulla scrivania. E qui iniziò a irritarsi. Il portadocumenti sul margine della scrivania era ancora più distante! Per non parlare delle fotografie e del piccolo mappamondo! Per un attimo pensò a uno stupido scherzo di Lily e James, poi si rese conto che dipendeva semplicemente dal fatto che fosse più piccolo. Per la rabbia diede un pugno sulla scrivania. E questa fu decisamente una pessima idea. Vide letteralmente le stelle e strinse la mano al petto. Per un millisecondo percepì le lacrime agli occhi e il desiderio di chiamare Ginny. Fu solo un attimo. Si costrinse a ricomporsi per non fare completamente la figura del bambino. E poi, per Merlino, lui non aveva mai pianto per così poco a dodici anni!
«Harry, sono arrivati Ron e Rick» lo chiamò Ginny, facendo capolino dalla porta. «Sono in salotto, così io posso cucinare».
«Certo, grazie» replicò l’uomo, ringraziando Merlino che la sua voce non fosse lacrimosa. Prima di scendere al piano di sotto, si premurò di sciacquarsi il viso e di stamparsi in faccia un’espressione, se non sorridente, quanto meno non disperata.
 
«Ciao, ragazzi. Novità?» disse entrando in salotto, sebbene la sua vocetta infantile e il fatto che gli altri due fossero molto più alti di lui non aiutassero minimamente.
«No. Dora non ha scoperto niente di nuovo. Ti abbiamo portato i documenti che hai chiesto, però» rispose Ron. «Con il permesso di Kingsley, terremo quei guardiamaghi nelle celle del Ministero ancora qualche giorno, in caso dovessero tornarci utili».
«Ne dubito, ma mi sembra una buona idea» commentò Harry in un sospiro. Gli congedò, raccomandando a Ron di andare a riposarsi e a Rick di tenerlo informato.
Harry e Ginny pranzarono in silenzio. Nel pomeriggio l’Auror sedette al tavolo della cucina, ben intenzionato a leggere il dossier dell’indagine anche un migliaio di volte se fosse stato necessario, mentre la moglie riassettava la cucina con veloci e decisi colpi di bacchetta.
«Penso che dovremmo dirli la verità» disse la donna a un certo punto rompendo il silenzio.
«Cosa?» chiese Harry alzando gli occhi dalle pergamene sparse sul tavolo. «Di che parli?».
«Dei bambini, naturalmente. Stai bene, no? L’importante è questo. Probabilmente troveranno divertente questa situazione».
«Beati loro» sbuffò Harry. «Comunque forse hai ragione. Almeno potrò stare con Al e Jamie qualche giorno, visto che le vacanze sono volate via».
Ginny aprì la bocca per parlare, ma l’apparizione improvvisa di Ron dal loro camino la fece sobbalzare. Harry colse l’espressione arrabbiata del suo migliore amico mentre trascinava James per un braccio. Non avrebbe saputo dire perché in seguito, ma corse via proprio mentre il figlio focalizzava l’attenzione su di lui. Si fermò in cima alle scale con il cuore in gola, curioso di sapere che cosa James avesse combinato questa volta.
«Sono stato buttato giù dal letto perché tuo figlio ha fatto irruzione nel nostro Quartiere Generale!» ringhiò Ron palesemente furioso.
«Che cosa?!» sbottò Ginny. «JAMES SIRIUS POTTER! Sei impazzito? Avrai fatto prendere un colpo ai tuoi nonni!».
«E a mezza squadra Auror che l’ha rincorso per un pezzo! Ha messo tutto a soqquadro!» sbuffò Ron.
Harry si schiaffò una mano in faccia esasperato: non faceva fatica a immaginarsi i suoi uomini rincorrere un dodicenne tra i vari cubicoli e buttare documenti e mobili in aria. Alle volte erano veramente incapaci!
«Io torno a letto» sbottò Ron.
Si sentì un attimo di silenzio, durante il quale Harry immaginò l’amico raggiungere il camino, prendere la polvere volante dal cofanetto e sparire tra le fiamme smeraldine in cui era apparso poco prima.
Si azzardò a sbirciare e vide Ginny torreggiare sul figlio con gli occhi che mandavano scintille.
«Non ti muovere da qui, James. Avverto i nonni e poi facciamo i conti!» sibilò la donna.
Harry si alzò, visto che si era acquattato per ascoltare meglio e corse nel suo ufficio, sicuro che il figlio ne avrebbe approfittato per correre e nascondersi nella sua camera. Aspettò di sentirne i passi con il cuore che batteva forte nel petto, ma il corridoio rimase ostinatamente silenzioso. Si arrischiò a uscire e sbirciare al piano di sotto: James era rimasto in cucina. Allora Harry si spostò silenziosamente in bagno. Modificò il colore dei capelli e il taglio. Per quanto non fosse mai stato un genio in trasfigurazione le basi di quella umana aveva dovuto apprenderle per forza all’Accademia Auror. Infine cercò nel beauty case della moglie e questa sì che fu un’impresa, ma alla fine trovò quello che sperò fosse fard. Si mise davanti allo specchio, alzandosi leggermente sulle punte per vedersi meglio, e se ne applicò una dose generosa sulla cicatrice tentando di stenderlo al meglio e imprecando a fior di labbra. Completata l’opera, tornò al piano di sotto in tempo per cogliere alcuni sprazzi della ramanzina della moglie.
James era visibilmente teso, ma non sembrava molto colpito dalle parole materne. Harry rimase sulla soglia della cucina, alle spalle del ragazzino.
«Si può sapere che ti è saltato in mente?!» sbottò infine Ginny.
«Chi era quello qui con te?» replicò invece James. Era arrabbiato. Harry lo vide avvicinarsi al tavolo, dove aveva dimenticato il dossier. Il ragazzino lo studiò per qualche secondo, poi riprese: «E perché leggeva i documenti di papà?».
Ginny intanto aveva scorto Harry e aveva notato il cambiamento nell’aspetto. James percepì il suo silenzio incerto e si voltò. I suoi occhi, così simili a quelli della madre, saettarono. Harry fece a malapena in tempo a bloccare il suo assalto.
«James!» gridò Ginny tra il sorpreso e l’arrabbiato. «Insomma che comportamento è questo! È un nostro ospite!».
Harry si sorprese della forza del figlio, mentre veniva scaraventato sul pavimento. Non aveva alcuna intenzione di fare a botte con lui, naturalmente, ma una vocina fastidiosa nella sua testa gli disse che probabilmente, se fosse accaduto, non ne sarebbe uscito bene.
Ginny, però, non si fece problemi. Crescere con sei fratelli maggiori, tutti maschi, l’aveva temprata e certi litigi non le facevano né caldo né freddo ormai. Con uno strattone sollevò James, allontanandolo da Harry, che si rimise velocemente in piedi prendendo le distanze.
«Datti una calmata!» intimò Ginny al figlio maggiore.
«Voglio solo sapere perché toccava i documenti di papà! Nemmeno io, che sono suo figlio, posso toccarli!».
Era vero, Harry odiava che i figli e i nipoti giocassero ai piccoli Auror. L’aveva fatto lui a sufficienza quand’era piccolo.
«Mi chiamo Barney Weasley» decise istintivamente di presentarsi per ammansire il figlio e gli porse la mano, sperando che non gliela staccasse.
James lo fissò truce, ma non si mosse.
«Ehm, ho trovato i documenti sul tavolo e non ho resistito… Sai vorrei fare l’Auror da grande…» riprovò allora Harry, ma le sue parole caddero nel vuoto.
«È stato il tizio con il tatuaggio nella foto a far del male a papà?» chiese James alla madre, ignorando completamente l’altro ragazzino.
«Quale tatuaggio?» non riuscì a trattenersi Harry.
«Fatti gli affari tuoi» sibilò James in risposta.
Harry iniziò ad arrabbiarsi.
«Vattene in camera tua, James» ordinò Ginny seccata.
«No. Devi prima rispondere alle mie domande! Dov’è papà? Che cosa gli è successo?».
Un silenzio incerto si diffuse nella cucina, sicurezza e rabbia svanirono dal volto del ragazzino che impallidì. «Dov’è papà?» ripeté supplichevole.
Ginny sospirò e lo attirò in un abbraccio. «Sta bene. Tranquillo. Fidati di me, l’ho visto, ma sai come funziona nel suo lavoro. Alle volte è costretto a stare lontano da noi».
James strinse i denti e annuì. Non era contento della risposta, ma era abituato a non essere coinvolto nel lavoro del padre. «Chi è Barney?» domandò allora.
«Un lontano cugino» rispose laconicamente Ginny. «Ora, per favore, vai di sopra e ti calmi un po’?».
James fece una smorfia e annuì. Harry lo guardò mentre si dirigeva alla rampa di scale nell’ingresso e, appena scomparve dalla sua vista, corse al tavolo e osservò le foto dei guardiamaghi. Sbuffò ed evocò una lente d’ingrandimento, grazie alla quale si rese conto che sul collo non vi era una cicatrice, come aveva pensato, ma un tatuaggio. Era un piccolo serpente che si mordeva la coda. E tutti e quattro i guardiamaghi ce l’avevano.
«Ginny, per favore, chiama Rick, Ron e, se la trovi, Hermione».
Sua moglie sospirò stancamente e, senza neanche replicare, evocò il suo patronus. Quando Harry era eccitato per qualche scoperta, si dimenticava persino di essere un mago oppure pensava di essere al Quartier Generale e di poter dare ordini a suo piacimento. Non aveva voglia di discutere, però, perciò attese che il fratello e gli altri arrivassero prima di lasciarli e raggiungere il figlio al piano di sopra.
«Non essere troppo severa» le disse Harry, mentre si allontanava. Ginny si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
«Allora, hai novità Harry?» chiese Kingsley, che era venuto con Hermione.
Ron e Gabriel Fenwick, altro vice sotto capitano, lo fissavano in attesa di ordini.
«Jamie mi ha fatto notare che queste non sono cicatrici ma tatuaggi» disse andando subito al punto e mostrando loro le foto. Li lasciò il tempo di esaminarle con calma e attese impaziente di ascoltare il loro parere.
«È un uroboro» disse Hermione. «Di solito è un simbolo usato dagli alchimisti».
«Alle volte anche dai pozionisti più ambiziosi» aggiunse Kingsley.
«L’abbiamo già visto» intervenne Ron lanciando un’occhiata eloquente a Gabriel e Harry.
«Sì, è vero» concordò Gabriel. «Non ricordi quell’omicidio di qualche mese fa? Karl Easton aveva questo stesso tatuaggio sul collo».
Harry annuì lentamente. Se n’era dimenticato. «I due fatti potrebbero essere collegati».
«Quello che ci è sfuggito dev’essere il capo o qualcosa del genere» commentò Kingsley meditabondo.
«Torniamo a Hogwarts e controlliamo chi dei professori ha un tatuaggio sul collo» propose Ron.
Harry scosse la testa e sollevò i capelli dalla fronte.
«Dov’è la cicatrice?» domandò Ron perplesso.
«Fondo tinta. E messo anche male» sospirò Hermione, che aveva compreso che cosa volesse dimostrare Harry.
«Sicuramente anche il nostro uomo avrà nascosto il tatuaggio, a meno che non sia stupido» disse Kingsley.
«Quindi come ci muoviamo?» sbuffò Ron.
«Andrò a Hogwarts» decise Harry. Era un piano assurdo naturalmente, ma non ne avevano uno migliore.
«Eh? Mai hai detto che non serve a nulla!» ribatté Ron.
«Ma io potrò confondermi tra gli studenti e non destare sospetti» replicò Harry, sempre più convinto che fosse la soluzione migliore.
«Sì, è una buona idea» commentò Hermione pensierosa.
«Dirò che sei in missione» disse allora Kingsley. «Meglio ancora che stai seguendo una pista in Francia, così il nostro uomo penserà di averti confuso e fregato e, se siamo fortunati, abbasserà la guardia».
«Ti procuro una pozione coprente. Il fondo tinta è meno affidabile di quanto tu creda» soggiunse Hermione.
«Bene. Ron, Gabriel, voi continuate a indagare per conto vostro. Ron, naturalmente, sei tu il capo in mia assenza».
«Dobbiamo avvertire immediatamente la professoressa McGranitt» intervenne Kingsley.
«Sì, ma dovranno conoscere la verità solo lei e Neville» disse Harry.
«Certamente» replicò l’uomo. «Andiamo immediatamente a Hogwarts, va bene?».
«Il tempo di avvertire Ginny» sospirò Harry.
 
 
Quel pomeriggio stesso, mentre Harry era a Hogwarts, Arthur aveva riaccompagnato Albus e Lily a casa su richiesta di Ginny. Tanto valeva che si abituassero a Barney.
Perciò Harry non ebbe modo di parlare con la moglie e raccontarle tutti i dettagli dell’incontro con la Preside. Si limitò a presentarsi ai suoi figli, cosa che gli apparve veramente assurda, e rispondere ad alcune delle loro domande sperando che quel castello di bugie non gli rovinasse addosso dolorosamente.
«Quindi sarai un Grifondoro come Jamie e Al?» chiese Lily, mentre giocavano con le costruzioni sul tappeto del salotto.
«Eh, già» replicò Harry sorridendole.
«Sei fortunato! Anch’io voglio essere smistata in quella Casa!».
James lo guardava ancora con sospetto, ma dopo cena si mise a giocare con loro e, a tratti, si dimenticò persino di avercela con lui.
Lily, invece, l’aveva accolto immediatamente con entusiasmo: un nuovo compagno di giochi. Come se gliene mancassero con due fratelli, un infinito numero di cugini e gli amichetti della scuola babbana! Non c’era che dire la sua bambina era molto socievole ed estroversa.
Albus era stato il più silenzioso. Si era presentato educatamente ed era stato gentile ogni volta che avevano parlato, ma senza particolare enfasi. Harry non se la prese: il figlio non amava la compagnia degli estranei e aveva bisogno di tempo per sentirsi a proprio agio. Il ragazzino, comunque, era molto più tranquillo dei giorni precedenti e chiacchierava a bassa voce con Ginny. Sembrava essere ritornato il solito vecchio Albus.
 
I giorni seguenti trascorsero in modo simile. Ginny gli portò un paio di volte a Hyde Park, una volta al cinema per vedere un cartone che entusiasmò molto tutti e tre i bambini e in pizzeria. Harry ne fu felice perché era tanto che non passava tempo con i proprio figli. Purtroppo, però, l’ultima sera delle vacanze giunse molto più velocemente di quanto la famiglia avesse desiderato.
Quella sera erano tutti un po’ tristi. Ginny e Lily sarebbero rimaste sole; Harry erano anni che non viveva senza la moglie; Albus era il più infelice ed era tornato il musone dell’inizio delle vacanze, ma naturalmente non era dato conoscerne le cause. James al contrario era sicuramente il più contento: quell’anno era entrato a far parte della squadra di Quidditch di Grifondoro e di lì a qualche settimana avrebbe giocato la sua seconda partita. Naturalmente era eccitatissimo e non parlò d’altro per tutta la sera con Harry-Barney e Lily che lo sostenevano, un po’ per reale entusiasmo un po’, specialmente Harry, per dimenticarsi dell’imminente separazione.
«Bene, ragazzi, ora di andare a letto!» annunciò Ginny a un certo punto. James e Lily iniziarono a protestare, ma la madre li tacitò all’istante. «Filate! James, ricordati che ti ho già sequestrato la scopa. Se la rivuoi per gli allenamenti, ti conviene comportati come si deve!».
Il ragazzino gemette e si affrettò a ubbidire, seguito dai fratelli.
«Barney, tu aspetta. Ho alcune raccomandazione da farti per Hogwarts» disse Ginny. Non che lui si fosse mosso, quella cosa di avere dodici anni non gli era ancora del tutto chiara.
«Buona fortuna» borbottarono Lily e James fiondandosi al piano di sopra all’occhiataccia della madre.
Harry si sedette sul divano accanto alla moglie, bramoso di coccole.
«Ce la faremo» le disse per rassicurarla.
«Oh, lo so. E, comunque, tutto sommato è anche divertente».
«Lo sarà per te» borbottò Harry. «Persino la McGranitt mi è sembrata divertita!».
«Perché sarai in classe con Albus? Pensavo che saresti stato con James».
«Così potrò stargli vicino e capire che cos’ha. Hai visto com’è infelice? Non ha mai fatto storie per andare alla scuola babbana. C’è qualcosa che non va».
Ginny annuì. «Tienimi informata, va bene?».
«Certo» assentì Harry. «Mi dispiace lasciare sole te e Lily».
«Ce la caveremo, tranquillo».
«Non vi ucciderete a vicenda, vero?».
Ginny sbuffò: «Preoccupato per la tua principessina?».
«Per entrambe» replicò Harry serio.
«Fidati, ce la caveremo» sospirò la donna.
Non poterono aggiungere altro, perché sentirono dei passi sulle scale.
Harry si scostò rapidamente da Ginny: James era diventato più amichevole, ma se l’avesse visto appiccicato alla madre, sarebbero stati guai.
Sulla porta, però, apparve Albus che li fissò incerto.
«Vuoi un po’ di latte caldo?» gli chiese Ginny alzandosi.
«Sì, grazie» replicò il ragazzino sollevato che avesse compreso.
Harry li osservò mentre andavano in cucina, ma non li seguì. Albus non avrebbe gradito la presenza di Barney. Sospirò e si decise ad andare a letto. Nella camera degli ospiti!
«Se vedi James e Lily in giro, dilli di filare a letto perché sennò mi sentono» gli disse Ginny rispondendo alla sua buonanotte.
Harry sospirò ancora: si stava imbarcando in un’impresa assurda e chissà quando Ginny sarebbe tornata a dargli la buonanotte come si deve e non con un bacio sulla testa!
   
 
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