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Autore: crissi    03/10/2018    8 recensioni
Il mio lavoro mi costringe a volte a diventare invisibile nelle famiglie; obbligato a rimanere, indesiderato testimone, anche in momenti che intimi e segreti dovrebbero restare. E a restare imperturbabile, saldo, professionale, anche quando il loro dolore diventa mio.
Missing moments molto liberi visti da una personaggio marginale, una figura professionale ricorrente nell’anime, che ho voluto immaginare sempre come lo stesso individuo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6 inevitabile follia 6 Inevitabile Follia



Versailles, estate 1775

La luce della candela trema al mio spostamento, mentre siedo accanto a lei sul materasso.
- Madame Jarjayes? Madame, mi sentite?
Le sfioro la mano, ancora giovanile e delicata, morbida, quella di una persona che non ha mai dovuto lavorare duramente nella vita; gliela volto e tasto il polso. Sento il battito aumentare, si sta riprendendo.
Lei sbatte appena le palpebre, porta la mano libera alla fronte ed annuisce, ancora confusa.
È notte fonda, ma la Regina Maria Antonietta è tuttora in compagnia delle sue dame più vicine, specie della nuova arrivata, la Contessa di Polignac; in vivace compagnia, di tutte tranne di questa bella signora non più avvezza alle ore piccole, al divertimento sfrenato.
- Appena ve la sentite, vi metto seduta.
Lei fa ancora cenno col capo, quindi aiutato da una cameriera, la sollevo dal materasso dell’alcova e la sistemo seduta contro dei cuscini. Il vestito da sera frusciante, il corpetto allentato per aiutarla a respirare.
- Mi sento debolissima, gira tutto… - mormora.
- Avete avuto un mancamento - dico tastandole ancora il polso.
In quel mentre entra la figlia, pallida in viso quasi più di madame.
- Madre! - esclama inginocchiandolesi ai piedi allarmata.
Marguerite, come sempre, secondo la sua indole, si attiva per placarla.
- Non ti preoccupare, Oscar, è solo stanchezza. Vero, dottor Lassonne?
E lo chiede con un tono ed uno sguardo apparentemente gentili, quasi timidi, ma che in fondo suonano come un ordine. Un vizio dei Jarjayes questo di impartire ordini a destra e a manca con  il semplice sguardo. Ma è un ruolo che non mi si addice, quello di colui che obbedisce ad una nobildonna per il semplice fatto che è una nobildonna, ad un generale perché ha un grado e un titolo e ad una governante perché ha un mestolo.
- Non affannatevi! - ordino io di rimando a questa donna fragile solo all'apparenza.
Oscar prende la mano della madre levandola alla mia. Nessuno obietta.
Così continuo la mia visita, alzandole il mento e scrutandola in volto: capogiri, visione offuscata, pallore, disidratazione… Sì, può essere stanchezza, in fondo madame passa ore immobile in piedi accanto a sua maestà. Ma potrebbero esserci altre cause, non ultima, un avvelenamento che è cosa niente affatto improbabile qui a Versailles.
- Quando avete mangiato l'ultima volta, madame?
- Mah, non ricordo… Ieri sera..  Credo… delle tartine.
- Certa che non fosse a pranzo?
- Oh… sì, può essere…. L'agenda di Sua Maestà è così fitta che…
- Madre!
- Suvvia, Oscar! Sei l'ultima che può farmi rimbrotti, tu che non trovi mai un attimo per te stessa. - E carezza il volto ansioso della figlia.
- Tale madre, tale figlia. - osservo, invitando la mia paziente con un cucchiaio a mostrarmi la lingua. - Madame, voi dovete riposare! - intimo approfittando della sua impossibilità a replicare.
- Ma… Sua Maestà… - dice non appena  glielo permetto sfilando il cucchiaio.
- Sua Maestà ha decine di dame di compagnia: sono certo vi farà la grazia di rendervi libera.
Scruto il volto dolce e silenzioso di madame Marguerite e noto un cedimento nel suo sguardo.
- Oscar, cara… ti dispiacerebbe procurarmi un piatto caldo? Qualcosa di leggero… - chiede rivolgendo un sorriso alla figlia ancora inginocchiata ai suoi piedi, chiudendo amorevolmente la mano di lei tra le sue.
- Certamente, madre. Mi occupo di tutto, ma voi riposate e seguite i consigli del dottor Lassonne.
Si alza ed esce sorridendo ad entrambi, evidentemente tranquillizzata.
Non so se abbia intuito che la madre sta cercando di restare sola con me. Per quanto riguarda i suoi affetti, Oscar non è molto perspicace.
- Ed ora ditemi, madame, che disturbi avete avuto? - domando non appena la porta si chiude alle spalle del colonnello.
Abbassa lo sguardo Marguerite. Deve essersi fatta un'idea su cosa potrebbe essere la causa del suo malore, ascoltando tra i pettegolezzi, le esperienze altrui.
- Non siate in imbarazzo - la invito.
- Non è facile…Io... ho creduto… ho temuto di essere in attesa… Di nuovo … E mi sono preoccupata… Non sono più giovane … Tutt'altro… - mormora - E l'ultima volta… oh, è passato così tanto tempo da Oscar...Ma poi… - si porta la mano al ventre - Ho avuto perdite di sangue, tanto… non al solito e….. dolore.
- Da quando Marguerite…?
- Settimane… Non lo sa nessuno tranne la mia domestica personale. Niente ho detto a Marron.
- Il generale?
- Non sto molto accanto a mio marito ultimamente… Lui… Non posso... non posso essere moglie con lui…
La vedo sbiancare e la invito a stendersi di nuovo.
- Devo visitarvi, madame.
- Non ora, dottore… Non voglio che Oscar …
- Fatevi accompagnare a casa e domani passerò a trovarvi. State tranquilla però, riposate, saziatevi con un pasto decente ed applicate panni freddi per il dolore.
Marguerite annuisce, nel suo sguardo due lacrime incagliate negli angoli, e proprio in quel mente rientra Oscar. Noto solo ora che non indossa la sua uniforme; in effetti neppure dovrebbe essere qui: ho sentito pettegolezzi circa una sua sospensione per un duello col duca di Germaine.
- Ho inviato una cameriera alle cucine…
- Oscar cara, forse… forse è meglio se mi porti a palazzo. Avere un piatto caldo in questo reggia immensa è quasi impossibile e poi… la nostra Nanny cucina meglio dei cuochi di Sua Maestà.
Oscar resta perplessa, lo sguardo  indulge sul volto di sua madre, per poi passare al mio ed io con noncuranza mi sottraggo, andando a posare il cucchiaio sul tavolo. Ma il tutto dura poco, poiché i problemi del castello sono inconfutabili, così come la bravura di Nanny.
- Se il dottore Lassonne dà il suo permesso allo spostamento...
- Sì, assolutamente, a casa starà sicuramente meglio e meglio accudita. Raccomandate al cocchiere di andare piano ed evitare buche e sobbalzi.
- Non mancherò: André metterà certamente il massimo della attenzione nella guida.
- Domattina tardi passerò a trovarvi. Abbiate cura di voi nel frattempo.
Le lascio con un inchino e mi incammino verso casa.
Ho la quasi certezza di cosa angustia madame de Jarjayes, posso solo sperare che non sia una forma aggressiva, ma benigna.
Domattina spero di riuscire a parlare francamente con lei.

Esco al buio, nel piazzale ove diverse carrozze sono in attesa, e mi sento chiamare. Riconosco André che attende accanto alla carrozza dei Jarjayes. Mi avvicino e prevengo la sua domanda.
- State tranquillo, madame si è ripresa. Tra poco arriveranno per tornare a palazzo Jarjayes. Mi raccomando, senza fretta, André. È importante evitare scossoni lungo la strada e permettere a madame il massimo riposo.
Sorride André. I Jarjayes sono la sua famiglia, i loro dolori sono i suoi. Specie quelli di Oscar, cosa palese ormai da tempo, almeno per me.
- Domattina verrò in visita. Avrò bisogno di voi per le commissioni dallo speziale.
- Contate su di me, dottore.
- A domani, allora. Passate una buona notte.
- Grazie di tutto, dottore, buona notte a voi.
Lo saluto con un cenno del capo, lui ricambia con un inchino.
Una buona notte, penso all'ironia… Finalmente avevo ottenuto un incontro galante con la marchesa di Cocodans ed è finito tutto in fumo.
Mi fermo e guardo l'ala del palazzo che era la mia destinazione prima di essere intercettato per soccorrere madame Jarjayes, saltando così l'ora fissata per l'appuntamento.
Potrei ancora tentare una grattatina alla porta del suo appartamento, rifletto: in fondo, come diceva spesso il mio insegnante di anatomia prima di ogni lezione pratica, tentare non nuoce, e la mia vita sociale ha già la stessa vitalità di un cadavere sul marmo dell'obitorio.

***

È mattino inoltrato ed il sole pare incattivito con me, come se stesse prendendo la mira ed il bersaglio fossero i miei occhi assonnati.
Tiro la tendina del finestrino per ripararmi da questa dannata luce. Avrei fatto meglio se fossi tornato a casa mia, a dormire nel mio letto, invece di grattare a quella porta.
Sopravvalutata, decisamente sopravvalutata la Cocodans. Un bel guscio vuoto. Immensamente vuoto. Comincio a credere che un futuro sentimentale per me a Versailles non sia nel programma del destino.
Poco male, tanto non avrei tempo per una vita sentimentale seria, tanto meno per una famiglia, alla mia età, poi.
Appena la carrozza si ferma nel cortile dei Jarjayes, da fuori mi viene aperto lo sportello.
Calo i miei occhiali dalle lenti annerite e mi affaccio.
- Buongiorno, dottore! - esclama André accogliendomi col suo volto sorridente.
- A voi - grugnisco, un poco disturbato da tanta energia.
- Lasciate che vi porti la borsa, signore - si offre sorridendo comprensivo e, ancora prima che possa solo pensare, me l'ha già tolta dalle mani.
Saliamo le scale ed entriamo finalmente nell’ androne che, grazie al cielo, é in ombra.
- Suppongo abbiate dormito profondamente. - commento invidiando un po’ le sue giovanili capacità di recupero che io non ho più.
- A dir il vero, non ho chiuso occhio. È stata una nottata movimentata - mormora lanciando appena lo sguardo ad una giovinetta bionda dagli abiti malmessi, che segue la governante a sguardo basso e mani goffamente intrecciate.
- Buongiorno, dottore.
- Buongiorno a voi, Marron, come va la schiena?
Sì, lo so… Mi sono appena fatto del male con questa domanda, ma è giunta alle mie labbra senza che ponderassi le conseguenze.
- Potrebbe andare meglio, dottore, ma sa com'è, quando si invecchia ogni giorno è un dono! Non si può fare altro che accettarlo come arriva. - borbotta come fa ormai da quasi quindici anni ogni volta che mi vede - Madame vi attende nel suo appartamento. André, caro, accompagni tu il dottore?
- Sì, certamente. Prego… - mi invita a seguirlo.
- Tu Rosalie invece vieni con me, ti mostro la tua camera. - dice la governante alla ragazzina.
Non faccio domande, anche se ho il sospetto che la giovinetta c'entri qualcosa con la loro notte movimentata. Sono certo che qualcuno non mancherà di informarmi. Probabilmente, più di qualcuno.

Madame Jarjayes è a letto, nella sua stanza. Le tende sono aperte. Ancora questa  luce esagerata, penso. Non è sola. Su una poltrona accanto al letto c'è una donna, apparentemente di una decina di anni più giovane di lei, che a giudicare dal libro fra le sue mani, la stava intrattenendo con una lettura.
- Signore… - saluto entrambe con un inchino.
Ricambiano con un gesto del capo appena accennato.
André posa la borsa su un tavolino e, arretrando garbatamente, si accomiata in silenzio, richiudendosi la porta alle spalle.
La dama di compagnia accenna ad alzarsi, ma Marguerite la trattiene con un gesto ed un sorriso.
- No, cara, resta pure!
L’amica mi lancia uno sguardo ed annuisco, dando anche il mio benestare al volere della Contessa.
- Dite, madame, come avete passato la notte?
- Tranquilla, dottore.
- Emorragie? Dolori
Scuote il capo.
- Bene, come vi ho raccomandato, il riposo è la cosa migliore.
Mi avvicino per visitarla. Scioglie i lacci della vestaglia, timida, scostando le coperte.
Come la sera prima, comincio esaminando il volto, ascoltando il battito.
- Siete fresca, colorita ed il battito è regolare. Avete fatto colazione?
- Sì, dottore, abbondante e con appetito.
- Bene. Posso?
Sto chiedendo il permesso per continuare la visita, ciò che non ho fatto stanotte. Annuisce madame, scivolando verso il basso sul materasso ad un mio gesto.
L'amica si alza per ripiegare le coperte verso i piedi del letto e noto che lo fa sorreggendosi ad un bastone.
- Stai tranquilla, Alexandra. - la invita ancora madame, in tono protettivo. Intercorre un sorriso e l'altra si riaccomoda obbediente, sempre accompagnandosi col bastone.
Infilo una mano sotto la camicia per tastarle il ventre.
- Ditemi quando sentite dolore.
Non finisco la frase che una smorfia è la risposta. Finisco di tastare più in basso, quindi ritiro la mano.
Mi guarda adesso e vedo la paura di chi crede d'aver avuto conferma ai propri timori.
- Non è necessariamente maligno, madame. La maggior parte causano dolore, sanguinamento, ma la convivenza è possibile. Dovrete stare a riposo, nutrirvi adeguatamente e potrebbe anche regredire. Se permettete  la domanda...Con vostro marito…?
- No, no non posso…. Fa troppo male.
- Gliene parlerò io. Capirà.
- Ma io lo amo...
- E poiché anche lui vi ama, capirà. - insisto severo.
Le sto imponendo di non adempiere ai suoi doveri coniugali. Non è cosa da poco per una coppia che, come nel caso dei Jarjayes, si è scelta.
- Il generale è in casa?
- Stava lavorando nel suo studio - mi informa Alexandra.
- Bene, vado immediatamente a parlargli.
Appena apro la porta invece lo trovo ad attendere. È sinceramente preoccupato, sebbene preferirebbe non darlo a vedere. Non avevo dubbi sui sentimenti che prova verso i suoi familiari, sebbene in più di una occasione abbia mostrato carenza di lucidità e di buonsenso; cosa che negli anni lo ha condotto ad errori disastrosi ed a tentativi di ripianare altrettanto disastrosi.
Mi fissa muto, con lo sguardo tra lo smarrito e lo spaventato di chi teme di dover affrontare un momento che mai si vorrebbe fronteggiare.
Spiego che una massa è cresciuta nell'utero di sua moglie, che le toglie energia, causa dolore e nel peggiore dei casi, potrebbe portarsela via.
- La cureremo, dovrà osservare il riposo assoluto e astenersi dai doveri coniugali - concludo.
Jarjayes annuisce, confuso, ansioso.
- Andrà meglio, sono fiducioso - mento per tentare un addolcimento della notizia.
- Sì, sicuramente, dottore, grazie.
Entra nella stanza. Si rivolge alla dama.
- Sandrine, cara, puoi lasciarci soli?
- Certamente, Augustine. - si solleva con la gruccia e si avvia claudicante verso il corridoio, nella mia direzione.
Il generale siede sul letto, prende la mano di Marguerite e gliela bacia teneramente. Parlano piano, poi, ad una frase di lei, lo vedo scuotere il capo, lei insistere, posargli due dita sulle labbra per zittirlo e alla fine lui china la testa, rassegnato, obbediente.
La porta si chiude accompagnata da Alexandra che, pian piano, è giunta fino al corridoio.
Credo fu allora che Madame Jarjayes chiese al generale di poter condurre vite separate.
Sì, penso, delicata solo all'apparenza è Marguerite.
L'amica mi sta fissando. Mi sorride gentile, lo sguardo birichino di chi vorrebbe dire chissà che, ma per educazione si trattiene. Il dolore dei Jarjayes pare non turbarla più di tanto, forse perché dà l'impressione di una persona che ha già patito la sua buona fetta di avversità e non dispone più di sufficienti lacrime per mostrarsi pubblicamente dispiaciuta.
- Nessuno ci ha presentati. - esordisce - Sono Alexandra, cugina del generale. Alexandra Rose Des Jarjayes Grimaldi.

Ricambio il sorriso e, improvvisamente, Versailles non è più così deludente.















   
 
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