Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
Segui la storia  |       
Autore: sophie97    13/10/2018    2 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dal capitolo precedente:

"«È questo che voleva testare, Keller? Voleva vedere se sarebbe sopravvissuto?».
Friedrich sospirò, scuotendo leggermente il capo sul cuscino.
«Sono stanco, Jager, gradirei riposare.».
L’ispettore non se lo fece ripetere due volte e uscì dalla stanza, senza voltarsi indietro e senza degnarsi di salutarlo.
Noi sopravviviamo.
Quelle parole gli rimasero in testa per tutta la giornata."

Image and video hosting by TinyPic

 GIORNO 21.

Aida si avvicinò al letto con un misto di eccitazione e preoccupazione dipinto sul volto.
La sera prima Margaret aveva raccontato a Ben del desiderio della piccola di vedere la mamma e la mattina seguente il poliziotto aveva raggiunto in ospedale la madre di Andrea per metterla al corrente.
Helen si era mostrata molto preoccupata, aveva detto che avrebbe preferito che la bambina vedesse la mamma una volta sveglia. Non riusciva per nulla al mondo ad accettare che, probabilmente, quel momento non sarebbe mai più arrivato. Alla fine, però, aveva detto che andava bene, che avrebbe potuto vederla.
Helen si fidava di quel giovane poliziotto. Lo aveva visto in poche occasioni, ma sapeva quanto fosse legato a Semir e anche ad Aida. Andrea le raccontava spesso di lui, della sua chitarra e dei giochi che si inventava ogni volta per far divertire le bambine. Così, alla fine, aveva deciso di seguire il suo consiglio.
Ben era allora entrato nella stanza con Aida, che non appena aveva saputo di poter finalmente vedere la mamma, si era aperta in un grande sorriso.
Ora però, accanto a quel letto, vicino a quei macchinari ingombranti che non tacevano mai, aveva un po’ di timore.
Guardò la mamma distesa, immobile e pallida, poi volse lo sguardo sull’ispettore alle sue spalle.
«Zio Ben, ma le posso parlare?».
«Certo che puoi, principessa. Vuoi che esca?».
La bambina scosse il capo, poi tornò a guardare Andrea e le sfiorò una mano con la sua manina sottile.
«Ciao mamma, sono io. Secondo me mi puoi sentire, non è vero?».
Fece una pausa, avvicinandosi di più al viso della mamma e appoggiandosi sul letto con i gomiti.
«I medici mi hanno detto che tu dormi e che dorme anche papà. Poi Ben mi ha detto di Lily... ma non ti devi preoccupare, mamma, perché Ben mi ha detto anche che adesso lei sta bene.».
Ben, alle sue spalle, ebbe un sussulto. Sorrise, guardando con tenerezza la sua piccola principessa. Come poteva una bambina di appena nove anni farsi carico di una situazione del genere e provare anche a tranquillizzare sua madre, senza nemmeno perdere il sorriso?
Ancora una volta, l’immagine di Semir che si era preoccupato per lui fin dal primo giorno che lo aveva conosciuto gli attraversò la mente.
Più la guardava, più gli sembrava evidente che la bambina fosse in tutto e per tutto l’esatta copia del padre.
«Io non mi sono fatta nemmeno un graffio.» continuò Aida, come se davvero sua mamma potesse interagire con lei «Quell’uomo e quella donna sono stati cattivi con noi, però adesso è passato. Papà mi ha sempre detto che sono una bambina forte... però mamma, anche tu devi esserlo. Non puoi dormire così tanto... svegliati!».
La bambina si fermò, come aspettandosi una qualche reazione da parte di quel corpo disteso, che ovviamente, però, non arrivò.
«Dai, mamma... dovresti svegliarti. La nonna piange, ha paura che tu non ti svegli più. Io però non ho paura, perché secondo me tu ti sveglierai. Ti va bene se passo domani e ti parlo ancora un po’?».
Fece un’altra pausa prima di continuare.
«Va bene, allora ci vediamo domani.» concluse poi.
Si sporse per dare un bacio sulla guancia ad Andrea, poi si voltò verso Ben per dirigersi verso l’uscita.
«Zio Ben, ma che cosa fai? Piangi?».
L’ispettore le sorrise, passandosi fugacemente una mano sugli occhi.
«Io? Ma no principessa, è solo un po’ di polvere. Hai finito? Ti riporto dalla nonna?».
Aida annuì, soddisfatta.
Lo prese per mano e uscirono insieme dalla stanza.

Ben si diresse ancora una volta verso la stanza numero 201.
Aveva appena lasciato Aida con la mamma di Andrea, ma non aveva alcuna intenzione di lasciare l’ospedale. Sorrise amaramente, pensando a come ormai quel luogo per lui fosse diventato, da cinque giorni a quella parte, praticamente una seconda casa. I medici e le infermiere erano stati molto gentili sia con lui sia con Helen Schäfer e molto spesso avevano permesso loro di rimanere oltre gli orari di visita, viste le situazioni delicate in cui si trovavano i pazienti.
Camminando per i bianchi corridoi che ormai conosceva quasi a memoria, l’ispettore pensò che sarebbe passato da Semir più tardi.
Prima voleva parlare con Keller.
Abbassò la maniglia della porta cautamente, come aveva fatto il giorno prima, anche se questa volta sapeva chi lo avrebbe aspettato all’interno della stanza.
E Friedrich Keller era lì, perfettamente vigile, questa volta semi-seduto sul letto, con la schiena sorretta da due cuscini.
«Jager.» lo apostrofò, vedendolo «Mi mancheranno le sue visite quando sarò fuori di qui.».
Ben strinse involontariamente i pugni e serrò la mascella, mentre prendeva posto sulla sedia accanto al letto senza nemmeno capirne il motivo.
«Che cosa la porta da me oltre al suo odio nei miei confronti?».
Il silenzio che ne seguì parve già da solo una risposta eloquente.
«Perché?» domandò il poliziotto, semplicemente.
L’uomo alzò un sopracciglio «Credevo fosse chiaro.».
«Non lo è, invece. Che cosa volevate fare? Perché avete sparato ad Andrea?».
«Volevo togliergli tutto, Jager.» spiegò Keller, con un impercettibile sospiro «Volevo vederlo crollare pezzo per pezzo. Volevo che soffrisse tanto quanto avevo sofferto io.».
Ben continuò a tenere le unghie conficcate dentro ai palmi delle proprie mani.
Ma non disse niente, fu l’evaso a proseguire.
«Volevo che sua moglie morisse davanti ai suoi occhi e che davanti a lui morissero anche le sue figlie, una alla volta. E, prima, gli ho fatto anche credere di aver ammazzato lei, Jager.».
«Maledetto bastardo.» mormorò il ragazzo, sicuro che l’altro lo avesse sentito. Ora capiva perché la prima cosa che gli aveva detto Semir quando lo aveva trovato sotto le macerie era stata “credevo fossi morto”.
«Non dica così, Jager. L’ha voluto lui.».
«Semir non sapeva che ci fosse la sua famiglia dentro a quell’auto.» replicò Ben, ora rosso in volto.
«Non intendevo questo.» fece Keller, con voce melliflua «Intendo la sua “morte”. Ho fatto scegliere a Gerkhan chi sacrificare tra lei, Jager, e sua moglie. È stato il suo caro collega a scegliere che lei morisse. Così io ho finto di prenderlo in parola e poco dopo gli ho comunicato di averla uccisa.».
L’ispettore rimase in silenzio.
Immaginava quanto Semir avesse sofferto nel prendere una decisione del genere, immaginava che fosse stato costretto e che avesse opposto resistenza. Ma pensarci, nonostante tutto, gli tolse un po’ il respiro.
«Già, immagino sia difficile da digerire.» commentò l’uomo, con un certo compiacimento dipinto in viso.
Ben vinse ragionevolmente l’impulso di prenderlo a pugni.
«Immagino come lei gli abbia chiesto di scegliere.».
Keller sorrise, stringendosi appena nelle spalle.
«Ora come sta Gerkhan?» chiese poi. E lo chiese con una voce diversa, che poteva tradire, addirittura, una lieve nota di preoccupazione.
Ben rimase nuovamente in silenzio qualche secondo, prima di riuscire a rispondere: quell’uomo lo confondeva. Un attimo prima rideva beffardo parlando delle sofferenze che aveva provocato e un attimo dopo appariva quasi preoccupato per la sorte della sua vittima. Prima sembrava criminale, poi uomo. Prima carnefice, poi vittima.
«Le interessa davvero, Keller?».
L’uomo annuì, senza aggiungere altro.
«Dopo avergli fatto quello che ha fatto, davvero ha il coraggio di chiedere come sta?».
«Se non vuole dirmelo non posso certo obbligarla, ispettore.».
«Senta...» fece Ben, alzando suo malgrado il tono della voce «Non c’è un pezzo del suo corpo che sia tutto intero, sua moglie è in coma e molto probabilmente non si sveglierà, sua figlia... Semir non si è ancora svegliato, ma come pensa che si sentirà quando lo farà?».
«A pezzi.» rispose Friedrich, con fermezza «Totalmente a pezzi, distrutto, esattamente come mi sono sentito io. Ma concluda la frase. Sua figlia...?».
Il poliziotto scosse lievemente il capo.
Non ci riusciva, non lo aveva ancora mai detto ad alta voce, a parte quando aveva dovuto spiegarlo ad Aida.
Keller corrugò la fronte davanti al silenzio del suo interlocutore.
«Non abbiamo toccato le bambine.» disse, in un sussurro «Ho fermato Kate prima che lo facesse.».
Ben continuò a tacere, e negli occhi dell’uomo semi-seduto si dipinse qualcosa di molto simile alla paura. E al senso di colpa.
«Jager... mi risponda.».
«È morta.» sillabò il ragazzo, finalmente «Sua figlia, la più piccola, è morta.».
Rimase stranamente impassibile mentre pronunciava quelle parole, studiando la reazione di Keller. Una reazione che non si sarebbe mai aspettato.
L’uomo sbiancò, e parve cominciare a tremare all’istante.
«Io... io l’avevo risparmiata.» balbettò, in un filo di voce.
«È successo per il crollo dell’edificio.» continuò Ben, con voce piatta e ferma.
«Oddio... oddio...» cominciò a mormorare Friedrich «No... non l’avrei fatto... non sarei arrivato a uccidere due bambine a sangue freddo... non sarei arrivato a farlo... Kate sì, ma io... io no... io no...».
«Sta provando a scaricare su qualcun altro la colpa, Keller?» fece Ben, con stizza.
Ma l’uomo non lo stava ascoltando.
Keller continuava a farfugliare tra sé parole senza senso.
Fino a quando accadde l’imprevedibile: l’evaso roteò gli occhi all’indietro e reclinò la testa su un lato.
Ben rimase per un secondo interdetto, immobile e sorpreso, ma poi schiacciò con forza il pulsante per le emergenze, catapultandosi un attimo dopo fuori dalla porta.
Poi, mentre le infermiere entravano nella stanza per assistere Friedrich Keller, lui si sedette nel corridoio e scoppiò in lacrime.

Non seppe quanti minuti passarono.
Un’infermiera corpulenta gli disse che lo avevano ripreso, che il paziente si era sentito male ma che ora stava meglio e doveva riposare. Ma Ben non prestò alcuna attenzione alle sue parole.
Fece per alzarsi, asciugandosi gli occhi, quando una figura sottile in camice bianco gli si parò davanti.

Lisa Crawford aveva iniziato da soli due mesi la specialistica di medicina in anestesia e rianimazione.
Adorava l’ambiente ospedaliero e fin da bambina aveva sognato di poter diventare un medico, ma fin dal primo giorno si era trovata davanti a una realtà che era ben diversa rispetto a quella che si era limitata fino a quel momento a sognare o a vedere nei film. Adesso che aveva ventisei anni e una laurea in Medicina nel cassetto, era arrivato il momento di capire quanto la realtà fosse molto più complessa dei sogni, molto più dura.
Seguendo i medici da una parte all’altra dell’ospedale, aveva capito nel giro di pochi giorni quante responsabilità avessero i dottori che lavoravano in determinati reparti e quanto le situazioni dei pazienti fossero delicate e ciascuna diversa da tutte le altre.
Per le successive due settimane sarebbe stata assegnata al reparto di terapia intensiva. L’idea la eccitava e affascinava, ma al tempo stesso le incuteva un po’ di paura.
I pazienti in quel reparto spesso non erano in buone condizioni, i familiari erano disperati e facevano migliaia di domande ed era necessaria un’attenzione enorme a qualsiasi particolare.
Il primo caso che le era capitato tra le mani appena entrata in quel reparto, riguardava un ispettore della polizia autostradale di Colonia.
Lisa aveva seguito tramite i notiziari alla televisione il caso di quell’evaso che aveva rapito un’intera famiglia e il fatto che in quel momento vittime e carnefice si trovassero tutti in quell’ospedale, insieme a lei, l’aveva in qualche modo colpita.
Quando il dottor Schneider le aveva consegnato la cartella clinica di Semir Gerkhan e le aveva detto di eseguire controlli ogni due ore e di avvisarlo in caso ci fosse stato anche solo un minimo cambiamento nelle sue condizioni, lei ne era stata felice, ma anche intimorita.
Sentiva che una parte di responsabilità su quel paziente adesso sarebbe stata anche sua e, dal momento che aveva saputo che cosa fosse successo alla sua famiglia, aveva il terrore di poter in qualche modo creare altri danni anche solo con il proprio respiro.
Ora si trovava lì, davanti a quell’ispettore che avrà avuto una decina d’anni in più di lei e che sembrava completamente disperato, e non aveva idea di come approcciare un discorso.
Controllare i parametri di un uomo addormentato era relativamente semplice, ma parlare con i parenti dei malati o con i conoscenti stretti degli stessi non lo era affatto. E nessuno glielo aveva mai insegnato, avrebbe dovuto cavarsela da sola.

«Lei è l’ispettore Jager?» esordì la ragazza, attorcigliandosi timidamente una ciocca di capelli biondi attorno all’indice della mano destra.
Ben annuì, corrugando la fronte.
Quella ragazza avrà avuto più o meno venticinque anni, il poliziotto immaginò che si trattasse di una specializzanda. Era carina, esile, il viso allungato e coperto di lentiggini, ornato dai folti capelli biondi raccolti disordinatamente con una pinza.
«Sì... sono io.».
«Io sono Lisa, Lisa Crawford. Il dottor Schneider mi ha detto di venirla a chiamare... si tratta dell’ispettore Gerkhan. Si è svegliato.».

Ben seguì la ragazza a passi svelti, percorrendo quel corridoio di cui ormai conosceva a memoria ogni piastrella senza riuscire a togliersi dalla mente l’immagine di Keller che roteava gli occhi e perdeva conoscenza.
Quando raggiunse la porta della stanza di Semir, la giovane specializzanda si fermò e lui fece altrettanto, notando Chris Schneider che usciva dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
«Allora?» domandò Ben, agitato, accostandosi al medico «Davvero si è svegliato? Come sta? Posso vederlo?».
«Ben, eccoti.» lo accolse il medico, con un mezzo sorriso «Dunque... si è svegliato, ma...».
«Ma? Chris, ti prego, dimmi che sta bene...».
«Non puoi entrare ora, Ben.».
All’ispettore gelò il sangue nelle vene. Immaginò volesse dire che qualcosa non andava e sentì il cuore cominciare a battergli nel petto all’impazzata «Cosa... che cosa...?».
«L’ho dovuto sedare.» spiegò il dottor Schneider, sedendosi su un sedile di plastica nel corridoio antistante la porta chiusa della stanza e invitando con lo sguardo Ben a fare altrettanto.
La ragazza, intanto, stava in disparte ad ascoltare.
«Si è appena svegliato e tu lo hai sedato? Perché?».
«Era molto agitato, Ben, davvero troppo agitato.» spiegò il medico, con calma «Ha cominciato a chiedere di sua moglie, delle bambine, di te, ma era davvero troppo agitato e avrebbe rischiato di farsi del male, ho dovuto sedarlo. Dovrebbe dormire fino a domani mattina e spero che il risveglio a quel punto sia un po’ più tranquillo.».
«Okay...» mormorò il poliziotto, valutando la gravità di ogni singola parola pronunciata dal dottore «Ma come sta? Sta bene?».
«Farò dei controlli più accurati domani mattina. Per ora posso dirti che il fatto che finalmente abbia aperto gli occhi e abbia parlato è sicuramente un buon segno.».
«Okay...».
«Ora però devi ascoltarmi, Ben.» cominciò il medico, guardandolo fisso negli occhi e parlando sempre con estrema calma «Vai a casa. Con la dose di sedativo che gli ho somministrato, è escluso che si svegli prima di domani mattina. Vai a casa e riposati, dormi. Domani il tuo amico avrà bisogno di te. Quindi dammi retta, Ben...».
Contro ogni aspettativa, il giovane poliziotto si limitò ad annuire.
Era così stanco...
«Se ci sono novità, però, mi chiami?».
«Certo, abbiamo fatto un patto.» rispose Schneider, con un sorriso.
Ben annuì, ricambiando il sorriso.
«Grazie, Chris... grazie davvero.».

 

N.d.A.
E forse, dico forse, finalmente accade qualcosa di positivo. Intanto conosciamo un altro personaggio...
Grazie Mary, grazie Reb e grazie a tutti voi che state leggendo, a presto!
Sophie

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11 / Vai alla pagina dell'autore: sophie97