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Autore: Jeo 95    18/10/2018    3 recensioni
(All27-Family centic)
Disperati. Distrutti. Pronti a tutto pur di riavere ciò che hanno perduto, ciò che gli è stato tolto ingiustamente, e che non sono disposti a lasciarsi alle spalle.
A costo di perdere sè stessi, faranno tutto ciò che è in loro potere per salvare la vita di colui senza il quale non possono vivere.
Perchè un Cielo senza Elementi può vivere ugualmente.
Ma gli Elementi senza un Cielo non possono far altro che perire.
***
(Titolo provvisorio)
Genere: Angst, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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N.d.A.- Chaossu! In ritardo di una vita, finalmente sono riuscita a passare il blocco dello scrittore che mi impediva di finire il capitolo xD
Spero che la pazienza sia stata ripagata, e che il capitolo vi soddisfi abbastanza da farvi dimenticare il mio enorme ritardo!
Da qui inizierà un arco importante, che porterà la storia a raggiungere il punto per cui è stata creata (perchè no, tutta questa prima parte non era nel progetto iniziale, quello non è ancora nemmeno stato introdotto).
Spero vi piaccia!
Grazie a tutti
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


 

Era davvero bellissima Padova.

Più la macchina si inoltrava all'interno della città -verso il centro, sempre più affondo tra i palazzi ed i giardini che la componevano- più si potevano ammirare gli spettacolari residui di storia su cui era stata fondata, perfettamente amalgamati al paesaggio naturale e alle nuove strutture che si stavano innalzando qua e là per le vie del centro.

Attraversando velocemente le strade -senza potersi fermare ad ammirare con più attenzione il paesaggio circostante- si riusciva comunque a percepire la storia che correva per le vie di Padova, mozzando il fiato per le sorprese che nascondeva dietro ogni angolo, sfociando nello stupore quando l'enorme piazza di Prato della Valle si apriva davanti agli occhi dei turisti ignari, in tutto il suo splendore. Chiunque ne sarebbe rimasto incantato.

Chiunque tranne Hayato.

Si agitava sul sedile senza controllo, incapace di trovare una posizione confortevole in cui trascorrere il viaggio, talmente assorto nei propri pensieri da non accorgersi degli sguardi preoccupati che Luce gli lanciava di tanto in tanto.

Rilassati testa di polipo! Goditi l'estremo viaggio piuttosto!

Un grugnito gli sfuggì dalle labbra, la rabbia ancora percepibile attraverso gli sprazzi di Fiamme della Tempesta che non riusciva a controllare -anche dopo anni di pratica, controllare le proprie Fiamme in preda a forti emozioni restava un'ardua impresa.

«Di chi pensi sia la colpa se non riesco a rilassarmi?!» ringhiò a denti stretti, cercando di non disturbare Aria, addormentata con la testa appoggiata sulle gambe della madre.

Da quel giorno -quel maledetto, fottutissimo giorno- in cui Takeshi si era ritrovato costretto a prendere il controllo del suo corpo, Hayato non aveva avuto un singolo attimo di pace.

Non riusciva più a muovere un singolo passo senza ritrovarsi tra i piedi Squalo e Dino, che sfruttavano ogni occasione per cercare di convincerlo ad allenarli.

E per convincerlo, intendeva costringerlo.

Non importa quante volte rifiutasse, quante volte minacciasse di farli saltare in aria se non sparivano, loro tornavano sempre, più testardi e determinati di prima a farsi insegnare le tecniche di spada con cui Takeshi li aveva salvati.

Più precisamente, Squalo voleva essere allenato, Dino era una semplice conseguenza.

E nonostante Takeshi non avesse usato vere e proprie tecniche -per dei mafiosi di così basso livello non era stato necessario usare lo Shiguren Soen Ryu, per certi vermi sarebbe stato uno smacco nei loro confronti e in quelli del Boss- Squalo doveva aver intuito che c'era di più, che quella persona era uno spadaccino capace e da cui avrebbe potuto imparare qualcosa.

Kfufufu chi avrebbe mai detto che il Comandate Strategico dei Varia avrebbe volontariamente chiesto a Yamamoto Takeshi di fargli da tutor?

Già, chi l'avrebbe mai creduto? Hayato avrebbe quasi potuto ridere di quella situazione, se non fosse che era lui in prima persona la vittima dello stalking di questo Squalo in miniatura, probabilmente avrebbe davvero potuto farsi una bella risata.

E sfortunatamente -come se la vita non avesse già giocato abbastanza con tutti loro- i continui pedinamenti di Squalo e Dino non erano ciò che più rendeva irrequieto il Guardiano della Tempesta. Sarebbe stato troppo semplice se il suo più grande problema fossero stati gli approcci continui e inaspettati di due mocciosi con cui voleva avere meno contatti possibili.

«Hayato-kun.»

Fermando l'ondeggiare frenetico e nervoso della gamba destra, Hayato si ricompose al richiamo di Luce, sentendosi avvolgere dalla piacevole sensazione di pure Fiamme del Cielo che si aggrappavano alle sue come a volerlo confortare. Una sensazione piacevole a cui rispose quasi inconsciamente, lasciando che le Fiamme della Tempesta si lasciassero placare da quelle del Cielo -del suo Cielo, anche se non era il Cielo da cui desiderava lasciarsi abbracciare.

«Va tutto bene? È da qualche giorno che ti sento... nervoso. È successo qualcosa?»

Da ciò che gli avevano riferito -quando si era risvegliato dalla crisi, quasi un giorno dopo- Luce era a conoscenza solo della giornata di spese con Aria e la conseguente motivazione dietro al massacro provocato di Takeshi. Sul perché la Pioggia avesse sostituito la Tempesta era stato invece mantenuto il silenzio.

Abbiamo pensato fosse giusto lasciar decidere a te se parlarle o no.

Era stata la giustificazione di Chrome a nome di tutti, e -anche senza esprimerlo ad alta voce- Hayato era stato grato della loro considerazione.

Probabilmente Luce aveva già intuito che qualcosa turbava il suo Guardiano, ma preferiva attendere che fosse lui ad aprirsi. Hayato l'aveva apprezzato -tutti loro l'avevano fatto, non avrebbero mai potuto ringraziarla abbastanza per tutto ciò che aveva fatto e continuava a fare- ma forse era giunto il momento di metterla al corrente della situazione.

Prendendo un profondo respiro Hayato intrecciò le dita tra di loro, fissando il tappetino dell'auto come fosse improvvisamente diventato la cosa più interessante che avesse mai visto.

Controllò velocemente che il finestrino tra loro e l'autista fosse chiuso, e quando fu sicuro che nessuno potesse origliare, decise finalmente di parlare.

«In effetti, qualcosa c'è, Luce-sama.»

Le raccontò tutto.

Ciò che era successo, delle crisi che colpivano ognuno di loro, delle notti passate gli uni tra le braccia degli altri, cercando di non lasciare che i ricordi lo trascinassero di nuovo nell'abisso oscuro in cui si era lasciato cadere già una volta -respira Hayato, non lasciarti coinvolgere dai fantasmi del passato- fino a confessarle ciò che era accaduto mentre girava per Venezia con Aria.

Osservò ogni movimento di Luce -sembrava calma, silenziosa, ascoltava ogni parola senza mai interromperlo- mentre accarezzava con dolcezza i lunghi capelli di Aria, sempre addormentata.

Il piccolo Cosmo stretto tra le mani della bambina, anche lui perso nel mondo dei sogni.

Vide il corpo di Luce sussultare un paio di volte, senza però mostrare alcun cambiamento nella sua espressione, nessun giudizio prevenuto, nessun commento inappropriato. Semplicemente lasciò che parlasse, ascoltando il loro dolore e lasciando che il suo Cielo gli portasse il sollievo di cui Hayato aveva disperatamente bisogno -proprio come avrebbe fatto il suo Boss- per non cadere preda degli incubi.

Parlò dei dubbi che li assillavano, dei ricordi perduti che non riuscivano a recuperare, della frustrazione di non sapere cosa fare per proteggere la persona a loro più importante. Quando ebbe finito si sentì incredibilmente leggero -il petto faceva meno male, la pressante oscurità che gli avvolgeva il cuore sembrava essersi schiarita- libero da un peso asfissiante che gli toglieva il fiato.

Luce non disse nulla. Testa bassa, mani ferme, nessun segno che lasciasse trasparire il minimo pensiero, la minima emozione che stava provando in quel momento. Quando rialzò il capo sorrise radiosa -gli angoli degli occhi leggermente umidi- avvolgendo il Guardiano nell'abbraccio delle proprie Fiamme, un calore ed una dolcezza che solo una madre sapeva dare.

«Grazie.» fu tutto ciò che disse.

Hayato le sorrise, ringraziandola a sua volta per averlo ascoltato -per aver ascoltato ciò che nel profondo turbava tutti loro- e per averli accettati nonostante l'enorme fardello che comportava averli attorno. Non le sarebbero mai stati grati abbastanza.

Con l'aria meno tesa tra loro, chiacchierarono tranquillamente come Boss e Guardiano, delle nuove alleanze e di come poter portare la Famiglia ancora più in alto, a come renderla più prospera di quanto già non fosse.

Inevitabilmente, il discorso finì per vertere sull'incontro imminente, di cui Hayato aveva disperatamente cercato di dimenticarsi.

Non tanto per il motivo primo per cui stavano andando all'incontro -era abbastanza sicuro della loro riuscita, Luce sapeva essere molto convincente quando voleva- quanto per il secondo argomento che avrebbero portato all'attenzione durante quella conferenza.

Cercava di dimenticare la visita a sorpresa del giorno prima, e della conseguenza che avrebbe portato una volta che l'avrebbe esposta a Reborn. Sperò di non ricevere un proiettile in fronte con l'unica colpa di aver fatto da messaggere.

Soltanto una cosa gli sfuggiva, una dimenticanza che non si perdonava, ma visti i giorni duri che Squalo e Dino gli avevano fatto passare si sentì di giustificarsi.

«Hm? Non ricordi? Stiamo andando ad incontrare il Boss dei Vongola.» spiegò Luce tranquilla.

Per attimi infiniti Hayato non disse nulla. «... Come?»

Luce sorrise come se nulla fosse -certo non doveva essersi accorta dell'effetto che le sue parole avevano avuto sul giovane- mentre la macchina si fermava davanti ad un grande palazzo poco distante dal centro della città.

«L'incontro di oggi è con il Nono Boss dei Vongola, Timoteo di Vongola e con il suo neo-Boss CEDEF, Iemitsu Sawada.»
 

***
 

Nervosamente, Iemitsu si allentò la cravatta attorno al collo, spostando il peso da una gamba all'altra, in un moto compulsivo incontrollato. Più cercava di rilassarsi, più si sentiva nervoso.

Da poco tempo aveva preso il posto del precedente Boss CEDEF -il cuore faceva ancora male al pensiero, ma doveva resistere, essere forte anche per gli altri membri della consulenza esterna- e quello a cui stava per partecipare era il suo primo vero incontro con un altro Boss.

Non era la prima volta che incontrava Luce Giglio Nero, aveva anche partecipato all'evento di sei mesi prima, assistendo al miracolo del rilascio della maledizione degli Arcobaleno -il Nono aveva pensato fosse una buona occasione per presentarlo agli alleati, prima di prendere a tutti gli effetti il titolo di Boss CEDEF- ma era di certo la prima volta che aveva il piacere di conoscerla in sede privata.

«Nervoso, Iemitsu?» Enrico lo canzonò, scompigliandogli i capelli biondi, come se già non fossero abbastanza difficile tenerli in ordine.

«Un po'.» ammise, sistemandosi e scansando la mano di Enrico con un gomito, ridacchiando.«Questo è il mio primo incontro, mi sento piuttosto teso.»

Enrico era il più grande dei figli di Timoteo, il fratello maggiore che non aveva mai avuto, capace di rasserenare con il suo solo sorriso anche il più turbolento dei cuori. Un vero Cielo -così ampio, accogliente, caldo- di quelli rari e potenti, il più promettente tra i figli di Timoteo. L'unico vero erede a cui Iemitsu avrebbe mai potuto giurare fedeltà nel momento in cui Nono avesse deciso di ritirarsi.

Riconosceva il potere dei Vongola anche in Massimo e Federico, ma nessuno di loro aveva ciò che serviva per essere un Boss degno di tale nome: Enrico, al contrario, era l'erede perfetto.

«Distendi i nervi, concentrati su un pensiero e fai respiri profondi.» furono le parole di Enrico, accompagnate dal classico gesto che caratterizzava il loro rapporto dal giorno in cui Iemitsu era stato portato a villa Vongola la prima volta: un colpetto sulla fronte, gentile ma deciso, abbastanza da sciogliere i nodi di tensione che impedivano al neo-Boss CEDEF di respira regolarmente.«Puoi farcela Tsu, sarai fantastico.»

Iemitsu gli sorrise, apprezzando le parole d'incoraggiamento che Enrico gli stava donando, sollevato di non dover affrontare il suo primo incontro ufficiale senza averlo al proprio fianco.

«I nostri ospiti sono arrivati.»

Il ticchettio del bastone sul pavimento in parquet preannunciò l'arrivo di Timoteo, che si affiancò ai suoi due figli con un sorriso bonario in volto -non importava ciò che dicevano gli altri, non era il sangue a fare di Iemitsu suo figlio, ma l'affetto che provava nei suoi confronti non era inferiore a ciò che provava per Enrico, Massimo e Federico- interrompendo la loro conversazione.

«Forza, è ora di andare ad accoglierli.»

Non avrebbero conversato nell'ufficio del Boss, bensì in una stanza appartata nell'ala Est della villa, lontano da occhi e orecchie indiscreti, seduti su due comodi divani davanti ad una tazza di buon caffè.

Vongola e Giglio Nero erano buoni amici, alleati sin dalla fondazione, nessuno dei due Boss credeva nella necessità di condurre una conversazione con toni rigidi e formali.

Percorrendo il lungo corridoio che separava lo studio di Timoteo dalla sala in cui Luce li aspettava, Iemitsu sentiva il cuore salirgli in gola, l'ansia tendergli i muscoli, incapace all'improvviso di respirare -com'è che si faceva? Aveva scordato come farlo nel modo giusto- e di nuovo preda dell'ansia.

Lanciò un'occhiata veloce ad Enrico -camminava al suo fianco, leggermente più avanti ma sempre un passo dietro al Nono, dietro di loro Coyote e gli altri Guardiani erano tutti riuniti- ricordandosi cosa gli era stato detto solo poco prima.

“Calma Iemitsu, devi stare calmo.”

Concentrò la sua mente su un singolo pensiero, il sorriso della sua dolce Nakano-chan che lo stava aspettando -quanto mancava prima di poterla finalmente rivedere? Troppo, doveva tornare da lei prima possibile- e d'improvviso tutto lo stress sembrò scomparire. Tutte le preoccupazioni non erano più importanti, la sola immagine di Nakano-chan spazzava via ogni dubbio e incertezza dal suo cuore.

«Buona fortuna Sawada-kun!» era stato il suo saluto, il giorno in cui le aveva detto arrivederci.«Fai del tuo meglio in Italia! Aspetterò con ansia il tuo ritorno!»

Sorrise, scrivendo i kanji del nome di Nakano sulla mano e fingendo di ingoiarli, come a darsi coraggio, pensando alla presenza della dolce Nakano-chan proprio accanto a lui.

“Stai a vedere Nakano-chan, ti renderò orgogliosa di me.”

E quando finalmente sarebbe stato pronto, avrebbe potuto tornare da lei e sposarla. Non c'era ragione migliore per scacciare via ogni dubbio e paura.

 

***

 

Hayato teneva stretta Chrome tra le braccia quando Iemitsu entrò nella stanza, provato come lo erano tutti loro -i capelli spettinati e gli occhi rossi, probabilmente aveva appena finito di piangere, di nuovo- adagiandosi di malagrazia sul pavimento e bagnandosi le labbra con la bottiglia di pregiato vino rosso italiano che Tsuna aveva fatto importare appositamente per i suoi genitori, per festeggiare il lieto evento che di lì a poco avrebbe loro comunicato -non aveva nemmeno fatto in tempo ad avvertirli, non una chiamata o un messaggio, tutto era svanito in un solo istante.

Puzzava di alcol e sudore, probabilmente erano giorni -da quel giorno- che non faceva una doccia, ma Hayato non si sentiva di biasimarlo. Le occhiaie profonde che gli scavavano gli occhi un tempo brillanti -ora spenti, morti assieme a quel figlio che si pentiva di aver coinvolto in un mondo crudele e sporco che non lo meritava- marcavano l'insonnia che in quei giorni era la compagna di molti, lì alla base.

«Come sta?»

Scostando alcune ciocche viola dal viso addormentato di Chrome, Hayato le asciugò una lacrima solitaria -l'ennesima, non la prima, non l'ultima- scorgendo l'espressione contrita della compagna, addormentata in un sonno senza sogni.

«Stanca, affaticata, sono giorni che non riesce a riposare bene.»

Nessuno ci riusciva più, specie loro che mancavano di un Cielo che li avvolgesse e li riscaldasse -era calato un inverno eterno sui loro cuori, freddo, glaciale, infinito.

«Gli altri?»

«Sasagawa è con la Scemucca, mentre Yamamoto con Hibari e Rokudo a prendere una... boccata d'aria.»

Hayato sapeva che Iemitsu aveva colto quel che voleva intendere, che la “boccata d'aria” nascondeva più significati di quanto non apparisse.

Avrebbe voluto uscire anche lui, usare la sua dinamite e far esplodere fino all'ultimo dei loro nemici, catturarli e torturarli fino a quando non avessero confessato dove quello stronzo del loro Boss si fosse nascosto.

L'unico motivo che l'aveva trattenuto -no, non gliene fregava un cazzo della stanchezza e delle notti insonni, la rabbia che provava era sufficiente a dargli abbastanza energia per combattere senza sosta- erano stato il pensiero di Chrome e della Scemucca, di Sasagawa che cercando di sostenerli finiva per crollare nel suo stesso dolore.

Non c'era tempo per l'orgoglio, nessuno di loro poteva permettersi di strafare, non quando erano feriti nell'animo più profondamente di qualsiasi lesione fisica -erano come congelati, spezzati, rotti e irreparabili.

E non erano gli unici.

«Come sta Nana-san?»

Non avrebbe voluto farla quella domanda -doloredoloredoloredolore, non c'era altro che sofferenza e dolore- ma voleva sapere che stava bene, provare a sperare che quell'unica felicità che il Decimo aveva cercato disperatamente di proteggere durante la sua infanzia solitaria stesse bene.

Un grugnito sfuggì dalle labbra di Iemitsu -voleva essere una risata? Ormai non ricordava nemmeno più cosa significasse sorridere, ancora dopo un mese niente sembrava disposto a tornare alla normalità, niente sarebbe mai potuto essere mai più normale- portandosi alle labbra l'ennesimo sorso avido di vino e asciugandosi le labbra secche con il dorso della giacca stropicciata. Nuove macchie di vino si depositarono su quelle vecchie, ma Iemitsu non se ne curò.

«Nessun miglioramento. È come se fosse...»

Non riuscì a finire la frase, ma Hayato comprese comunque il significato dietro quelle parole non dette.

Chrome si agitò tra le sue braccia, mugugnando versi sconnessi misti al richiamo incessante del “Bossu”, seguito dalle lacrime che Gokudera aveva asciugato ormai così tante volte -non solo a Chrome, il suo stesso viso era ancora umido dell'ultimo pianto- e che ancora avrebbe asciugato nei giorni a venire.

«Troveremo mai la pace?» fu la disperata domanda di Iemitsu, le ginocchia strette al petto e la testa nascosta, vittima del suo stesso rimorso e dolore.

Hayato non gli rispose, perché se lo avesse fatto avrebbe spezzato per sempre l'uomo che era stato il padre del suo Boss.

No” avrebbe risposto “abbiamo perso per sempre la nostra Armonia”.



 


 

Il rumore di stoviglie fu in grado di riportarlo alla realtà -concentrati Hayato, hai una missione da compiere- mentre la cameriera dei Vongola gli offriva timidamente una tazzina di caffè bollente, chiedendogli se lo gradisse con zucchero o latte.

Ringraziandola, prese la tazzina e lo bevve amaro, sperando che il gusto forte e deciso della bevanda potesse impedirgli di perdersi tra i flussi infiniti dei ricordi che ancora non aveva recuperato. Era bastato un fugace scambio di sguardi con il giovane Sawada Iemitsu per sbloccare un fotogramma dei ricordi perduti, uno degli avvenimenti successivi alla scomparsa del Decimo che non riusciva ancora bene a visionare nell'insieme.

Doveva stare attento, non poteva permettersi una crisi in quel momento, non davanti a Timoteo Vongola. Bevve un altro sorso, fino a non lasciare null'altro che il fondo del caffè sulla tazzina.

Bleh, come cavolo puoi berlo così amaro? È terribile!

Ignorò Lambo e si concentrò su Luce ed Aria, sedute sul divanetto offerto loro dai Vongola, mentre lui stava in piedi dietro madre e figlia, all'erta nel caso in cui qualunque cosa potesse attentare alla vita delle due. Non conoscendo questi Vongola del passato, ogni distrazione poteva essere fatale.

C'erano il Nono e Iemitsu, i correnti Guardiani dei Vongola, ed un uomo che Hayato aveva visto solo attraverso vecchie foto che Timoteo aveva mostrato qualche volta al Decimo, e in qualche ritratto che decorava le pareti di Villa Vongola.

Enrico II Vongola. Primo figlio di Timoteo Vongola, attuale successore alla posizione di Decimo Boss.

Divisi da un tavolino in legno massello color mogano, circondati dal piacevole aroma di caffè che aleggiava nell'aria, Luce e Timoteo si scambiavano i soliti convenevoli che avrebbero poi aperto la vera discussione, i rispettivi figli seduti accanto.

«Ora che ci siamo tutti, direi che possiamo iniziare a parlare del motivo per cui questo incontro è stato fissato.»

Hayato non comprese il senso delle parole di Luce -nessuno tranne il Nono sembrava averlo capito- fino a quando la voce di Reborn non lo colse di sorpresa, ma fu abbastanza abile da nascondere l'incredulità e la meraviglia. Enrico e Iemitsu non furono altrettanto bravi.

Dopo anni vissuti con la presenza incostante di Reborn alla villa, erano diventati piuttosto bravi a nascondere i propri pensieri al piccolo Hitman, nascondendo dietro una maschera di indifferenza anche la più piccola emozione -in caso contrario le conseguenze non sarebbero state piacevoli, avevano imparato in fretta solo per riuscire a sopravvivere alle altrimenti ingestibili punizioni dell'ex-Arcobaleno.

«Chaossu.» con in mano una tazzina fumante di caffè rubato da qualche vassoio, Reborn strinse il bordo del fedora tra due dita, salutando con rispetto i due Boss e concentrandosi sulla bevanda calda che stringeva tra le mani. Era leggermente cresciuto rispetto all'ultima volta, e Hayato non poteva che esserne contento, ma anche per questo era certo che non sarebbe uscito indenne da quell'incontro una volta che tutte le carte in tavola fossero state scoperte. C'era più di una questione di cui discutere.

«Dunque Don Giglio Nero, se non ricordo male avete avanzato una richiesta piuttosto inattesa.»

Annuendo, Luce finì di sorseggiare il caffè macchiato che stringeva tra le dita. Appoggiò la tazzina vuota sul piattino, guardando il Nono seria e composta, un vero Boss pronto a tutto pur di ottenere quel che vuole.

«Esatto. È una decisione su cui non intendo tirarmi indietro, ma ho pensato fosse corretto parlarne prima con voi, Don Vongola, poiché anche voi, come me, traete benefici dalla vostra amicizia con Reborn.» lanciò un'occhiata veloce all'hitman prima di continuare.«Io voglio che Reborn diventi il mio Sole.»

“Voglio”, non “vorrei”. Non avrebbe accettato alcun rifiuto.

Kfufufu davvero interessante questa donna.

Timoteo socchiuse gli occhi, lisciandosi i baffi e inspirando profondamente e ponderando sulla richiesta di Luce, mentre alle sue spalle lo sconcerto era palese sui volti dei Guardiani e di Iemitsu, i quali dovevano essere stati tenuto allo scuro di tutto fin dal principio.

Una scelta saggia.

«Una volta sciolta la maledizione, gli Arcobaleno non hanno più alcun obbligo gli uni verso gli altri, tuttavia ciò non significa che tra me e loro vi sia mancanza di armonia.» continuò Luce, non curandosi dello sguardo con cui i Guardiani dei Vongola la stavano studiando.«Sin da subito ho sentito il legame con Reborn, la sintonia che c'è tra le nostre Fiamme. Soltanto lui può essere il mio Sole, non c'è nessun altro con cui potrei e vorrei armonizzare.»

«Capisco il tuo sentimento, Luce.» aveva risposto Timoteo, abbandonando ogni formalità e fissando la donna con gentile apprensione, senza però perdere l'aura da Boss che lo avvolgeva.«Però vedi, Reborn è un mio caro amico, ed un alleato indispensabile dei Vongola, quello che tu chiedi potrebbe finire per spezzare il delicato equilibrio di pace che c'è tra le nostre Famiglie, mi capisci?»

Hayato trattenne un ringhio, stringendo la presa sulla fodera di Shigure Kintoki e assottigliando lo sguardo. Era una velata minaccia, mascherata dal tono pacato e amichevole con cui Timoteo le si era rivolto.

«Non è di certo questa la mia intenzione, non voglio che Reborn si unisca alla Famiglia Giglio Nero, né che in caso dovesse avvenire un conflitto tra le nostre Famiglie lui si schierasse al mio fianco incondizionatamente. Tutto ciò che voglio è soddisfare il mio bisogno del legame, di sentire le sue Fiamme parte del mio Cielo.»

Non c'era molto che Timoteo potesse dire o fare, perché anche lui sapeva bene quanto forte fosse il richiamo tra un Cielo ed un elemento a lui affine. Hayato arrivò alla conclusione che l'anziano stesse solo cercando un modo per tutelarsi, per assicurarsi di non perdere l'appoggio del più forte tra gli ex-Arcobaleno.

«Inoltre, se Reborn diventasse un mio Elemento, ciò gioverebbe non poco alla nostra alleanza. Voi potreste continuare ad usufruire dei suoi servigi come se nulla fosse cambiato, assieme alla mia gratitudine e ai miei favori, mentre io avrò il legame che desidero.»

Vide il Nono stringersi il mento tra le dita, ponderando i pro e i contro che l'accettare o rifiutare quella proposta avrebbe comportato, ma ormai anche Hayato era sicuro che non vi fosse alcuna ragione per cui rifiutare. I rapporti con Reborn invariati ed un debito da Luce Giglio Nero, per non parlare dei legami benefici che il rafforzamento dell'alleanza tra le due Famiglie più antiche della mafia avrebbe portato ad entrambe.

Se non era un folle -cosa di cui non erano pienamente certi- non si sarebbe lasciato scappare una così ghiotta occasione.

Ho voglia di mordere quel tipo a morte.

«D'accordo. Se mi assicuri che i rapporti tra Reborn e i Vongola non subiranno alcun danno dalla vostra armonizzazione, non ho nulla in contrario.» si voltò verso l'hitman che per tutto il tempo aveva taciuto, nascondendo lo sguardo sotto il fedora nero.«Tu che ne pensi, amico mio?»

Reborn accarezzò la testa di Leon -il camaleonte muta-forma si era appollaiato sulla spalla del bambino, giocherellando con Cosmo che gli si era curiosamente avvicinato- ghignando appena e guardando il nono con uno strano scintillio negli occhi scuri.

«Sarà interessante avere un Cielo.» era tutto ciò che serviva per mettere in chiaro la sua posizione in merito alla discussione.

Sentendo la tensione sciogliersi nelle Fiamme di Luce -si erano disperatamente aggrappate alle sue poco dopo che aveva iniziato la conversazione, cercando conforto che solo un Elemento può dare- Hayato la vide distendere i muscoli delle spalle e sorridere, respirando senza più trattenere l'aria per l'ansia e la paura.

«Grazie Timoteo, te ne sono davvero grata.»

Timoteo sorrise -falso, manipolatore, il sorriso di un Boss che non si fa scrupoli pur di proteggere i propri interessi- annuendo con la testa e ringraziando a sua volta, per cosa però, Hayato non ne era sicuro.

Ma almeno un problema era risolto, ora non restava che lanciare l'ennesima bomba, aspettare che esplodesse e pregare di non restarne troppo coinvolti.

Tossì, attirando l'attenzione del proprio Boss e dei restati presenti nella stanza. Sentì lo sguardo penetrante di Reborn trapassarlo da parte a parte -era... gelosia? No, impossibile, per quale ragione Reborn dovrebbe essere geloso di lui?- ma non se ne curò.

«Luce-sama, credo sia saggio parlare con i Vongola e Reborn-san di... quella questione.»

Sperando che il bimbo non ci uccida prima ahahahah!

Il Boss Giglio Nero sembrò rabbuiarsi -probabilmente nemmeno lei sapeva come affrontare la questione- ma scacciò ogni pensiero negativo, sorridendo incoraggiante come solo lei sapeva fare.

«Giusto, hai perfettamente ragione Hayato.» si voltò verso il Nono e Reborn, che stavolta sembravano sperduti quanto il resto degli occupanti della sala.

«Ieri abbiamo ricevuto... una visita inaspettata, ed un regalo.» si voltò verso di lui, facendogli un lieve sorriso ed un cenno col capo.«Mostraglieli Hayato.»

«Subito, Luce-sama.»

Da una tasca nascosta della giacca -sulla sinistra, lontana da quella in cui conservava i Mare Ring- estrasse una scatola rettangolare nera, che portò all'attenzione dei presenti, esitando poi un secondo ad aprirla.

Puoi farcela, Tempesta-san.

Ringraziò mentalmente Chrome, prese un profondo respiro e l'aprì -per favore, fa che nessun proiettile perfori la fronte- mostrando ai presenti il contenuto della scatola.

La temperatura nella stanza calò, l'aura omicida di Reborn diventò quasi insopportabile -proiettile in arrivo nei prossimi tre secondi- mentre Hayato cercava di mostrarsi quanto più calmo e fermo possibile. Difficile, ma dopo anni di allenamento con lo stesso hitman, non era impossibile.

Distesi su un velluto azzurro, a poca distanza l'uno dall'altro, sette ciucciotti brillavano dei colori delle Fiamme, lucenti come il giorno in cui -probabilmente, non poteva esserne sicuro- gli Arcobaleno li avevano ricevuti la prima volta.

«Che significa tutto questo?» fu Reborn a parlare, ma era la domanda che anche Vongola Nono, Iemitsu ed il resto dei presenti si erano posti appena avevano potuto vedere i ciucciotti nella scatola.

Con naturalezza, Luce si tolse il fiocco rosa che aveva avvolto attorno al collo, nascosto con cura sotto la camicia, rivelando la presenza di un ottavo ciucciotto, arancione e pregno di purissime Fiamme del Cielo.

Hayato non poteva esserne sicuro, ma giurò di aver visto il mondo crollare negli occhi di Reborn.

Luce si voltò a guardarlo con un sorriso, prendendo dall'astuccio il ciucciotto giallo e porgendolo all'hitman, che indietreggiò. Se fosse stato qualcun altro -chiunque altro- Hayato avrebbe osato dire che sembrava quasi spaventato dalla sola vista di quel piccolo oggetto, ma essendo di Reborn che si stava parlando, non osò nemmeno pensarlo.

Pfff Reborn è spaventato da un ciucciotto!

Lambo invece non si faceva scrupoli.

«Chakerface si è presentato alla mia villa con questi, chiedendomi di esserne la portatrice.» iniziò a spiegare. Reborn non la lasciò continuare.

«E tu hai accettato?»

Sembrava sinceramente irritato, e Timoteo pareva dello stesso avviso.«Ti eri appena liberata della maledizione Luce, perché fare una cosa del genere?»

Un suono secco, stizzito, furioso uscì dalle labbra di Reborn. Male, molto male.

«Quel bastardo... lo troverò. Giuro che quando lo troverò gli pianterò un proiettile dritto nel...»

«Non sono maledetta.» quella frase fu in grado di far calare il silenzio nella sala.

Aria si schiacciò contro la madre, stringendo Cosmo tra le braccia e cercando conforto in quella situazione così tesa da metterla a dura prova: era solo una bambina dopotutto, sopportare così tanta pressione non doveva essere facile alla sua età.

«...cosa?»

«È così, questi oggetti non sono più maledetti.» sorrise, osservando il flusso arancione che scorreva tra le pareti in vetro del ciuccio.«Tuttavia, stando a quanto detto da Chakerface, restano comunque delle reliquie pericolose, hanno bisogno di essere contenute, o il loro potere potrebbe distruggere una città intera.»

Posò lo sguardo su Reborn portandogli serenità con un solo sorriso, rassicurandolo che tutto andava bene e che il periodo della loro maledizione era finito per sempre.

«Cosa vuole farti fare quel bastardo?»

«Semplicemente vuole che i ciucciotti tornino al loro posto, al collo di coloro che sapranno come controllarne il potere.» porse di nuovo l'oggetto a Reborn, il ciucciotto giallo del Sole.«Vuole che diventiamo i Custodi dei Ciucciotti.»

   
 
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