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Autore: Glitch_    16/10/2018    1 recensioni
Durante i due anni nel Quantum Abyss, Keith ha visto frammenti di futuro destinati a succedere nell'arco dei prossimi vent'anni. Non tutti sono frammenti piacevoli, non tutti riguardano lui.
Questo è come decide di affrontarli.
[Post settima stagione, Keith/Shiro endgame, Keith/James no happy ending, Lance/Allura no happy ending, Lance/Surprise!, maggiori info nelle note iniziali]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: James Griffin, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sta scendendo la sera sul deserto, lui e Acxa hanno il vento fresco fra i capelli e il calore dei motori delle hoverbike sotto di loro.

«Siamo figli della guerra,» gli dice, dopo avere ascoltato le sue riflessioni sul suo scontro con James. «Se guardi alle nostre spalle, riesci a vedere il preciso momento in cui siamo nati, ed è stato in guerra. E per nati intendo quando i nostri spiriti sono sbocciati. Nel profondo siamo tutti orfani di qualcuno o qualcosa, non smetteremo mai di essere malinconici, non smetteremo mai di provare rabbia, non riusciremo mai a reprimere del tutto una certa quantità di risentimento per qualcuno o qualcosa. Siamo figli della guerra,» ripete, e Keith sa che è vero.

«Lo so che io e lui abbiamo fin troppo terreno in comune. È che non so quanto sono pronto ad ammetterlo.»

Acxa si volta a fissarlo inarcando un sopracciglio. «Ammettere? Per che cosa ti senti in colpa?»

«Non mi piace molto mostrare certe parti di me a chi non è del mio team. E ho visto la faccia di James in un frammento di futuro nel Quantum Abyss,» aggiunge parlando veloce e a sguardo basso.

«Dalla tua espressione devo dedurre che sia legato a qualcosa di sentimentale?»

«Sì.»

«Keith,» lo richiama ferma, spingendolo ad alzare lo sguardo verso di lei. «Quello che hai visto nel Quantum Abyss, anche se deve ancora succedere, lo hai visto nel passato. Lascialo andare, vivi il presente.»

«E se fosse proprio questo frammento di futuro la causa di ciò che deve succedere? Magari mi sta solo influenzando. Magari mi farà illudere su ciò che provo.»

«È per questo che ti sto dicendo di lasciarlo andare. Vivi il presente,» rimarca.

«Lui mi piace,» ammette. Gli piace nel semplice modo in cui gli piace la velocità di Red e stringere le mani sui manubri di una hoverbike. Gli piace come l'odore di carburante nelle piste di decollo e atterraggio. Gli piace come il rombo di un buon motore che viene acceso per la prima volta. Gli piace come un sorpasso azzardato e un giro della morte su Black per mordere una navicella galra.

Acxa sorride furba ma con affetto. «Un pilota che sa il fatto suo e straborda carattere? Non avrei mai detto che ti sarebbe piaciuto.»

«Sì, ho un tipo ideale, va bene?» sbuffa, rimettendosi in posizione per avviare la hoverbike.

Acxa si sistema meglio l'elastico con cui tiene legati i capelli ormai lunghi, pronta per inseguirlo con la propria hoverbike. «Come dite voi terrestri, il primo passo è ammettere di avere un problema.»

Keith la ripaga facendole mangiare la polvere.





È di ritorno da un giro solitario con Black, quando decide di affrontare la faccenda. Si toglie solo i pezzi superiori dell'armatura, indossa la sua vecchia giacca rossa e prima di cambiare idea va alla ricerca di James. Non vuole affrontarlo con la divisa da tenente, perché non vuole porsi come suo superiore, ma neanche con i suoi vestiti da civile, perché né lui né James in sostanza torneranno mai a essere dei civili. Ha optato per un misto confuso. Proprio come lui.

Lo trova impegnato a sistemare il motore di uno dei fuoristrada della Garrison.

«Ehi,» esordisce, incrociando le braccia al petto.

James alza lo sguardo dal motore e lo fissa con un po' di malcelato fastidio. «Ehi.»

Keith sa che dovrebbe avere un tono più dispiaciuto o più convincente, ma non ci riesce, parla piatto. «Sono venuto chiederti scusa.»

James annuisce, non lo guarda in faccia. «Dispiace anche a me,» usa il suo stesso tono. «Scusa.»

«Ok.»

«Ok.»

«Bene,» sospira Keith. Sta andando benissimo. «Ascolta, possiamo solo...» esita appena, «andare avanti? Sappiamo entrambi che le cose fra di noi non fileranno mai lisce,» bugia, bugia, bugia, «ma possiamo provare lo stesso ad andare d'accordo? Lo so che a volte il mio essere diretto passa come una voglia di provocare, ma non è così, e so che lo sai. Proprio come so che il tuo essere ligio alle regole non è una voglia di mettere i bastoni fra le ruote.»

«Ma ti comporti come se invece tu lo stessi intepretando proprio così,» puntualizza James.

«Lo so e mi dispiace, ok? Non ho il migliore dei caratteri. E non ce l'hai neanche tu.»

«Ok.»

«Ok.»

«Bene.»

«Bene.»

Fantastico.

Keith rilassa le spalle e trae un respiro profondo. Prova incrociare lo sguardo di James con il suo. «E mi dispiace per i tuoi genitori. Davvero.»

James non risponde, ma ricambia il suo sguardo, annuisce e poi resta immobile per qualche secondo a fissare la chiave inglese che ha in mano.

«Hai detto che li hai ascoltati morire,» aggiunge Keith mormorando, «e non capisco... come?» Poi ricorda che si era proposto di essere meno diretto con James, e di conseguenza di avere più filtri. Si morde il labbro. «Scusa, so che suona come una curiosità morbosa...»

James scrolla le spalle e torna a lavorare al motore evitando il suo sguardo. «Non è un grosso segreto qui alla base. In molti erano presenti. È successo quando Sendak ha iniziato a fare prigionieri. Alla base non avevamo molte risorse ed era sempre più rischioso accogliere altra gente, quindi abbiamo dovuto scegliere in quali ultime zone intervenire prima di chiudere le porte. I miei genitori non erano in una di queste zone.»

Keith non sa dove guardare, non sa se sia lecito guardare James dritto in faccia. «Mi dispiace.»

«Sapevamo che quella era una zona ad alto rischio di bombardamenti, perché c'erano vicine delle fonti d'acqua potabile e Sendak voleva metterci con le spalle al muro, quindi li abbiamo contattati, per sapere se riuscivano a trovare un rifugio alternativo. Almeno per farmeli salutare. Hanno fatto fuoco con i cannoni proprio in quel momento.»

James l'ha raccontato col distacco forzato di chi ha rivissuto cento volte un determinato ricordo e preferisce parlarne nel modo più veloce possibile, per passare subito oltre. Sta ancora chino sul motore.

«Mi dispiace,» ripete Keith. Che altro potrebbe dire?

«Non è colpa tua. Sendak l'ha fatto per farvi sentire in colpa, senz'altro, ma non è colpa vostra.»

«Non è neanche tua, se non eri con loro. Questo lo sai?» Keith vede la mano di James stringersi sulla chiave inglese e tremare appena, poi si rilassa.

«Lo so.»

Non è suonato molto convinto, ma Keith annuisce lo stesso. Al posto suo, non sarebbe convinto neanche lui. Per esperienza diretta sa che chi sopravvive, chi resta, troppo spesso si sente in colpa per essere ancora vivo.

«Beh,» sospira forte Keith, «spero che con questo la situazione si sia finalmente chiarita,» e accenna un saluto con la testa per congedarsi, prima che l'atmosfera fra di loro diventi ancora più densa di angoscie passate da portarli a parlare ancora, a condividere ancora.

«Keith?» lo richiama James.

Lui si volta e lo vede fissarlo con un accenno di ghigno compiaciuto sul volto.

«Non pensare mai che io non sia felice di sapere che ci sei proprio tu alla guida di uno di quei Leoni.»

Considerando che anni fa gli aveva detto che era alla Garrison solo grazie a Shiro e non per qualche merito o talento, è un grosso passo avanti.

Keith ghigna a sua volta e lo ricambia. «Non pensare mai che io non sia felice di sapere che ci sei proprio tu alla guida di un MFE.»

Sostengono lo sguardo per qualche attimo con ghigni gemelli, poi Keith si allontana.

Si accorge che per tutta la durata della conversazione non ha pensato che in fondo quello non è altro che L'Inizio, e gli ha fatto bene.





La guerra non si ferma.

Le bestie robotiche di Haggar hanno distrutto un paio di pianeti che prima erano riusciti a liberare, lasciando nell'universo cicatrici eterne. Ogni volta che è successo, Keith e gli altri Paladini sono rimasti abbastanza scossi da non riuscire nemmeno a parlarsi fra di loro per più di mezza giornata, ognuno chiuso nel proprio dolore e trauma.

Fa male perché si erano illusi di avere già salvato quella gente. Fa male perché sono state spazzate via delle intere civiltà e delle intere specie di animali. Fa male perché Haggar si serve di alteani. Fa male perché ormai è chiaro che usa un tipo di alchimia che non le spetterebbe, che solo chi ha uno spirito come quello di Allura dovrebbe usare.

Gli unici due alteani che sono riusciti a estrarre delle bestie sono tenuti in coma, perché risvegliarli potrebbe essere pericoloso visti i deboli segni di vita che danno. È probabile che non riuscirebbero neanche a parlare, prima di morire.

C'è chi vorrebbe provare a svegliarli lo stesso, perché da loro potrebbe dipendere la vittoria su Haggar.

Allura, Coran e Romelle si rifiutano, non vogliono vedere altri alteani morire o essere sfruttati per una Causa Maggiore, non vogliono essere come Lotor.

Keith li risveglierebbe, sa però di essere in minoranza nel suo team, e il suo team lo conosce abbastanza da non chiedergli cosa ne pensa, quindi tace. Ha imparato che il resto dei Paladini a prescindere non accetta le sue decisioni più drastiche o violente, tranne che in rarissime eccezioni. Keith è anche l'unico di loro cinque ad avere ucciso qualcuno in modo diretto, e pensa che questo dica qualcosa.

Keith sa che quando le cose si metterano male per tutti, nel momento più acuto di frustrazione e dolore, gli altri torneranno a rinfacciargli di averli abbandonati per i Blades, e forse gli diranno anche di essere troppo galra per Voltron. Lo sa. E lui rinfaccerà loro a sua volta le loro brutture. Ha imparato però che fra amici è meglio vomitarsi tutto in faccia che fare gli ipocriti.

Il tempo scorre come sudore sulla pelle, Keith sente sempre più spesso l'aria farsi densa alla Garrison.

Acxa si unisce a delle missioni di Matt e degli altri Ribelli sempre più di frequente. A volte Keith non vede né lei né sua madre per quasi un mese. Gli mancano.

Quando lui e Lance tornano da grosse missioni, ormai è prerogativa fare una corsa insieme ai loro Leoni. Non dovrebbero, ma certe volte portano con loro un paio di bottiglie di birra. Lance sa come mantenere i segreti e sollevare il morale del team, quindi dice solo a Keith che ha paura che non vedrà mai l'Impero Galra disfarsi prima di morire.

«Saremo vecchi e sfatti, e Haggar ci sarà ancora,» gli dice serio, fissando la bottiglia di birra che stringe fra le mani.

Keith non può dargli torto, considerando la veneranda età in cui è morto Zarkon. Entrambi ci ironizzano sopra in modo cattivo. L'umorismo di Lance si sta venando di oscurità, e Keith sa che non è un buon segno, ma non riesce a trovare la volontà di correggerlo.

Fra un sorso di birra e l'altro, Lance gli insegna a parlare lo spagnolo, perché più va avanti la guerra, più a volte è necessario che un leader e il suo braccio destro parlino fra di loro una lingua che non tutti conoscono.

Shiro ha fra le mani una grossa fetta del comando della Garrison, oltre al comando sull'Atlas, il che vuol dire che su qualsiasi missione che parte dalla Terra c'è la sua impronta. Keith riesce a riconoscerla benissimo, il che vuol dire che Shiro è sempre con lui per tutto l'universo, ed è una benedizione e una maledizione insieme.

A parte Lance che sa tutto, il team non mostra segni evidenti di sapere che fra lui e Shiro è successo qualcosa, ma Keith non è abbastanza stupido da pensare che ognuno di loro abbia un'ipotesi riguardo certi loro atteggiamenti e sguardi.

Shiro non porta più a galla l'argomento ed evita con discrezione di stare con lui in degli spazi chiusi. Ogni tanto però Keith sente lo sguardo di Shiro addosso come un marchio a fuoco, o mentre è impegnato a parlare con altri nota Shiro alla periferia della sua visuale osservarlo.

Keith vuole solo andare avanti e non essere il sostituto di nessuno.




Quando la rete di comunicazione terrestre è stata tranciata da Sendak, il mondo è rimasto anche senza radio, senza musica.

Iverson ha raccontato a Keith e gli altri Paladini che per fortuna un paio di cadetti e tenenti avevano alla base delle chitarre, e ogni tanto, nei giorni più bui, se ne sono serviti per sollevare il morale alle truppe.

Keith non è mai stato un fan dei locali in cui ballare, ma immaginare un mondo senza musica e senza gente che si ritrova in dei posti per ridere e ballare gli spezza il cuore.

Tuttora alla Garrison ogni tanto organizzano serate in cui i soldati portano i propri strumenti e si balla e canta tutti insieme. È goliardico, in qualche modo ritempra lo spirito.

Keith una sera pensa di invitare Acxa. Lei finora gli ha fatto conoscere delle vecchie canzoni galra tradizionali risalenti al periodo in cui Zarkon era ancora sano di mente. Gliele ha cantate e spiegate. Keith ha così capito perché mai Krolia in quei due anni nel Quantum Abyss gli abbia insegnato l'alfabeto galra e nessuna canzone: parlano tutte di guerra e di come il migliore degli onori sia morire per la patria. Per fortuna non le ha mai usate come ninna nanne quando lui era piccolo.

Come prevedibile, Acxa è davvero stranita dai testi delle canzoni terrestri. Keith prova a non riderle in faccia. Poi Lance e Pidge la trascinano con loro a imparare dei balli terrestri, Keith la osserva prima essere impacciata e poi ridere, e si sente più a casa che negli ultimi mesi.

Ricorda con tenerezza un frammento di passato visto nel Quantum Abyss: suo padre che cercava di insegnare a sua madre i balli lenti terrestri sul porticato di casa loro.

«Il team leader di Voltron crede che sia meglio attenersi al suo ruolo di persona cupa e misteriosa che sta in un angolo, invece di ballare?» lo sorprende la voce di James, carica di sarcasmo.

Keith è seduto su una vecchia cassa, si volta a guardarlo e lo trova in piedi dietro di lui con le braccia incrociate sul petto e un ghigno sul volto. Ghigna a sua volta. «Dicono che è il ruolo che mi riesce meglio.»

James lo fissa scettico e schiocca la lingua. «Andiamo,» lo afferra in modo brusco per un braccio e lo trascina verso gli altri che ballano. Keith non protesta, si rivede parecchio nell'essere diretto di James, gli piace, e sanno ormai entrambi che se fosse stato un altro ad afferrarlo così, Keith lo avrebbe messo al tappeto con una sola mossa.

Quando raggiungono la pista, però, la canzone in corso termina e inizia una ballata molto lenta. Si guardano in faccia parecchio scettici.

«Posso guidare io?» chiede James con rassegnazione, porgendogli la mano.

Keith accetta l'offerta. «Non sono uno che si formalizza in fatto di ruoli.» Qualche secondo dopo, mentre stanno per iniziare a ballare, entrambi si lasciano andare a improvvisi sbuffi di risata senza guardarsi in faccia: quello scambio di battute ha avuto un certo sottotesto che hanno colto in ritardo. James però non lo sta sottolineando, non sta rendendo la situazione imbarazzante, e Keith fa altrettanto. Gli piace.

Poco più in là Allura balla con Pidge, mentre Lance spiega ad Acxa dove si posizionano le mani durante un lento. Keith non può fare a meno di guardarli con affetto.

«Quando si ha una seconda occasione di avere una famiglia, si diventa protettivi in maniera ossessiva e aggressiva, vero?» commenta James, guardando nella sua stessa direzione.

Keith non dubita che lui si stia riferendo agli altri piloti degli MFE, di cui è il leader. James è un sottotenente, ora. «Già,» mormora rauco.

«Credi che loro lo sappiano o lo capiscano?»

«Non sempre,» risponde Keith senza esitare.

«Lo penso anch'io.»

Ballano per un po' in silenzio, ed è confortevole. Keith non si sente fuori posto, tutti e due stanno lì a dondolare sul posto osservando i propri cari divertirsi. Deve essere il tipo di comprensione che lui e James condividono a fargli quell'effetto.

Poi James parla per primo. «Pensi che prima o poi Coran vorrà organizzare un ballo regale in grande stile con la scusa di un evento diplomatico?»

Keith scoppia a ridere. «Può darsi. Ogni tanto ho l'impressione che un po' di regalità e formalità alteana gli manchino.»

«Beh, è decisamente qualcosa che non voglio perdermi.»

«Ma se il buffet sarà alteano, non avvicinarti neanche, fidati.»

Con la coda dell'occhio Keith vede Shiro guardarli da lontano, ma quando punta lo sguardo su di lui lo vede fissare il bicchiere che ha in mano.

Keith si sente in colpa e sa che è assurdo. Non si può etichettare come infedeltà smettere di restare attaccati alla propria cotta adolescenziale non ricambiata. Keith ha più di vent'anni, gli sono stati rubati anni di vita, è un figlio della guerra, merita di godersi cinque minuti di flirt innocente con un proprio coetaneo. Merita di non essere il sostituto di qualcuno.

«Ehi,» lo richiama James. «Tutto ok?» Rispetto a qualche attimo fa, la sua faccia è un po' più vicina a quella di Keith.

Lui deglutisce a fatica e si scuote sorridendo. «Sì, scusa. Dicevamo?»

James non chiede alcuna spiegazione del suo cambio d'umore, accetta la sua deviazione con sorriso che somiglia però di più a un ghigno. «Il cibo alteano.»

«Ah sì. È orribile,» e glielo dice ghignando e fissandolo negli occhi, come a sottointendere che è James a essere orribile.

«Così pessimo? Non l'avrei mai detto. Nutrivo delle speranze.»

Keith fino a qualche settimana fa pensava che il giorno in cui fra lui e James le cose avrebbero preso una certa piega sarebbe successo con violenza, che forse prima di innamorarsi sarebbero stati colti e sopraffatti dagli istinti più bassi e si sarebbero afferrati per il colletto baciandosi nel bel mezzo di una lite. E che il sesso avrebbe preceduto l'amore. Non sta andando così.

Ed è divertente.

Lui e James passano venti minuti buoni a prendersi in giro sorridendo, flirtando con senso di sfida ma con innocenza. Non c'è alcun tipo di tensione fra di loro. Non c'è alcuna sottintesa promessa di fare evolvere quello che stanno facendo: si stanno solo divertendo e basta godendosi il momento.

Da ragazzino Keith si è schiantato contro i sentimenti per Shiro e poi ha lasciato che tutto il resto che lo circondava esplodesse e bruciasse, fino a quando non è rimasto solo Shiro a brillare per lui.

Stavolta invece sta succedendo con lentezza.

C'è ancora l'ombra di una risata sulla sua faccia quando si separa da James e si avvicina agli altri.

Lance gli porge una bottiglia di birra stappata, gli sorride complice. «Amico!» gli dice a bassa voce, lasciando saettare per qualche secondo lo sguardo su James.

«Non una parola,» ribatte, ma ricambia il sorriso. «Per stasera dammi tregua.»

Il ghigno di Lance promette che alla prima occasione avrà molte parole.





Un paio di settimane dopo, Keith riceve un messaggio da parte di James in cui gli chiede di raggiungerlo all'officina meccanica della Garrison.

«Che succede?» domanda Keith, quando lo vede pulirsi le mani con uno straccio. Ha polvere sia sulla tuta che sul viso, Keith non lo dovrebbe trovare sexy. In teoria.

«Togli la mano dal grilletto, nulla per cui tu debba sparare!» lo prende in giro ghignando. «Seguimi!» e gli fa un cenno col capo verso una direzione.

«Oggi ero agli scavi a dare una mano,» racconta James. Il mondo è in macerie, non si smette mai però di scavare per trovare qualcosa di buono che possa essere riutilizzato, o che sia magari un ricordo. «Abbiamo trovato questa,» e con un gesto secco toglie un telo da sopra un grosso oggetto.

Keith sgrana gli occhi. Sono i resti di una Harley-Davidson, in davvero pessimo stato, ma comunque riconoscibile.

«Erano fuori produzione quando mio padre era ancora un cadetto nei vigili del fuoco,» osserva stupito, «lo so perché me ne parlava spesso.» Sua madre è una pilota, ma suo padre provava una certa attrazione per le moto e l'adrenalina. Era destino che lui amasse la velocità. «Com'è possibile che ne abbiate trovate una?»

James si accovaccia davanti alla moto e gli indica dei punti. «Se ci fai caso, ha delle grandi ammaccature e dei grossi danni, però non sembra usurata, anzi. Ipotizzo che fosse di proprietà di un collezionista.»

«Probabile,» concorda Keith inginocchiandosi accanto a lui a guardare. «Pensi che possa funzionare ancora?»

James ghigna furbo e si volta a guardarlo. «Questo è proprio quello a cui stavo pensando e il motivo per cui ti ho chiamato. Qui alla base ci metterei un'eternità lavorandoci da solo. Ti va di lavorarci insieme?»

Keith ghigna a sua volta, sostengono lo sguardo.

Non posso sistemare le loro vite, non possono sistemare il mondo. Ma possono sistemare quella moto insieme.

«Perché no?»





La guerra continua e Keith prova a raccogliere briciole di normalità.

Si gode gli attimi di silenzio in cui è seduto da solo sul pavimento della sua stanza e Kosmo poggia la testa sul suo grembo per farsi coccolare.

Aspetta il ritorno di Acxa da delle missioni per correre nel deserto con lei su una hoverbike.

Osserva l'oceano o vallate dall'alto delle teste di Black e Red quando lui e Lance si concedono uno stacco di un paio di ore dal team e vanno a volare da soli.

Ripara una moto con James e attendono insieme che il motore torni a rombare.

Niente è davvero al proprio posto, ma per la prima volta dopo anni, Keith si ritrova a pensare che la vita può essere fatta anche di momenti semplici come quelli. La vita può essere semplice.

Forse un giorno qualcosa per lui sarà finalmente abbastanza.

«Pensi che Hunk si arrabbierà quando scoprirà che l'abbiamo riparata senza di lui?» chiede James sorridendo per niente dispiaciuto. Ha una chiave inglese in mano e una striscia di grasso nero sullo zigomo.

Keith vorrebbe trascinarlo fino al muro più vicino, baciarlo con irruenza, infilare una gamba fra le sue e spingere. Scuote la testa e gli risponde sorridendo a sua volta. «Potremmo fargli fare un giro per scusarci. Anche se credo che Lance ce la chiederà in prestito per fare un giro con Allura.»

«Per fare colpo su di lei?»

«Sì.»

«Crede davvero di averne bisogno?» chiede James con divertito scetticismo.

Keith scoppia a ridere. «Non hai detto nemmeno tu agli altri di cosa stiamo facendo?» gli domanda quando si calma, cercando il suo sguardo con il proprio.

«No.»

Keith sente il cuore esplodergli in petto. Vorrebbe davvero baciarlo, ma vuole andarci piano.

Andarci piano è bello e fa bene alla salute: lascia gocce di balsamo lungo una vita frenetica.





Haggar manda una delle sue bestie robotiche su Olkarion. Sta per esplodere.

Voltron è ancora troppo lontano per raggiungerlo, non hanno un wormhole a disposizione in così poco tempo. Dal pianeta però dicono che sono riusciti a trasferire su Green tutte le informazioni utili per continuare la Ribellione, va bene così, possono lasciarli andare.

Pidge urla.

Keith e Lance attivano le loro bayard per lanciarsi in avanti con le ali di Voltron e la spada.

«Keith, fermati!» grida Shiro dall'Atlas. «Non potete andare avanti!»

«Non possiamo lasciarli morire!» protesta Pigde, e la sua voce è rotta dal pianto.

«È già troppo tardi, verrete coinvolti nell'esplosione!» spiega Shiro. «Per favore, tornate indietro!» ed è quasi una supplica.

Keith fatica a respirare e ha la vista annebbiata, stringe i denti. Estrae la bayard dal vano. «Ritirata!» ordina.

Pidge non smette di urlare, ma Green, forse per proteggerla, resta attaccata a Voltron.

Evitano l'esplosione per un soffio.

Keith chiude la comunicazione con Green, perché non ce la fa a sentire ancora Pidge piangere e strillare quando ha la testa invasa da demoni urlanti.

Quando atterrano dentro Atlas, Keith sa che dovrebbe togliersi il casco e scendere. Ma non ci riesce.

Si alza, ma i comandi non si spengono, vede intorno a Black attivarsi in automatico la barriera-scudo protettiva. Si toglie il casco e scivola a sedere a terra.

Olkarion non esiste più. Lui è impotente.

Non si sente al sicuro. Niente è al sicuro.

Perché è stato così stupido da credere che la vita potesse essere semplice?

Sente i canini diventare più aguzzi e qualcosa di strano succedere alle sue orecchie. È certo che la sua pelle in quel momento sia viola e la sclera dei suoi occhi gialla.

Sente qulacuno urlare dall'esterno di Black.

Nota una luce rossa lampeggiare nei comandi: Lance lo sta chiamando. Non risponde.

Lampeggia una luce verde, Pidge lo sta chiamando. Non risponde.

Black ha bloccato il mondo esterno per lui.

Poi Black gli fa sentire che qualcuno ha appoggiato una mano sulla barriera protettiva. Keith non sa se farlo entrare, ma Black decide per lui disattivando la barriera giusto per qualche secondo, dandogli il tempo di passare.

Quando James entra ha ancora il casco, Keith lo sente parlare con qualcuno. «Sta bene, credo solo che abbia un attacco di panico. Un attacco di panico galra, a essere precisi.» Poi si toglie il casco per interrompere anche lui la comunicazione con l'esterno.

James si inginocchia a terra di fronte a lui. Non sembra sconvolto dal suo aspetto galra, anzi non sembra proprio sconvolto dalle sue condizioni in generale. È metodico e calmo.

«Keith?» lo chiama senza toccarlo. «Il tuo team sta bene. Tua madre e Acxa stanno bene. L'equipaggio dell'Atlas sta bene. Riesci a capirmi?»

«Sì,» risponde a fatica.

James gli posa con delicatezza una mano sul collo e preme piano la fronte contro la sua. «Respira con me.»

Keith lo fa a fatica e a occhi socchiusi.

Nei lunghi attimi che seguono stanno in silenzio. Quando Keith comincia infine ad avere un respiro regolare, sente la punta di un paio di dita di James toccargli l'estremità di un orecchio a punta. È un tocco affettuoso, di sottecchi vede James smettere di essere del tutto serio e accennare un sorriso tenero.

Keith percepisce i suoi tratti tornare umani, James preme di più la fronte contro la sua e l'uno si aggrappa alle braccia dell'altro.

«Sai cosa non dimenticherò mai?» mormora Keith rauco a occhi chiusi. «Che sono stato io a dare l'ordine. Ho ordinato la ritirata e deciso di non provarci, e Olkarion dopo non c'è stato più.»

«Era già troppo tardi, anche gli abitanti lo sapevano. Anche Pidge lo sa,» lo rassicura James.

«Ma sono stato io a dare l'ordine. Non lo dimenticherò mai.»

«E io ti perdono. Non ce n'è bisogno, ma se necessiti di sentirtelo dire, io ti perdono.»

Keith artiglia le mani sulle spalle di James e si lascia andare a un pianto silenzioso. Qualche attimo dopo la barriera intorno a Black scompare.

Shiro, Lance e Pidge sono i primi a entrare.

Pidge si precipita da lui a terra ad abbracciarlo forte. «Mi dispiace, non ce l'avevo davvero con te! È solo che...»

«Lo so. Mi dispiace.»

«Mi dispiace.» Se lo ripetono all'infinito, anche quando Lance in lacrime si inginocchia accanto a loro e li stringe entrambi mentre James si allontana.

«Sta bene,» mormora James a Shiro, dandogli una debole pacca sulla spalla, prima di avviarsi verso l'uscita da Black.

Shiro non parla, Keith lo percepisce osservarli per qualche secondo per poi sedersi a terra a distanza da loro, quasi per vegliare sul loro dolore.

Kosmo si teletrasporta da loro e li circonda uggiolando piano.

Keith non sa ancora come, ma riusciranno ad andare avanti. Non lo dimenticheranno, ma riusciranno ad andare avanti.





Keith è seduto sulla sua hoverbike a guardare il tramonto tenendo un ginocchio piegato verso il petto. Acxa si sta sistemando il codino sulla nuca lottando contro il vento.

«E se mi stessi innamorando perché so che è il mio destino innamorarmi?»

«E se tu stessi pensando in maniera negativa perché ti è successa da poco una cosa negativa?» ritorce lei, con un sorriso ironico e affettuoso.

«Ok. Forse hai ragione. O forse non ho voglia di farlo innamorare sapendo come andrà a finire.»

«Più di una volta hai deciso di sacrificare la tua vita per salvare quella di altra gente, e pur sapendo che saresti morto niente ti ha fermato dal farlo. Perché?»

«Perché ne valeva la pena.»

«E non pensi che innamorarti pur sapendo che farà male a entrambi non valga la pena?»

Vorrebbe trovare qualcosa da replicarle, ma non ci riesce.





Il ritmo degli attacchi aumenta.

Ricevono una richiesta di aiuto da parte di un pianeta sotto attacco da una bestia robotica a due teste.

Sono a bordo dell'Atlas, i Leoni e gli MFE sono pronti per il lancio.

Keith sta per mettersi il casco e andare da Black, James lo raggiunge e gli stringe una mano sul braccio. Intorno a loro la gente corre per ultimare i preparativi per l'attacco, ci sono degli allarmi che suonano.

«Non fare qualcosa di stupido,» si raccomanda James. Ha un'espressione seria e decisa.

«Sono lucido,» lo rassicura Keith sullo stesso tono. Olkarion è ancora una ferita fin troppo fresca, ma non può sbagliare, non può dare di nuovo quell’ordine.

«Promettimi solo che non farai niente da cui non si può tornare indietro.»

Sostengono lo sguardo assordati dalla sirene.

Poi Keith lo fa, fa qualcosa da cui non si può tornare indietro.

Afferra James per il colletto e lo bacia, e lui artiglia una mano fra i suoi capelli e lo ricambia.

È il primo bacio di Keith.

È come richiamare la bayard e lanciarsi in un attacco in cui si è in inferiorità numerica. È come attivare lo scudo di Voltron e tenerlo su stringendo i denti. È come spingere in avanti sui comandi di Black e urlare di fare fuoco.

Soprattutto, però, è come correre a velocità folle nel deserto in direzione di un dirupo.

È più facile non amare che amare. Quel bacio è la cosa più dannatamente coraggiosa che lui abbia mai fatto in vita sua.

È irruento e bruciante. È una promessa.

Quando si separano, per qualche attimo gli gira la testa.

Le sirene continuano a suonare, Keith sta tornando a sentirle ma non sa quando ha smesso di farlo.

James gli passa un pollice sullo zigomo. «Ritorna.»

Keith gli dà un bacio veloce che sembra di più un piccolo morso e va via.

È fottuto, andrà all'inferno.





Tornano vittoriosi.

I Leoni sono all'estremo delle loro energie, loro sono esausti e troppe volte si sono salvati la pelle a vicenda.

Keith scende da Black togliendosi il casco. Non ci vede molto bene perché il sudore gli brucia gli occhi, si guarda intorno vedendo la gente esultare gridando e agitando le braccia.

C'è chi piange, c'è chi si abbraccia.

Keith non smette di cercare James fra la folla fino a quando non lo vede.

Rimangono a lungo a fissarsi a distanza con sguardo incredibilmente fiero e determinato.

Poi Kosmo si avvicina a lui, Keith lo accarezza e si fa teletrasportare da James, e pochi secondi dopo nella sua stanza privata sull'Atlas.

Kosmo li lascia soli e loro non si parlano. Stringono l'uno le mani sul viso dell'altro e si baciano.

E poi si baciano di nuovo. E ancora.

James ha i capelli umidi alle radici e sa di sudore. A Keith non importa, tiene la mano fra i suoi capelli e gli morde il labbro inferiore.

L'impaccio arriva quando entrambi decidono di togliere la tuta da pilota di James e di staccare i pezzi superiori dell'armatura di Keith. Hanno la vista appannata dal sudore, sono carichi di adrenalina e la loro presa è scivolosa. Non ci riescono. Scoppiano a ridere isterici.

Keith appoggia la fronte sulla spalla di James e lo sente lanciare sulla scrivania un pezzo della sua armatura, forse un copribraccio. «Non ho mai fatto qualcosa del genere.»

«Io sì, tutti i giorni,» lo canzona James. E scoppiano a ridere.

Keith non sa cos'ha fatto di così incredibile da potere avere la gioia di vivere quel momento, ma vuole tenersela stretta.

Quando riescono ad abbassare le zip sulla schiena, tanto da scoprirsi il petto spingendo giù la tuta fino alla vita, e finiscono sul letto l'uno sull'altro con le gambe intrecciate, Keith si separa dalla bocca di James e si solleva da lui solo per un'ultima conferma.

«Vogliamo entrambi la stessa cosa da questo, vero?» accenna allo spazio fra di loro.

James allunga una mano per portargli indietro la ciocca di capelli che gli è finita sugli occhi. «Quando non abbiamo voluto la stessa cosa?» mormora.

Keith si abbassa di nuovo di slancio e lo bacia fino a quando non hanno più fiato in gola.





Non è che lui e James abbiano smesso di litigare da quando stanno insieme, anzi.

L'intimità e la profonda condivisione di calore e conforto hanno abbassato più di una barriera, facendoli sentire più liberi di dirsi delle verità in faccia.

Certi giorni a Keith dà più fastidio del solito che James voglia seguire le regole e ogni protocollo possibile, altri giorni James coglie come una provocazione quella che per Keith era solo un'opinione, anche se detta senza tatto.

A volte sono entrambi stanchi e frustrati, litigano fino ad alzare la voce e in quei casi l'unico modo per rappacificarsi è fare sesso fino a lasciarsi segni addosso.

Ma questa è solo una piccola parte del loro rapporto, e a Keith nonostante tutto piace perché è normale. Le coppie litigano.

Poi c'è quella parte del loro rapporto che lo sta aiutando a riscoprire il suo corpo.

Gli allenamenti con i Blades e il successivo allenamento intensivo con sua madre nei due anni nel Quantum Abyss hanno aperto un canale di comunicazione diretto fra Keith e parti di se stesso che prima, non comprendendole, reprimeva o teneva al chiuso - le sue parti galra. Dopo si è sentito più forte, più sicuro, più padrone di ogni sua singola mossa.

Ora, attraverso il tocco e lo sguardo di James, è estremamente consapevole dei propri punti sensibili e che con le sue mani può non solo dare colpi mortali, ma dare anche piacere. Abbastanza da fare urlare qualcuno e ridurlo in suppliche sconnesse. È un guerriero, ma anche un amante.

E lui e James sono maledettamente competitivi anche a letto.

Certe cose finora le aveva solo immaginate, o pensato che erano cose che facevano gli altri e lui no, perché per lui sarebbe stato impossibile andare oltre il suo primo amore, la sua prima ossessione.

Ora gode appieno di tutte le volte che spinge James a mettersi con la faccia al muro, per poi mordergli la spalla nuda e leccargli la scapola, stringendo una mano sulla sua testa quando lo vede inarcare la schiena. E gli piace puntellarsi sui gomiti per guardare il ciuffo di James solleticargli la pelle mentre gli bacia il petto e il ventre. E gli piace molto anche quando James pone fine alle sue proteste spingendo forte dentro di lui, rivolgendogli poi un ghigno compiaciuto.

E gli è piaciuto quella volta in cui, dopo essersi accorto in pubblico che James lo fissava con insistenza senza un motivo, gli ha chiesto brusco “Che vuoi?” e James gli ha risposto all'orecchio “Il tuo culo”. La scoperta che ogni tanto a entrambi piace usare qualche espressione cruda ha portato il loro rapporto su un altro livello.

Hanno entrambi poco più di vent'anni, fiumi di adrenalina da scaricare e un profondo desiderio di intimità per non sentirsi persi in un mondo cupo e in macerie: provano di tutto, riempiono dei silenzi con rumori di zip che vengono abbassate e incarti di preservativi che vengono strappati con i denti.

E poi c'è quella parte di tenerezza che francamente Keith non credeva avrebbe mai vissuto con qualcuno.

Una sera è tornato in camera sua dopo una doccia e ha trovato Jasmes seduto sul letto in compagnia di Kosmo. Il lupo scodinzolava giocando a tirare la manica di James, e lui rideva e tirava a sua volta. Keith si è seduto con loro e insieme hanno trascorso un'ora a giocare e chiacchierare coccolando Kosmo.

Certe mattine uno di loro scatta alla mensa non appena apre, per prendere il necessario per fare colazione in camera, e James non dimentica mai la marmellata di albicocche, nonostante preferisca la cioccolata spalmabile.

Non sempre però passano la notte insieme per fare sesso, a volte sono esausti dalla giornata appena finita, e Keith si lascia manovrare da James che lo spinge a dargli le spalle per abbracciarlo da dietro; Kosmo si acciambella ai loro piedi e si addormentano così, con James che preme il naso o la bocca sulla nuca di Keith, perché l'ultima cosa che ha fatto prima di addormentarsi è stata baciargli il tatuaggio.

James ha un debole per quel tatuaggio, lo accarezza e lo bacia con una tenera devozione che priva Keith di qualsiasi forza, facendolo arrendere a rilassarsi. James non ha per Voltron la cieca ammirazione che hanno in tanti, non lo venera, ma ne è fiero.

«Credo che bisogna accettare il fatto che se Keith Kogane entra nella vita di qualcuno, ci entra insieme a Black,» gli ha detto James, e Keith qualche ora dopo sotto la doccia ci ha ripensato e pianto sopra stringendo i denti e battendo un pugno contro le piastrelle. Perché prima di allora non aveva mai creduto che qualcuno avrebbe mai accettato ogni singola parte di lui, considerando che nemmeno lui tutti i giorni riesce almeno a farsi piacere ogni parte di sé.

«Ho imparato ad accettare il fatto che certa gente non ci perdonerà mai,» gli mormora James, una notte in cui sono nudi con le gambe intrecciate alle lenzuola, rivolti l'uno verso l'altro. «Possiamo salvare l'umanità, o una civiltà, ma non tutti gli esseri viventi. Alcuni ce l'avranno con noi per sempre perché non siamo arrivati in tempo a salvare qualcuno che amavano.»

Keith gli accarezza il collo. «Quanto tempo ci hai messo ad accettarlo?»

La voce gli trema un po'. «Circa un anno e mezzo dopo la morte dei miei, quando ho smesso di odiarmi perché non ci sono stato per loro.»

Keith si solleva e gli schiocca un bacio languido sulla bocca. Poi cerca nel cassetto del comodino l'ultima delle tre targhette. Gliela mette al collo spiegandogli cos'è, James la fissa stringendola fra le dita.

«Questa guerra è iniziata prima ancora che la nostra civiltà nascesse,» mormora James, «non è mai esistita l'opzione di non prenderne parte, ma possiamo ancora scegliere se combattere per eliminare i nostri nemici o se lottare per avere una vita migliore. Io ho sempre scelto di lottare per avere una vita migliore.» Alza lo sguardo per puntarlo nel suo, ha gli occhi lucidi. «Ti prego, non farmi mai usare questa targhetta, torna sempre da me. Perché so che non avrò mai una vita in cui non ho paura, ma vorrei almeno avere una vita con te.»

Keith gli circonda il viso con le mani, parla con voce roca. «Sono fiero di te,» si limita a dirgli, perché in quel momento non sa se potrebbe reggere il peso di dirgli cosa prova realmente per lui. È tutto troppo intenso.

«Sono fiero anch'io di te, solo... vedi di tornare sempre indietro, ok?» sorride nervoso.

Keith lo bacia, e lo costringe a stendersi sulla schiena per fare l'amore fino a quando oltre ai loro gemiti non sentiranno più niente.

Finalmente lo sa.

Sa cosa vuol dire amare talmente qualcuno da volergli dare la vita che vuole.

Soprattutto, però, finalmente qualcosa nella sua vita è abbastanza.





La gente parla, prende dei sospetti e li trasforma in pettegolezzi spargendoli per i corridoi come veleno.

A molti non piace che Lance stia con Allura, perché “Lei è un'aliena, lui è uno dei nostri, chissà cosa gli avrà messo in testa.”

Ad altri non piace che lui stia con James perché “Lui è un suo superiore, vanno sempre in missione insieme, se la loro storia finisce male ci potranno essere problemi di comunicazione dentro al team. E poi ci potrebbero essere favoreggiamenti.”

Quindi la gente recupera annedoti di quando lui era un cadetto e Shiro il suo mentore, li rielabora e li rimette in circolo.

James non è stupido, ha sempre intuito che il rapporto che c'è fra lui e Shiro è speciale e c'è dietro parecchia storia.

«Ma ti giuro che non è mai successo nulla fra me e lui!» gli dice, un tardo pomeriggio in cui sono rintanati in un corridoio vuoto della base. A un certo punto hanno dovuto parlarne e chiarirsi.

James accenna un ghigno triste. «Ma sappiamo entrambi come ti guarda tuttora.»

«Sì, ma non mi importa! Senti, Shiro farà sempre parte della mia vita, ok, non lo nego, ma da quel punto di vista no, non mi importa!»

«Ne sei sicuro?» e al di là del sarcasmo e del ghigno, nella voce di James c'è una fragilità che Keith detesta. «Perché non credo che potrei mai competere con Shiro.»

«Non devi competere con lui! Perché non sei un suo sostituto. Tu e lui siete cose diverse, e io ho scelto te. Mi credi?»

James esita appena, poi annuisce. «Sì, ti credo.»

Keith lo bacia di slancio e con un pizzico di aggressività, fino a fare sorgere in lui la voglia di competere a chi per prima farà perdere la testa all'altro. Intrufola una gamba fra le sue e spinge il bacino.

Sente dei passi, riconosce la camminata di Shiro. Non si ferma, bacia James col proposito di distrarlo e spinge ancora fino a farlo imprecare e mugolare. Due secondi e non vede e non sente altro che non sia James.

Dopo l'orgasmo, quando riprende fiato poggiando la fronte sulla spalla di James, si rende conto che non sa se Shiro li abbia visti in faccia e per quanto tempo li abbia guardati, perché non ha più prestato attenzione al suono dei suoi passi. Sa però che in fondo avrebbe continuato a baciare James lo stesso chiunque fosse stato, anche se non nega che sapere che fosse Shiro gli ha provocato una sadica soddisfazione.





«Sei un bastardo,» commenta Lance, seduto su Red e sorseggiando una birra.

Keith annuisce prima di bere un sorso di birra a sua volta. «Lo so.»

«Non che io non pensi che Shiro sia una mente candida, eh?» corregge il tiro Lance. «Senti, posso essere un po' lento a volte riguardo queste cose, ma l'ho notato anch'io come ti guarda Shiro da quando stai con James, e non mi piace, perché dovrebbe rispettare il fatto che stai con qualcun altro. E non mi piace neanche che in fondo ti abbia considerato una scelta facile quando aveva bisogno di farsi qualcuno!»

Il linguaggio di Lance sta diventando sempre più crudo e privo di filtri, proprio come il suo umorismo. Keith non lo riprende né lo corregge.

«Lo so,» ripete Keith. «Quando avevamo meno di vent'anni era tutto più semplice, più innocente. Più ingenuo.»

«Facevamo meno sesso, però.»

Keith scoppia a ridere.

«Lieto di avere alleggerito l'atmosfera,» sospira Lance. «A parte ciò, volevo parlarti di una cosa, di una decisione che io e Allura abbiamo preso...» evita il suo sguardo e si gratta la nuca. «Abbiamo deciso di sposarci.»

Keith soppesa la notizia per qualche secondo, poi annuisce serio e beve altra birra. «Bene. Congratulazioni.»

Lance lo guarda oltraggiato agitando le braccia. «Potresti almeno mostrarti un po' più sorpreso ed entusiasta?» sbotta.

Keith ridacchia sputacchiando della birra per sbaglio. «Scusa! È solo che in parte me l'aspettavo. Con un'atmosfera simile, sposarsi è qualcosa di estremo, epico e romantico. Vi si addice.» Ormai possono percepire quanto l'ultimo scontro con Haggar sia alle porte.

«Già,» ammette Lance, afflosciandosi un po'. «Lo facciamo anche per questo, perché... non sappiamo più cosa ci aspetta domani, e ho sempre sognato di costruire una famiglia, sai?» Dio, se Keith lo sa. Dio, se vorrebbe dimenticare quello che ha visto di Lance nel Quantum Abyss. «Quindi... ora o mai più,» sorride con un po' di imbarazzo.
Keith gli stringe una mano sulla spalla. «Sono felice per voi, Lance, davvero, congratulazioni,» ed è sincero, così tanto che gli fa male omettere la verità.

«Grazie, amico. Vuoi essere il mio testimone?»

Gli risponde con ironia. «Pensavo che non me l'avresti mai chiesto.»

Lance ridacchia e gli dà una leggera spinta sulla spalla.

Keith ride con lui e tace.

Lance non avrà il lieto fine che desidera, ma almeno avrà un bellissimo e dolcissimo figlio, e questo in parte rincuora Keith e lo fa sentire meno un bastardo.





Keith sa che in fondo Iverson è un vecchio volpone e non avrà problemi a indirizzarlo dove procurarsi quello che vuole regalare a Lance. Nello stato in cui versa la Terra è difficile procurarsi ciò, ma non impossibile.

Lance non vuole un vero e proprio addio al celibato, vuole solo qualcosa di semplice, un giro di birra con i suoi fratelli e i suoi amici. Forse, prima della guerra avrebbe voluto uno strip club, ma ora gli interessa solo avere i suoi cari vicini.

Allura non sa cosa sia un addio al nubilato. Veronica glielo illustra e gliene organizza uno.

Pidge partecipa sia all'addio al nubilato che all'addio al celibato: si presenta alla festa per Lance dicendo che se riesce a farsi abbastanza tosta e uomo per formare Voltron, è anche abbastanza tosta e uomo per un addio al celibato.

Nessuno ha niente da ridire in proposito.

La sera prima delle nozze, Keith invita Lance a fare un giro sulla hoverbike con lui.

«Testimone, perché sospetto che tu abbia un piano?» chiede Lance ironico quando si fermano nel deserto.

Keith sogghigna e apre un vano della hoverbike, gli mostra una bottiglia di vetro. «Perché ce l'ho.»

Lance sgrana gli occhi e fissa l'etichetta per qualche secondo tenendo la bocca spalancata. «Oh mio Dio. È rum cubano.» Hanno lasciato la Terra molto prima che Lance potesse compiere ventun anni e bere legalmente alcolici, Keith è certo che lui non lo abbia mai bevuto. «Keith, mi stai sul serio suggerendo di prendermi una sbronza con del rum cubano la notte prima delle mie nozze?»

«Assolutamente.»

«Ti amo.»

Si passano la bottiglia ridendo.

Keith è sicuro che la mattina dopo Lance lo maledirà per il post sbornia, ma nessuno dei due se ne pentirà mai di certo.





«... e la prima cosa che la nostra dolce Allura ha detto al nostro adorato Lance è stata...» dice Keith, in piedi con un bicchiere in mano durante il suo discorso da testimone, sfoggiando un'espressione solenne, «”Le tue orecchie sono orrende”.»

«Oh, andiamo, Keith!»





Qualche settimana dopo il piano di attacco finale a Haggar è ultimato.

Keith e James riescono finalmente ad avviare il motore dell'Harley-Davidson e vanno a correre lungo una strada assolata.

Si fermano a guardare il tramonto in prossimità del deserto.

Keith è al posto di guida, sente James infilare le mani nelle tasche della sua giacca e intrufolare il naso nell'incavo del suo collo.

«Ti amo,» gli sussurra, e Keith socchiude gli occhi e prova a memorizzare il suono della voce di James mentre pronuncia quelle parole, prima che il tempo glielo porti via.

Posa le mani su quelle di James, stringendole attraverso il tessuto delle tasche. «Ti amo anch'io.»

«Ti darò la vita che vuoi,» è tutto quello che riesce a pensare.

Sa però che James meriterebbe molto di più.





La battaglia è stremante e dura da più di quarantotto ore.

Quando i Leoni devono ricaricarsi perché i Paladini non riescono più caricarli da soli, si rifugiano sull'Atlas e gli MFE provano a distrarre le navi galra. Non sanno però per quante ore ancora potranno portare avanti questa strategia.

I galra continuano a sorprenderli: ogni volta che distruggono un loro tipo di arma, spunta una nave con un'arma nuova sconosciuta infusa di alchimia alteana.

«E penso che il peggio deve ancora arrivare,» commenta Lance, facendo sfrecciare Red verso l'alto.

«Non vedo però nessun disegno strategico,» osserva Pidge. «Voglio dire, Haggar ci sta lanciando contro qualsiasi arma a sua disposizione, ma non seguendo un senso logico. Sembra piuttosto che stia tirando in nostra direzione qualsiasi cosa le capiti a tiro...»

«Credi che lo stia facendo per guadagnare tempo?» chiede Keith.

«Forse. Magari è troppo distratta da cosa sta preparando per pensare in che ordine usare il suo arsenale.»

«E cosa cazzo starà preparando?» domanda Lance.

La risposta arriva pochi minuti dopo.

Per un lungo attimo sembra che un'onda invisibile stia investendo l'universo inghiottento ogni suono, poi c'è un boato. Proviene dal piccolo pianeta in cui Haggar si è rifugiata. Proprio da lì, dal polo, si espande una luce viola venata di nero che vela del proprio colore ogni cosa nel raggio di chilometri. E infine lo vedono, una gigantesca bestia robotica che si inalza in volo dal pianeta, e da essa si diffonde la voce di Haggar che promette morte e distruzione.

La batteria vivente della bestia stavolta è Haggar stessa. Non è tanto l'aspetto del robot a incutere timore, con le sue otto braccia sottili simili a zampe di mantide religiosa, ma l'aura che irradia.

È come se Madre Natura fosse venuta a reclamare la testa dell'Umanità per punirla della morte della Terra.

E loro sono privi di energie.

«Ragazzi,» dice Keith, perché in quel momento si rifiuta di chiamarli Paladini. Non sono eroi, sono solo dei ragazzi, i suoi ragazzi. «Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa decideremo di fare, non ci sarà modo di tornare indietro.»

«Lo sappiamo, Keith,» lo rassicura Allura.

Segue un breve silenzio-assenso generale.

«Allora, per l'ultima volta, andiamo a formare Voltron.» Nessuna enfasi, solo una profonda e solenne decisione.

Lo sanno che nel bene e nel male quella è l'ultima volta, almeno contro Haggar. Lo sanno che dopo cambierà tutto di nuovo.

Keith può sentire gli altri usare velocemente le proprie targhette, perché questa volta hanno un modo per dire “Addio” e sarebbe stupido non usarlo.

Keith prende la propria targhetta e la usa rapido per inviare ad Axca il codice per attivare il localizzatore che lui e gli altri Paladini si sono fatti iniettare sotto pelle un paio di giorni prima. Non è stato ancora testato, è meglio usarlo con prudenza. Poi forza una conversazione uno dei proprietari delle gemelle della sua targhetta.

Sullo schermo compare il viso di James, che lo guarda sconvolto e sofferente.

Dio, Keith lo ama da morire. Non può combattere per eliminare ogni minaccia esistente, deve lottare per una vita migliore.

«Ti darò la vita che vuoi,» gli dice a fatica.

«Keith, aspetta!»

Keith non aspetta, chiude la comunicazione e mette le mani sui comandi di Black, spingendo in avanti.





Venti minuti dopo, Haggar non esiste più.

Voltron si scompone e i Leoni precipitano.

Keith percepisce a malapena che Black si è schiantata contro qualcosa di roccioso. Non riesce a muoversi, è poco cosciente. Non sente se gli altri sono ancora vivi.

Non ha neanche la forza di gemere, vuole solo stare con gli occhi chiusi.

Un’infinità di tempo dopo, o forse solo pochi minuti dopo, sente una voce femminile chiamarlo disperata dall'esterno. Quando è più vicina, inizia a supplicare piangendo.

«Black, ti prego, fammi entrare! È l'unica persona che mi è rimasta nell'universo, ti prego!»

Keith percepisce Black aprirsi.

Acxa lo raggiunge e inizia a toccarlo con delicatezza, controllando subito la sua testa. «Keith? Keith, riesci a sentirmi? Ti prego, rispondi!»

Keith apre gli occhi a fatica, riesce ad articolare solo un lamento.

Acxa lo guarda e sorride sollevata fra le lacrime. «Ti rimetteremo in sesto. Starai bene.» Keith la vede forzare una comunicazione doppia, sta usando la propria targhetta. Si aprono due schermate, in una c'è sua madre e nell'altra James. «Sono dentro Black, è messo male, ma respira ancora.»

Keith sente James urlare il suo nome.

Riesce a sollevare la mano di solo un centimetro, gli tremano le dita, vorrebbe fargli un cenno ma non ce la fa.

Crolla e cade nell'oblio.





Keith ha brevi e deboli momenti di coscienza in cui sua madre gli dice che è all'ospedale della Garrison e che gli altri Paladini e l'equipaggio dell'Atlas stanno bene. Non ha però abbastanza forza da replicarle se non con dei flebili lamenti, per poi tornare a chiudere gli occhi.

Quando si riprende del tutto e apre gli occhi, la prima cosa che vede è James seduto al suo fianco.

«Ehi,» mormora Keith, sentendosi morire di sete.

James si alza, è serio e furioso. Sale sul letto e lo sovrasta mettendosi a carponi sopra di lui, premendo le mani sul cuscino, ai lati della testa di Keith. Lo fissa negli occhi. «Osi farmi una dichiarazione da cui non si può più tornare indietro per poi subito dopo provare a morire. A seguito ti schianti su un grosso asteroide, ti risvegli dal coma sulla Terra e hai il coraggio di dirmi “Ehi”?»

«Vuoi sposarmi?»

«Certo, idiota. Cos'altro potrei fare?»

Keith, anche se gli fa male la faccia, abbozza un sorriso. «Ehi,» ripete.

«Ehi,» gli fa il verso James, sarcastico.

«Ti amo,» dice finalmente Keith.

«Ti amo anch'io, idiota. Vuoi dell’acqua?»

«Sì, grazie.»





«E il nostro team leader, come primissima dimostrazione d'affetto nei confronti del nostro amato James,» proclama Lance al suo discorso da testimone, reggendo un bicchiere in mano e agitando un dito con aria solenne, «ha pensato bene di asfaltare il suo risultato al videogame che gli avrebbe permesso l'accesso alla Garrison Galaxy.»

«Oh, andiamo, Lance!»





Keith ama svegliarsi e vedere che la mano che tiene le dita intrecciate alle sue sopra il suo petto indossa una fede nuziale uguale alla sua.

Non sa davvero come sarebbe la sua vita senza James che il lunedì mattina prova a svegliarlo prima tempestandogli la nuca di baci, e poi facendolo leccare da Kosmo, se ancora tarda ad alzarsi.

Lui e James sono due giovani uomini con nel cuore ancora un pizzico di voglia di fare cose folli e adolescenziali come il tempo non ha permesso loro, e con lo spirito pesante da veterani. Keith ama ogni singola parte di loro due insieme.

C'è ancora l'intero universo da ricostruire, e l'eliminazione di Haggar ha creato un nuovo vuoto nell'Impero Galra: ci sono altri generali avidi di potere a cui tenere testa e impedire di dominare pianeti innocenti.

Gli alteani salvati sono pochi e molto giovani. Sono riusciti a fatica a fare riprendere loro coscienza e ora Allura e Coran sono alle prese con la seria domanda “Come salvare la civiltà alteana?”

La famiglia Holt, invece, è alle prese con l'idea di costuire cinque nuove navi spaziali, grandi abbastanza per ospitare ciascuna almeno un Leone e un MFE. Il presupposto è creare una sorta di base operativa mobile per ogni Leone, per avere un punto d'appoggio e un equipaggio di supporto quando un singolo Paladino va in missione: ora che possono tirare un sospiro di sollievo c'è più tempo per costruire e ideare nuove cose, e alla ricostruizione dell'universo in effetti potrebbe servire qualche nave in più.

«Queste sono Uranus, Perses, Oceanus e Gaia!» annuncia Pidge, allungando i progetti rispettivamente verso Keith, Lance, Allura e Hunk. «La mia è Demeter!» aggiunge con un ghigno compiaciuto.

Keith non può fare a meno di accarezzare con la punta delle dita il progetto dell'Uranus provando una tenera malinconia.





«Vorresti fare parte dell'equipaggio dell'Uranus?» propone Keith ad Acxa, un tardo pomeriggio in cui sono tornati finalmente alle loro corse nel deserto. «Beh, è ancora in costruzione, ma mi piacerebbe davvero averti con me.»

Se Pidge può portare con sé tutta la banda dei Ribelli di Matt, lui si può portare Acxa e tutti i Blades che vuole.

Acxa piega le ginocchia verso il petto e sorride con una morbidezza che la vita lontana da un'ambiente rigido e prettamente militare le ha regalato. «Mi piacerebbe, ma non so se sarei subito disponibile...»

Keith inarca un sopracciglio. «In che senso?»

«Voglio avere un figlio.»

Keith si sente un po' stupido, ma la prima domanda che pone è: «Come?»

«Ho chiesto dei consigli a Sam e Allura, perché mi piacerebbe che il padre fosse un terrestre,» gli spiega. «Di solito i galra puri non hanno problemi a generare ibridi, noi due ne siamo una dimostrazione, ma visto che io sono un'ibrida non so se ciò creerà problemi... Ne ho parlato anche con Krolia e Kolivan, loro mi hanno consigliato di fare prima dei test, anche se pensano che sia fattibile, seppur con qualche difficoltà.»

«Quindi ricorrerai a un... donatore?» chiede Keith.

«Sì.» Sorride imbarazzata. «Pensi che sia egoistico da parte mia volere un figlio?»

«Non ho mai pensato all'avere dei figli,» ammette lui, «non ho proprio mai valutato la scelta di averli o meno, quindi non me la sento di giudicare.»

«Quando tu eri in coma, ho ripensato al nostro essere figli della guerra. Sulla Terra però tutto sta ricrescendo, presto sorgerà una generazione che non conoscerà il dominio di Zarkon e Haggar, o Lotor. È tempo di ricrescita, di risanamento, e io stessa mi sto risanando e crescendo. E capendo meglio me stessa. Voglio la possibilità di creare una famiglia.»

Keith le sorride con affetto. «Sarai una madre splendida.»

Acxa lo guarda negli occhi e capisce. «Lo hai visto nel Quantum Abyss, vero?»

Il sorriso di Keith si allarga. «Sì.»

«Non voglio sapere se sarà maschio o femmina,» lo ferma subito.

«Ok, avrò la bocca cucita.» Si alza dalla propria hoverbike per andare a sedersi accanto a lei e mettere un braccio intorno alle sue spalle. «Sappi però che non ho mai visto il padre, o meglio non ho mai capito chi sarà.»

«Forse il donatore vorrà restare anonimo,» ipotizza lei.

«Vedremo.» Le bacia una tempia. «Andrà bene,» la rassicura. «Starete bene.»





I genitori di James erano due fisioterapisti e massaggiatori.

James massaggia divinamente.

Keith è steso a pancia in giù sul letto, si sta facendo sciogliere parecchi nodi ai muscoli da James, e tiene un braccio a penzoloni per fare i grattini a Kosmo, che scodinzola felice.

«Un po' più a destra...»

«Penso che tu mi abbia sposato solo per questo, per i miei massaggi. Mi sento ferito.»

«Adesso leggermente più a sinistra. Ecco, così!» si lascia andare a un lungo sospiro di sollievo.

«Sei una persona orribile.» Poi si stende sopra Keith facendo pressione sulle sue spalle, per non farlo girare. «Ho bisogno di parlarti,» gli mormora, e dal tono della sua voce traspare un po' d'ansia. Quando James deve dirgli cose importanti che lo fanno sentire fragile, evita sempre di guardarlo in faccia. Come la prima volta che gli ha detto “Ti amo”.

Kosmo si teletrasporta via, lasciandoli da soli.

«Che succede?» domanda Keith apprensivo.

«Sto pensando di propormi come donatore ad Acxa.»

Keith resta senza parole.

«Non ne ho ancora discusso con lei,» aggiunge James veloce, «volevo prima parlarne con te. Acxa è parte della tua famiglia, e noi siamo sposati, quindi so che le cose potrebbero essere un po' complicate o imbarazzanti...»

«Fammi girare,» gli chiede con gentilezza. Si tira su a sedere e James si sistema a cavalcioni sulle sue gambe, sta evitando ancora il suo sguardo. «Vuoi un figlio,» afferma sicuro, «e noi non siamo esattamente una coppia fertile...» ironizza.

«Ascolta, lo so che...»

Keith lo ferma. «Le cose possono diventare complicate o imbarazzanti solo se noi permettiamo loro di diventarle, ok? Vuoi un figlio, lo capisco.» James è stato privato troppo presto della sua famiglia, e adesso è un uomo sposato con una carriera stabile, in un mondo finalmente un po' più in pace, e sente parlare spesso Lance e Allura di avere figli... è un desiderio che cova da chissà quanto.

«Sarà Acxa a crescere il bambino,» sottolinea James.

«Lo so, ma tu sarai il padre e non vuoi essere anonimo, vuoi fare parte della sua vita e sappiamo benissimo che Acxa te lo permetterà. Tu e tuo figlio sarete un unico pacchetto, e voglio che tu sappia che io lo so, lo capisco. Avrai il mio sostegno.»

James lo abbraccia di slancio, lui lo ricambia sbuffando un sorriso contro la sua spalla.

«Dio,» mormora Keith, «sarà davvero parecchio strano. Ma anche incredibilmente bello.»





Il primo tentativo di inseminazione artificiale non va a buon fine, e Acxa e James ne sono distrutti, ma il secondo va bene, e quasi quattordici mesi dopo quella conversazione sul letto, James è in piedi in una stanza d'ospedale che sorride tenendo fra le braccia suo figlio.

Quel bambino è bellissimo e perfetto, ha la carnagione dello stesso colore di quella di James e i suoi stessi occhi, mentre le orecchie e il taglio del viso sono quelli di Acxa. Ha i capelli castani in cima alla testa e blu sulla nuca.

Acxa è esausta ma sorridente, è seduta sul letto con un cuscino dietro la schiena e Krolia la sta aiutando a raccogliersi i capelli per legarli.

Allura è al settimo mese di gravidanza e fatica a muoversi, però ha mandato Lance a consegnare il suo regalo: è un elmo tradizionale galra, come quelli che i guerrieri indossavano quando Daibazaal prosperava ancora sotto un Zarkon lucido e innamorato di Honerva. Allura ha pensato che Acxa avrebbe apprezzato qualcosa di tradizionale per commemorare la nascita, e Acxa in effetti sembra avere gradito. Del resto, Acxa ha preso accordi con Kolivan per organizzare una sorta di battesimo galra, che suona perlopiù come una presentazione del piccolo alla comunità, e Keith è molto curioso di vederla, anche se ha visto sua madre diventare malinconica quando ne hanno parlato, forse perché lui non ha avuto alcuna cerimonia quando è nato. Ma non gliene fa affatto una colpa.

«Allora,» chiede Lance sorridendo, osservando James rimettere il bambino fra le braccia della madre, «alla fine che nome avete scelto per il piccoletto fra quelli che avevate in mente?»

Keith, seduto sul letto accanto ad Acxa, inarca un sopracciglio. «Avete già scelto un nome?» E ne hanno già parlato alle sue spalle, a quanto sembra.

Lance incrocia le braccia al petto e lo fissa per nulla impressionato. «No, aspetteranno che lui sia pronto a dire come vuole essere chiamato.»

James, alle spalle di Keith, si lascia sfuggire una risata divertita, Krolia scuote la testa sorridendo con affetto.

Acxa osserva il bambino lasciando che le stringa un dito nel pugnetto. «Henry.»

«Henry?!» si sorprende Keith.

Lei annuisce continuando a fissare il figlio. «È breve, semplice, comune sulla Terra. Lance mi ha detto che così gli altri bambini non lo prenderanno in giro.» Lance annuisce fiero del suo suggerimento. «Pidge ha aggiunto che sulla Terra c'è un eroe di fantasia con un nome simile. E ha due consonanti diverse una dopo l'altra, proprio come nel mio nome. Mi piace.»

James scoppia in una fragorosa risata divertita. «Sapevo che avresti fatto una faccia simile!»

Keith si aspettava un nome altisonante da guerriero galra, ma tace, perché ha l'impressione che altrimenti Lance e James potrebbero prenderlo in giro per l'eternità.

«Henry Keith Griffin,» dice Acxa accarezzando la testolina del piccolo.

Lance sgrana gli occhi. «Aspettate! L'avete chiamato Henry Keith?! Ma suona simile a Hello Kitty!» esclama basito.

Acxa lo guarda confusa. «Chi è Hello Kitty?»

Keith capisce subito che quella giornata non finirà mai.





Alfor Takashi McClain ha gli occhioni e le orecchie della mamma e la carnagione e i capelli lisci di papà, anche se bianchi. I suoi marchi alteani sotto gli occhi sono lilla.

«Awww, guardate quant'è carino il mio Alfie!» sorride Lance, dondolando in braccio il proprio figlio. Sono nel corridoio dell'ospedale appena fuori dalla stanza di Allura, aspettano che finiscano di visitarla. «Speriamo che in futuro non prenda il temperamento del suo padrino.»

Keith gli rivolge un'occhiata annoiata. «Sei ancora in tempo per cambiare idea, sai?»

Lance schiocca la lingua e riprende a sorridere. «Nah! Allura teneva al nome di Shiro, ma io in cambio ho scelto il padrino. Sentiti onorato!»

«Sto sprizzando gioia da tutti i pori.»

«Ehi, Pidge!» esclama Lance, entusiasta. «Tu non hai ancora preso in braccio il mio piccino, lo vuoi? Guarda quant'è carino!»

«Spiacente, sono allergica ai bambini.»

«Questo è impossibile!» Lance suona oltraggiato. «Usi sempre la scusa dell'allergia! Hai detto di non volere Kosmo su Green perché sei allergica ai cani, e poi abbiamo scoperto che sulla Terra avevi un cane!»

«Non farmi suonare come una persona orribile.»

«Hai appena detto che sei allergica ai bambini. I bambini! La prossima volta a cosa sarai allergica, ai gattini?»

Keith sospira stanco e toglie Alfie dalle braccia di Lance, lasciandolo continuare a battibeccare animatamente con Pidge.

Alfie è tranquillo e ignaro fra le sue braccia. Crescerà dolce e fragile, ma Keith sarà lì a proteggerlo e a essere il suo confidente.





Keith finisce di abbottonarsi la giacca con i gradi di capitano sulle spalle guardando il suo riflesso sullo specchio interno dell'armadio.

Non sa davvero se se lo merita, non sa se davvero ha salvato tutte le vita che è stato possibile salvare, o se ha salvato quelle che i suoi errori nonostante tutto gli hanno permesso di salvare.

Si è di nuovo tagliato i capelli. Sembra più vecchio. Sembra davvero un veterano.

Chiude l'anta e nota James. Lo sta osservando stando appoggiato di fianco allo stipite della porta della camera da letto. È scalzo, i boxer che indossa sono suoi e la maglia di Keith, ha un bicchiere di succo di frutta in mano e un ghigno sul volto.

«Hai idea di quanto mi piaccia dirti “Sissignore” davanti a tutti?» gli dice James. «Specie se la sera prima sei stato inginocchio ai miei piedi...»

Keith ostenta indifferenza e gli ruba il bicchiere dalla mano. Albicocca, prevedibile. «Non dovresti andare a prepararti anche tu?»

James non smette di sorridere, si avvicina a parlargli all'orecchio. «Stasera quando torni a casa non toglierti subito la divisa. Voglio scoparti così.»

Lui inarca un sopracciglio. «Chi l'ha detto che sarò io a essere scopato?»

James sembra ancora più soddisfatto. Keith vorrebbe spingerlo sul letto e scoparlo lì e ora.

E invece va a visitare per la prima volta l'interno dell'Uranus.

La guerra è brutta, ma la lotta è parte dei galra e quindi anche parte di lui, e gli piace. Non sa quante volte a bordo di Black ha urlato di fare fuoco, non sa quante altre volte in futuro lo urlerà a bordo dell'Uranus, ma per quanto sia poco carino da dire, il brivido della caccia e della lotta gli piacciono. Per questo è orgoglioso dell'Uranus. Non del suo nuovo grado, ma della sua nave sì.

Sam Holt lo guarda comprensivo, ma anche poco segretamente fiero di vedere che il suo lavoro gli piace. «Capitano Kogane, il ponte di comando dell'Uranus è suo.»

Keith ghigna: lo aspettava da una vita.

   
 
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