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Autore: Blackvirgo    02/10/2018    2 recensioni
Le notti in ospedale sono sempre imprevedibili. Quando squilla il cercapersone, la sorpresa è la regola: può essere qualcuno che non riesce a dormire oppure qualcuno che sta per morire.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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AFFOGARE IN UN BICCHIER D'ACQUA

“Lo vuoi bere tu?”
Massimo alzò lo sguardo dal bicchiere che reggeva in mano. “No.” Scosse il capo e lo appoggiò sul bancone.
Il medico più anziano che stava affiancando, Gabriella Lanzoni, lo guardava seduta, le spalle al computer, mentre mordicchiava l’unghia del pollice della mano. Aveva gli occhi di un azzurro torbido che parevano prenderlo in giro e, nello stesso tempo, sembravano dirgli: prova a capirlo da solo, dai! Non c’è gusto se te lo dico io.
Ma il giovane dottore proprio non ci arrivava. Forse aveva la mente troppo piena di quello che aveva appena visto e sentito.
Gabriella sbuffò. “Una donna, che da anni viene massacrata di botte dal marito, ha raggiunto quel limite di disperazione che sfocia nel coraggio di venire qui e di raccontare tutto a degli sconosciuti…”
Che altro avrebbe trovato in Pronto Soccorso se non il personale in turno? Se avesse voluto degli amici, allora aveva di sicuro sbagliato posto, pensò Massimo.
“E tu le offri un bicchier d’acqua?”
Massimo non ci vide niente di male: la paziente aveva cominciato a piangere e, da che mondo è mondo, si offriva sempre un fazzoletto e un bicchier d’acqua a chi piangeva. Era un atto di gentilezza, di consolazione, no?
“Te l’aveva chiesto?” Gabriella si sciolse i lunghi capelli biondi per poi legarli di nuovo in una comoda coda.
“No.”
“E tu perché glielo hai dato?”
Aveva il tono esasperato di chi aveva ripetuto questa domanda fino a seccarsi la gola.
Massimo si strinse nelle spalle: non riuscendo a capire dove o a cosa dovesse arrivare, optò per l’onestà. “Mi sembrava una cosa carina da fare.”
“Una cosa carina?” Gabriella inarcò le sopracciglia tanto da tirarsi dietro anche gli angoli della bocca.
Il dottor Ronchi abbassò il capo finché il mento non si incollò allo sterno. Sapeva che stava per arrivare il cazziatone. La dottoressa Lanzoni era un connubio straordinario di conoscenza e capacità, ma pretendeva che gli altri cogliessero subito al volo il suo pensiero, che viaggiava rapidissimo su binari costruiti uno per uno in anni di esperienza. Era brava, ma era tosto lavorare con lei: era sempre in anticipo su qualunque cosa.
“Hai ascoltato una singola parola di quello che ti ha detto?”
Massimo annuì con veemenza: certo che l’aveva fatto! Come faceva con tutti i suoi pazienti!
“Non credo proprio,” concluse Gabriella. “O meglio: forse le hai sentite, le sue parole, ma non le hai ascoltate. Però l’hai giudicata.”
Ronchi fece per prendere la parola, pronto a difendersi, ma la dottoressa più anziana lo interruppe con la mano aperta.
“Questo è il momento di imparare ad ascoltare, non di parlare. Quello lo sanno fare tutti, soprattutto quando si tratta di farlo a sproposito,” continuò la Lanzoni. “Ti invito piuttosto a ripercorrere quello che tu hai fatto.”
Massimo ci pensò: aveva ascoltato il racconto di una donna che continuava a vivere con un marito che la massacrava di botte. L’aveva visitata e aveva constatato che erano solo ecchimosi, niente di rotto. Le aveva offerto un bicchier d’acqua quando si era messa a piangere. E si era anche incazzato, senza dire nulla, quando la paziente aveva respinto l’offerta di un alloggio in emergenza, preferendo tornare alla sua casa degli orrori.
“Magari ti è dispiaciuto vederla ridotta così.” Gabriella interruppe il suo flusso di pensieri. E lui, per l’ennesima volta, annuì. “Probabilmente ti hanno fatto impressione i segni che portava addosso, anche se non ti sei fatto problemi a toccarli e a minimizzarli con un non è niente.”
“L’ho visitata!” esclamò esasperato. “Che dovevo fare? Non sono io ad averle fatto del male!”
“Hai toccato delle lesioni che la mano di un altro uomo le ha provocato.” Gabriella modulò la voce, una vibrazione di sfida ora risaltava fra le parole. “Glielo hai detto che ripetere quegli stessi gesti era necessario per curarla?” Lo osservò ironica, sapendo benissimo la riposta. “No, l’ho fatto io.”
Inutile. Ronchi si rassegnò, rabbioso, ad ascoltare e basta: tanto qualunque motivazione dietro ai suoi atti sarebbe stata smontata nei minimi dettaglio e, alla fine, ognuno di essi sarebbe stato sbagliato.
“Ascolta, Massimo, questo è un piccolo ospedale e non possiamo permetterci di avere sempre una donna in turno che possa trattare queste situazioni, come vorrebbero le linee guida. Qui siamo in quattro gatti e devi imparare a gestirle anche tu.” Fece una pausa. “Nel modo corretto.”
“Cosa devo fare?” Finalmente pareva aver posto la domanda corretta dato che il viso della dottoressa Lanzoni si rilassò.
“In primo luogo non devi giudicarla. Strappati dalla faccia quell’espressione che ti era venuta quando ha detto che sarebbe tornata a casa sua, del tipo allora questa situazione ti va bene, e poi dalle fuoco.”
Ronchi deglutì la saliva che aveva accumulato in bocca. Colpito e affondato.
“Se pensi che siano solo i lividi a far male sei un illuso o peggio.” Non disse idiota, ma Massimo lo sentì lo stesso. Anche se la cosa che gli fece davvero male fu sentirsi un idiota.
Gabriella lo guardò con un’espressione divertita. Doveva aver ottenuto quello che voleva. “Facciamo così: ora ti dico come funziona.”
Massimo pendeva dalle sue labbra. Nella sua mente, il suo assistente immaginario stava prendendo appunti.
“Non devi giudicare, non devi dubitare delle sue parole, non devi metterle in discussione. Probabilmente un sacco di persone lo ha già fatto, anche i suoi famigliari o le sue amiche, perché di fronte a certe situazioni chiudere gli occhi è la scelta più facile. Il tuo lavoro non è portare avanti un’indagine: non ne hai né l’autorità né la competenza. A tempo debito, nel caso, ci penserà chi di dovere.” La dottoressa Lanzoni fece una pausa per lasciare che quello che aveva appena detto si depositasse. “Devi ridarle libertà di scegliere per sé stessa, devi essere onesto con lei e non fregarla. Se ha delle ecchimosi le spieghi che non non metteranno a rischio la sua salute, ma non dici che non sono niente perché così tu, con le tue parole, neghi il dolore di cui quei segni sono solo la punta dell’iceberg.” Di nuovo una pausa, di nuovo una pietra sullo stomaco del dottor Ronchi. “Le devi spiegare quello che stai facendo o che vorresti fare per tutelare la sua salute e lei deve essere d’accordo a lasciarselo fare. Le spieghi la visita, la necessità di fare una radiologia o di sottoporsi a una visita specialistica. E le spieghi anche che quello che le sta succedendo è un reato, le spieghi che lei può sporgere denuncia e i casi in cui siamo obbligati a farlo noi.” Gabriella riempì i polmoni d’aria e buttò fuori un lungo sospiro. “Le devi ridare la libertà di scelta che, un uomo come quello che ha accanto, le ha tolto. Tu non sei qui per salvarla, sennò avresti l’aureola invece del camice. Sei qui per raccontarle cosa sia il ciclo della violenza, perché vada interrotto, per avvertirla che quello che sta vivendo è pericoloso. Sei qui per mostrarle che esiste una via di uscita: i centri antiviolenza, l’alloggio in emergenza… persino una barella qui in Pronto Soccorso se necessario. Le devi ricordare che di donne nella sua situazione ce ne sono tante e che qui può tornare in ogni momento, anche solo per parlare. Che qui è sempre aperto.”
Ronchi sospirò: dacché era studente, gli avevano ripetuto di togliersi dalla testa lo stereotipo del medico salvatore. Era una cosa che doveva aver fatto con somma perizia dato che, a volte, aveva l’impressione di non essere in grado di fare nulla. Di essere impotente di fronte a situazioni che erano troppo grandi per essere contenute tra le quattro pareti di un ambulatorio.
“Devi ricordarti che dai loro delle scelte, non delle certezze.” La dottoressa girò gli occhi verso la finestra che teneva fuori il buio della notte. “Le persone hanno bisogno di tempo, anche per prendere una vita di merda e buttarla nel cesso. Perché è sempre la loro vita, fatta di una quotidianità che hanno costruito, fatta di persone che amano o che hanno amato, fatta di sogni in cui hanno investito tutto. E ricominciare significa buttarsi da un aereo giocando alla roulette russa con il paracadute. È davvero così strano che tante donne, nella sua situazione, abbiano bisogno di pensarci? È così strano che tante tornino indietro perché non reggono lo stress, l’incertezza? Perché preferiscono aver paura di qualcosa che già conoscono e si illudono di poter controllare piuttosto che dell’ignoto?”
Massimo sentì il cuore sfracellarsi per terra. Rimase immobile: con i piedi incollati al suolo almeno non lo avrebbe calpestato. Gabriella, incurante di porre attenzione ai propri passi, gli si avvicinò.
“Ora sai dirmi a cosa serviva quello?”
Massimo la guardò inebetito per poi volgere lo sguardo verso il punto sul bancone che anche lei stava fissando. In tutto quel discorso se l’era pure dimenticato. Forse la Lanzoni aveva pensato di trovarsi di fronte un allievo più brillante. Che invece era appena letteralmente affogato in un bicchiere d’acqua.
“Le hai chiuso la porta in faccia,” mormorò piano Gabriella. “Hai preso le distanze dal suo dolore perché per te era troppo.” Si volse di nuovo verso di lui e gli appoggiò una mano sulla spalla. “In quel momento tu avevi bisogno di quel bicchiere d’acqua. Lei chiedeva soltanto di essere ascoltata.”

***
 
 
Disclaimer

Le situazioni, i personaggi e i luoghi citati nelle storie sono frutto della mia immaginazione. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistenti o esistiti è puramente casuale. 

***
 
Black-notes:
  • Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it, prompt 2.Cliché.
  • Non sono neppure sicura che sia un cliché vero… ma nella mia testa porgere un bicchier d’acqua lo è diventato quando mi è stato fatto notare, a volta in maniera seria e a volte in maniera decisamente comica, della inutilità del gesto nella maggior parte delle situazioni. Ossia quando viene offerto a chi non ha sete.
   
 
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