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Autore: FairLady    09/10/2018    1 recensioni
[Cast Meteor Garden]
[Wang Hedi-Dylan Wang/Nuovo Personaggio] Cast Meteor Garden 2018
Per quanto il mondo sia vasto, tutto ciò che ti serve lo troverai tra due braccia.
Per quanto si possa scappare dalla ragione, il cuore ti troverà in qualsiasi posto tu vada.
Non esiste differenza che non si possa pareggiare con l'amore.
Fatti e Personaggi che compariranno nella storia sono da ritenersi puramente casuali.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era stata una giornata estenuante.
Anzi, estenuante era davvero poco per descriverla.
Era stata una giornata sfibrante, da esaurimento.
Alice aveva spremuto fino all'ultima goccia della sua energia nel tentativo di convincere il signor Xu a comprare il loro brevetto e le ultime ore chiuse nella sala riunioni della sede centrale della Hoinzel non erano state che la punta di un iceberg di fatica inimmaginabile. Giorni e giorni di ricerche, statistiche, previsioni, appuntamenti in banca e Dio solo sapeva quante notti insonni per non cavare un ragno, nemmeno uno piccolo piccolo, dal buco.
Ora si aspettava che fosse il suo capo a fare un buco, bello grosso, in tre metri di terra, per buttarci dentro lei.
«Buonasera signorina Aldesi, desidera qualcosa da bere?»
Da quando Alice era rientrata in hotel un'ora prima e si era seduta al tavolo del bar, non aveva fatto altro che mandare mail, fermandosi solo per fissare il vuoto con sguardo vacuo, forse alla ricerca di qualche meravigliosa e miracolosa idea che le avrebbe impedito di tornare a casa con un pugno di mosche. Ma, niente, non c'era miracolo che potesse tenere. Il signor Xu era stato irremovibile e l'ultimo asso avrebbe dovuto giocarselo con la Keitai. 
«Al diavolo! Il signor Meng è ancora più taccagno di quel barile di Xu - volse lo sguardo verso Jin, il cameriere, che la fissava tra lo speranzoso e il preoccupato - giovedì tornerò in Italia e non sarà bello, Jin. Forse dovrei nascondermi qui per un po’, che dici?»
«Le porto subito qualcosa di forte, signorina. Ci penso io a lei!», il solerte cameriere si allontanò con espressione fiera, come se fosse appena partito per salvare il mondo da un attacco nucleare. 
«Sì, ci pensa lui a farmi alcolizzare».
 
Il liquido ambrato che dondolava pacifico nel bicchiere fungeva da tranquillizzante. Alice muoveva il bicchiere a destra e sinistra, perdendosi poi tra le venature del vetro.
Sin da quando era partita dall’Italia pochi giorni prima sapeva che quel viaggio non avrebbe portato grossi risultati, ma che non avrebbe trovato neanche mezzo sponsor, no, quello non se lo sarebbe mai aspettato. Dal giorno in cui aveva intrapreso quella carriera era la prima volta che le accadeva di fallire e odiava la sensazione, le lasciava un retrogusto amaro in bocca.
Posò il bicchiere per prendere il telefonino dalla borsa, era arrivata l’ennesima mail dal suo capo e sicuro non sarebbero state belle notizie. Al pensiero delle parole di fuoco che avrebbe letto, cambiò subito idea, lasciò ricadere la borsa sul divanetto e tornò a prendere il bicchiere di whisky.
Stava ancora pensando ai suoi guai quando volse lo sguardo in cerca del cameriere che si era dissolto. Però vide lui, o meglio, si accorse di un paio di occhi scuri che così profondi non ne aveva mai visti. Quegli occhi la stavano trapassando e le stavano togliendo il fiato.
Era seduto al bancone del bar, ma non aveva un bicchiere, forse era appena arrivato. Erano ancora occhi negli occhi, nessuno dei due sembrava intenzionato ad arrendersi per primo. Alice sentì involontariamente un brivido percorrerle la spina dorsale, il battito appena accelerato. Fu in quel momento che chiuse gli occhi e abbassò il viso sul suo bicchiere quasi vuoto. Si regalò qualche secondo per rimettersi insieme, per poi chiamare Jin con tutta la nonchalance che riuscì a mostrare.
Il cameriere, che prima sembrava sparito, arrivò in un secondo. Portava un vassoio con un bicchiere di whisky identico a quello che aveva appena finito.
«Per lei, signorina Aldesi. Offerto dal signore al bancone», volse il busto verso il bar per indicarle la persona che le aveva fatto portare il nuovo bicchiere. L’uomo le fece un cenno con la mano e le sorrise. Alice sentì un calore nuovo diffondersi dentro sé, di colpo si sentì in imbarazzo e sul momento non seppe far altro che alzare il bicchiere in segno di ringraziamento.
«Il signore che le ha offerto da bere le manda anche questo», le porse un bigliettino e si dileguò, non prima di averle lanciato un sorrisetto complice.
La donna si sentì ancora più imbarazzata. Il tizio al bancone continuava a fissarla, in attesa che lei aprisse il biglietto e, con ogni probabilità, che gli desse una risposta alla domanda che esso conteneva – perché, ne era certa, la conteneva. Il suo sorriso indescrivibile e quegli occhi scuri come la notte stridevano tra loro, gli donavano un aspetto angelico e terribile. Una sorta di cacciatore dall’aspetto incantevole, la cui bellezza era l’arma principale. La sua funzione era quella di sedurre la preda, lasciarla avvicinare, poi finirla.
Per un attimo fu sul punto di ignorare il biglietto ed evitare quell’approccio, ma con la coda dell’occhio riusciva ancora a vedere l’uomo che, noncurante della sua ritrosia, continuava a scrutarla, con quel suo sorriso accecante dipinto in volto. Alice non sapeva come, ma riusciva ad essere rassicurante e pauroso nello stesso momento. Prese un rapido respiro e, senza pensarci di più, si decise a svelare il contenuto del biglietto. In fondo cosa poteva esserci scritto di così pericoloso?
«最好在公司喝酒,对吧?»
“Meglio bere in compagnia, no?”
Lo guardò per l’ultima volta, prima di fare la cosa più stupida che avrebbe potuto fare – come se di idiozie non ne avesse fatte già abbastanza da che era atterrata a Shangai. Infilò la sua borsa a braccio e prese il bicchiere di whisky in mano; nell’altra stringeva ancora il biglietto che aveva appena letto. Alice camminò a passo spedito verso lo sconosciuto, sopra quei tacchi forse un po’ troppo alti per quell’andatura. Sperò vivamente di non cadere. Il sorriso dell’uomo si fece ancora più meraviglioso alla vista di lei che gli si avvicinava. In quel momento era Alice a sentirsi una predatrice, senza alcuna ragione in effetti perché dentro di sé era tutto fuorché sicura di quello che stava per fare.
Poi, all’improvviso, fece tutto l’opposto di ciò che aveva preventivato.
Lasciò il bicchiere pieno sul bancone, regalò un sorriso quasi arrogante al ragazzo – sì, da vicino non gli sembrava più tanto uomo –, e gli mise il bigliettino stropicciato in una mano.
«Scusi, non conosco il cinese», gli soffiò, prima di allontanarsi verso gli ascensori.
Quando finalmente raggiunse la sua camera al ventiduesimo piano, si afflosciò sul letto come un palloncino sgonfio e solo allora si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Lanciò via le scarpe dai piedi, che caddero scompostamente sulla moquette, e incrociò le braccia in alto, fino a coprirsi il viso.
«Ma che diamine, Ali! Che ti è preso! Ti stavi invaghendo di uno che avrà sì e no l’età di tuo fratello!», - sì, ok, è vero… a mia discolpa c’è da dire però che da lontano non si notava tanto.
«Che dici? Si vedeva, si vedeva… solo che non lo hai voluto notare», - in quel vestito blu sembrava davvero più grande, dai. Sii sincera.
Ormai parlava da sola e si rispondeva anche. La cosa si stava facendo più seria del previsto.
«Forse, può darsi. Ma da vicino? L’hai visto? Ho notato perfino un paio di brufolini… avrà forse, e dico forse perché voglio essere generosa, vent’anni», - venti… venticinque, almeno venticinque!
«Venticinque te li danno a te, di galera, se te la dovessi fare con quello…»
Colpita e affondata.
 
***
 
Era stata una giornata estenuante, e ancora la parola non era sufficiente a spiegare la stanchezza che aveva addosso.
Erano ormai incalcolabili le ore che si erano susseguite senza che riuscisse a riposare in modo decente e forse quella sarebbe stata la prima sera in cui se la sarebbe potuta prendere comoda. Il giorno dopo non ci sarebbero stati servizi fotografici, nessuna trasmissione da registrare, nessun set a cui andare e, soprattutto e molto più importante, nessun aereo da prendere.
Certo, la celebrità era davvero fantastica e alla sua giovane età faceva uno dei lavori più sognati – e, dopo Meteor Garden, anche più pagati –, ma Hedi sentiva davvero la necessità di staccare la spina qualche giorno. Avrebbe cominciato da quella sera e un bel bicchiere di vino.
Prima del vino ci fu un dettaglio che lo attirò appena entrato al bar dell’hotel: lei, una sconosciuta seduta ad un tavolo, sola. Era persa nei suoi pensieri, gli parve preoccupata per qualcosa. Continuava a controllare il telefono e alternava brevi sorsi da un bicchiere di cui sul momento non seppe decifrarne il contenuto. Forse whisky.
La osservò per un po’, rapito dai ricci castani che sfuggivano alla presa dello chignon. Ne studiò l’abbigliamento per qualche istante, giusto per farsi un’idea. Doveva essere un’imprenditrice o un avvocato, ma non ne era così sicuro.
D’un tratto la vide arrendersi a un lungo respiro e lasciarsi andare sulla poltroncina, prese il bicchiere tra le mani e si perse ad osservarlo come se all’interno avesse potuto trovare le risposte a tutti i suoi problemi.
Più la studiava, più la curiosità per quella donna diveniva interesse vero e proprio; sentì il bisogno di avvicinarla in qualche modo, la necessità di scoprire che voce potesse avere.
Mentre stava cercando di capire come fare per conoscerla, lei si volse nella sua direzione e in quell’attimo i loro sguardi si trovarono, incapaci di fuggirsi. Hedi iniziò a sentire un calore strano all’altezza dello sterno, era agitato, ma odiava darlo a vedere. E i suoi occhi traditori ancora non volevano staccarsi da lei, solo che più la guardava, più si sentiva nervoso e sapevano tutti cosa combinava quando era in quello stato.
Ringraziò il cielo che un istante dopo fu lei a distogliere lo sguardo, perché sarebbero bastati pochi secondi ancora e avrebbe mandato all’aria tutta la sua nonchalance e si sarebbe catapultato al tavolo presentandosi in modo sfacciato.
Approfittando del fatto che lei non lo stesse guardando, chiamò il cameriere chiedendogli di portare alla donna il bis di quello che aveva già bevuto. Prese velocemente un tovagliolino e, rubandogli la penna, scrisse qualche parola.
«Per favore, portale questo insieme all’ordinazione…», chiese a Jin gentilmente, la voce un po’ incerta e una gamba ballerina a causa del nervosismo che sentiva.
«Sì, certo, signore», rispose prontamente lui, incamminandosi spedito verso il tavolo dove sedeva la sconosciuta.
Hedi rimase attento, in tensione, a guadare la scena, in attesa di poterle finalmente parlare.
Jin le porse il bicchiere e poi il biglietto, sussurrandole brevi parole, e scomparve lasciandola lì da sola. Gli sembrò sorpresa da quel gesto da un perfetto sconosciuto, a tratti confusa, ma alzò il viso e lo guardò dritto negli occhi. Quel calore allo sterno ricomparve violento, ma cercò comunque di darsi un contegno. Le regalò un sorriso sincero – anche se forse il risultato fu più simile ad una paresi facciale – e le fece un breve gesto con la mano, come a dire: “Sì, sono io l’idiota che cerca di farti ubriacare”.
A lui non interessava minimamente che lei potesse ritenerlo strano o azzardato. Hedi voleva conoscerla e sperò che anche la donna avesse la stessa voglia nei suoi confronti.
Delle ciocche di capelli le cadevano sugli occhi e d’un tratto sentì l’urgenza di avvicinarsi e spostarle con delicatezza, solo per avere l’occasione di sfiorarla.
Aveva l’aspetto fiero di un’amazzone e l’essenza tenera di una fata.
“Ma che razza di pensieri scemi vai a fare, Didi?!”
Continuava a sorriderle, mentre la vide aprire lentamente il tovagliolino; troppo lentamente. Sentiva che non avrebbe resistito ancora a lungo.
Poi, all’improvviso, accaddero due cose.
La donna si alzò dal tavolo, sul volto aveva dipinto un lieve sorriso e lui sentì il sangue prendere a circolargli nelle vene ad un ritmo vorticoso. La vide prendere la borsa, il bicchiere e stringere nell’altra mano il suo biglietto. S’incamminò con passo spedito verso di lui, su quei tacchi vertiginosi di cui non si era quasi accorto. Eccola lì l’amazzone! Non era più insicura, preoccupata o stranita. Era fiera e determinata e già Hedi pregustava il momento in cui avrebbe potuto stringerle la mano e passare un po’ di tempo con lei.
Invece…
“Ma che diav…”
Pochi istanti dopo, si ritrovò con un bicchiere pieno sul bancone di fronte a sé, il suo biglietto stropicciato in una mano e lei che velocemente gli sussurrava:
«Scusi, non conosco il cinese». E scivolò via così, lasciandolo con un whisky che non voleva e quell’illusione che si era costruito in frantumi sul pavimento.
“Cosa è andato storto? Cosa ho fatto di sbagliato?”
“Ma, impossibile, come? Perché se n’è andata?”
“Giusto, ho scritto il biglietto in cinese, dando per scontato che fosse di queste parti. Perché? Non sembrava cinese? Secondo me sì”
“Forse dovevo scriverlo in inglese, chissà cosa ha pensato che le avessi proposto?! Idiota che sono!”
Immediatamente gli venne un’idea, perché lui fermo con le mani in mano non ci sapeva stare, e ormai l’aveva vista. Non avrebbe dormito sereno sapendola nel suo stesso albergo senza la possibilità di vederla.
Era come aver scoperto l’esistenza della Fata Turchina: ora avrebbe voluto evocarla sempre.
«Jin, ho bisogno del tuo aiuto!»
   
 
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