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Autore: _Agrifoglio_    10/10/2018    16 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando gli dei vogliono punire gli uomini, esaudiscono i loro desideri
 
André era seduto sugli scalini di pietra costituenti il basamento di una delle fontane che adornavano i giardini di Palazzo Jarjayes, in un angolo appartato del parco, dove avrebbe potuto godere di raccoglimento e solitudine.
La mente del giovane era ingombra dei ricordi vorticosi degli ultimi due giorni, quando l’esistenza di lui era mutata radicalmente ed era stata innalzata al cielo per, poi, essere precipitata all’inferno.
Oscar lo aveva rifiutato, bastava a se stessa e non sapeva che farsene di uno come lui.
Aveva compreso già da tempo che a separarlo da Oscar non erano soltanto il censo e il rango, ma anche la particolare situazione di lei, diversa da quella di tutte le altre donne. Forse, però, c’era dell’altro.
La proposta di matrimonio pianificata dal Generale era stata estemporanea, inopportuna e non adeguatamente preceduta da tutta una serie di atti preparatori, auspicabili in ogni circostanza, ma assolutamente indispensabili se la sposa fosse stata lei. Tuttavia, se a chiederla in moglie fosse stato il Conte di Fersen o un altro gentiluomo più brillante e avventuroso di lui, uno che avesse viaggiato e conosciuto diversi mondi e civiltà, un uomo vulcanico, intraprendente, carismatico, poliedrico, affascinante e nato per il comando, uno che, in poche parole, avesse racchiuso in sé tutte le qualità presenti in Oscar e assenti in lui, l’esito sarebbe stato diverso? André si rivolgeva con insistenza questa domanda, ma non sapeva darsi una risposta.
Finora, era stato normale, ma anche comodo, trincerarsi dietro alla differenza di censo e di rango per giustificare l’impossibilità di essere ricambiato da Oscar e di prenderla in moglie, ma, adesso, quello schermo era crollato, non poteva più appellarvisi né nascondercisi dietro e la verità gli si parava dinnanzi in tutta la sua crudezza: Oscar non voleva lui.
Quante volte ci si barrica dietro a ragionamenti del tipo: “Non riesco in una cosa o non piaccio alla gente perché sono donna/brutto/basso/grasso/giovane/vecchio/scuro/calvo” e, invece, la spiegazione risiede semplicemente nel fatto che non si riesce perché non si è capaci e non si piace perché si ha un carattere orribile?
Quante volte, da ragazzo e, poi, anche da adulto, aveva desiderato possedere dei nobili natali e dei beni di fortuna, al fine di imprimere una svolta alla propria esistenza e di presentarsi a Oscar e alla famiglia di lei a testa alta, munito non soltanto di un grande cuore, ma anche di un prestigioso titolo e di un cospicuo patrimonio? Adesso, i desideri di lui erano stati esauditi ed egli era costretto a misurarsi con la vanità e con l’inconsistenza di essi e con la propria assenza di visione: non era la posizione nel mondo a fare difetto, era proprio lui a non andare bene.
Neanche fra mille vite, neanche fra mille ere.
Quant’è brutto conseguire un obiettivo e scoprire che non è tutto oro quel che riluce, che non risiedeva nel raggiungimento di esso la nostra felicità, che qualcosa è andato storto, che la vita si è beffata di noi! Mentre ancora si correva dietro al vessillo, si era sorretti dalla speranza, ma, afferrata la bandiera e compreso che questa era soltanto uno straccio sporco e liso, quanto ci si sente impotenti e fiacchi!
Neanche fra mille vite, neanche fra mille ere.
Che uomo debole era! Tutti i ragionamenti che aveva fatto sull’importanza di crearsi una propria autonomia mentale e di riscoprire in se stesso una dignità indipendente dal giudizio degli altri e dal fatto che Oscar lo ricambiasse o no erano crollati come un fragile castello di carte quando si era presentata una menzognera e labile occasione di ottenere ciò a cui il cuore anelava.
Neanche fra mille vite, neanche fra mille ere.
Aveva cercato di spiegare in tutti i modi al Generale che una proposta di matrimonio così formulata non avrebbe avuto alcuna possibilità di essere accolta e, tuttavia, malgrado ogni appello alla ragionevolezza, nel buon esito di quella proposta un angolo di cuore ci aveva creduto davvero, per, poi, finire calpestato. Si era dato tante arie da uomo maturo e razionale, ma, nel profondo, era rimasto il solito pazzo sognatore di sempre.
Neanche fra mille vite, neanche fra mille ere.
Che uomo ipocrita era! Un tempo, aveva chiesto al Generale cosa significasse la parola “rango” e, pochi mesi dopo, gli era bastato essere diventato Conte da un giorno per nutrire una sia pur minima speranza di avere Oscar.
Neanche fra mille vite, neanche fra mille ere.
Cosa è meglio per un uomo? Ostinarsi a rincorrere ciò che fugge o concentrarsi su ciò che può avere? Il valore di ciò che fugge è intrinseco o risiede nel fatto di non essere a disposizione? E’ più forte chi persevera a ogni costo, trovando impulso e interesse ad agire esclusivamente in una forte motivazione o chi sa adattarsi alla vita, prendendola così com’è, traendo insegnamento dagli errori e alzandosi dal letto ogni mattina, senza un’aurea missione cui consacrarsi, ma soltanto per adempiere il proprio quotidiano dovere?
Neanche fra mille vite, neanche fra mille ere.
Oscar lo aveva rifiutato con tutto il titolo e con tutte le terre anche se egli le aveva assicurato di amarla per quello che era e di non volerla diversa. Era proprio lui a non andarle bene.
Stava pensando e pensando e pensando, quando vide un’ombra allungarglisi sui piedi. Alzò il capo e incontrò lo sguardo di sua nonna.
– André, ragazzo mio, ti sembra il caso di startene seduto per terra, sulla nuda pietra, a trentaquattro anni suonati? Eri un servitore e ti rifiutavi di chiamare la tua padrona “Madamigella” e di darle del Voi. Sei un Conte e ti siedi sulle scale come un selvaggio. Devi sempre rappresentare lo spirito della contraddizione?
André tornò a guardare in basso, finché sentì una mano posarglisi delicatamente sul braccio, si voltò e vide la nonna che si era seduta sugli scalini di pietra accanto a lui.
– Adesso, che cosa intendi fare, André? – chiese l’anziana, con aria triste e preoccupata.
Il giovane si prese la testa fra le mani e proruppe:
– Non lo so, nonna, non lo so!
 
********
 
Il salone principale di Palazzo Jarjayes, alle otto di sera, era già pieno di invitati, giunti per festeggiare la promozione di Oscar, l’assegnazione al Generale della Signoria sulle terre di Nevers e la nobilitazione di André.
Il Generale pensava con rammarico al quarto oggetto di quei festeggiamenti, purtroppo sfumato e il severo profilo di lui aveva assunto un’espressione grave. La Contessa tentava di consolarlo, celiando sul fatto che, dopo tutto, il conseguimento di tre obiettivi su quattro non poteva dirsi un cattivo risultato. L’anziano nobiluomo ammirava la capacità della consorte di assorbire le delusioni e le contrarietà della vita con animo saggio e sereno. Le chiavi di lettura che usava lei mai indulgevano al dramma. Lui, invece, affrontava l’esistenza con stoicismo e ciò lo induceva a essere reattivo e pugnace, ma anche esposto ai rischi di chi combatte perennemente in prima linea. “Gli stoici, prima o poi, si spezzano o, perlomeno, si stancano” pensava il vecchio ufficiale mentre salutava i nuovi arrivati o intratteneva gli ospiti già presenti.
Il salone risplendeva a giorno, dopo che i valletti avevano tirato giù, con grosse funi, gli enormi lampadari di cristallo, lucidandoli goccia a goccia, rimuovendo la vecchia cera dalle coppe, collocando nuove candele sui bracci e riissandoli, infine, al soffitto. La luce di quelle candele si rifrangeva sulle gocce ed era riflessa da molti specchi dorati, appesi, a intervalli regolari, alle pareti oppure sopra le consoles.
L’aria era impregnata dell’aroma delle essenze fatte ardere nei bracieri e del profumo dei fiori, disposti a tralci lungo le pareti o composti in eleganti corbeilles, collocate, a seconda delle dimensioni, sulle mensole delle consoles o per terra, accanto ai muri.
La Marchesa de Tourzel, che, rappresentando le loro Maestà, era l’invitata d’onore, osservava compiaciuta il ricevimento, conseguenza, in gran parte, del buon esito dell’esame che aveva condotto su André.
Il Conte di Compiègne, che aveva accettato al volo l’invito, rivolto al cugino e autoapplicato per estensione alla propria persona, non perdeva occasione di corteggiare discretamente, ma insistentemente, Oscar della quale aveva studiato i gusti e le inclinazioni.
Oscar si aggirava per la sala, elegante nell’alta uniforme e altera come una dea, alla ricerca di una quiete che non riusciva a trovare.
– Splendido ricevimento, Madame de Jarjayes – disse, con voce soave e flautata, la Contessa di Polignac – Questo salone è l’Olimpo e Vostra figlia è Atena, eternamente bella, saggia, giovane, ardimentosa e vergine.
– Essendo il salone opera dell’Architetto, mi limiterò a rispondere su mia figlia che, invece, è opera mia – rispose Madame de Jarjayes – Nei mortali, la bellezza e la gioventù, ahinoi, non sono eterne mentre la saggezza, in genere, lo è. La verginità può esserlo o non esserlo mentre l’ardimento – che sia eterno o momentaneo – è la virtù di chi non fugge.
Gli ospiti chiacchieravano, ridevano e danzavano mentre i musicisti facevano vibrare le loro note fino all’ampio soffitto e agli ambienti circostanti. I valletti giravano fra gli invitati, recando vassoi d’argento, colmi di coppe di cristallo.
La curiosità dei nobili invitati era enorme e diretta principalmente all’indirizzo del neoConte che, pur essendo stato elevato da pochi giorni ai ranghi della nobiltà, non aveva assunto l’aria del nuovo ricco, ma se ne stava in piedi, in un cantuccio alquanto decentrato, abbigliato con gli stessi vestiti da lui indossati nel giorno dell’investitura, a ricevere, con affabilità e modestia, saluti e congratulazioni.
Le dame e le damigelle ne ammiravano la bellezza, di poco offuscata dalla cicatrice che gli attraversava verticalmente la parte sinistra del volto, conferendogli il fascino indomito del combattente. Si diceva che il Comandante Supremo delle Guardie Reali lo avesse rifiutato, preferendo un vita fatta di medaglie e di solitudine al fascino di lui e molte madri già pensavano a proporre le loro figlie per colmare quel vuoto.
André serbava discretamente il suo contegno, dispensando gentilezza ed educazione a tutti, ma confidenza ad alcuno. Aveva scelto un angolo appartato, dal quale lo sguardo di lui non avrebbe potuto incrociare quello di Oscar e le acrobazie del cicisbeo di lei.
Oscar, nel corso della serata, aveva cambiato posto varie volte, desiderosa di seminare il suo corteggiatore e sempre attenta a evitare gli occhi tristi e innamorati di André.
 
********
 
– Mi sono recato a Londra due settimane fa, Sir Percy e ho trovato il Re in condizioni discrete, ma, poi, mi è stato riferito che, negli ultimi giorni, la salute mentale di lui è improvvisamente declinata – disse il biondo nobiluomo, alto, snello e quasi glabro, che, malgrado i ventotto anni compiuti, pareva ancora un ragazzo.
– La pazzia di Re Giorgio si è accentuata nel corso di quest’estate, Conte di Canterbury e, tuttavia, egli continua a governare negli intervalli della sua insania – fece eco l’aitante interlocutore, un damerino incipriato, dagli occhi verde acqua marina, notevolmente bello e affascinante.
– Qualora le condizioni mentali del Re dovessero deteriorarsi definitivamente, ritenete che il Principe di Galles sarebbe pronto ad assumere la Reggenza? – chiese, con scetticismo, il primo, fissando l’altro con le sue iridi azzurro cielo.
– Dubito che tutto ciò che esula dall’invalido matrimonio con Maria Fitzherbert e dai debiti in vertiginosa crescita si collochi, attualmente, in cima alle preoccupazioni di Sua Altezza – concluse l’altro.
Seduti intorno a un tavolino tondo, di ferro battuto bianco, posto sulla terrazza della residenza del Conte di Canterbury, il padrone di casa e Sir Percy Blakeney conversavano sulle novità della corte. Malgrado fossero coetanei e cugini, i due gentiluomini non avrebbero potuto essere più diversi. Entrambi erano alti e belli, ma il Conte era di struttura sottile e di carattere silenzioso e riservato mentre Sir Percy era muscoloso e tornito come un dio greco, aveva modi spigliati e disinvolti ed era molto ammirato in società.
– Legami sentimentali sconvenienti e debiti incalzanti. L’alternativa farebbe troppo ceto medio – sentenziò, con ironia, una cinquantenne nobildonna, facendo il suo ingresso nella terrazza.
– I miei omaggi, Lady Imogen – disse Sir Percy, alzatosi in piedi, insieme al Conte di Canterbury, per salutare la Contessa madre – Sono lieto di rivederVi.
– Il piacere è mio, Sir Percy. Dovreste venire più spesso a trovarci. Cedric avrebbe un gran bisogno di una compagnia diversa da quella dei suoi libri e dei suoi cani oltre che dei Vostri preziosi consigli in fatto di moda.
– Sir Percy si tratterrà qui per un paio di settimane, Madre, per degli affari che deve seguire a Canterbury.
– Ne sono felice, Sir Percy e, al Vostro ritorno nella capitale, portate con Voi Cedric. I veleni della corte non potranno che giovargli, visto che in campagna diventa selvatico.
Lady Imogen aveva ragione: tanto estroverso ed elegante era Sir Percy, quanto solitario e semplice nei modi e nel vestire era il Conte che preferiva, di gran lunga, una cavalcata in brughiera o una passeggiata nella campagna di Canterbury o sulla riva del mare agli intrattenimenti mondani londinesi. Questo particolare tratto caratteriale, essendo temperato da una naturale delicatezza d’animo e da un’educazione di prim’ordine, non aveva, però, impedito al giovane Conte di frequentare la corte, di risultare bene accetto a Re Giorgio III e di diventare un ottimo amico del Principe di Galles che spesso ne ricercava il consiglio. Grazie a queste buone entrature, un paio di settimane prima, era riuscito a convincere il Re e il Principe a non ingerirsi nelle questioni francesi, recando aiuto alla sua lontana cugina Oscar François de Jarjayes e scatenando le ire del Duca d’Orléans.
– Una buona dose di malignità mondana non ha mai fatto bene ad alcuno, Madre e sono abbastanza adulto per decidere da solo se farmi avvelenare a corte o pungere da una vipera in brughiera. Voi, però, accomodateVi – disse il Conte alla genitrice, indicandole una sedia e facendo cenno al valletto di servirle una tazza di the.
– Oh, no, grazie Armstrong, ho trovato questa ultima partita di the troppo aspra e malamente speziata per i miei gusti. Dovremmo presentare le nostre rimostranze al fornitore.
La Contessa madre aveva appena finito di denigrare le qualità dell’ultima partita di the, quando un uomo del popolo, fulmineo e armato, scavalcò la balaustra della terrazza, urtò il valletto, inzuppandogli il gilet col contenuto della teiera e si avventò con un pugnale sul Conte di Canterbury, deciso a sgozzarlo.
Con una prontezza di spirito e una forza difficili da immaginare in un gentiluomo dall’apparenza tanto esile, il Conte di Canterbury bloccò la mano dell’aggressore e lo disarmò, torcendogli il polso. Quello, stupito dalla reazione energica e contrariato per la piega inaspettata assunta dal piano omicida, indietreggiò di scatto e sguainò la spada. Con altrettanta rapidità, Sir Percy Blakeney estrasse, a sua volta, la lama, ponendosi faccia a faccia con l’aggressore.
– In guardia, marrano!
– E voi chi siete? – domandò il sicario, in un pessimo inglese.
– Non ho nome da dire a individui di scarso rango e moralità!
Sentendosi offeso, il sicario si slanciò contro Sir Percy che, approfittando del nervosismo e della rudimentale tecnica dell’altro, lo mise subito in difficoltà, con una serie di stoccate e di affondi. Il malintenzionato cercava di difendersi con rozze parate, ma, non potendo contrastare la superiorità tecnica del nobiluomo, saltò sulla balaustra, con l’intento di piombargli addosso dall’alto. Sir Percy, però, con un rapido montante, gli fece perdere l’equilibrio, facendolo cadere nel prato sottostante. L'altro, con un veloce balzo, riscavalcò la balaustra e fu di nuovo sulla terrazza e, da lì, caricò a testa bassa Sir Percy che si difese con una parata e con un successivo coupé. Constata l’assoluta impossibilità di prevalere a colpi di scherma, il sicario afferrò un bricco dal tavolino e lo scagliò contro la testa di Sir Percy che, per evitare il colpo, abbassò il capo. Il manigoldo ne approfittò per attaccare l’avversario con tutta la forza bruta che possedeva, ma l’altro gli assestò una pedata, con la quale lo scaraventò contro il tavolino che si rovesciò a terra con la tovaglia e tutto quanto vi era sopra adagiato. Il malvivente tentò di reagire, ma Sir Percy, con un fendente diretto al cuore che arrestò a un soffio dal torace di lui, lo costrinse alla resa.
Disarmato il gaglioffo, Sir Percy lo afferrò per la camicia e iniziò a strattonarlo.
– Chi sei, canaglia? Rispondi!
Il Conte di Canterbury si avvicinò ai due e domandò:
– Perché volevi uccidermi? Chi ti ha mandato?
– Il Duca di Germain – biascicò quello, in francese.
– E chi è questo Duca di Germain? Parla!
L’altro stava per rispondere quando fu colpito da un proiettile al centro della fronte.
Il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakeney si voltarono di scatto, giusto in tempo per scorgere il compare del morto, un uomo sulla quarantina, coi capelli scuri e scarmigliati e il volto butterato dal vaiolo, ulteriormente deturpato da un’orrenda cicatrice. Lo sgherro fuggì via velocissimo e, essendo già lontano, riuscì a seminare con facilità i due gentiluomini che, dopo poco tempo, dovettero desistere dall’inseguimento.
Oh my God! – esclamò, con la consueta ironia, la Contessa madre, guardando il cadavere – Eccone un altro che non ha gradito il the.
 
********
 
Il cocchiere arrestò la berlina tiro a due davanti all’ingresso posteriore di Palazzo Jarjayes, così da consentire a Marie Grandier di salirvi. L’anziana governante era in procinto di recarsi a Parigi per sbrigare alcune commissioni per conto della Contessa e si era decisa a uscire di mattina presto, al fine di evitare le ore più calde. Stava per entrare nell’abitacolo, quando udì una voce a lei ben nota che la chiamava:
– Nonna, aspettami, vengo con te!
– Va bene, ma sbrigati, ho varie cose da fare e voglio rientrare prima che faccia caldo.
– Sono già pronto a partire, nonna.
André doveva acquistare alcuni medicamenti da applicare alle cicatrici che aveva sul petto e sul viso e, volendo distrarsi dai pensieri cupi che lo attanagliavano, aveva deciso di recarsi personalmente a Parigi a comprarli, malgrado il ferimento del mese precedente. Reputando che una cavalcata così lunga sarebbe stata sconsigliabile, date le condizioni fisiche in cui ancora versava, aveva pensato di unirsi alla nonna, usufruendo anche lui della carrozza che l’avrebbe trasportata nella capitale.
Giunti a Parigi, in Piazza Luigi XV, i due si separarono.
– André, io devo andare da Mademoiselle Bertin a prendere in consegna alcuni vestiti che la Contessa si è fatta confezionare per l’autunno e per l’inverno. Dopo, passerò dal gioielliere a ritirare una collana che Madame aveva mandato ad aggiustare e, infine, mi recherò dal fioraio a presentare le mie rimostranze per due corbeilles non perfettamente fresche che ci hanno consegnato per il ricevimento di ieri. Visto che sei diretto in farmacia, provvedi tu a comprare le medicine elencate in questa lista. Ci vediamo qui fra un’ora.
– Nonna, se vuoi, possiamo andare insieme a ritirare la collana. Lasciala come ultima commissione, così, dopo che ci saremo rincontrati, andremo dal gioielliere.
– Va bene, faremo così, è più prudente.
L’uomo, dopo essersi accomiatato dalla nonna, si diresse verso la farmacia situata nei pressi della caserma della Guardia Metropolitana e, mentre vi entrava, fu notato dalla giovane Diane che stava uscendo da quella stessa caserma, dove si era recata per portare la biancheria pulita al fratello.
Il volto della giovinetta si imporporò all’improvviso e il cuore iniziò a palpitarle convulsamente nel petto, tanto che il primo impulso che avvertì fu quello di fuggire via con tutta la forza che aveva nelle gambe. Non voleva farsi vedere così, pettinata alla meglio, col suo abito da lavoro e col cestino della biancheria sporca in mano. Poi, però, pensò che difficilmente le si sarebbe ripresentata l’occasione di incontrare da sola Monsieur Grandier e di parlarci senza la presenza rassicurante, ma oppressiva del fratello e decise, quindi, di farsi coraggio e di aspettarlo. Sistematasi in un punto della strada dal quale avrebbe potuto tenere d’occhio l’ingresso della farmacia e situato fuori della sfera visiva dei soldati, iniziò il suo piantonamento fatto di sospiri e di batticuori.
L’attesa si protrasse per oltre venti minuti, perché in farmacia c’era una lunga fila e al farmacista erano stati richiesti diversi preparati e la fanciulla fu, più volte, tentata di desistere e di andare via.
Rimasta stoicamente al proprio posto, Diane vide la sua attesa premiata dall’immagine di André che varcava la soglia del palazzo e si immetteva nella pubblica via. Facendo appello a tutto il suo coraggio, la ragazza gli si avvicinò celermente e, fingendo di passare di lì per caso, lo salutò.
– Buongiorno, Monsieur Grandier, quale lieta coincidenza è incontrarVi in una bella giornata come questa!
– Buongiorno a Voi, Mademoiselle de Soisson, sono molto felice di vederVi – rispose André, riconoscendo la giovane sorella di Alain e sorridendole.
Senza l’affettuosa e ingombrante protezione fraterna che, per molti aspetti, le faceva comodo, ma dietro la quale finiva quasi del tutto annullata, Diane parve ad André più spigliata e adulta. La voce di lei aveva perso la consueta titubanza e risuonava più scorrevole e sicura e, malgrado la timidezza continuasse ad affliggere la ragazza, questa faceva meno fatica a sostenere lo sguardo di lui.
– Io sto andando in Piazza Luigi XV, dove mi attendono mia nonna e una carrozza.
– Anche io sto andando in quella direzione, potremmo fare un tratto di strada insieme.
– Procede tutto bene nella Vostra famiglia, Mademoiselle? Sono circa tre settimane che non vedo Alain.
– Sì, da quando venimmo a farVi visita a Palazzo Jarjayes – sorrise Diane – Comunque, sì, va tutto bene, a parte mia zia, la sorella di mia madre che vive a Nevers, che sta poco bene.
– Mi rincresce.
– I postumi di una polmonite – precisò lei – Voi, invece, Vi siete ristabilito?
– La mia ferita si sta cicatrizzando molto bene, Vi ringrazio.
– Ne sono lieta! Ah! A proposito, Monsieur Grandier…. Conte di Lille…. Volevo porgerVi le mie più vive e sincere congratulazioni per la Vostra investitura e per la Contea che Vi è stata assegnata! Quando mio fratello l’ha saputo, in caserma, poco ci mancò che si strozzasse con la minestra o, almeno, così ci ha raccontato!
I due si misero a ridere allegramente mentre stavano per raggiungere la piazza.
Per un breve, fugace momento, André pensò che la giovane Diane, dopo tutto, sarebbe potuta diventare un’ottima sposa e una valida alternativa alla solitudine, visto che Oscar non lo voleva, ma si riscosse subito da queste congetture. Non voleva ripiegare su un’unione di comodo, per quanto serena e piacevole essa potesse apparirgli. Diane, oltretutto, era troppo fragile e innocente per essere vilmente strumentalizzata e meritava qualcosa di meglio di un uomo innamorato di un’altra. Come lui, ella proveniva dall’esperienza dolorosa di un amore infelice e questa comunanza di situazioni avrebbe dovuto indurlo al massimo rispetto dei sentimenti di lei.
– Monsieur Grandier…. Conte di Lille…. Senza il Vostro provvidenziale intervento, adesso, io sarei morta…. Avete la mia gratitudine…. Avete il mio….
– Mademoiselle – la interruppe prontamente André – Ho fatto soltanto il mio dovere, non siete in obbligo con me….
La guardò fisso negli occhi dove scorse un vivo sentimento di amore, ma, all’improvviso, la rivide appesa a quella corda, a scalciare e a dimenarsi e comprese che quell’immagine non lo avrebbe mai abbandonato e lo avrebbe perseguitato in ogni istante di un’eventuale vita comune.
Erano, intanto, arrivati in piazza.
– Signore, non mi sento in obbligo con Voi…. – bisbigliò Diane, alzando subito dopo la voce, quasi a voler racimolare tutto il suo coraggio – Io sono innamorata di Voi….
– Mademoiselle, il mio cuore appartiene a un’altra…. – fece eco André, in pena per l’interlocutrice e al culmine del disagio.
– Io Vi amerò per entrambi! – esclamò lei, serrando i pugni.
André riconobbe, nelle parole accorate di Diane, le stesse da lui rivolte a Oscar, qualche giorno prima, al tramonto, sotto la cupola del belvedere di Palazzo Jarjayes e ne rimase sconvolto.
Entrambi avevano commesso delle grandi sciocchezze per amore e, ora, se ne stavano lì, l’uno di fronte all’altra, contusi e rappezzati.
– Mademoiselle, non lasciate che l’amore non corrisposto diventi il Vostro padrone altrimenti si impossesserà di ogni Vostra fibra e di ogni Vostro respiro e per Voi non ci sarà più vita.
Lei lo guardava con occhi supplici e carichi di pianto e lui ebbe un sussulto: che razza di ipocrita era?! Stava lì a mettere in guardia quella povera ragazza dalle conseguenze deviate e nefaste dell’amore non ricambiato quando era stato lui il primo a subirne il potere soggiogante e ad annullarsi per tutta la vita in nome di esso!
Sentì il respiro divenirgli corto e il sudore imperlargli la fronte.
Voltatosi leggermente sulla destra, scorse la berlina della famiglia de Jarjayes e sua nonna, affacciata al finestrino, che lo cercava.
– Mademoiselle, è arrivata mia nonna con la carrozza e, purtroppo, Vi devo lasciare. Vi prego, dimenticateVi di me. Non posso darVi la felicità che meritate. CercateVi un brav’uomo che Vi ami e Vi rispetti e che si prenda cura di Voi. Vi auguro ogni bene.
Pronunciate queste parole, si accomiatò da lei con un rispettoso inchino e, subito dopo, raggiunse la nonna che, appena lo vide, lo investì con mille proteste per averla fatta attendere così a lungo.
Dopo che ebbero recuperato la collana della Contessa dal gioielliere e che il cocchiere ebbe spronato i due cavalli in direzione di Versailles e di Palazzo Jarjayes, André ruppe il silenzio nel quale era immersa la carrozza:
– Nonna, ho deciso. Questo mese stesso, prenderò possesso delle mie terre a Lille.







In questo ventesimo capitolo, sono entrati in scena due nuovi personaggi.
Il Conte di Canterbury è di mia invenzione mentre Sir Percy Blakeney proviene da una serie di romanzi e di film che svelerò nelle note del ventottesimo capitolo.
La frase con cui quest’ultimo si rivolge al sicario: “Non ho nome da dire a individui di scarso rango e moralità!” fu pronunciata da Tebaldo nel cartone animato “Romeo x Juliet”.
La frase di Lady Imogen: “Legami sentimentali sconvenienti e debiti incalzanti. L’alternativa farebbe troppo ceto medio” e ispirata alla frase: “Non essere disfattista, cara. Fa molto ceto medio”, pronunciata da Lady Violet in “Downton Abbey”.
   
 
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