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Autore: Old Fashioned    13/10/2018    16 recensioni
Dewrich e Herich sono i due figli di re Evertas. Il primo è un guerriero forte e deciso, abituato a farsi obbedire e ad aprirsi la strada combattendo, il secondo è invece timido e intorverso, ed è certamente più a suo agio in una biblioteca che con una spada in mano.
La successione sembrerebbe scontata, ma ecco che inaspettatamente le cose non vanno secondo le previsioni e come erede al trono viene designato il topo di biblioteca. Il primo decide allora di risolvere la questione con mezzi drastici, accordandosi con una banda di pericolosi predoni, ma non ha fatto i conti con un soldato dal passato oscuro...
Prima classificata al contest "In viaggio" indetto da Emanuela.Emy79, a pari merito con "Dies Irae" di Yonoi
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Resen-Lhaw 5 Ciao a tutti/e!
Grazie per essere sempre con me in questa avventura. Ringrazio chi mi ha letto, chi mi ha messo in qualche lista, ma soprattutto chi mi ha lasciato il suo parere.





Capitolo 5

Acute strida di gabbiani lacerarono il silenzio della steppa. Herich alzò gli occhi e vide gli uccelli marini solcare il cielo rapidi come candide frecce.
Si voltò verso Jeisym con espressione interrogativa.
Siamo vicino a Perechyra,” spiegò il predone.
Il ragazzo fece scorrere lo sguardo sull’orizzonte, quasi aspettandosi di veder spuntare le guglie della città dalla pianura ondulata. Quelle parole ferali significavano una cosa sola: che presto l’avrebbero venduto come schiavo.
Fino a quel momento, era stato in viaggio, e il viaggio era una specie di tempo sospeso, in cui le cose essenzialmente non accadevano, o in cui si poteva fare finta che non sarebbero accadute.
Ma il viaggio stava per finire, e con esso l’illusione di essere uno stimato amico di Jeisym Khan che lo accompagnava per diletto a Perechyra.
Spronò la puledra e le fece fare qualche passo avanti, in modo da lasciarsi alle spalle la carovana, poi per un po’ rimase a contemplare la steppa immerso nei suoi pensieri. Probabilmente aveva ragione Jeisym, non sarebbe sopravvissuto un giorno, da solo in quell’ostile immensità, eppure si chiedeva se non fosse meglio morire nel tentativo di riconquistare la libertà, piuttosto che salvarsi la vita con la sola prospettiva di finire schiavo da qualche parte.
Il buon senso gli diceva che sarebbe stato meglio vivere, che non poteva sapere cosa gli avrebbe riservato il futuro, ma l’orgoglio era di altro parere.
Udì un rumore di zoccoli avvicinarsi e subito dopo Jeisym lo affiancò e gli chiese: “Che c’è?”
Herich si limitò a fissarlo torvo.
L’altro si strinse nelle spalle. “Lo sai che presso il mio popolo il secondogenito del re viene sempre ucciso dal primogenito? Il terzogenito, poi, posto che esista, deve guardarsi anche dai cugini.”
E con questo cosa vorresti dire, che sono fortunato?”
Se tu fossi stato mio fratello, non avrei di certo aspettato sedici anni per farti la pelle.”
Herich si morse il labbro inferiore, poi disse: “Ma Dras ha designato me come erede al trono.”
Il Khan fece una breve risata e replicò: “Non mi sembra che Dras si sia dato molto da fare per proteggerti, dopo averti designato.” Poi, dopo una pausa soggiunse: “E comunque, ricordati di una cosa: i diritti non valgono niente, senza i mezzi per farli valere.”
Herich non rispose. Di nuovo guardò l’orizzonte, cercando di scorgervi le guglie dalla città. Lasciò che il vento gli scompigliasse i capelli e si passò una mano sugli occhi. Si chiese cosa stessero facendo i suoi, se Dewrich fosse già arrivato da loro. Sospirò. Ancora non riusciva a credere che suo fratello avesse davvero fatto quello che gli aveva raccontato Jeisym.
Gli sarebbe sembrato più plausibile che il predone l’avesse ucciso e avesse tenuto lui per venderlo come schiavo.
Quanto manca?” chiese a bassa voce, come parlando a se stesso.
A Perechyra?”
Herich annuì.
Questa sera ci accamperemo in vista della città.”
Il ragazzo si morse il labbro inferiore. Un conto era immaginare, per quanto fosche potessero essere le sue congetture, un conto era sapere con certezza. “Jeisym?” mormorò.
Il Khan si voltò verso di lui: “Dimmi.”
Jeisym, perché non posso restare con te?”
L’As’vaan aggrottò le sopracciglia. “Perché questo non è posto per te. Conosci la poesia e la musica, sai parlare in modo forbito, ma non sai né cavalcare né combattere. Saresti solo un peso per il mio clan.”
Ma potrei imparare.”
Il Khan scosse la testa. “Certe cose le devi imparare da piccolo. Ora sei un ospite, non ti è richiesto altro che di intrattenermi e fare qualche piccola passeggiata a cavallo. Come pensi che te la caveresti, invece, se dovessi procurarti il cibo ogni giorno, combattere e razziare?”
Herich abbassò la testa e rispose: “Non voglio essere schiavo. Potrei fare qualcosa qui, magari le cose più semplici.”
Ah, no. No.” Jeisym scosse la testa con decisione. “Da noi, o sei guerriero o sei schiavo. Tu guerriero non puoi essere e ti garantisco che è meglio essere schiavo di un ricco patrizio con una bella villa, che di un guerriero As’vaan che vive nelle steppe.”
Di nuovo, il ragazzo si morse un labbro mentre una lacrima gli scendeva lentamente lungo la guancia. Contemplò ancora una volta la pianura, che a quell’ora del giorno era una distesa argentea i cui confini si perdevano nella foschia.
Passarono alcuni gabbiani, gridando nell’aria immobile, e scomparvero a oriente.
Vanno alle foci del Porochta,” disse Jeisym.
Vanno dove vogliono,” replicò Herich fissandolo torvo, “cosa che invece io non posso fare.” Spronò la puledra e si allontanò al galoppo.

Come aveva detto Jeisym, la sera le luci della città erano in vista come un palpitare lontano, che ricordava il brillio della luna sull’acqua.
Herich sedeva in silenzio sul pianale di un carro, lasciando che l’aria fredda della notte lo accarezzasse. Ci aveva provato, ad allontanarsi. Aveva galoppato per un tempo che gli era parso infinito, salvo poi trovarsi da solo nel nulla, senza acqua né provviste, né abiti pesanti per la notte. E nemmeno armi, ovviamente. La consapevolezza era giunta quando gli era parso di vedere una figura all’orizzonte, che si ergeva nella bruma. Un uomo, un solitario viaggiatore, forse, o altro.
Era tornato indietro, perché tra una situazione ignota e un male conosciuto, l’uomo preferisce sempre il secondo.
O forse quel discorso si attagliava solo ai vili come lui. Una persona più coraggiosa o più determinata probabilmente sarebbe andata avanti a dispetto di qualsiasi cosa.
Per l’ennesima volta si chiese se fosse vero quello che gli aveva detto Jeisym a proposito di suo fratello. Chissà, magari Dras si era reso conto che uno come lui non sarebbe mai potuto diventare re e aveva rimediato all’errore in quel modo.
Una voce lo distrasse: l’As’vaan lo stava chiamando dall’entrata della tenda. Non provò nemmeno a rifiutarsi di obbedire, non era certo con degli stupidi puntigli da bambino capriccioso che avrebbe dimostrato la sua volontà di ribellione e il suo coraggio.
Scese dal carro e si diresse verso la tenda.
All’interno ardevano molte luci. Sul tappeto centrale era stato posto un ampio vassoio rotondo, probabilmente frutto di qualche razzia, con sopra i cibi migliori che la cucina aveva ancora da offrire. Accanto a esso c’erano due calici d’oro incrostati di gemme e un’anfora sigillata.
Jeisym sedeva a gambe incrociate sul tappeto, la schiena appoggiata a cuscini ricamati. Indossava un lungo abito di seta bianca dagli elaborati ricami, ma come sempre aveva con sé le armi.
Vieni avanti,” lo accolse. “Vieni a condividere con me questo ultimo pasto.”
Fermo sulla soglia, Herich rispose: “Non perdi occasione di ricordarmelo, vero?”
Io posso anche dire che un asino è un cavallo, ma non per questo esso muta la sua forma,” rispose pacato il predone. Fece un gesto di invito nei suoi confronti e aggiunse: “Siediti, mangia con me. Vorrei che tu avessi un bel ricordo del tempo che abbiamo passato insieme.”
Herich ghignò. “Ma certo, ricorderò con il più tenero affetto chi mi ha preso prigioniero e venduto come schiavo. Come potrebbe accadere il contrario?”
Avresti avuto un ricordo migliore di me, se ti avessi ucciso come tutti gli altri?”
Forse avrei sofferto di meno.”
Jeisym alzò le spalle. “Chi lo sa. Allora forse anche Resen-Lhaw mi ha fatto un torto, salvandomi sul campo di battaglia, perché ti posso garantire che la mia vita dopo quell’episodio è stata tutt’altro che facile e piacevole.”
A quelle parole seguì un lungo silenzio, poi Herich disse: “Parlami di lui.”
Jeisym si tirò indietro i capelli candidi e chiese: “Cosa vuoi sapere?”
Ti ha parlato?”
L’As’vaan annuì.
E che cosa ti ha detto?”
Le stesse cose che io ho detto a te questa sera, l’ha fatto quando protestavo che avrei preferito la morte a ciò che lui mi stava offrendo.”
Di nuovo calò il silenzio, rotto appena dal sibilo del vento all’esterno. Infine, Jeisym spinse uno dei calici verso di lui e disse: “Permettimi almeno di farti assaggiare questo vino pregiato.” Senza attendere risposta fece saltare il sigillo dell’anfora e ne versò il contenuto nelle coppe.

§

Stretto nel mantello, rannicchiato in un avvallamento del terreno, Res cercava di ignorare la fame. Aveva finito le provviste e anche l’acqua era ormai agli sgoccioli. Si massaggiò le gambe irrigidite, cercando per quanto possibile di rilassare la muscolatura.
A ovest una linea rosso cupo brillava ancora all’orizzonte, mentre le prime stelle cominciavano ad apparire sulla volta nera del cielo.
Se guardava verso nord est, poteva vedere le luci di Perechyra palpitare debolmente.
Prima che il crepuscolo cedesse il passo alla notte aveva visto un uomo a cavallo comparire in lontananza. Si era avvicinato al galoppo, poi si era fermato, era rimasto immobile per qualche istante ed era ripartito nella direzione da cui era arrivato. Montava un cavallo dal manto chiaro, forse grigio, e di sicuro non aveva i capelli bianchi degli As’vaan.
Si chiese se si trattasse di un viaggiatore. La città non era lontano e nel nulla della steppa si cominciavano a incontrare segni di bivacchi o passaggi di carovane.
Forse era scappato perché l’aveva visto, magari scambiandolo per un bandito o qualcosa del genere.
In un certo senso, fu quasi compiaciuto di riuscire ancora a far paura a qualcuno.
Emise un sospiro. “Beh, Dras,” disse a mezza voce, “Io ho fatto la mia parte, ora tocca a te fare la tua.” La frase si perse nel sibilo del vento.
Ma certo,” soggiunse il soldato, “tanto lo sapevo già che avrei dovuto cavarmela da solo. Ma in fondo non posso darti torto, neanche io aiuterei uno come me.” Si voltò di nuovo in direzione della città. Non era mai stato a Perechyra, ma sapeva che vi convergevano tutte le principali vie carovaniere dell’oriente. Era costruita su canali e da un palazzo all’altro ci si spostava con le barche.
Sapeva che il mercato più grande era galleggiante: si formava prima dell’alba, raccogliendo venditori da tutti i dintorni, e poi si dissolveva verso metà pomeriggio, quando le mercanzie erano esaurite.
Il secondo mercato in ordine di importanza era nel cortile del palazzo che ospitava anche il governo della città. Si diceva che l’edificio fosse così grande che nessuno l’aveva mai girato tutto. Era stato costruito e rimaneggiato innumerevoli volte nel corso dei secoli ed era divenuto nel tempo un inestricabile labirinto.
Si narrava che ci fossero anche stanze murate ricolme di tesori, ma nessuno ormai sapeva più se si trattava di una leggenda o della realtà.
Sospirò di nuovo e si raggomitolò meglio che poteva sotto il mantello.

§

L’orizzonte si stava tingendo d’oro quando Jeisym uscì dalla tenda. Era a torso nudo e la brezza della steppa gli agitava i lunghi capelli.
Il campo era in movimento. Le tende più piccole erano già state smontate, gli uomini stavano preparando i carri per la partenza. Si sentivano le grida acute dei primi gabbiani.
Il predone si guardò intorno inspirando l’aria gelida del mattino, quindi si diresse a un bacile che era stato sistemato accanto al fuoco e cominciò a lavarsi. Mentre era impegnato in quell’operazione, si udì un acuto grido di rapace, e con un possente sbattere di ali un’aquila si posò a poca distanza da lui.
Jeisym si voltò verso l’uccello. “Ben tornata, Shaar,” salutò.
L’aquila arruffò le penne sul collo ed emise un lieve suono chiocciante.
Se sei qui, significa che il principe è giunto a destinazione, non è così?”
Di nuovo, il rapace arruffò le penne.
L’uomo annuì. “Molto bene. Farò preparare della carne per te, amica mia, in modo che tu possa nutrirti.” Tacque per qualche istante, poi a voce più alta chiamò: “Therved!”
L’altro si avvicinò immediatamente. Era già vestito di tutto punto e pronto a partire. Si inchinò brevemente e chiese: “Mio signore?”
Therved, ieri sera ho addormentato il ragazzo con il tau’zeel. Fallo caricare sul carro, e fa in modo che non sia visibile dall’esterno.”
Come tu comandi, Khan.”
E fa portare della carne per Shaar, ha volato a lungo ed è affamata.”
Sarà fatto, Khan.”
Detto questo, Jeisym rientrò nella tenda asciugandosi con un telo. Il giovane principe giaceva addormentato sui cuscini nella posizione in cui l’aveva lasciato la sera prima. L’As’vaan si chinò accanto a lui, gli prese delicatamente il mento fra le dita e gli girò il viso in modo che la luce che entrava dal foro centrale del tetto lo illuminasse in pieno. “Bello,” disse poi a bassa voce, “carnagione perfetta, capelli neri.” Fece una breve pausa, poi soggiunse: “E quelle labbra piene sembrano fatte apposta per essere mangiate di baci.” Si piegò fino a sfiorarlo, ma subito dopo lo lasciò andare e si rialzò in piedi. “Non è bene assaggiare il rosolio destinato ad altri,” soggiunse tirandosi indietro i capelli, “nemmeno per essere certi che sia buono come sembra.”
Finì di vestirsi, poi due uomini entrarono, sollevarono il ragazzo e lo portarono fuori.

Perechyra era ormai una sagoma scura e irta di guglie distintamente visibile all’orizzonte. La strada su cui procedevano era lastricata e percorsa nei due sensi da carovane di cammelli e di muli carichi delle più varie mercanzie. Il cielo di smalto era un tripudio di forme bianche e affusolate che si inseguivano stridendo. Il vento portava l’odore delle spezie e del mare.
La steppa immensa e il suo silenzio sembravano non essere mai esistiti.
Jeisym si voltò indietro a controllare il proprio seguito, quindi spostò lo sguardo su Therved e disse: “La puledra grigia voglio tenerla io.”
Frutterebbe molti pezzi d’oro se la vendessimo, Khan.”
Sì, ma è veloce. Sono riuscito a starle dietro con Dalin solo perché il suo cavaliere era inesperto, ma se avesse avuto in groppa un As’vaan non ce l’avrei fatta.”
È una bella bestia,” concesse il guerriero, “ma è troppo delicata. Non reggerebbe a un inverno nella steppa.”
Non la porterò nella steppa,” replicò il Khan, “la terrò al palazzo di Jessartiaz assieme ai purosangue di mio padre.”
Ma così la vedrai solo una volta all’anno, Khan.”
Jeisym sorrise. “Vorresti dire che sarebbe meglio venderla, e avere i diecimila pezzi d’oro che ne ricaverei?”
Halmaikah mi è testimone, Khan, io ho giurato a tuo padre di consigliarti sempre per il giusto.”
Lo stai facendo, Therved, ma spesso le cose giuste sono anche le meno interessanti.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “E poi per il ragazzo ti ho dato retta, no?”
Frutterà come minimo ventimila pezzi d’oro, Khan. Tuo padre sarà molto soddisfatto.”
Io un po’ meno. Credo che iniziarlo alle delizie dell’amore sarebbe stato un vero piacere.”
Un piacere per cui altri saranno disposti a pagare molto bene, Khan.”
Jeisym emise un teatrale sospiro. “Lo so, lo so. E mio padre sarà soddisfatto.”
Proprio così, Khan.”
L’altro spronò il morello e si avvicinò al carro nel quale si trovava Herich. Scostò la tenda che lo nascondeva e lo osservò.
Dorme ancora, Khan,” si premurò di fargli sapere uno dei suoi uomini.
Lo vedo,” rispose Jeisym, osservando i lineamenti distesi del ragazzo. Lasciò ricadere la cortina di stoffa, tornò a fianco di Therved e gli disse: “Manda un paio di uomini ad avvisare Eksiz che stiamo arrivando.”
L’altro annuì e rispose: “Come tu comandi, Khan.” Poi a voce più alta chiamò due nomi. Subito i guerrieri si avvicinarono ed egli ordinò: “Andate al quartiere sud e avvisate che venga preparato il palazzo del Khan.”
I due annuirono e spronarono i cavalli, scomparendo in breve alla vista fra le carovane che occupavano la strada.

Ci vollero un altro paio d’ore, prima che Jeisym riuscisse a farsi strada con i carri nel caos delle vie di Perechyra. Ovunque vi erano mercanti, che vendevano di tutto enumerando a gran voce le virtù della loro merce. Chierici decaduti o di divinità troppo povere per permettersi un tempio vendevano incantesimi, prostitute di entrambi i sessi proponevano i loro favori, saltimbanchi e suonatori si esibivano all’angolo delle strade, ognuno circondato da un capannello di gente nel quale si aggiravano ladri e borsaioli. Nelle rientranze dei palazzi o sotto i portici si annidavano le bancarelle dei venditori di cibarie, che offrivano alimenti di ogni genere. Dappertutto aleggiava l’odore del cibo, delle spezie e del limo dei canali.
Al passaggio del gruppo di predoni di As’del, che normalmente incutevano terrore con la loro sola presenza, la gente si scostava indolente brontolando proteste e più di una volta gli uomini del Khan dovettero intervenire per scacciare a staffilate qualche ladruncolo particolarmente temerario che saliva sui carri e cercava di intrufolarsi sotto i teloni.
Finalmente arrivarono in una strada quasi deserta, lontana dal caos del centro, che da un lato aveva un muro con una fila di portoni e dall’altro un canale in cui l’acqua scorreva gorgogliando lieve. Dopo il chiasso delle vie principali, nella zona c’era una piacevole quiete. L’aquila, appollaiata sulla spalla di Jeisym, emise un chioccio infastidito.
Lo so, amica mia,” le disse il predone, “anch’io preferisco la steppa immensa. Tu però puoi volare dove vuoi, e tornare qui quando lo riterrai opportuno.”
Shaar arruffò le penne sul collo ma non si mosse.
D’accordo, allora resta con me. Ti farò portare della carne fresca e dell’acqua, in modo che tu possa ristorarti.”
Il rapace volse verso di lui lo sguardo grifagno e rinsaldò la presa degli artigli sullo spallaccio della sua armatura di cuoio.
Con il tuo permesso, Khan,” disse a questo punto Therved, quindi spronò il cavallo e precedendo la colonna raggiunse uno dei portoni. Scese di sella, sguainò la spada e con il suo pomolo batté tre volte contro la porta. Dopo qualche istante si udì un rumore di chiavistelli, poi l’anta si socchiuse e dalla fessura che si era creata si affacciò un uomo anziano, con barba e capelli candidi e un caffettano blu che gli arrivava fino ai piedi. Alla vista di Therved si inchinò profondamente.
I due si scambiarono qualche frase, quindi il vecchio arretrò, l’anta si richiuse, si udì un nuovo rumore di chiavistelli e poi l’intero portone venne spalancato.
Carri e cavalli entrarono ordinatamente in un cortile lastricato. L’enorme spiazzo aveva da un lato una fila di edifici bassi destinati al ricovero degli animali e dall’altro degli alloggi. In mezzo si trovava un grande abbeveratoio di marmo nel quale si riversava continuamente un getto d’acqua.
Nella parete di fondo c’era un altro portone di legno, più piccolo e abbellito da intagli e battenti di ottone lucidato.
Jeisym smontò da cavallo, affidò le redini del destriero a uno stalliere e si avvicinò all’uomo col caffettano blu. Questi si inchinò di nuovo e disse: “Benvenuto, Khan, lascia che ti accompagni alle tue stanze. L’acqua del bagno è calda e i cuochi stanno approntando un banchetto per festeggiare il tuo arrivo.”
Il più giovane sorrise e gli fece cenno di alzarsi. “Sei sempre molto efficiente, Eksiz,” gli rispose, “Mio padre ha scelto bene quando ha deciso di affidarti la gestione del nostro palazzo di Perechyra.”
Tu mi lusinghi, Khan. Ma ora vieni, vorrai ristorarti, dopo il lungo viaggio che hai affrontato.” Così dicendo, sospinse il suo interlocutore verso la porta intagliata.
Al di là c’era un magnifico giardino. Lungo le mura che lo cingevano correva un porticato con lampade d’oro che pendevano dalle volte. Le colonne che lo sostenevano erano tutte di marmo intarsiato. Tra le aiuole scorrevano dei canali d’acqua cristallina, che gorgogliavano lievemente turbando appena la quiete sospesa del luogo. Ovunque vi erano alberi di agrumi e roseti fioriti, che spandevano il loro delicato profumo, e cascate di glicini e caprifogli.
Oltre il giardino, salendo alcuni gradini, vi era una porta di ebano e avorio. Una delle ante era semiaperta e al di là si intravedeva uno scorcio di pareti coperte di maioliche multicolori, pavimento di marmo e tende di broccato intessuto d’oro.
È tutto come lo ricordavo,” disse Jeisym chinandosi ad annusare una rosa. L’aquila arruffò le penne, spiccò il volo e andò a posarsi su un ramo di cedro che portava già profondi segni di artigli. Il predone sorrise. “Anche tu ti senti a casa, Shaar?”
Il rapace socchiuse gli occhi gialli.

§

Ehi, uomo! Ehi, dico a te!”
Res, che si era seduto sul ciglio della strada per riposare gli esausti piedi, alzò la testa e incrociò lo sguardo di un carrettiere che stava guidando un tiro a sei di muli.
Uomo, lo vuoi un passaggio?”
Quanto chiedi?”
Niente. Mi aiuti a scaricare quando siamo a Perechyra e se lavori bene ti do anche cinque pezzi di rame, così ti paghi da mangiare.”
D’accordo,” disse Res alzandosi. Fece per salire sul carro, ma l’altro lo fermò: “Non hai bagaglio?”
No.”
Il carrettiere lo squadrò. “Hai un mantello militare. Sei un disertore?”
No.”
Non sei uno che parla molto, vero?”
No.”
Beh, comunque salta su. Io sono Manse.”
Res.”
Il soldato salì a cassetta e si sedette, il carro ripartì. Dalla posizione sopraelevata che aveva raggiunto, Res riusciva a seguire bene il flusso di viaggiatori e mercanti che andava facendosi più intenso via via che si avvicinavano alla città.
Le guglie dei palazzi cominciavano a emergere dalla foschia, l’aria era fresca e salmastra.
Lo senti?” gli chiese Manse, facendo schioccare in aria la frusta, “Questo è l’odore del mare. L’hai mai visto il mare?”
Res chinò la testa e per un attimo gli comparve davanti agli occhi l’immagine del golfo di Brielar, con le acque arrossate dal sangue dei soldati. “Sì, l’ho visto.”
Proseguirono un altro po’ in silenzio, poi il carrettiere chiese: “Di dove sei?”
Sono nato nel Fjorn.”
Ah, su al nord.”
Già.”
Manse raccolse un piccolo otre e glielo tese. “Tieni. Vino delle mie parti.”
Res bevve un sorso per cortesia, ma tra il digiuno e la sua bassa tolleranza all’alcol, non volle esagerare. “Grazie,” disse restituendoglielo.
Non bevi? Sei un santo di Zephan, per caso?”
Il soldato sorrise. “No, è che non mangio da un po’. Ho paura di ubriacarmi.”
Il carrettiere lo squadrò perplesso. “Non si va tanto in là a pancia vuota,” considerò, poi raccolse una borsa di cuoio che teneva fra i piedi e gliela porse. “Tieni, mangia.”
Ma io...”
Mangia, mi ripagherai con il lavoro.”
Nella sacca c’erano del pane e delle fette di carne salata. “Mangia,” ripeté Manse.
Grazie.”
Sono sacchi da cento libbre, quelli che dobbiamo scaricare, e ce n’è un carro pieno, quindi non fare complimenti.”
Grazie, Manse.”
La carne l’ha preparata mia moglie Bridh. Tu hai moglie, Res?”
No.”
L’altro fece una breve risata. “Dimenticavo che non ti piace parlare. Comunque io sono di Corvean, nel Theythrim. Se ti interessa, e questo è un carico di frumento di prima qualità. A quelli di Perechyra piace il nostro frumento e ce lo pagano abbastanza da rendere conveniente il viaggio fin qui.” Batté una pacca sui sacchi che aveva dietro le spalle e soggiunse: “Il pane che si fa con la sua farina va solo sulle tavole dei nobili.”
Dev’essere buono, allora.”
Buono? È il migliore.” Tacque per qualche istante, poi proseguì: “Ma per fortuna non piace ai predoni. Troppo pesante per loro.” Fece una breve risata.
Res annuì e continuò a mangiare. Sulle prime aveva cercato di trattenersi, ma erano due giorni che non toccava cibo e anche prima era andato avanti con razioni che non avrebbero sfamato neanche un bambino. In breve divorò tutto.
E adesso lo vuoi un po’ di vino?” gli chiese Manse quando si vide restituire la borsa vuota.
Va bene.”
Bevve qualche sorso.
Com’è?” volle sapere il carrettiere. “Buono, vero? È vino delle mie parti, non ne trovi di migliore. Io ho anche una vigna, sai? Ma il mio vino non lo porto qui a Perechyra, me lo bevo io!”
Molto buono.”
Di’ pure che un vino così non l’hai mai bevuto. Solo Uva Mielata, non un chicco di uva normale.”
Certo, si sente.”
Manse stava per aggiungere altro, ma ormai erano prossimi alla città. Fece deviare il carro dalla strada principale e disse: “Ora andiamo ai magazzini, dove tu mi aiuterai a scaricare.”
Va bene.”
Arrivarono a un piazzale circondato da depositi e già occupato da numerosi carri. I conducenti vociavano e si insultavano, gli animali innervositi ragliavano, nitrivano o bramivano a seconda della specie. Gruppi di cammelli indolenti ruminavano qua e là insensibili alla confusione. Nell’aria polverosa stagnava l’odore di sterco animale e granaglie.
Da una parte del piazzale c’era un abbeveratoio intorno al quale la gente si assiepava spintonando e imprecando.
Manse riuscì a fermare il carro in un punto abbastanza tranquillo, poi scese e andò da un uomo che sedeva un po’ appartato su una sedia e aveva davanti a sé un tavolino con sopra un registro, un calamaio e una penna. I due parlamentarono un po’, poi il carrettiere fece ritorno con un pezzo di coccio su cui era incisa una cifra e disse: “Scarichiamo al magazzino numero tre.” Rimontò a cassetta e condusse i muli a destinazione.

Quando finirono il lavoro era ormai pomeriggio inoltrato. Manse si asciugò il sudore dalla fronte, quindi prese l’otre di vino, lo stappò e prima di bere lui stesso lo tese a Res. “Sei forte,” gli disse, “portavi quei sacchi come se fossero stati pieni di piume.”
L’altro si limitò ad alzare le spalle.
Sei un soldato.” Questa volta non era una domanda.
Res gli rivolse un’occhiata. “Cosa te lo fa pensare?”
Hai delle cicatrici che possono venire solo da ferite di guerra, hai i capelli corti e indossi panni militari.”
L’altro sospirò. “I tuoi occhi non ti ingannano.”
Sei sicuro di non essere un disertore?”
Non lo sono.”
Se non sei un disertore, dove sono i tuoi compagni?”
Tutti morti.”
Manse si grattò la testa brizzolata. “Com’è possibile?”
Predoni di As’del. Hanno assaltato il nostro campo e hanno ucciso tutti.”
Tutti tranne te.”
Res aggrottò le sopracciglia. “E con questo cosa vorresti dire?” ringhiò torvo.
L’altro alzò le mani in segno di scherzosa resa. “Niente, non preoccuparti. Volevo solo dire che Dras deve aver mandato un Wenos a vegliare su di te. Non si spiega altrimenti che tu ti sia salvato dai predoni di As’del.”
Il soldato emise un sospiro e rispose: “Sì, forse è stato Dras a proteggermi. Ho ancora qualcosa da fare per lui.”
E che cosa dovresti fare?”
L’altro lo fissò negli occhi. Manse l’aveva aiutato, ma poteva considerarlo affidabile? Visto quanto parlava, chi gli garantiva che magari, con la lingua sciolta da un po’ di vino, non avrebbe raccontato tutto a qualcuno? Non era certo un uomo di indole riservata e gente curiosa ce n’era fin troppa in qualsiasi città carovaniera. “Devo trovare una persona,” disse semplicemente.
Il carrettiere assunse un’espressione astuta e gli chiese: “Qualcuno che è stato preso dai predoni, forse?”
Forse.”
Manse annuì con l’aria di essere fiero del proprio intuito. “Allora va a cercare Balrich,” gli consigliò. “Lo troverai stasera alla locanda del Gatto Bianco.”
Chi è Balrich?”
Un soldato che presta servizio alla porta Ovest. Se i tuoi predoni sono arrivati in città, sono passati per forza di lì e lui ci avrà parlato. Digli che ti mando io.”
Ti conosce?”
Se mi conosce? Dì pure che Manse di Corvean è suo fratello.” Si batté la mano aperta sul petto, producendo un rumore sordo. “Una volta gli ho regalato un otre di vino,” disse poi, e annuì compiaciuto.
Capisco.”
Quindi tu chiedi a lui e se c’è qualche problema digli di venire qui da me, che gli regalo dell’altro vino. Vedrai che quando gli dici così ti racconta tutto.”
Ma il tuo vino è prezioso,” non poté fare a meno di rispondere Res.
Anche gli uomini d’onore sono preziosi,” rispose l’altro fissandolo negli occhi.
Il soldato chinò la testa. “Non sono un uomo d’onore, Manse.”
Con tono che non ammetteva repliche, il carrettiere rispose: Chiunque abbia attraversato a piedi le steppe di As’del per liberare qualcuno dai predoni lo è.”
Gli strinse la mano e aggiunse: “Ricorda: Manse di Corvean è tuo amico, adesso o quando ne avrai bisogno. E prendi questi due pezzi d’argento, così portai pagarti da mangiare e una camera.”
Ma io...”
Era nei patti.”
Veramente l’accordo era per cinque pezzi di rame.”
Beh, hai lavorato bene. Ti meriti di più di cinque miseri pezzi di rame.” Gli porse le monete.
Res prese il denaro e lo strinse nel pugno. “Io non so cosa dire, Manse.”
Di’ solo che mi chiamerai se avrai bisogno d’aiuto. Rimarrò alla locanda che c'è vicino ai magazzini finché non ho venduto tutto il mio grano, il che significa più o meno fino all'inizio del mese prossimo. Durante la notte mi trovi lì e durante il giorno ai mercati generali, che sono a est, a mezzo miglio da Perechyra, lungo la strada per Jessartiaz.”
Va bene.”
L'altro lo fissò diffidente. “Ti ricordi tutto?”
Locanda vicino ai magazzini, mercato lungo la strada per Jessartiaz,” ripeté Res.
Va bene. Guarda che ci conto.”

§

Res se ne andò pensando al misterioso carrettiere di Corvean. Chissà, forse era Dras in persona, o uno dei suoi Wenos. O forse era solo un uomo gentile, che lo aveva visto in difficoltà – e gli dei sapevano quanto lo era in quel momento – e aveva deciso di aiutarlo.
Trovò la locanda del Gatto Bianco senza nemmeno bisogno di chiedere in giro: era proprio dietro la porta Ovest e aveva una grande insegna in ferro battuto che rappresentava per l’appunto un gatto bianco in un complicato intreccio di pampini e grappoli d’uva.
Anche da fuori si vedeva che la sala centrale era piena di armigeri che stavano bevendo o scambiandosi battute.
Il soldato emise un sospiro. Fra tanti, era paradossalmente proprio quello l’aspetto che gli mancava di più della sua vita precedente: quel senso di cameratismo gioioso, di appartenenza. Uno degli uomini sollevò il boccale e disse: “All’usbergo di Alven! Che Dras glielo conservi!”
Gli altri risero, evidentemente il primo si stava riferendo a qualcosa che i suoi commilitoni conoscevano molto bene.
Res distolse lo sguardo. Dopo quello che era successo, aveva perso il diritto al cameratismo.
Attraversò la sala senza guardare né a destra né a sinistra, circondato dal chiasso allegro dei soldati in libera uscita. Si appoggiò al bancone.
L’oste, che stava mescendo una birra, mise da parte il boccale traboccante di schiuma e gli disse: “Benvenuto al Gatto Bianco. Cosa posso servirti?”
Egli pose le due monete d’argento sulla superficie di legno. “Un buon pasto e una camera. Puoi dirmi dove sono le terme più vicine? Vorrei farmi un bagno e lavarmi i vestiti.”
Puoi lavarti qui, se vuoi. Jadzi ti preparerà tutto l’occorrente, e per due pezzi di rame farà anche il bucato.”
D’accordo.” Spinse verso di lui le due monete.
L’oste le raccolse, quindi chiamò: “Jadzi!”
Comparve una ragazza di stirpe As’vaan, con i lunghi capelli bianchi raccolti in una crocchia e svariati ornamenti di perline colorate al collo e ai polsi.
Quella roba non va bene per lavorare,” la riprese l’oste, “ti impigli dappertutto.” Il tono faceva capire che doveva aver ripetuto la stessa frase almeno altre cento volte.
Per tutta risposta, la ragazza si aggiustò meglio la collana.
L’uomo emise un sospiro e alzò gli occhi sul soldato come in cerca di comprensione. “As’vaan,” brontolò, “non vanno neanche a zappare la terra, senza i loro gioielli.”
I gioielli esaltano la bellezza,” rispose Jadzi. Anche lei si voltò verso Res. “Non ho ragione?”
Smettila,” intervenne l’oste, prima che lui potesse rispondere. “Ora tu e i tuoi gioielli andate a preparare il bagno.”
Per lui?” chiese la ragazza.
Sì.”
Jadzi sorrise e si rivolse a Res: “Hai bisogno d’aiuto?”
Che cosa intendi?”
Per lavarti la schiena, ad esempio.” Fece una risatina.
L’altro scosse la testa. “No, grazie.”
La ragazza fece spallucce e se ne andò.
Non farci caso,” gli disse l’oste, “è il modo di scherzare della sua gente.”
Lo so, li conosco.”
Conosci gli As’vaan?”
Res annuì.
L’altro lo squadrò perplesso. “Eppure non sei di qui.”
No.”
Per caso hai fatto la Guerra Orientale?”
Sì.”
L’oste sorrise. “Ah, un veterano! Allora forse vuoi unirti ai soldati?”
No.” Poi, dopo una pausa: “Voglio solo lavarmi, mangiare qualcosa e andare a dormire. Viene a bere qui un certo Balrich?”
Sì, cosa vuoi da lui?”
Puoi indicarmelo, per favore?” chiese Res, ignorando la domanda.
Adesso è ancora in servizio. Manderò Jadzi a chiamarti quando arriva.”
Grazie.”

Erano passate circa due ore quando Jadzi si affacciò nella sua camera.
Svegliato di soprassalto, Res la guardò storto e ringhiò: “Non ti hanno insegnato a bussare?”
Speravo di sorprenderti nudo,” fu la risposta, proferita con la solita allegra sfrontatezza. Poi, dopo qualche secondo: “Volevo solo dirti che quel gran fusto di Balrich è arrivato, se vuoi te lo presento.”
Basta che me lo indichi da lontano,” brontolò Res, mentre si alzava coprendosi alla meglio con il lenzuolo.
Posso restare con voi mentre parlate?”
No.”
Vuoi che ti aiuti a vestirti?”
No.”
Jadzi se ne andò ridacchiando, dopo aver lasciato la porta socchiusa. Masticando un’imprecazione, Res andò a chiuderla vestito del solo lenzuolo.
Quando arrivò nella sala comune, capì il motivo degli apprezzamenti di Jadzi: Balrich, che gli fu indicato dall’oste, era un uomo di circa trent’anni. Portava i capelli biondi legati in un codino e l’uniforme tesa sulle spalle lasciava indovinare un fisico imponente. A occhio, doveva essere alto almeno quanto lui, il che significava circa quattro dita più di chiunque altro in quella stanza.
Si fece dare dall’oste due birre e si avvicinò al tavolo della guardia. “Salute a te,” gli disse. “Il mio nome è Res, posso offrirti da bere?” Pose i boccali sul tavolo.
Balrich lo fissò attento per qualche secondo, poi gli chiese: “Sei un militare, vero?”
Il soldato annuì.
Non sei un disertore, però, altrimenti non avresti ammesso così facilmente di essere un militare.”
Esatto anche questo.”
Allora cosa fai qui?”
Posso sedermi, Balrich? Così magari ti spiego la questione.” Senza attendere risposta, prese una sedia e si accomodò di fronte alla guardia.

Quindi sei un soldato di Dyat,” disse alla fine Balrich, dopo aver ascoltato attentamente il racconto di Res.
È così. Del predone che ha rapito il principe posso dirti...”
Non così forte,” lo interruppe la guardia, “Qui ci sono parecchi As’vaan e la parola predone non è gradita.”
Ah, non è gradita?” ringhiò Res rivolgendogli uno sguardo truce, “E che cosa dovrei dire, allora? Simpatici compagni di viaggio?”
Non dire niente che facciamo prima. Qui la vendita di schiavi è legale, c’è anche un mercato apposta, e nessuno si sogna di arrestare un gruppo di As’vaan che arriva dalle steppe per vendere armi o prigionieri.”
Puoi dirmi se almeno gli As’vaan che sto inseguendo sono passati per la porta ovest?”
Quanti erano? Avevano qualcosa di particolare?”
Il loro capo tiene un’aquila sulla spalla. È alto per essere un As’vaan, e molto muscoloso. Se li ho contati bene, direi che erano una cinquantina. Hanno con loro quattro carri, uno con sopra la loro roba, e gli altri tre presi dal nostro campo e carichi della roba che hanno...” esitò cercando la parola. “Che hanno gentilmente raccolto dopo aver aiutato i nostri soldati a raggiungere Dras?”
Fa’ pure lo spiritoso,” brontolò Balrich. Vuotò il boccale con un ultimo lungo sorso, quindi proseguì: “Comunque ho visto il tizio di cui parli, alto, ben piantato e con l’aquila sulla spalla. È passato stamattina.”
C’era un ragazzo con lui?”
Capelli neri? Un segno rosso sull’occhio sinistro?”
Res sentì il cuore accelerare i battiti. “Sì, è lui. Stava bene?”
Dormiva. Probabilmente gli avevano dato qualcosa. Del tau’zeel, forse.”
Dove sono andati?”
La guardia scosse la testa. “Non fare lo stupido. Cosa pensi di fare da solo contro cinquanta uomini armati?”
Res non rispose.
Vuoi farti ammazzare?” insisté l’altro al protrarsi del silenzio.
Il soldato alzò gli occhi su di lui. Voleva farsi ammazzare? Per anni aveva sognato una morte che forse era troppo vile per darsi da solo. “Ora no,” rispose alla fine in un sospiro.
L’altro aggrottò appena le sopracciglia, poi disse: “Tutti i gruppi di As’vaan che percorrono la steppa sono guidati da un Khan, ovvero un giovanotto che di solito si fa chiamare così anche se il vero Khan è il padre. Vengono mandati a farsi le ossa con bersagli non troppo difficili, come carovane o simili, e intanto imparano a comandare gli uomini, a trattare con i mercanti e cose del genere.”
Res annuì.
I Khan, quelli veri, vivono al di là della steppa, verso Jessartiaz, ma tutti hanno un palazzo qui in città.”
E dove lo trovo quello del tizio con l’aquila?” chiese il soldato.
L’altro emise un sospiro. “Allora non mi sei stato a sentire.”
Res represse un moto di impazienza. “Forse non ti è chiara una cosa,” brontolò, “quello che hanno catturato è l’erede al trono del Daishrach, e io devo liberarlo prima che lo vendano come schiavo.”
Balrich fece un cenno a Jadzi per farsi portare altre due birre, poi rispose: “Primo, da morto non liberi proprio nessuno. Secondo, al mercato degli schiavi non si va certo con cinquanta uomini al seguito.”
Comparve la serva con i due boccali, entrambi si zittirono.
Che silenzio!” commentò allegra Jadzi. “Vi fanno questo effetto le belle ragazze?”
Non hai niente da fare?” la rimbeccò Balrich.
L’altra si mise le mani sui fianchi. “Sì, stare qui a guardarti.”
In quel momento echeggiò la voce dell’oste: “Jadzi! Vieni qui!”
La ragazza emise un teatrale sospiro. “Arrivo, arrivo! Non si possono nemmeno guardare i begli uomini in pace...”
Balrich scosse la testa con un vago sorriso. “Me la ricordo quando era grande così,” disse, mettendo la mano poco più in alto del tavolo. “Già allora faceva la civetta.” Bevve un sorso poi continuò: “Ti dicevo che al mercato degli schiavi nessuno va con cinquanta guardie al seguito, data la ressa che c'è. E nemmeno chi compra gli schiavi si porta dietro molti uomini.”
Vuoi dire che dovrei agire in quel momento?”
Se te lo dicessi, ti starei proponendo di commettere un crimine, il che non è esattamente ciò che ci si aspetterebbe da una buona guardia.”
Res annuì grave. “Capisco.”
Ma se, tanto per fare un’ipotesi, dovessi suggerirti il modo migliore per recuperare un prigioniero, ti direi di aspettare che la compravendita sia conclusa, e poi occuparti dell’acquirente e dei suoi uomini.”
Tutto chiaro.”
E ti suggerirei anche di uscire dalla città a mezzogiorno, perché a quell’ora le guardie staranno consumando il rancio, ed è facile che nessuno ti veda passare.”
Res lo fissò attento, l’altro soggiunse: “Il mercato degli schiavi di lusso, come credo sia il tuo ragazzo, è il primo del mese. Per quel giorno succederà ciò che ti ho detto. Di più non posso fare.”

   
 
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