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Autore: Nope1233    17/10/2018    2 recensioni
- Ricordo bene quel periodo. Quello dove eravamo bambini e giocavamo alle cose più disparate senza nemmeno pensarci troppo.
Nè io, né Kacchan e nemmeno Izuku avevamo ancora sviluppato i nostri quirk e vivevamo ancora spensierati immaginando quello che saremmo potuti essere una volta cresciuti. Tutti e tre volevamo diventare eroi di alto livello.
Ricordo anche la prima volta che Kacchan mi rivolse la parola. Eravamo nel cortile dell'asilo e con i suoi soliti toni stava minacciando un bambino di mandarlo all’ ospedale. Non conoscendo nè lui nè la vittima mi buttai in mezzo difendendo il malcapitato. Mi parai davanti a lui con le braccia aperte e fissavo Kacchan con aria di sfida. 
Quest'ultimo si avvicinò con aria di superiorità e cercò di colpirmi. Schivai il colpo e con uno sgambetto lo feci cadere a terra. Sembrava arrabbiato, ma a me non importava.
“così impari brutta testa gialla!” dissi quasi urlando.
Riuscii ad intravedere un sorriso beffardo sotto quei ciuffi biondi mentre si rialzava e poi si mise a ridere.-
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hitoshi Shinso, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Bakugo Katsuki POV

 

Quella fu davvero una giornata infernale.

 

La mattina il professore aveva annunciato che presto si sarebbe svolto il festival scolastico e una volta arrivato a casa ed essermi cambiato decisi di andare ad allenarmi. Dovevo essere al massimo della mia forma per quel giorno.

Notai che mia madre non era a casa e un biglietto sul tavolo mi informava che era uscita per delle commissioni. Non me ne preoccupai troppo, indossai le cuffie e uscii.

 

Quel giorno decisi di deviare dal mio solito percorso e correre più chilometri che potevo. Volevo strafare, spingere oltre ogni mio muscolo.

 

Il sole cominciava a calare e gli ultimi raggi caldi della giornata quasi mi accecavano, mi piaceva quella sensazione. Mi sentivo il padrone del mondo e questo mi fece scappare un sorriso mentre pieno di energie acceleravo la mia corsa.

 

Costeggiai la foce del fiume e mi lasciai trascinare dalle note del gruppo rock straniero che stavo ascoltando. Riusciva sempre a darmi la carica.

Volevo vincere quel cazzo di festival e nessuno si sarebbe messo sulla mia strada. Nessuno.

 

Arrivato alla spiaggia, mi fermai a contemplare il sole spegnersi nel mare. Era una sensazione magnifica sentirmi così potente al punto di far sparire tutto sullo sfondo. Purtroppo qualcosa di anomalo si intromise nei miei pensieri e ruppe quel meraviglioso equilibrio.

 

(- Venivo sempre qui con T/N quando eravamo piccoli...mi chiedo se...-)

Mi tirai un leggero schiaffo per soffocare il resto della frase.

 

Lei era offlimits. Anche solo pensarla era vietato da una delle regole che mi ero imposto anni fa.

Non dovevo chiedermi come stesse, se era diventata ancora più bella, se aveva continuato ad allenare il suo qwirk, se si ricordava di me e un’ altra lunga serie di cose che mi riportavano a rivedere il suo viso sorridente davanti agli occhi.

 

Ma ormai il danno era fatto. Lei era lì, di fianco a me su quella spiaggia e in attimo tutto quello che era intorno a me cambiò il suo sapore.

Il desiderio di vittoria e la certezza di poter fare qualunque cosa si trasformarono in insicurezza, malinconia e in una sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco.

Mi portai una mano al viso cercando di mascherare a me stesso il dolore che si stava facendo sempre più forte.

Strinsi i denti.

(-Perchè mi fai ancora questo effetto, cazzo.)

 

Dovevo togliermela dalla testa e istintivamente ripresi a correre verso casa a testa bassa. Tutta la gloria e la forza che sentivo prima di quel pensiero si erano prosciugate e mi sentivo inseguito da un lato di me che avevo tentato di eliminare molto tempo fa.

Un lato debole che solo lei e il suo ricordo riuscivano a tirarmi fuori.

Mi pentii di aver scelto di cambiare il mio solito percorso.

Lei era ovunque.

In quelle strade, in quei parchi che costeggiavo lungo la mia corsa.

Il ricordo di noi due da piccoli mi tormentava. Ci vedevo giocare e correre tra quegli alberi ridendo come solo quando si è bambini si sa fare.

Il cervello si era spento e non mi accorsi di quanto i miei muscoli fossero doloranti finché non mi ritrovai davanti alla porta di casa. Prima di entrare mi levai le cuffie e feci un respiro profondo, dopo di che girai la maniglia ed entrai.

Finalmente il vociare nella mia testa si era fatto più silenzioso e mia madre mi si parò davanti.

 

“Katsuki! Ben tornato! Eri uscito ad allenarti?”

 

“Si.”

 

“Bene! Fatti una doccia e preparati che la cena è quasi pronta.”

 

“Va bene.”

 

Mia madre mi guardò stranita mentre salivo le scale. In effetti vedermi così docile non era una cosa da tutti i giorni. Mi feci la doccia e scesi per la cena.

Presi in mano la mia ciotola di riso cominciando a servirmi dal piatto di carne e verdure al centro del tavolo.

 

“Allora Katsuki, come è andata oggi a scuola?” chiese mio padre.

 

“Bene. Hanno annunciato che prossimamente ci sarà il festival studentesco.” risposi tra un morso e l’altro.

 

“Che bella notizia!”

 

“Già.”

 

Cadde il silenzio mentre i miei genitori si scambiarono un occhiata. Feci finta di non notarla e continuai a mangiare.

 

“Uhm, sai Katsuki, oggi mentre facevo compere ho fatto un incontro interessante.” disse mia madre.

 

“Mi fa piacere.”

 

Ci fu un altro sguardo tra di loro ma questa volta li guardai con aria interrogativa.

 

“Che c’è? Che sono quelle facce?”

 

Mia madre cambiò espressione immediatamente e sorrise.

 

“Questo pomeriggio mi trovavo nella via commerciale qui a fianco e mentre uscivo da un combini ho visto T/N che ne contemplava la vetrina. Ci ha messo un po' a riconoscermi, ma mi fa piacere che si ricordi di me dopo tutti questi anni!” rise rivolgendosi verso mio padre.

 

Mi pietrificai all’istante.

(- No. Non stava succedendo davvero.-)

 

“Dice che da domani frequenterà anche lei la UA. Il suo qwirk era qualcosa di eccezionale già allora e come le ho detto sono certa che diventerà un ottima hero.”

 

(-No. No. No. No.-)

 

“La ho anche invitata a prendere un the, ma ha rifiutato purtroppo. Era indaffarata con il trasferimento.”

 

(- No. Non può essere vero.-)

 

“E’ una bella notizia che una tua amica sia tornata a casa, non è vero Katsuki?” chiese mio padre sorridente notando la mia espressione vuota.

 

Non risposi.

Quasi lanciai la ciotola ancora colma di riso sul tavolo e corsi alla porta.

 

“Katsuki!”

 

Mi infilai in fretta e furia la scarpe, spalancai il cancello e con larghe falcate calpestai l’asfalto verso una direzione qualunque a testa bassa.

 

Corsi tanto, finché non ebbi più fiato. La milza mi faceva male e sentivo quel poco riso che avevo ingerito cercare di ribellarsi nel mio stomaco.

Alzai lo sguardo e mi accorsi di essere tornato sulle sponde del fiume vicino alla foce dove mi ero allenato poche ore prima.

 

Ansimante, mi lasciai cadere sull’erba in discesa di fianco al corso d’acqua. Portai un braccio alla testa coprendomi gli occhi. Strinsi i denti e serrai gli occhi cercando di trattenere la rabbia.

 

(- La mia unica debolezza. La mia unica cazzo di debolezza nella mia stessa scuola. Non devo permettere che mi rammollisca. Non posso.-)

 

Il ricordo della nostra ultima chiaccherata mi tornò alla mente.

 

Quella sera, il suo viso sempre sorridente si era fatto più cupo e insicuro.

Quella fottuta ultima sera mi confessò che provava dei sentimenti per me.

Nonostante la nostra giovane età presi la cosa molto seriamente.

Le dissi che non mi importava.

Che come Deku lei era solo un sassolino sulla mia strada verso il successo, solo un po' più ingombrante data la forza del suo qwirk.

Continuai dicendo altre cattiverie su di lei e di quanto fosse totalmente inutile al mio percorso.

Ci rimase così male che rispose a tono dicendo che ero cattivo, che ero una persona orrenda e che non sarei mai diventato un eroe con un atteggiamento come quello.

Questa cosa mi fece infuriare. Mi si spense il cervello e continuai a svalangarla con insulti di tutti i tipi e anche lei non fu da meno. La discussione si concluse con T/N in lacrime che correva verso casa lasciandomi solo, sotto la luce di un lampione.

 

Mi accorsi del mio errore solo giorni dopo che non vedendola più in giro decisi di chiedere ai miei genitori.

Mi dissero che dei villain avevano attaccato la sua famiglia di eroi e che era dovuta fuggire lontano per non correre pericoli. Dopo quelle parole, dentro di me maturò un sentimento strano.

Lei...mi mancava. Mi mancava fottutamente tanto. Mi chiesi infinite volte se in realtà lei mi piacesse.

Il fantasma del suo sorriso appariva ovunque e più mi rendevo conto di quello che provavo, più un altro sentimento si faceva spazio nelle mie ormai poche certezze.

 

Senso di colpa.

Un forte, fortissimo senso di colpa continuava a colpirmi violentemente ogni volta che ripensavo a lei.

Alle nostre scampagnate in montagna a vedere le stelle, alle nostre corse a vuoto, ai nostri giochi, ai nostri sogni e alle orrende parole che le avevo rivolto come un coglione. Pure la faccia di Deku mi ricordava lei.

Il senso di colpa pian piano si trasformò in rabbia. Una profonda rabbia verso ogni cosa che mi riportasse indietro al suo ricordo.

Riuscii in un qualche modo a fare un patto con il mio inconscio cercando di dimenticarla concentrandomi su altro. Ci stavo quasi riuscendo, fino alla sera in cui mia madre mi disse di averla vista in città.

 

Serrai ancora di più i denti e il braccio sopra i miei occhi iniziò leggermente a tremare.

Tutto quello che avevo sotterrato con fatica in questi anni stava violentemente tornando a galla riaprendo una ferita che credevo ormai chiusa.

 

“Perchè mi fai questo effetto, cazzo?!” urlai.

 

Cominciai a sentire delle lacrime rigarmi le guance.

 

“Perchè solo tu mi rendi così debole? Perchè?!”

 

Una voce dal mio profondo giunse per darmi la risposta ma feci finta di non sentire.

 

Lentamente il mio orgoglio, come un salvavita, riprese le redini della corsa a vuoto dei miei pensieri, bloccandoli.

In quell’istante decisi di considerare tutto ciò come una sfida pari alle altre.

Da quel momento in poi avrei fatto qualunque cosa per far tacere quella voce per sempre.

 

Qualunque cosa.

 

   
 
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