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Autore: _Agrifoglio_    17/10/2018    15 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lille
 
André aprì le persiane della sua stanza e fu piacevolmente raggiunto dall’aria frizzante e fresca del mattino. Dopo avere inspirato profondamente e riempito i polmoni di quella brezza benefica e rinfrescante, rivolse lo sguardo alla Grande Place di Lille, ai turriti edifici svettanti che la circondavano, ai tetti dei palazzi che sorgevano dietro quelli e alle candide nuvole che screziavano il blu.
Il cielo, nelle terre del nord della Francia, aveva una tonalità azzurra alquanto tenue ed era spesso solcato da grandi nubi che ne stemperavano ancora di più il colore. Le tinte pastello, le frequenti nebbie, le caligini rosate e la luce soffusa, quasi mai brillante e vigorosa, predominavano nei paesaggi nordici e permeavano di sé le albe, i tramonti, i campi, i panorami e le marine, conferendo loro quell’aspetto sfumato e rarefatto che, qualche decennio più tardi, sarebbe stato immortalato nei celebri dipinti di Claude Oscar Monet. Vivo era il contrasto fra quelle vedute soavi e delicate e i paesaggi soleggiati, animati da colori accesi e decisi, del meridione d’Europa.
Lille era una bella città dell’Alta Francia, sorta su un’isola in mezzo al fiume Deûle, dove il gotico della Chiesa di San Maurizio si alternava al barocco fiammingo del complesso della Vecchia Borsa e allo stile rinascimentale degli eleganti palazzi patrizi, in gran parte edificati nel diciottesimo secolo e nel precedente. Alla signorilità delle piazze e delle vie principali faceva da contraltare la pittoresca vivacità delle stradine che si diramavano per il borgo medievale, brulicanti di caffè, cioccolaterie, taverne, vinerie, botteghe e spezierie.
Dopo essersi completamente svegliato, grazie all’esposizione al fresco tonificante del mattino, l’uomo ripassò mentalmente gli impegni della giornata. Nel corso della mattina e del primo pomeriggio, avrebbe dovuto continuare la visita delle sue nuove terre e conoscere i contadini in esse stanziati, parlare con alcuni braccianti a ore da poco reclutati e continuare la discussione, già intavolata nei giorni precedenti, con l’amministratore delle sue proprietà, al fine di vagliarne l’affidabilità e di definire le colture e le tecniche per svilupparle. Nel tardo pomeriggio, invece, avrebbe incontrato alcune persone che si sarebbero presentate a lui per un colloquio conoscitivo, finalizzato a un’eventuale assunzione come domestici.
Sebbene il giovane sapesse fare praticamente di tutto, non avrebbe, di certo, potuto gestire da solo un grande palazzo di tre piani, ai quali si aggiungevano il sottotetto mansardato, destinato agli alloggi della servitù, il solaio e le cantine. Pur non essendo intenzione di André spendere il denaro messo da parte in stipendi per la servitù e in spese di rappresentanza, neppure voleva essere considerato strano dai suoi nuovi concittadini. Avrebbe, perciò, assunto un maggiordomo, cinque fra valletti e sguatteri, un paio di cameriere destinate alla cura delle stanze, un cuoco e altre tre persone addette alle cucine. Un cameriere personale non gli serviva e, essendo uno scapolo privo di prole, avrebbe fatto a meno anche della governante e dei conforti più voluttuari, limitando il personale allo stretto indispensabile per vivere in condizioni di decoro.
André si era messo in viaggio, per raggiungere il feudo di Lille, il giorno stesso del suo genetliaco, dopo avere ottenuto rassicurazioni dal medico circa la compatibilità di quella tratta medio lunga con le condizioni di salute in cui versava. D’accordo con la nonna, troppo anziana per affrontare i disagi di un viaggio e i rigori degli inverni della Francia del nord, fatti di venti gelidi e di nevicate, aveva stabilito che sarebbe partito da solo e che si sarebbe sistemato a Lille per circa un anno, al fine di avviare la coltivazione delle terre e di definire le linee da seguire per l’amministrazione delle proprietà. Successivamente, sarebbe tornato nella capitale e avrebbe preso in locazione una casa a Parigi o a Versailles, dove avrebbe abitato con la nonna, tornando periodicamente a Lille per seguire le fasi più significative del ciclo colturale o quando ce ne fosse stato bisogno.
Arrivato a Lille, aveva trovato un palazzo nobiliare in buono stato di manutenzione, sito nella piazza principale della città, che era stato la dimora del precedente Conte; delle terre lasciate, dalla morte di questi, avvenuta cinque anni prima, alle cure di un amministratore impigrito dalla mancanza di un feudatario in carica e un castello medievale, antica dimora dei Conti di Lille, possente e suggestivo, ma in stato di abbandono da almeno due generazioni. Il predecessore di André, essendo anziano, vedovo e privo di eredi, si era disinteressato completamente del castello, limitandosi a vivere nel palazzo cittadino e a fare coltivare quel tanto di terre sufficienti a garantirgli una rendita decorosa. André era, invece, intenzionato a sfruttare a pieno tutte le potenzialità del suo feudo e a restaurare, nel corso degli anni, il castello.
Annodati i capelli, con un nastro di raso verde, in un corto codino e indossati il jabot e il giustacuore, il giovane uscì dal suo palazzo e si diresse al ristorante della locanda dove, ogni mattina, faceva colazione. Entratovi, scorse, seduti a uno dei tavolini, due forestieri i cui lineamenti non gli erano nuovi. Dopo alcuni istanti di riflessione, riconobbe i due gentiluomini e si avvicinò, sorridendo, al loro tavolo.
 
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Il Colonnello de Girodel aveva appena terminato di supervisionare un’esercitazione delle reclute e, mancando ancora un’ora al colloquio fissato con Oscar, finalizzato a mettere a punto gli ultimi dettagli di una missione cui avrebbero partecipato l’indomani all’alba, si diresse nella terrazza della reggia per concedersi alcuni minuti di riposo.
In quelle giornate di inizio settembre, l’aria del mattino, fresca e carezzevole, aveva relegato a un molesto ricordo l’afa dell’estate.
C’erano diverse cose che lo agitavano in quel periodo, a partire dalla prolungata permanenza, a Palazzo Girodel, del cugino, il Conte di Compiègne, che non aveva mai stimato, avendolo giudicato, sin dagli anni dell’infanzia, un individuo fatuo, egoista e privo di quelle fondamenta minime di senso dell’onore che ogni gentiluomo dovrebbe avere. Il ricordo di Oscar e del rifiuto di lei, poi, continuava ad affliggerlo. Passata la fase più cocente della delusione, aveva creduto di essersi fatto una ragione della scelta di lei e di avere chiuso definitivamente quel capitolo della sua vita. Il ritorno di Oscar nel corpo delle Guardie Reali e la ripresa di un’assidua frequentazione quotidiana avevano, invece, rimesso in discussione un problema che sembrava dimenticato, riportando scompiglio in un ordine provvisorio e apparente. I sentimenti per lei avevano ripreso vigore al punto da turbarlo. Nonostante ciò e per il bene di Oscar, aveva offerto il suo aiuto al Generale, favorendo l’elevazione a Conte di André, nella speranza che questi riuscisse a darle quella felicità che a lui era stato impossibile offrirle. In seguito, il fatto che Oscar avesse rifiutato André l’aveva indotto a rinverdire la speranza e a pensare che non tutto fosse perduto. Contemporaneamente e inaspettatamente, però, il volto di un’altra donna aveva iniziato a popolare i pensieri di lui. Il viso bello e signorile di una nobildonna dai folti capelli castani e dagli occhi marrone chiaro con striature verde oro. Il volto di una trentenne fiera e colta, che fronteggiava la sua condizione di nobile decaduta con dignità e orgoglio encomiabili. Girodel era diviso in due.
Mentre era alle prese con queste riflessioni, la vide, qualche metro più in là, a destra, con le mani appoggiate sulla balaustra di pietra. Un lieve rossore gli imporporò il viso e il battito del cuore gli accelerò nel petto. Fece per ritirarsi, nella speranza di non essere stato visto, ma ella avvertì la presenza di lui e si voltò.
– Buongiorno, Colonnello – gli disse, fissandolo con quei suoi occhi cangianti che, alla luce del mattino, avevano assunto una colorazione dorata.
– Buongiorno a Voi, Mademoiselle del Chambord – rispose lui, quasi fosse stato colto in fallo – E’…. E’ una bella mattina molto fresca e piacevole…. Non trovate?
– Oh, sì, se ne sentiva il bisogno…. Dopo la calura di agosto…. – sorrise lei – Sapete, ho trovato molto nobile che Voi abbiate appoggiato l’elevazione nobiliare di Monsieur Grandier, malgrado…. Oh, no! Sono stata inopportuna – aggiunse, con un filo di voce e arrossendo a sua volta.
– Perché inopportuna? Non lo siete affatto. Trovo, invece, che siate una gentildonna molto intelligente, colta e …. – stava per dire: “Bella, amabile, splendida, meritevole di lode e di ammirazione”, ma si fermò –  …. e marziale.
– Marziale?! – domandò lei, fra l’incredulo e il divertito.
– Nel senso che, come Vi prendete cura Voi della Regina, organizzandone, con meticolosità e precisione, gli impegni e gli svaghi e adempiendo a tutto ciò con dignità e onore, non se ne prende cura alcuno.
– Ah, in quel senso! Ora, ho compreso – fece eco lei, con espressione sorridente – Detto da un militare di lungo corso è un complimento notevole! Mi spiace, ma ora devo tornare negli appartamenti della Sovrana, per attendere, militarmente, al prossimo lever.
– Anch’io devo rientrare. Facciamo un tratto di strada insieme?
I due nobili si incamminarono verso la reggia, conversando gioiosamente.
Girodel era diviso in due.
 
********
 
– Conte di Canterbury, Sir Percy, che piacere vederVi! Qual buon vento Vi porta qui?
I due forestieri rivolsero lo sguardo in direzione della voce calda e allegra che li aveva cordialmente accolti in terra straniera. Ci misero un po’ di tempo a dare un nome a quel volto sorridente, perché il tempo trascorso aveva sfumato i contorni dei ricordi e il contesto modificato non li aiutava a riordinare i pensieri e ad associare le idee. Passarono alcuni secondi di silenzio, terminati i quali, il Conte di Canterbury chiese:
– Voi…. siete André Grandier? Ma cosa ci fate qui?
– Ci abito – rispose André, conscio della confusione dell’interlocutore – E Voi, invece? Cosa Vi ha indotto a lasciare la brughiera per le Fiandre Francesi?
– Un attentato alla mia persona – disse l’altro con tono cupo mentre Sir Percy Blakeney seguiva il dialogo con aria grave e il volto di André perdeva la bonomia per assumere un’espressione turbata.
In poche battute, il Conte di Canterbury raccontò ad André il tentativo di omicidio perpetrato dal sicario inviato dal Duca di Germain, senza far cenno, per discrezione, al carteggio intervenuto fra lui e Oscar mentre André narrò succintamente le circostanze che lo avevano portato a divenire Conte.
– Ma chi è questo Duca di Germain? – domandò Sir Percy.
– Un nobile di alto lignaggio, le cui terre confinano con le mie, molto amico del Duca d’Orléans – rispose André, con aria sempre più preoccupata, perché non si aspettava un complotto così ampio e strutturato.
– E il cerchio si chiude – chiosò il Conte di Canterbury.
 
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Riaccompagnata la madre negli appartamenti a lei assegnati, dopo una breve passeggiata serale nei giardini della reggia, Oscar era rientrata nel suo ufficio per sistemare le ultime cose, in vista della missione cui avrebbe partecipato all’alba del giorno dopo.
Tramite gli informatori delle Guardie Reali, Oscar e Girodel avevano scoperto la provenienza delle armi utilizzate da Théroigne de Méricourt e dai facinorosi da lei comandati, in occasione dell’attentato del tredici luglio. Si trattava di spade, pistole e fucili illecitamente trafficati, già custoditi in un appartamento sito nel Faubourg Saint Marcel, al numero nove di Rue Cuvier, una parallela di Rue Buffon, la via dove, tre mesi prima, era stato ritrovato l’arsenale che, per poco, non era costato la Corte Marziale a Oscar. Poiché, a detta delle spie, quell’appartamento conteneva ancora molteplici armamenti, polveri e munizioni, era intenzione di Oscar smantellare al più presto anche quel secondo arsenale e, data l’importanza dell’affare, si sarebbe recata lì personalmente, malgrado l’alto grado che ricopriva. Si era, perciò, stabilito che Oscar, Girodel e altre dieci Guardie Reali sarebbero arrivate al numero nove di Rue Cuvier alle cinque del mattino, per cogliere di sorpresa i custodi dell’arsenale.
Dopo avere ordinato a Jean – il suo attendente di tredici anni, un ragazzino minuto, figlio di una delle cameriere di Palazzo Jarjayes, da lei assunto qualche giorno prima – di svegliarla alle quattro del mattino, si era distesa sul letto del suo alloggio di servizio, senza neanche togliersi la divisa, alla ricerca di un sonno che tardava ad arrivare.
La vita di Oscar, sotto alcuni aspetti, procedeva nel migliore dei modi, avendo ella ottenuto un incarico prestigioso e una promozione di grado nel giro di due mesi. Il padre era orgogliosissimo di lei, tutti i cortigiani la trattavano con grande rispetto, essendo l’eroina del momento e la consapevolezza di non avere contratto la consunzione le aveva tolto un grosso macigno dal cuore, offrendole nuove e interessanti prospettive. Essere tornata a Versailles, poi, le aveva dato l’opportunità di frequentare quotidianamente la madre che, col suo carattere tranquillo e posato, aveva iniziato a esercitare un ottimo ascendente su di lei, addomesticandone le intemperanze caratteriali.
Per altri versi, invece, era irrequieta e insoddisfatta, perché era in ansia per le sorti della Francia e le dispiaceva che André se ne fosse andato a Lille.
L’allontanamento professionale fra i due, risalente al congedo di André dall’esercito, sotto l’aspetto comportamentale, aveva giovato a Oscar, costringendola a cavarsela da sola e a fare appello a quelle doti di prudenza e di circospezione che ella non aveva mai coltivato, delegandole in tutto e per tutto a lui. Senza quell’usbergo protettivo che, da sempre, l’aveva accompagnata, era stata obbligata a ponderare bene tutte le sue mosse e a tenere a bada l’impeto che la portava a gettarsi a capofitto nelle situazioni che ne scatenavano l’ardimento o l’ira.
Dal punto di vista emotivo e sentimentale, invece, Oscar aveva perso molto a causa dell’assenza di André. Rimasta priva del suo unico amico e confidente, si era intristita. Essendo dotata di un carattere chiuso e difficile, non era stata in grado di colmare quel vuoto con relazioni amicali che ne sollevassero l’umore e ne placassero la solitudine, col risultato di divenire sempre più cupa e taciturna.
Oscar era felice che André fosse diventato Conte e non sapeva dargli torto per il fatto di essersi allontanato. Era, infatti, cosciente di avere tirato troppo la corda a suon di egoismi, negligenze, comportamenti bruschi e opportunismi. Per tutta la vita, lo aveva dato per scontato, voltandosi dall’altra parte per non percepirne i reali sentimenti e queste erano le conseguenze.
 
********
 
Il cielo era attraversato dai primi chiarori della luce solare, riflessa dagli strati superiori dell’atmosfera e le stelle meno luminose stavano progressivamente sparendo.
Il piccolo drappello di Guardie Reali, guidato da Oscar e da Girodel, si spostava per le miserrime vie del Faubourg Saint Marcel, in direzione di Rue Cuvier. Soltanto qualche animale randagio si intravedeva, di tanto in tanto, in strada o riparato sotto il portone di una stamberga mentre le narici dei soldati erano raggiunte dall’odore marcio degli edifici fatiscenti e dal tanfo di vino e di piscio proveniente da qualche bivacco. Le vie traverse erano solcate da rivoli di acqua putrida, sui quali saltellavano alcuni topi di fogna.
Giunte al numero nove di Rue Cuvier, le Guardie, per un attimo, trasalirono, all’udire il tonfo sordo di una cassetta di legno, rovesciata sulla pavimentazione di pietra. Si voltarono di scatto, giusto in tempo per scorgere un gatto, di un colore indecifrabile, allontanarsi dalla cassetta, con un guizzo velocissimo e un miagolio stridulo.
Smontata da cavallo, Oscar estrasse l’orologio d’oro dal taschino dell’uniforme e constatò, con soddisfazione, che erano le cinque in punto.
– du Muriel, restate davanti al portone a sorvegliare l’ingresso e i cavalli. Tutti gli altri, invece, mi seguano, facendo meno rumore possibile.
Le Guardie spararono alla serratura del portone principale, avvolgendo la pistola con vecchi panni, allo scopo di attutire il rumore. Entrati nell’androne con in mano le lanterne, infilarono una rampa ripida e angusta, composta da gradini di legno fradici e dissestati. L’odore acre della muffa che anneriva le pareti si univa a quello stagnante di chiuso.
– Fate attenzione a dove mettete i piedi – ingiunse Oscar, scandendo bene le parole per farsi udire da tutti, pur mantenendo un tono di voce basso – Evitate le assi fradicie, quelle cigolanti e tutto ciò che provoca rumore.
Giunti davanti all’interno cercato, Oscar, oramai a voce alta, tuonò:
– Aprite, in nome di Sua Maestà il Re!
Non avendo ricevuto risposta né avendo udito rumori dall’interno, ripeté l’invito con tono più alto:
– Aprite o butteremo giù la porta!
Neanche il secondo ordine sortì effetto e Oscar comandò di procedere con l’effrazione.
Buttata giù la porta, le Guardie entrarono nell’appartamento e, con aria incredula e sgomenta, lo trovarono completamente vuoto. Oscar ordinò una perquisizione, alla ricerca di botole o di porte nascoste, ma l’esito delle indagini poté riassumersi in due semplici parole: il nulla.
Stanchi e avviliti, i soldati scesero in strada, dove si imbatterono negli abitanti dei piani bassi del palazzo e in quelli di qualche edificio circostante che si erano lì riversati, tutti estremamente infuriati e intenti a prendersela col povero du Muriel. Il soldato cercava di tenerli a bada e di non farli avvicinare troppo ai cavalli, già notevolmente innervositi.
Un uomo di mezza età, discretamente imbestialito, li investì in malo modo:
– Ma che cazzo state facendo, brutti stronzi?! Fuori dalle palle, damerini balordi e non rompete le scatole alla brava gente che tenta di dormire!!
Oscar guardò la “brava gente che tentava di dormire” e non vide che ceffi poco raccomandabili ed espressioni tutt’altro che rassicuranti. Il Faubourg Saint Marcel era, infatti, un quartiere non soltanto povero, ma anche estremamente malfamato.
– Ecco, tenete – disse Oscar, porgendo alcune monete a colui che pareva essere il capo – Per aggiustare il portone.
Quelli tacquero, visibilmente rabboniti.
– Comandante, cogliamo l’occasione di questa calma temporanea per allontanarci in fretta – sussurrò, con molto buon senso, Girodel, a un orecchio di Oscar – Prima che realizzino che avete del denaro in tasca.
 
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Come aveva suggerito Girodel, le Guardie Reali si erano allontanate in fretta, raggiungendo le parti povere, ma non malfamate della città.
Il cielo, adesso, era rischiarato dall’aurora e tutte le stelle erano tramontate. I lavoratori stavano uscendo dalle loro case, in direzione delle botteghe e degli altri luoghi di fatica.
– Comandante – disse Girodel – L’esito della missione di oggi è molto strano. I nostri informatori sono i migliori sulla piazza e difficilmente sbagliano.
– E anche se avessero sbagliato, avremmo pur dovuto trovare cose o persone in quell’appartamento, segnalatoci come un fornito arsenale – convenne Oscar.
Tacquero entrambi mentre il sospetto che una talpa avesse sabotato la missione iniziò a prendere corpo nelle loro menti.
Giunti nei quartieri centrali della città, videro il disco solare levarsi all’orizzonte, segnando la fine dell’alba e l’inizio del giorno.
Stavano mettendosi in movimento per tornate a Versailles, quando si imbatterono in una pattuglia di soldati della Guardia Metropolitana, di ritorno da una ronda notturna. Oscar scorse, in mezzo a quegli uomini, la sagoma di Alain e gli si accostò.
– Ehi, Alain, oggi, ti è toccato il turno notturno?
– Eh, sì, Comandante e, a quanto vedo, è capitato qualcosa di simile pure a Voi.
– Ora, andrai a riposarti?
– Sì, ma, prima, farò una capatina nel convento qui vicino.
– Perché, intendi farti frate? – celiò Oscar.
– Sì, come no! – rispose, quasi scandalizzato, Alain – E’ per mia sorella.
– Mademoiselle Diane vuole prendere il velo?
– No, Comandante, ma mia madre deve allontanarsi per qualche tempo da Parigi e andare a Nevers. La sorella e, cioè, mia zia non sta bene, ha avuto una brutta polmonite e stenta a riprendersi. E’ vedova e ha un unico figlio che, però, se ne è andato via di casa da tanto tempo e non si sa più dov’è. In breve, mia zia ha bisogno di assistenza, mia madre è disposta a prestargliela e si prevede che la cosa sarà lunga. E’ escluso, però, che mia sorella la segua, perché mia zia è una donna brusca, imperiosa e sempre pronta a criticare e a impicciarsi. Dà sempre ordini, fa domande su tutto, rimprovera chiunque in continuazione e si intromette costantemente. Diane è a disagio con lei. Temiamo che, vedendola, mia zia inizierebbe a opprimerla col suo brutto carattere e a chiederle perché non è ancora sposata o, perlomeno, fidanzata. In questo periodo…. Be’…. Non è il caso che le due si incontrino….
– Capisco – disse Oscar, in tono comprensivo.
– Mia sorella, d’altronde, è troppo giovane per vivere da sola – proseguì Alain – e, quindi, malgrado non sia la soluzione ottimale mandare una ragazza sensibile e tendente a intristire in un monastero di suore, di meglio non si può fare. E’ proprio il caso di dire che questo passa il convento.
– Alain, perché non la fai venire a Palazzo Jarjayes? Vi ho già ospitato una giovinetta per più di dieci anni.
– Vi ringrazio, Comandante! – esclamò, entusiasta, Alain – Diane ne sarà felicissima e vedrete che rimarrà molto meno di dieci anni!
A Oscar brillarono gli occhi. Un’altra Rosalie avrebbe varcato la soglia di Palazzo Jarjayes e, a pensarci bene, le due un poco si somigliavano! Un’altra brezza di primavera avrebbe accarezzato la vita di lei e, finalmente, sarebbe stata un po’ meno sola!







Il ventunesimo capitolo inaugura la nuova direzione presa da questa parte della storia.
André è alle prese con la sua nuova vita a Lille, da Conte e da proprietario terriero, ma il passato e gli intrighi di corte non tardano troppo a bussare alla porta di lui.
Girodel è diviso fra due donne.
Oscar è alle prese con una solitudine destinata ad acuirsi e con delle possibili spie.
Diane è in procinto di fare i bagagli per Palazzo Jarjayes e di occupare il posto che, un tempo, fu di Rosalie.
Come evolverà la storia? Per saperlo, non resta che aspettare il prossimo capitolo che conterrà delle parti malinconiche e altre decisamente più divertenti e grottesche.
Buona lettura e a presto!
   
 
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