Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    11/10/2018    4 recensioni
Questa storiella racconta di come un evento, naturale e normalissimo nella storia del mondo e dell'umanità, possa sconvolgere la vita di una coppia. Una qualsiasi.
Avrei potuto usare chiunque, di qualunque anime, di qualunque libro o film famosi... ma ho deciso di far vivere questa esperienza a qualcuno a cui sono affezionata, ripescando dai miei ricordi, (e non solo) di questo evento, avvenuto ormai parecchi anni fa...
Potremmo dire che è uno spin-off della mia long, "Il Drago e il Leone", alla quale contiene riferimenti.
Idealmente, va a posizionarsi tra l'ultimo capitolo e l'epilogo di quest'ultima. Ma penso che non sia strettamente necessario averla letta, per seguire questa trama. Va beh, fate voi... ;)
E i protagonisti sono Sakon Gen e Jamilah Nyong'o, l'altra OC che ho creato per la long.
Strano, eh? (Praticamente l'ho scritta solo per te, Morghana! Bacioni!!!! :******)
[Storia in fase di revisione]
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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*1*
 DOVE SENTI MALE?

 
 
L’elicottero del Pronto Soccorso era decollato da pochi minuti e la paziente, caricata a bordo dai paramedici insieme al marito, aveva cominciato a delirare; e lui non sapeva se fosse un bene o un male.
− Morirò, vero? Sì, lo so che morirò, non c’è scampo... Lo sento! Sakon, Sakon, tienimi stretta! 
− Sono qui, Jami, sono qui. Tranquilla, non morirai, te lo prometto!
− Ma cosa prometti! Sto sanguinando! – la sua voce si era fatta più alta e stridula − E anche se hai due o tre lauree... e non so quanti dottorati e master... non sei un medico! Dio, Dio, Dio... Aiutami, lo so che morirò...
Sakon osservò la medicazione alla fronte della moglie, sulla quale stava, effettivamente, già affiorando una macchia scarlatta; agitarsi in quel modo, di sicuro non le avrebbe fatto bene.
− Jami, amore, stai andando in crisi isterica, calmati! Sei caduta dalle scale e hai una ferita alla fronte, è vero, ma andrà tutto bene!
− Ho male dappertutto, Sakon. Ho paura, non voglio... Troppe cose da fare, ancora... Troppe cose... a metà...
La voce della ragazza si era di nuovo affievolita.
− Shhh. Respira… e calmati...
Sakon non riuscì a dire altro: si strinse il capo riccioluto di Jamilah al petto e pregò che l’elicottero atterrasse presto all’ospedale più vicino.
Jamilah stava sempre peggio: aveva smesso di lamentarsi, ma in volto era livida e aveva il respiro affannato, gli occhi azzurri spalancati e fissi, che sembravano non vedere nulla. Dire che era in stato confusionale, sarebbe stato un eufemismo.
Quella maledetta scala... gli ultimi tre gradini, proprio ora!
Avevano combattuto l’Orrore Nero e i suoi mostri, vinto la guerra distruggendo il loro Imperatore Darius e i suoi orrendi sottoposti... E ora, non sarebbero stati tre stupidi, insignificanti scalini, a rovinare la loro vita!
− Resisti, piccola... Non morirai, te lo prometto − ripeté, forse per rassicurare più se stesso che lei, mentre gli sembrava che l’elicottero, invece di accelerare, andasse sempre più lento.
 
 
Il dolore era sempre più forte, sempre più insopportabile… Capiva poco e niente di ciò che stava accadendo, sentiva solo quei dolori lancinanti alla schiena e alla testa; forse per questo Jami era davvero convinta che sarebbe morta, se non si fossero almeno attenuati; o se non fosse intervenuto al più presto qualcuno, o qualcosa, che le avesse pietosamente fatto perdere i sensi.
Arrivare all’ospedale ed essere affidata al personale medico − tra il quale era apparso, fortunatamente, anche il volto amichevole e comprensivo della dottoressa Yumiko Mori − non l’aveva sollevata di molto, soprattutto nel cogliere, sempre nebulosamente, alcune frasi smozzicate di un altro dottore, che rendeva la collega edotta sulla situazione.
− Dottoressa Mori, la situazione sembra un po’ più grave di quanto pensassimo, purtroppo... Probabilmente dovremo... uhm, operarla, sì... Effettivamente non mi aspettavo... Sanguina molto...
Le voci si erano affievolite, mentre i due medici si allontanavano, e il dolore, che ormai non le dava tregua, fece girare la testa a Jamilah, che si sentì assalita da un’ondata di nausea...
Mentre la portavano in una saletta attrezzata per le emergenze, non aveva smesso un attimo di invocare il nome di Sakon: era suo marito, maledizione, e se fosse finita davvero male e ci avesse sul serio lasciato le penne, voleva che fosse il suo volto, l’ultima cosa che avrebbe visto. 
Ma per il momento, mentre veniva adagiata su un lettino preventivamente predisposto nella sala piena di apparecchiature tecniche e chirurgiche, ad avvolgerla fu soltanto il buio.
Fu questione solo di vista offuscata e sensi vagamente ottenebrati per alcuni lunghi momenti, ma poi avvertì, rassicurante, la presenza di Sakon accanto a lei.
Un’altra fitta dolorosissima la colse, facendola inarcare e strappandole un grido soffocato, mentre cercava la mano del marito e la stringeva spasmodicamente.
− Ahhhhh... Oddio, muoio, muoio... − ansimò.
La voce della dottoressa Mori, che la assisteva al lato opposto di quello di Sakon, la rassicurò:
− Tranquillizzati, Jamilah, non si muore di cose come questa. Non in questa epoca; non qui!
Jami si sforzò di metabolizzare le parole della dottoressa Mori: non sarebbe morta? Davvero?
− E allora perché sto così male, porca puttana! − urlò mentre un’altra fitta le squassava il basso ventre.
− Jami, guardami e concentrati! – le ordinò Yumiko, il tono a metà tra il perentorio e il dolcissimo.
La ragazza prese qualche respiro, stringendo la mano di Sakon che ricambiò per tranquillizzarla, e guardò la dottoressa e amica che l’aveva in cura già da alcuni anni, da quando era arrivata al Faro di Omaezaki insieme a Sakon, come sua assistente, prima dell’inizio della guerra contro Black Darius. La sua mente cominciò finalmente a schiarirsi, recuperando tutto nel giro di pochi minuti.
− Jami, non hai niente di rotto... − le disse intanto la dottoressa Mori − Né emorragie interne, né nient’altro di grave. Solo... la brutta botta che hai preso con quella caduta... ha innescato il travaglio.
− Il… travaglio...? − mormorò Jamilah, quasi a sé stessa, come cercando di capire di cosa stesse parlando la dottoressa.
Poi un lampo di comprensione le illuminò il cervello, ridandole coscienza della sua condizione; condizione che il trauma per la caduta le aveva fatto dimenticare completamente.
Si guardò l’enorme pancia come se la vedesse per la prima volta. 
− Il bimbo sta bene − disse Yumiko, cercando conferma negli occhi di Azumi, l’ostetrica pacioccona dal volto simpatico, la quale aveva appena finito di fissare intorno al pancione di Jami la cintura che avrebbe permesso di monitorare le contrazioni uterine e i battiti cardiaci del nascituro.
− Sta bene? Sicuro? E allora perché sanguino? Perché... Ho così tanto male? Ahhiaaa! – urlò Jami, all’ennesima staffilata di dolore, ormai assolutamente rientrata, a livello psicologico, nella situazione che stava affrontando.
− Sanguinare un po’ è normale, tu hai un’emorragia più copiosa per via del trauma che hai appena subito. Ci eravamo preoccupati un po’, lo ammetto, il dottor Ikeda era già pronto per un cesareo di urgenza. Ma abbiamo appurato che la ferita alla fronte è solo una sciocchezza, e che il travaglio è perfettamente nella norma: Ikeda ha deciso che un parto naturale sarà molto meglio e tu sei assolutamente in grado di affrontarlo. Ti trasferiamo nel reparto di ostetricia, in una saletta travaglio comoda e accogliente... Tra qualche ora avrai il tuo bambino, Jami...
La paura lasciò il posto al sollievo, mentre la dolorosa contrazione si placava.
− Ma non è prematuro? − si preoccupò la prossima mamma − Non ci sono precauzioni da prendere per... il dopo?
− Il problema è inesistente, tranquilla: non è prematuro, solo un po’ pretermine... Il bimbo, o bimba che sia, è perfettamente in salute. Dall’ultima ecografia di un mese fa è cresciuto parecchio, è un vero torello! Mi sa che sfiora già i quattro chili...
Gli occhi di Jami si spalancarono.
− Quattro chi... Ahhiaaaa... Sakon! Quanto cacchio pesavi, tu, alla nascita? − gridò Jami, decisamente alterata da quella notizia.
− Ahem... − titubò lui − ...attrochilietrecento − sparò tutto in una volta, sperando che lei non capisse; speranza del tutto vana, ovviamente.
− Ahhhh! Disgraziato, e adesso, me lo dici! Era il tuo supercervello, che pesava così tanto? Ma porcaput...
Jamilah si interruppe, per cercare di controllare il dolore respirando profondamente, mentre Sakon la guardava vagamente contrito.
In pochi minuti furono trasferiti in un’intima e accogliente stanza, nella quale avrebbero avuto la giusta privacy, mentre Azumi sarebbe andata con regolarità a controllare l’andamento del travaglio.
Jami si ritrovò adagiata su un bel lettone.
Si rilassò, appoggiandosi contro il marito che, presa posizione dietro di lei, la sosteneva tenendole una mano e passandole ripetutamente l’altra sulla parte bassa della schiena, massaggiandola lentamente.
Sakon si lasciò a sua volta avvolgere dal sollievo nel sentire che, sebbene un pochino in anticipo − i nove mesi sarebbero scaduti di lì a circa quindici giorni − il travaglio si stesse svolgendo nel modo giusto.
Nonostante fossero mesi che si allenava, all’idea di diventare padre, si vide costretto ad ammettere una grande verità: non si era mai pronti e diventarlo in anticipo, anche se di poco, non facilitava la cosa.
Era vero, nonostante la sua intelligenza prodigiosa e la sua più che notevole cultura, non era un medico, men che meno un ostetrico. Dovette confessare che di travagli e parti sapeva ben poco, giusto le classiche nozioni puramente teoriche...
Ma l’importante era che fosse tutto a posto, nonostante quella caduta all’uscita del ristorante − dove, una volta tanto, si erano concessi una cenetta loro due da soli − e che, per qualche orribile minuto, aveva fatto temere il peggio anche a lui; soprattutto quando si era reso conto che Jami, all’inizio, aveva quasi perso conoscenza e pareva essersi persino dimenticata di essere incinta. Era comprensibilissimo che avesse avuto paura di morire lei, ma non che non si fosse preoccupata nemmeno per un attimo del loro bambino.
Invece a lui si era gelato il sangue, prima al pensiero di perdere entrambi; poi a quello di perdere Jami; e alla fine lo aveva terrorizzato anche l’eventualità di perdere solo il piccolo… o piccola. Non avevano voluto saperne il sesso, nonostante il ginecologo avesse detto che nell’ecografia si vedeva bene...
Aveva pensato per un attimo di avvertire sua madre, ad Auckland, e il dottor Daimonji e i loro amici. Ma poi aveva cambiato idea: in primis, perché non voleva farli preoccupare e, in secundis, perché, onestamente, non aveva proprio voglia di avere lì, fuori dalla porta della sala parto, la truppa del Drago ad aspettare e a rompere le scatole a chiunque, del personale medico che si fosse presentato da quelle parti, per chiedere se il bambino fosse nato o come andassero le cose.
Per quanto bene volesse ad ogni amico-fratello-sorella facente parte dell’equipaggio del Drago Spaziale, aveva promesso a sé stesso che quel momento sarebbe stato soltanto suo e di Jamilah. 
Aveva anche chiesto a Jami se desiderasse avvertire i suoi genitori, che vivevano anche loro ad Auckland, ma la risposta gli diede la conferma di aver fatto la scelta giusta anche per quel che riguardava la propria madre: avrebbero avvertito ogni amico e parente a tempo debito, solo quando questo bimbo avesse finalmente visto la luce.
Infatti, ciò che realmente lo preoccupava, adesso, era quello che aveva detto la dottoressa Mori: “Tra qualche ora avrai il tuo bambino”.
In tutta onestà, a Sakon, l’idea di vedere Jami soffrire in quel modo per un tempo indefinito − qualche ora gli pareva molto vago, poteva avere molteplici significati − non lo allettava per niente.
L’ennesimo urlo; l’ennesima stretta alla sua mano... Ecco: come volevasi dimostrare.
Tentando di non pensare alle ossa delle sue dita, che avevano emesso un poco rassicurante scricchiolio, Sakon riprese a massaggiare, con l’altra mano, la schiena della moglie, non prima di averle chiesto, amorevolmente:
− Dove senti male, Jami?
 
 
Qualche ora più tardi − e Sakon dovette tristemente prendere atto che come definizione era davvero molto vaga, perché quelle dannate ore erano state sicuramente più di qualche − l’ingegner Gen si trovava a dover gestire la stanchezza fisica e psicologica di Jamilah, oltre che la propria...
Guardò l’orologio: le quattro e mezzo… erano passate quasi sette ore, nel giro di poco la notte avrebbe lasciato spazio al mattino. La frequenza delle doglie, però, si era intensificata, ormai erano circa una al minuto, e Sakon aveva scoperto che le contrazioni uterine non si limitavano solo, appunto, all’utero.
Jamilah gli aveva spiegato che i dolori si estendevano fino alle terga e che le sembrava di essere presa a sprangate nella parte bassa della schiena; e lui, dopo averle chiesto infinite volte di indicargli i punti precisi, le dedicava teneri ed efficacissimi massaggi.
In quell’ultima ora, Jami aveva addirittura finito per appisolarsi, tra una contrazione e l’altra, a volte tanto profondamente da sognare, persino; per poi svegliarsi di botto al sopravvenire di una nuova ondata di dolore, e mugolando, tra il sorpreso e il disperato: − Merda... Ancora qui, sono...?
Poi, poco prima, mentre Azumi la visitava per l’ennesima volta, confermando che la dilatazione del collo dell’utero era a buon punto, si erano rotte le acque.
Nel giro di alcuni minuti, Jami avvertì l’impellente bisogno di spingere, ma l’ostetrica, promettendole che ora sarebbe rimasta lì con loro, le disse di resistere ancora un po’: la dilatazione non era ancora completa.
Sakon ringraziò mentalmente Dio − o chiunque ci fosse al Piano di Sopra − per la quattrocentosettantaseiesima volta, di non essere nato femmina: Jami era allo stremo, e lui si chiese come diavolo facessero quelle donne i cui travagli duravano quindici, venti ore, se non di più!
Finalmente l’ostetrica decretò che fosse giunta l’ora di passare nella sala parto vera e propria, dove Jami fu fatta accomodare nel lettino predisposto.
A dire il vero, il termine accomodare non convinceva molto Sakon: a lui sembrava più una sedia delle torture. Come poteva essere comoda, sua moglie, con le gambe sollevate e divaricate in quel modo? Mah... Misteri della natura femminile...
Si riposizionò comunque alle spalle di lei, abbracciandola dolcemente e lasciandole un lieve bacio sulla parte di fronte lasciata libera dalla medicazione. 
Lei gli sorrise e lui si sentì rinfrancato; che cosa assurda, non avrebbe dovuto essere il contrario? Non poteva fare a meno di sentirsi responsabile di quella situazione.
Si diede dello stupido, cosa che, per uno che aveva realmente due signore lauree e un numero imprecisato di dottorati e specializzazioni − oltretutto ottenuti, quasi tutti, prima dei ventitré anni − era tutto dire.
Se non che, realizzò improvvisamente, questa nuova e sconvolgente esperienza stava mettendo in moto una forza fisica, in sua moglie − e soprattutto un lato caratteriale − di cui lui non era mai stato a conoscenza.
A conferma di quelle ultime considerazioni, Jamilah gridò, all’arrivo di una nuova contrazione, sollevandosi col busto e agitandosi nel suo abbraccio:
− Ahhh, maledizione! Ahhhiiiaaa! Cazzo...
− Jami, lo so che hai male, e tanto... Dove? 
− In basso... Sulla destra... 
La milionesima pressione delle mani del marito sul punto dolorante della schiena, le diedero un po’ di sollievo, anche se non più come all’inizio del travaglio.
Erano quasi alla resa dei conti...
− Accidenti, − ansimò, sfinita − quanto ci vuole ancora per guadagnare quel fottutissimo ultimo centimetro di dilatazione?
− Ci siamo quasi, tesoro − disse la voce flautata di Azumi.
− Solo un paio di contrazioni, ancora, e vedrai che ci siamo − la incoraggiò Yumiko.
− Ahhh... Dio! Due contrazioni? Ho un bisogno disperato di spingerlo fuori! Stradannazione, Sakon! È tutta colpa tua! 
− M... mia? − fece lui, esterrefatto.
Fantastico, già si sentiva vagamente rimordere la coscienza, ci mancava proprio che lei glielo rimarcasse lì, davanti a fin troppi estranei.
Infatti, una volta passati in sala parto, all’ostetrica Azumi e alla dottoressa Mori si erano aggiunti il dottor Ikeda e una giovane puericultrice pronta a prendersi cura del neonato in arrivo.
− Sì, tua, miseriaccia! Me l’hai messo dentro tu! − urlò Jamilah.
− I... io... mett... Jami! Ma ti sembra il caso, santo cielo? − replicò Sakon, letteralmente color alba dei tropici e decisamente scandalizzato.
Nel vedere l’espressione imbarazzata, gli occhi sgranati e il colorito paonazzo del marito, Jamilah si rese conto di come potessero essere suonate le sue parole.
− Il... b-bambino − si affrettò a precisare − Intendevo... A mett… il bambino... dent...
− Shhh! − la interruppe dolcemente Sakon, stringendola appena a sé, in un momento di tregua − Non peggiorare le cose! − aggiunse senza sapere se ridere nonostante tutto, o vergognarsi come un coscritto.
Da lì in poi, la situazione prese una piega decisamente concitata: Azumi diede il benestare allo spingere, ma all’inizio Jami era talmente stanca e debole che sbagliava a sincronizzare spinte e respirazione...
Poi, finalmente, capì che non doveva emettere il fiato, come aveva fatto fino a quel momento, ma trattenerlo e mettere tutta la forza nell’azione. E, all’ennesima contrazione, spinse talmente forte da sentire più che distintamente la testa del nascituro incanalarsi nel passaggio che lo avrebbe portato nel mondo.
− Bravissima, Jami! Se fai così basteranno un paio di spinte, e vedremo in faccia questo angioletto! − la incoraggiò Yumiko.
− Sehhh... Angioletto, proprio... Ahhhaiaa!
Fu a quel punto che la contrazione si fermò.
− Ferma! Non spingere ora, aspetta la prossima contrazione! − ordinò Azumi.
Jamilah si sarebbe messa a piangere: aspettare? Ancora? Con quel bruciore lancinante ai tessuti là dentrolà sotto, che sembrava dovesse spaccarsi tutto? Le sfuggì un lamento che avrebbe mosso a pietà un sasso.
La voce di Sakon ruppe il silenzio:
− Dove senti male, Jami? 
Lei sembrò rianimarsi tutto ad un tratto.
− Cosa? Dove ho male? In un dito! Ma secondo te!? Che domande idiote mi... ufff... fai? 
− Scusa tesoro, dopo aver passato ore a chiedertelo, per sapere dove massaggiarti la schiena...
− Beh, adesso non è più la schiena che mi fa maleeehhh!
Un altro doloroso premito contrasse le pareti dell’utero, e Jami si stupì della forza con cui riuscì a spingere un altro po’ in avanti l’angioletto... Stavolta sentì chiaramente il cranio del piccolo farsi strada, dilatando il canale del parto.
− Cazzo, si romperà tutto, così! – le sfuggì, senza pudore. 
− Non si romperà niente, vedrai − disse la dottoressa Mori − E, nel caso, basteranno pochi punti e... tornerai come nuova!
− Crede di farmi coraggio, così? Hanf, hanf... Una cosa è certa: il mio maritino non si avvicinerà mai più a me, se prima non si sarà premunito! Anzi, la sola idea che mi si avvicini , e basta, mi fa venire voglia di scappare!
− Ah, davvero? Ti fa venire voglia di scappare? − esclamò Sakon, senza più riuscire a resistere − Perché non era questa l’impressione che avevo avuto, ogni volta che mi sono... avvicinato a te! A parte il fatto che le precauzioni le abbiamo sempre prese!
− Aaahhiiiaaa! Sì, dopo, maledizione a te! Tanto ormai il casino lo avevamo già combinato la prima volta!
Sakon la abbracciò, parlandole all’orecchio nel modo più pacato che riuscì a mettere insieme. 
− Tesoro, dai, eravamo su Marte, lo sai! Ci hai persino scherzato sopra, il giorno dopo, quando ne abbiamo parlato... La tua battutina sulle farmacie che su Marte, a quell’ora, erano chiuse, ricordi?− tentò di difendersi, con ben poca convinzione; talmente poca che, infatti, non servì a nulla.
− Tu… da oggi… hanf, hanf… mi starai… lontano. Non ti permetterò… hanf hanf… di avvicinarti a meno… di due metri!
Sakon cercò di non ascoltare, facendosi forte della convinzione che fossero la fatica e la sofferenza a farla sragionare.
Jami era sempre stata felice, durante la gravidanza, dell’avvento di quel bambino, e lo stesso era stato per lui: amava Jamilah più della sua stessa vita, e di baci, su quel pancione, ne aveva lasciati a bizzeffe, proprio per trasmetterle quanto amasse entrambi.


 
Sakon-con-Jami-incinta

Ma, effettivamente, cominciava a non sopportare più di vedere Jami stare tanto male, a parte il fatto che ad ogni contrazione gli stritolava letteralmente la mano: se questo bambino non fosse uscito in tempi brevi, più tardi avrebbe necessitato lui dei servizi ospedalieri, ma nel reparto di ortopedia!
Non avrebbe mai immaginato che Jami avesse tanta forza… o tanta voce.
Azumi la esortò nuovamente a spingere e Jami lo fece, nonostante il dolore: a quel punto era diventato quasi meccanico e Sakon si ritrovò a pensare di nuovo che i termini qualche, un paio, o giù di lì, stavolta riferiti al numero delle contrazioni rimanenti, fossero realmente parole prive di significato. 
− Aaahhhiiiaaa! 
− Jami... 
− Chiedimi di nuovo dove ho male e ti prendo a pugni, maledetto!
− No, ho capito dove hai male, ho capito! Solo non credevo che sarebbe stato così, accidenti!
− Non credevi, eh? Beh, prova tu a far passare un cocomero dove di solito passa una banana!!! ‘azz... Ahiaaa!
Sakon si passò una mano sul viso, imbarazzato a morte, ma non si pose nemmeno più il problema: lo sapeva di essere diventato di nuovo dello stesso colore di… un cocomero, appunto.
Di nuovo l’ondata di dolore si placò e Jamilah fu costretta ad interrompere le spinte. Stavolta la sensazione là sotto era del tutto nuova, anche se non meno bruciante e fastidiosa… Con somma sorpresa di entrambi, Azumi annunciò serafica, come se fosse una cosa normalissima:
− Ferma immobile, Jamilah: puliamo il nasino all’angioletto!
− C… cos’è che fa? – chiesero entrambi, allibiti.
− Il piccolo è affacciato, ha mezzo faccino e il nasino fuori.
Sakon, completamente basito, ebbe per un attimo la tentazione di passare davanti per vedere in faccia la propria prole, ma Jami intuì il suo pensiero e lo fermò con un’occhiataccia.
− Non ci provare: qualcosa mi dice… ahhh… che se lo farai finirai lungo disteso sul pavimentooohhh… oh, merda! − urlò, stanca ma allo stesso tempo sconcertata e affascinata dal pensiero che il suo bambino avesse già mezzo musetto sul mondo esterno. 
− Spingi, Jami! – ordinò Azumi. 
− Mi sembra di spingere da ore, non ce la faccio, porca…
− Jami, smetti di imprecare, ti prego! – intervenne Sakon − Nemmeno a Briz usciranno certe cose, se mai dovrà partorire!
− Se avrà un minimo di buon senso, non permetterà a Pete di metterla incinta! 
− Ma taci, che vuole dei figli da quando era una ragazzina!
− Ci penserò io a farle cambiare idea, appena avrò fiato per farlo... e anche a Pete! Perché diavolo non esce questo mostriciattolo? – gridò, allo stremo delle forze, dando un’ultima, potentissima spinta, la cui forza stupì persino lei.
Fu questione di pochi secondi, la sensazione stranissima di qualcosa di incredibilmente vivo e scivoloso che… correva fuori!
E il fantastico, meraviglioso sollievo, di rendersi conto che, nonostante i secondi passassero, le ondate di dolore non si ripetevano più.
Il tempo rimase sospeso, come il respiro di tutti i presenti…
Per diversi istanti ogni voce tacque… tranne una, che a un tratto si levò, alta e chiarissima, insieme all’alba che sorgeva, rossa e orgogliosa, insieme a quella nuova vita.
 − Aw… Aw… Waaaaah!
 
 > Continua…


 
Nota:
Le farmacie chiuse su Marte: cfr. “Il Drago e il Leone”, capitolo 46, “Non siamo eroi”
  
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