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Autore: koan_abyss    04/10/2018    2 recensioni
Lestrade e Mycroft Holmes si incontrano inaspettatamente in Tribunale, e per quanto la cosa sia piacevole, Lestrade è alle prese con il divorzio e un caso complicato. Non ha le forze nè il tempo neanche di pensare a conseguenze e aspettative dopo uno strano mercoledì pomeriggio. O almeno così crede.
CaseFic
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al secondo giro di giostra (avevo ancora un po' di paura)'
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Capitolo 5



“Guarda un po’, boss. Pare che Latimer abbia dei precedenti,” fa Donovan, un paio di ore dopo allo Yard.
Lestrade alza la testa dai movimenti del conto corrente di James Clarke, interessato: “Per?”
“Rissa aggravata,” risponde Donovan sollevando le sopracciglia con significato, “e resistenza a pubblico ufficiale.”
Lestrade fischia piano: “quando?”
“Dodici anni fa. Neanche Bolton è un santo, però. Un paio di richiami per disturbo della quiete pubblica. È stato fermato fuori da una discoteca dopo dei disordini, qualche anno fa…” continua Donovan.
Lestrade riflette: dalla conversazione con Bolton non è emerso nulla oltre una certa insofferenza per l’autorità, ma Lestrade deve ammettere che Sherlock anche nei giorni migliori si comporta molto peggio.
Due persone potenzialmente violente nella sfera lavorativa di James Clarke,” insiste Donovan, visto che Lestrade non risponde.
Lui si riscuote: “Anche Riggs era uno scapestrato. Magari a Clarke piaceva dare seconde possibilità a soggetti a rischio. Dovremmo parlarne con la moglie.” Aggrotta le sopracciglia: “C’è anche da dire, però, che Clarke doveva parecchi soldi a Latimer…”
Donovan solleva di scatto lo sguardo dallo schermo del pc: “E che aspettavi a dirlo?!”
Lestrade solleva una mano: “Temevo partissi in quarta come stai facendo. Non siamo sicuri sia un movente: perché uccidere Clarke, e rischiare che il locale chiudesse, se gli affari andavano bene?”
“Ah, ma era davvero così? Perché il prestito, allora?” persevera Donovan.
“Quattro dipendenti, l’ampliamento della caffetteria…molte spese,” replica Lestrade, mordendo la sua penna.
“Precedenti e un movente, boss. Che altro vuoi? Cos’è fuori posto, ancora?”
“La ragazza,” risponde Lestrade senza esitare.
La ragazza è ancora un vicolo cieco che non sanno come inquadrare nella faccenda. Ancora nessuna denuncia di scomparsa che sembri ricollegabile a lei, nessuno dei dipendenti di Clarke ha dichiarato di riconoscerla dalle foto.
Donovan sospira. “Hai le bambine, stasera?” domanda poi. “Bambine…” ripete a mezza voce subito dopo, per sottolineare che non è più il termine adatto.
Lestrade si sente improvvisamente vecchio di 1000 anni ed esausto.
“No, domani sera.” Dà un’occhiata all’ora e sospira frustrato: “Mi aspetta una serata di scartoffie, a casa. Come se non fosse sufficiente il lavoro d’ufficio.”
Come sia riuscito a mantenere il tono fermo parlando delle carte del divorzio è un mistero anche per lui.
“Non mi dispiacerebbe andarmene a dormire a un’ora decente, stasera,” fa Donovan senza commentare.
Lestrade ne è molto grato: “Possiamo anche andare, per me.”
“Posso prima organizzare la sorveglianza per Peter Latimer?” chiede Donovan.
Lestrade manda un gemito tra il divertito e l’esasperato: “Ok. Come vuoi.”
“Grazie.”
“Grazie a te, Sally.”
Lestrade firma tutte le autorizzazioni del caso e il suo Sergente si prepara a rovinare la serata a un paio di agenti. La cosa lo fa sentire solo marginalmente in colpa: ha perso il conto delle volte che il lavoro ha rovinato i suoi piani per la serata; l’ultima è stata solo mercoledì di quella settimana.
Lestrade rientra ancora una volta nel suo minuscolo appartamento vuoto, la testa ancora piena del caso.
Il pensiero della ragazza lo tormenta. Tre giorni e neppure un nome. Ma il giorno dopo è sabato, e Sherlock e John saranno tornati a Baker Street, giusto? Non ha senso ignorare l’aiuto che può venire dal consulente investigativo. E se pure il caso non fosse sufficientemente interessante per gli standard di Sherlock, Lestrade è fiducioso di riuscire almeno a strappargli qualche deduzione sulla ragazza: un po’ perché come sia arrivata lì e perché l’assassino si sia preso il disturbo di vuotarle le tasche (o meglio: cosa di preciso aveva addosso che avrebbe potuto ricondurre a lui) è a tutti gli effetti un puzzle di quelli che riescono a smuovere Sherlock; un po’ perché nonostante tutti i suoi proclami di indifferenza verso gli altri esseri umani, Sherlock prova compassione per il prossimo e l’idea di un assassino a piede libero lo infastidisce tanto quanto ripugna Lestrade; e infine, se davvero Lestrade ha visto giusto e Sherlock era all’estero per conto di Mycroft, il più giovane degli Holmes potrebbe essere propenso ad aiutare la Met anche solo per irritare il fratello maggiore, facendolo aspettare senza motivo prima di rendere conto del lavoro svolto (da quel che Lestrade ha capito negli ultimi anni, Mycroft è tanto appassionato di debriefing quanto Sherlock sembra offeso e oltraggiato alla prospettiva di soffermarsi su qualcosa che il suo brillante cervello reputa concluso).
L’idea di poter contare sull’aiuto di Sherlock, o quantomeno di avere ancora qualche carta da giocare, aiuta Lestrade a rilassarsi un poco. Ride un po’ di se stesso al pensiero di aspettare con trepidazione un viaggio a Baker Street: la dice lunga sulla sua rete di amicizie e frequentazioni degli ultimi mesi.
Potrebbe persino incontrare Mycroft, a Baker Street, gli suggerisce d’un tratto il suo cervello mentre mette il cellulare in carica sul comodino della camera da letto. Il pensiero gli annoda lo stomaco e immagini e ricordi di quel mercoledì pomeriggio gli affollano la mente, mentre se ne sta seduto proprio dove ha spinto Mycroft sulla schiena e…
Le sue dita si contraggono senza pace sulla stoffa del suo completo da lavoro e quel vago senso di trepidazione non si calma neppure quando si cambia, indossando dei pantaloni di felpa e una maglietta. È eccitato e imbarazzato allo stesso tempo: l’idea di masturbarsi ancora ripensando a mercoledì pomeriggio gli appare un po’ patetica. Ma mai come il suo comportamento quel giorno, appena prima della conferenza stampa, precisa crudelmente la sua testa.
Lestrade chiude gli occhi arrossendo al pensiero.
“Cazzo,” gli sfugge di nuovo, a bassa voce.
Non ha resistito alla tentazione di raggiungere Mycroft, di parlare con lui. E se quel mattino si è convinto (quasi) che è stato solo per sincerarsi che le cose tra loro non fossero improvvisamente diventate strane, ora la sua immaginazione gli offre frammenti di scenari alternativi di lui e Mycroft sulle scale di servizio: Mycroft contro il muro e Lestrade premuto su di lui, cartellina e ombrello in terra, privi di importanza; la testa di Mycroft rivolta verso il basso perché Lestrade possa baciarlo, le sue mani sulle sue spalle, e quelle di Lestrade nella sua giacca, sotto il panciotto, a sentire il calore della pelle attraverso la camicia azzurra.
Lestrade si alza di scatto scuotendo la testa e scuotendosi via da dietro le palpebre chiuse quella ridicola fantasia. Torna in soggiorno e accende la televisione per avere del rumore di sottofondo nell’appartamento vuoto.
Che diavolo gli prende? Quello che più aveva apprezzato dell’incontro con Mycroft (oltre al sesso, ovvio) era che non ci sarebbero state conseguenze. E così era stato, no? Si erano visti quel mattino e Mycroft era stato cortese, snob e inarrivabile come ogni altra volta negli ultimi 5 (6?) anni.
Lestrade aveva apprezzato il principio di un incontro casuale destinato a non ripetersi.
Tranne che…forse non avrebbe detto di no, a un’altra performance.
Non era poi tanto strano, no? È il problema del sesso: il corpo ne ha bisogno regolarmente, quando si incomincia (o ricomincia, nel suo caso) a farlo. E Lestrade è…be’, è solo, dannazione, e da mesi non dorme accanto a qualcuno, dopo 15 anni di matrimonio. Davvero si è aspettato che qualche scampolo di calore e attenzione non sottolineassero tutto quello che ora manca nella sua vita? Che patetico idiota bastardo.
E se pure fosse in grado di avere una relazione sessuale senza sviluppare una certa forma di attaccamento (come Becky. Ah, ah), dubita che Mycroft sarebbe interessato. Lui sembra proprio il tipo che riesce a mantenere il distacco necessario, e che non torna mai sui suoi passi. Come probabilmente è giusto che sia.
È di Lestrade, il problema: è il divorzio che lo rende così emotivo, avido di contatto e incapace di fiducia allo stesso tempo. Deve prendersela comoda, lasciar passare le settimane e i mesi e affrontare al meglio la cosa, per il bene delle bambine.
Sospirando, Lestrade si trascina in cucina. Pesca dal frigo una birra e le carte dell’avvocato dal cassetto in cui le ha relegate da due settimane. Stringe i denti e si mette al lavoro.

Ancora una volta l’universo ride delle speranze di Lestrade.
Ha osato avere delle aspettative sull’incontro con Sherlock a Baker Street? Eppure avrebbe dovuto imparare, ormai.
“Non fa che deluderti,” lamenta sempre Donovan, ma la realtà è che Sherlock ricorda a Lestrade quanto poco controllo lui abbia sul mondo: la sua autorità, la sua responsabilità e il suo impegno non fanno presa su Sherlock come sui membri della sua squadra, non più di quanto farebbero presa sul temporale, non più di quanto impressionerebbero le stagioni.
Lestrade ha aspettato che fossero le 10 passate, prima di bussare al 221b, immaginando che i due coinquilini potessero essere fuori gioco per la stanchezza, prima. E John ha davvero l’aria di chi è sveglio da poco e dopo una tazza di tè se ne tornerebbe volentieri a letto; mentre Sherlock, Lestrade può dirlo subito, è di umore velenoso.
Se ne sta sulla sua poltrona in vestaglia, pizzicando con grazia le corde del suo violino.
Mentre John gli augura il buongiorno e gli offre una tazza di tè, Sherlock lo fulmina: “Sapevi che saremmo rientrati oggi.” Stringe gli occhi, intento: “Sei preoccupato e non hai dormito a sufficienza negli ultimi giorni: oltre alle solite noiose questioni personali che ti spingono all’autocommiserazione, sei nel mezzo di un caso. Ma sono giorni, come ho detto, e anche se non ne capisci nulla, vieni a cercarmi solo oggi. Dopo le 10, per non svegliare John. Sapevi che eravamo via.”
Lestrade stringe le labbra e inghiotte le prime parole che gli affiorano dal cuore. Cosa non darebbe per una sigaretta, ora.
“Sì, lo sapevo.”
È anche arrivato sul tardi per avere il tempo di passare allo Yard, spulciare le ultime denunce di scomparsa (inutilmente), recuperare le foto e il fascicolo del caso per Sherlock e sopportare Donovan che lo fissava scuotendo la testa con rimprovero, all’annuncio che sarebbe venuto a Baker Street.
Come lo…oh, certo!” esclama Sherlock balzando via dalla poltrona a andando a posare il violino.
Lestrade sorride appena della sua irritazione.
“Me l’ha detto Mycroft,” conferma. John gli allunga il suo tè. “Grazie, amico.”
“E perché hai incontrato mio fratello, Lestrade?” lo interroga Sherlock e Lestrade si blocca per una frazione di secondo, ricordando il panico che lo aveva sopraffatto al pensiero che Sherlock scoprisse di lui e Mycroft.
Come aveva detto, Mycroft? Che dopo quattro giorni il panico e il senso di colpa non sarebbero stati così evidenti sulla sua faccia? Lestrade può solo sperarlo.
“Sherlock, sei scortese e innecessariamente rumoroso,” lo rimprovera John.
“John, devo sapere in che modo Mycroft si intromette nella mia vita!” ribatte Sherlock e John sbuffa.
Sherlock torna alla carica: “Allora, Lestrade, dove vi siete visti? Ah, ovviamente. In Tribunale,” si risponde da solo subito dopo.
John sospira: “Fa così perché Mycroft lo ha costretto ad accettare un caso da lui, e poi è venuto a recuperarci all’aeroporto, così Sherlock non ha potuto fare giochetti…Dio, Greg, non immagini cosa sono quei due assieme, dopo un volo di 11 ore,” spiega e Lestrade si lascia sfuggire un ghigno.
“Ne ho una vaga idea,” risponde a bassa voce.
Una volta si è ritrovato ad accettare un passaggio a casa da Mycroft dopo che Sherlock era stato dimesso da due estenuanti giorni in ospedale.
Sherlock fissa oltraggiato il suo coinquilino e Lestrade si concentra: “Hai ragione, comunque. Ho un caso.”
Sherlock fa un gesto spazientito con la mano: “Certamente noioso. Lo risolverai con un po’ di sano lavoro di polizia alla vecchia maniera. Continua con l’ottimo lavoro,” conclude con indifferenza, afferrando il laptop di John dal pavimento accanto alla poltrona.
Lestrade trattiene un ringhio spazientito.
“C’è un dettaglio che potrebbe interessarti, e non mi sembra che tu sia occupato. Non stai neanche litigando con tuo fratello: stai solo tenendo il broncio perchè stavolta ti ha fregato.”
Gli occhi di Sherlock lampeggiano pericolosamente, poi il consulente investigativo ricompone una maschera di dignitosa indifferenza: “Non si scaccia la noia con la noia, Lestrade.”
“Ma ti piace sempre dar sfogo alla noia sottolineando quanto sono idiota e quanto sono fuori strada,” ribatte Lestrade buttandogli in grembo le foto della scena del delitto.
Le dita di Sherlock fremono impercettibilmente sui tasti del laptop e i suoi occhi abbandonano per una frazione di secondo lo schermo ancora buio.
John fa un cenno discreto a Lestrade e si sposta verso la cucina. Lestrade lo segue buttando un occhio a Sherlock.
“Dagli un minuto,” sussurra John. “Appena risolto un caso non c’è niente di cui abbia più bisogno di un altro mistero…”
Lestrade scuote la testa: “Già. E, credici o no, ma è migliorato, da quando ti conosce.”
John sorride: “Lo so.” Si tiene un attimo occupato col suo tè, poi scruta Lestrade con attenzione: “E, a parte il caso…come vanno le cose, Greg?”
Lestrade inspira a fondo, studiando il soffitto: “Bene, John. Io…ovviamente è dura, ma…va bene. Stasera vedo le bambine.”
“Oh, grandioso.”
“Sì, non vedo l’ora.”
“Se una di queste sere ti va una pinta, fammi uno squillo, ok?”
“Ok, John. Grazie, ma non ti devi preoccupare, d’accordo?”
L’idea di avere il supporto e l’amicizia di John è piacevole, sulla carta, ma il buon dottore (come lo chiama Mycroft) è davvero troppo vicino a Sherlock, e aprirsi con lui a Lestrade sembra pericolosamente simile ad offrire il fianco alle stoccate noncuranti di uno Sherlock annoiato, e non è sicuro di poterlo sopportare, in questo momento. Preferisce la presenza nervosa e poco pressante di Molly, se deve scegliere, ma in realtà crede che la cosa migliore sarebbe cavarsela da solo, farsi bastare la possibilità dell’appoggio degli amici.
Fa un cenno del capo a John e beve il suo tè. Rientra in soggiorno e cerca di non apparire troppo soddisfatto (o sollevato?) alla vista di Sherlock che esamina le foto di James Clarke e della ragazza sulla scena del delitto.
“Allora?” chiede ad alta voce.
Sherlock sbuffa, gettando le foto nel fascicolo e chiudendolo: “Come dicevo. Noioso. Dovrebbe essere ovvio persino per voi.”
“Illuminami. Cosa puoi dirmi di loro?”
Sherlock unisce la punta delle dita e lo guarda. I suoi occhi scintillano brevemente: “L’uomo ha più di 40 anni, 42 probabilmente, ma ne dimostra qualcuno di più. Lavoro stressante, ma remunerativo…un piccolo imprenditore. Indugiava col cibo ma non aveva altri vizi, non fumava, nonostante il lavoro lo rendesse nervoso: guardate le unghie. Forse il lavoro aveva a che fare col gusto, ma non ha le mani di un cuoco…proprietario di una torrefazione, o di una caffetteria. Sposato da tempo, niente figli, abitava a meno di un chilometro dal luogo in cui è stato ucciso.” Sherlock scaglia un’occhiata penetrante a Lestrade.
“Sappiamo che è stato spostato,” lo anticipa lui.
“Meno male. Anche un incompetente come Anderson non avrebbe potuto sbagliare, su questo…”
“Senti, Sherlock, sappiamo abbastanza di James Clarke. Pensiamo che l’assassino sia qualcuno che lo conosceva per lavoro.”
“Ovviamente. Chi altro dovrebbe essere? Non aveva tresche.”
“Sul serio?” chiede Lestrade, con foga. “E la ragazza? Che puoi dirmi della ragazza?”
“Che vuoi sapere?” fa Sherlock, con compiacenza.
“Tutto. Non riusciamo ad identificarla e a capire che legame avesse con Clarke…”
Sherlock lo fissa con divertito disprezzo: “Davvero? Perché non provi a dirmi quali sono le vostre ipotesi, Lestrade?”
Lestrade ringhia a bassa voce, prima di sputare fuori tutto quello che sanno: “Afrolondinese, tra i 21 e i 24 anni, in salute a parte una vecchia frattura al polso destro, sportiva.” Fa una piccola pausa.
Sherlock lo guarda, per niente impressionato.
“Conosceva l’assassino. Si è trattato di un delitto passionale: il fidanzato, o il convivente…” continua con enfasi.
Sherlock non cambia espressione.
“Allora, Sherlock!”
Sherlock ha il coraggio di mandare un verso esasperato: “Sono tutte cose che avreste dovuto capire alla prima occhiata! Dall’istante in cui è risultato evidente che era un delitto passionale, cioè da subito, anzi, da prima di subito: andiamo, l’assassino ha composto il corpo, le ha coperto i capelli! Devi andare oltre, Lestrade, che altro?”
Lestrade alza le braccia al cielo, frustrato: “Non lo so! L’assassino…non vuole che la identifichiamo perché ci ricondurrebbe a lui…ma che ci faceva lei vicino a casa di Clarke? Come ci è arrivata?”
Sherlock sorride: “Ma noi sappiamo come ci è arrivata, Lestrade.”
“Cosa? No.”
“Hai detto che era sportiva.”
Lestrade ci pensa: “Molly. Ha detto che era in salute, e praticava attività fisica regolarmente…”
“Che genere di attività fisica?” domanda Sherlock con tono canzonatorio. “Molly Hooper non è senza speranza come Scotland Yard, ma non è stata abbastanza precisa.”
“Cazzo, Sherlock, non lo so!” esplode Lestrade. “Nuoto? Zumba? Corsa? Ci è arrivata di corsa, a…”
Si blocca nell’istante in cui capisce, ma Sherlock gli sta già sventolando sotto gli occhi le foto fatte al Bart: un particolare dei palmi delle mani.
“Vedi questo principio di calli? Portava i guanti, di solito, ma chi usa la bicicletta come mezzo di trasporto abituale finisce sempre per averli. Assieme alla frattura del polso…”
“È arrivata in bici,” constata Lestrade a bassa voce.
“Finalmente,” borbotta Sherlock.
“Non abbiamo trovato bici abbandonate,” continua Lestrade. “Qualcuno può averla rubata, o…” Sherlock lo fissa come se fosse cretino. “…l’ha presa l’assassino perché aveva qualcosa di riconoscibile, che ci avrebbe aiutato a identificare la ragazza,” conclude lui, ignorandolo.
“Come può una bicicletta essere riconoscibile?” domanda John. “Credete avesse il nome aerografato sulla canna?”
“Magari qualche adesivo…” gli risponde Lestrade soprappensiero.
Sta pensando alle riprese delle CCTV che hanno visto negli scorsi giorni: si vedeva nessuno allontanarsi con una bicicletta?
“Grazie, Sherlock. Devo andare, adesso,” dice, avviandosi alla porta. Passa la sua tazza a John con un mezzo sorriso e si blocca sulla soglia del soggiorno: “Nessuna ipotesi sul perché fosse con James Clarke? Hai detto che lui non aveva tresche…”
“Forse doveva parlare con lui,” replica Sherlock, il suo interesse già evaporato.
“E di cosa?”
Sherlock lo guarda in tralice: “Lei conosceva l’assassino, Lestrade. Forse sapeva quello che lui aveva in mente di fare. Dovrei vedere la casa di Clarke per essere sicuro, e non voglia di farlo, ma c’è un 72% di possibilità che sia andata a casa sua a cercarlo, e l’abbia seguito al parco per avere l’occasione di parlargli. L’assassino non si aspettava la sua presenza: l’ha uccisa, ma non era previsto. Se n’è pentito, o vergognato. Ma ha comunque coperto le proprie tracce.”
“E tu sei d’accordo che l’assassino sia collegato alla sfera lavorativa di Clarke…”
Sherlock fa una smorfia di dolore: “Non chiedermi anche di ripetermi, Lestrade!”
“Ma nessuno dei dipendenti di Clarke ha dichiarato di conoscerla…”
Stavolta il tono di Sherlock è di incredulo sarcasmo: “E non è possibile che qualcuno ti abbia mentito, Ispettore?”
Lestrade cerca di ripensare alle deposizioni prese alla caffetteria. All’appello mancano ancora i vari fornitori di Clarke. Deve tornare in ufficio.
Con un ultimo saluto e un ringraziamento agli inquilini di Baker Street, Lestrade si congeda.
È al telefono con Donovan prima di arrivare in fondo alle scale: “Prendi Davies e Tennyson, spulciate le deposizioni dei vicini di Clarke, e controllate se qualcuno ha fatto cenno di un ciclista, uomo o donna…la ragazza aveva una bicicletta. Quando arrivo ci piazziamo davanti alle registrazioni delle CCTV e scopriamo se qualcuna ha ripreso l’assassino che se la portava via…”
   
 
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