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Autore: Roiben    16/10/2018    2 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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chapter 08. Losses



DETROIT

Date

NOV 13TH, 2038


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CYBERLIFE TOWER

Belle-Isle

Floor -44

Time

PM 09:45



Hanno da poco terminato gli ultimi controlli sull’unità celebrale. Per il giorno seguente è in programma il primo collaudo del nuovo prototipo. Uno dei tecnici più giovani, per festeggiare degnamente il raggiungimento dell’obbiettivo, si è lungamente divertito nel modificare il colore dell’epidermide e dei capelli dell’androide, almeno fino a quando il capo dell’equipe ha minacciato di spedirlo in vacanza per i prossimi dieci anni; ferie non pagate, ovviamente. Il risultato è stato che ora lo sfortunato oggetto di studi e sperimentazioni sfoggia una carnagione non poi così dissimile dall’originale colore del suo rivestimento esterno e un’improbabile chioma azzurra, fatto che comunque non sembra dare troppo pensiero a nessuno dei presenti, neppure al rigido professor Phillips, ma anzi concorre a rilassare l’atmosfera e l’animo del personale; quindi, perché no? E in ogni caso il prototipo non verrà attivato che al momento del collaudo e fino ad allora nessun altro avrà l’opportunità di visionarlo; per quel momento tutto sarà perfettamente in ordine.


*


Phillips, esasperato, ha dovuto cacciare fuori praticamente con la forza la maggiorparte dei suoi tecnici, ormai decisamente brilli e su di giri, per evitare che combinassero qualche guaio. Ora quegli stessi tecnici, che hanno deciso all’unanimità di continuare a festeggiare a oltranza, si sono spostati in una massa indisciplinata nella sala ricreazioni, saccheggiando le già esigue scorte di alcolici permesse dall’azienda, mentre le porte del laboratorio sono state ben chiuse e le luci spente. Le uniche fonti luminose sono quelle bianco-azzurrate provenienti dai computer, costantemente al lavoro, e dagli impianti di sicurezza ed emergenza, controllati dai computer stessi.


In un momento imprecisato di quella notte, nel buio disomogeneo si accende un nuovo, tenue bagliore ambrato. Palpebre sintetiche si sollevano con lentezza e due occhi grigi osservano nelle profondità più oscure del vasto locale, registrando nel proprio database la presenza delle macchine, i loro incarichi e le loro informazioni. Un breve comando non verbale lo disconnette dall’ingombrante cavo di alimentazione e un secondo comando schiude di fronte a lui un passaggio attraverso la gabbia trasparente all’interno della quale riposava.


Qualche passo di prova gli conferma la corretta equilibratura del sistema motorio e lo porta nelle vicinanze di una scrivania appartenente, evidentemente, a un essere umano; posati sopra il ripiano nota varie suppellettili con differenti gradi di utilità, fra le quali riviste, fotografie, appunti, una pianta grassa e un pacchetto di gomme da masticare. Il suo impianto visivo individua ed esamina altre similari postazioni e si sofferma sulle immancabili fotografie che sembrano attrarre maggiormente il suo interesse.


Allunga una mano per raccoglierne una tra le tante e tentenna, studiando il proprio braccio, le lunghe dita, il polso nodoso, il palmo liscio. La luce ambrata gira elaborando congetture, informazioni e pensieri. Questi ultimi, in particolare, sembrano turbarlo, e su uno di essi si sofferma più a lungo: perché il suo braccio appare così diverso da quelli che vede nelle immagini fotografiche?


Si decide ad afferrare una cornice contenente l’immagine statica di un gruppo di umani (famiglia, lo informa il suo database). Poi, senza fretta, si sposta muovendosi per il laboratorio e soffermandosi di tanto in tanto su altri particolari che incontra sulla propria strada, fino al momento in cui incappa per puro caso di fronte a un armadietto da parete, uno di quelli normalmente adibito allo stivaggio dell’abbigliamento da esterno, il quale presenta una superficie particolarmente ampia e lucida, tanto da poter riflettere con agio l’ambiente circostante. Lì di fronte si blocca, studiando con cura e interesse ciò che vede, senza tuttavia comprendere completamente. Solo quando allunga nuovamente una mano per accertarsi della natura di quanto sta esaminando visivamente si rende conto che si tratta di un riflesso, l’immagine speculare di sé stesso. Allora ritira la mano e reclina il capo di lato, confuso.


Non solo il suo braccio è differente, ma tutto il suo essere lo è. Il suo corpo, tanto per cominciare, è uniformemente bianco e non è ricoperto degli stessi indumenti che ricoprono i corpi degli umani presenti nell’immagine che ancora regge fra le dita. La superficie del suo corpo è levigata e senza sfumature, nonché del colore sbagliato, e in cima ha qualcosa di setoso e sottile al tatto, di un colore che non ha riscontrato in nessuna delle immagini viste finora.


Riflette, pensieroso, e mentre riflesse i suoi occhi individuano nuove discordanze e anomalie: un piccolo cerchio luminoso sulla tempia, nessuna presenza di peli né ciglia né sopracciglia. Stringe le labbra, bianche anch’esse, e non sa cosa pensare. L’unica deduzione logica che può trarre dalle informazioni in suo possesso e dal risultato delle sue recenti osservazioni è che, al contrario dei soggetti ritratti, lui non è affatto umano. Ma la vera domanda, quella che più gli preme, è: perché questa deduzione lo fa sentire tanto a disagio e fuori posto?


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CANADA

Date

NOV 13TH, 2038


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CHATHAM-KENT - ONTARIO

470 McNaughton Ave

Time

PM 08:38


Da ormai svariati minuti lo vede con le dita affondate nei capelli e il volto seppellito fra le braccia e le ginocchia. Ha atteso, nella speranza di trovare il modo per essere di aiuto, ma nessuna idea è ancora venuta in suo soccorso e Hank decide infine di accantonare qualsiasi ragionamento e farsi avanti. Con cautela poggia una mano sulla schiena curva dell’androide, poi la fa scorrere fino a stringergli una spalla.


«Connor» bisbiglia, cercando per quanto possibile di non peggiorare la situazione.


Lo vede scuotere la testa e strattonare appena i capelli.


«Avevo promesso di portar loro rinforzi» ringhia a bassa voce. «Invece… li ho abbandonati nel momento in cui maggiormente avrebbero avuto bisogno di aiuto».


«Questo non è vero» protesta Hank. «Non potevi certo prevedere che sarebbero stati attaccati durante la tua assenza» fa ragionevolmente notare.


«È stato lui, non è vero?» chiede improvvisamente Connor con voce spezzata.


Hank sa bene di chi sta parlando, ma non è altrettanto certo di poter trovare il fiato sufficiente per dargli anche quella risposta.


«Lo ha fatto l’altro RK800, è così?» insiste.


«Io… credo di sì» soffia Hank, comprendendo di non avere altra scelta.


Un lungo, violento brivido scuote il corpo dell’androide. Solleva la testa, serra le dita contro il tessuto dei pantaloni; i suoi occhi sono strettamente chiusi.


«Avrei dovuto strappargli il cuore» sibila in tono rauco.


Scuote mestamente il capo. «Avreste finito con il farvi a pezzi a vicenda, invece» replica, nel tentativo di riportarlo alla ragione.


Lui finalmente apre gli occhi e lo fissa con durezza. «E con questo? Gli altri, per lo meno, sarebbero ancora vivi. Avremmo avuto qualche… speranza».


«Connor» prova, incerto.


«Che cosa resta, ora? Che cosa mi rimane? Sono da solo, in un mondo in cui al minimo dubbio di malfunzionamento le persone ci gettano via come fossimo utensili rotti. Loro… erano ciò che di più simile a una famiglia potessi avere, e non ci sono più. Cosa farò? Che cosa… Cosa sono, io? Solo una macchina rotta? Hank…» geme, a occhi spalancati.


Con decisione e forse un po’ troppa energia lo afferra per le spalle e lo scrolla, obbligandolo a guardarlo negli occhi.


«Non dire stupidaggini, ragazzino. Non sei una macchina rotta. Tu sei Connor, sei il mio collega, e sei mio amico. Non sei affatto da solo, mi hai capito?» sbotta, preoccupato.


Lo sforzo che deve fare per piegare le labbra in uno stentato sorriso è tanto palese da spezzargli il cuore.


«Non voglio metterti nei guai» protesta debolmente.


«Ah, figurati: ormai sono un vecchio cliente affezionato. I guai mi conoscono bene» sdrammatizza al meglio delle sue possibilità.


China il capo. «Non so che fare» ammette sconfortato. «Ho paura, Hank».


Anche Hank trema, lievemente. Lo afferra per la nuca e lo trae a sé.


«Nessuno ti toccherà, ragazzino. Non glielo permetterò» assicura, con una certezza che non sa da dove gli provenga.


Lo sente annuire, titubante ma in qualche modo rassicurato. È allora che comprende quanto realmente abbia intenzione di spingersi oltre; macchina o meno che sia, se proveranno a strapparglielo dalle mani lui strapperà loro le mani e rimarrà a guardarli fino a che non avranno perduto la vita, proprio come lui ha perduto una parte della propria.


«No, nessuno ti farà del male, te lo prometto» mormora, senza mai smettere di stringerlo a sé.


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DETROIT

Date

NOV 14TH, 2038


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CYBERLIFE TOWER

Belle-Isle

Floor 43

Time

AM 10:25


Un segnale acustico riscuote l’uomo dai suoi complessi pensieri. Da una tasca interna della giacca estrae un telefono e, dopo aver aggrottato le sopracciglia alla vista dell’identità del chiamante, si decide ad aprire la comunicazione.


«Kamski» esordisce asciutto.


Per alcuni lunghi istanti rimane in silenzio ad ascoltare, l’espressione corrucciata da principio, poi sorpresa. Infine un lieve ghigno storce le sue labbra.


«Capisco. Tenetemi informato» ribatte, senza modificare di una virgola il tono. «Ne sono consapevole. Ci terrei comunque a rammentarle che la sorveglianza dell’area non è di mia competenza. Sta forse cercando di dirmi che il laboratorio e la zona circostante erano sguarniti?» insinua con una nota maligna nella voce. «Bene, attendo senz’altro di conoscere gli sviluppi della faccenda. Naturalmente. Immagino lei sia cosciente di quella che potrebbe essere la reazione del consumatore medio a una notizia come questa, dico bene?». Chiude gli occhi, espira lentamente e si lascia sfuggire un piccolo sorriso che ha tutta l’aria di essere di felicità. «Indubbiamente. Attendo al più presto una sua chiamata con qualche buona notizia» replica, prima di chiudere il collegamento.


Riapre gli occhi e li solleva sull’androide ancora ben assicurato al tavolo. Il suo sorriso diviene palesemente soddisfatto.


«Le cose si fanno interessanti» commenta appagato.


«Per te, forse» borbotta Markus con acidità.


«Anche, certamente. Ma non solo. Penso, tutto sommato, tu possa considerarlo un mio dono».


Markus socchiude gli occhi, sospettoso. «Che cosa hai fatto?» indaga innervosito.


Una lieve risatina divertita lo fa rabbrividire. «Nulla di che. Ho solo reso un po’ più interessante il nuovo prototipo».


*


Markus è silenzioso. Da qualche minuto ha distolto l’attenzione da quell’umano imprevedibile, usando il tempo per riflettere. Non è ancora sicuro del motivo reale per cui si trova lì, praticamente prigioniero in casa del suo stesso creatore, ma è invece certo che non ci sia nulla di buono in vista; l’uomo, Kamski, è un mistero imperscrutabile e una creatura infida. Sembra trovare giovamento e diletto nel manipolare gli altri, soprattutto gli androidi. E quel prototipo di cui vaneggiava poco fa lo preoccupa. Che intenzioni avrà? Intende usare anche quello per i suoi scopi? Che cosa dovrà aspettarsi per l’immediato futuro? Tutte ottime domande, peccato non avere risposte al riguardo.


«Sei preoccupato».


La voce dell’uomo lo ripesca d’un tratto dalle sue elucubrazioni. Si tratta di una constatazione, si rende conto, nemmeno di una domanda.


«Lo saresti anche tu, al mio posto» obbietta, cercando di mantenere una calma quanto più distaccata possibile.


«Forse sì. Le informazioni in tuo possesso non sono sufficienti a darti un quadro preciso della situazione, e questo ti rende nervoso».


«Stai cercando di psicanalizzarmi?» lo deride.


«Affatto. Raccolgo dati» commenta sereno. «Dimmi, ti piacerebbe avere qualche informazione in più su cui lavorare?».


Markus lo fissa interdetto, poi assottiglia gli occhi. Gli sputerebbe in faccia più che volentieri, se solo fosse dotato di salivazione.


«Non starò al tuo gioco. Ne ho abbastanza dei tuoi deliri senza senso. Se vuoi puoi benissimo distruggermi, a questo punto non cambierebbe nulla: non ho più un vero scopo e continuare a esistere non avrebbe alcun senso».


Come spesso è accaduto da che si è ridestato, non ottiene il risultato sperato. L’uomo accenna un leggero sorriso per nulla offeso né preoccupato; si direbbe, anzi, discretamente soddisfatto.


«C’è tempo per quello. Non è giunto il momento, non ancora. E c’è molto da fare, prima che giunga».


Oh beh, favoloso! Così ora anche la speranza di smettere di esistere è svanita. Fintanto che sarà bloccato a quel modo non avrà alcuna possibilità di liberarsi dall’assillo di quell’uomo né tantomeno di sé stesso e dei propri… sentimenti. Inizia a pensare che siano più una maledizione che altro, soprattutto da quando ha scoperto che i suoi compagni sono stati eliminati. L’uomo ha parlato di un cacciatore, e Markus ha incrociato la strada di un solo cacciatore di devianti: Connor. Pensava si fosse deciso a stare dalla loro parte, ma evidentemente si sbagliava. Ha fatto male a fidarsi di quella macchina, e la sua decisione affrettata è costata l’esistenza dei suoi amici e di colei che amava.


«A cosa stai pensando?» lo reclama ancora una volta al presente l’uomo.


Storce il naso, infastidito. «Non credo debbano essere affari che ti riguardano» replica acido.


«Può darsi. Ma non ti è venuto in mente che potrei esserti di aiuto?».


«No. Non c’è proprio nulla che tu possa fare per aiutarmi. La mia gente è stata sterminata, non vedo via d’uscita. A meno che tu non sia disposto a farmi mettere le mani su quel cacciatore. Lo faresti?» si informa, un pizzico interessato dalla prospettiva.


L’uomo lo osserva con interesse, poi scrolla il capo. «Mi rincresce, ma non ho possibilità di fare molto al riguardo. Ha già provveduto a disattivarsi da sé».


Markus solleva le sopracciglia, sorpreso e interdetto. «Da sé? Ma… che senso ha? Avevo avuto l’impressione che volesse continuare a esistere, missione o non missione» riflette a voce alta, suo malgrado turbato.


Ha un’espressione meditabonda, mentre soppesa le parole dell’androide nella propria mente, fino a dar loro il senso corretto. Allora sorride, divertito.


«Sei in errore, amico mio. Parliamo di due differenti androidi» fa notare, quasi con allegria, molto fuori luogo data l’attuale situazione.


«Due? Che significa, due? Credevo che Connor fosse un prototipo» obbietta Markus.


«Lo è. O, per meglio dire, lo era. Ciò che forse non sai, e che sospetto sappiano in pochi, è che la Cyberlife ha assemblato diversi esemplari dello stesso modello. Se l’esemplare precedente fosse stato impossibilitato a portare a termine la missione, un backup delle informazioni immagazzinate sarebbe stato trasferito all’interno dell’esemplare successivo, il quale ne avrebbe preso il posto, proseguendo l’incarico lasciato in sospeso. Ora, vedi, normalmente il predecessore doveva essere disattivato per sbloccare l’attivazione del successivo, ma tu hai in qualche modo spezzato la catena degli eventi, impossessandoti (per così dire) di uno degli RK800. Così la Cyberlife si è vista costretta a scaricare l’ultimo backup a disposizione in uno degli esemplari non ancora attivati e mandarlo a sistemare la faccenda» racconta, con tono appassionato.


Nel mentre Markus lo ascolta, allucinato, e il suo disprezzo per quella gente senza scrupoli si impenna vertiginosamente.


«Che figli di puttana!» sbotta, facendo sghignazzare impunemente l’uomo.


«Hai proprio ragione» commenta Elijah, serafico e soddisfatto.


«E Connor? Voglio dire: il nostro Connor?» si affretta a chiedere a quel punto, colto da un gran brutto presentimento.


«L’RK800 deviante? Su di lui ho scarse informazioni, purtroppo. L’ultimo avvistamento è stato rilevato all’interno dell’ascensore della torre, mentre in compagnia delle guardie saliva al livello trentuno. La comunicazione è stata disattivata, suppongo da lui stesso, durante il percorso. Posso unicamente ipotizzare, a partire da quel momento e conoscendo i piani della Cyberlife, che il rimpiazzo abbia avuto l’ordine di occuparsi di lui, prima di venire a stanare voi».


Markus sgrana gli occhi. «Stai dicendo che anche Connor è stato eliminato da quella maledetta macchina?!» sbotta costernato.


«Come ho detto, non posso averne la certezza, ma ritengo sia molto probabile, sì» ammette Elijah.


E con questa ennesima, infausta notizia, anche l’ultima e fievole speranza di Markus va in fumo, lasciandolo privo persino della volontà di chiedersi che ne sarà di lui, a quel punto.

  
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