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Autore: Nao Yoshikawa    18/10/2018    1 recensioni
Esistono tanti tipi di famiglia.
E ognuno cerca la propria a modo suo.
Takumi e Soma, Kuga e Tsukasa, Megumi e Shinomiya, Ryou e Akira, sono coppie tra loro diverse, ma accomunati da un desiderio comune: quello di costruirsi una famiglia.
Ma tra problemi, malintesi e situazioni avverse, le cose non saranno per niente facili.
TRATTO DAL SECONDO CAPITOLO:
Tsukasa si portò una mano sul viso. Per quale assurdo motivo in natura aveva permesso a Kuga di prendere la situazione in mano?
“Kuga… abbassa la voce”.
Terunori però gli fece segno di tacere.
“Se ho detto che le pago vuol dire che le pagherò. Cosa pensate che siamo noi, dei barbari? E’ solo un piccolo ritardo, può capitare, amico. Ah, sì? E lo sai io cosa ti rispondo, vaffa...”
“No, no, no!”, Tsukasa gli strappò prontamente il telefono dalle mani. “Pronto? Sì, chiedo scusa, mio marito è un po’ nervoso. Certo, ma certo, assolutamente, non si preoccupi. Grazie, mille grazie. Buona giornata”.
Chiuse la chiamata. Poi sospirò e guardò Kuga, il quale se ne stava imbronciato.
“Terunori, ti prego, per favore… potresti evitare di litigare con ogni essere vivente e non?”
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Kuga Terunori, Souma Yukihira, Takumi Aldini, Tsukasa Eishi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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22 - Fortuna e pioggia notturna

 

Megumi sospirò profondamente per cercare di immagazzinare più aria possibile nei polmoni. Aveva letto tanto, si era informata, era andata tre volte a settimana al corso pre-parto, oramai avrebbe dovuto essere un’esperta.

Affronterò tutto con calma e tranquillità, si era detta.

Aveva fatto di tutto per cercare di avere un figlio, ma adesso l’unico desiderio che aveva era quello di castrare la povera anima di Shinomiya.

“La colpa è tua, la colpa è tua!”, esclamò. “La colpa è tutta tua!”

“Colpa mia?”, domandò lui mentre le stringeva la mano. “Sei stata tu che ti sei fatta ingravidare a tradimento”

“Kojiro, sta zitto!”, in quel momento Megumi stava tirando fuori la parte peggiore di sé. La sua indole dolce e pacata sembrava scomparsa, e aveva appena fatto posto ad un demone con tanto di corna e zoccoli. “Tu non puoi capire quanto sto soffrendo! Sei inutile in questo momento!”

“E adesso sono anche inutile, bene. Devo andarmene?”

“Come ti viene in mente una cosa del genere? Tu devi rimanere qui con…. Ah!”, un’altra contrazione la zittì e la portò a stringere con ancora più forza la sua mano.

Quella ragazza era piccina ma forzuta.

“D’accordo, niente panico, eh?”, domandò gentilmente un’infermiera, nella speranza di non ricevere qualche brutta risposta.”Se te la senti, puoi cominciare a spingere, oramai ci siamo. Sei fortunata, non hai avuto un travaglio poi così lungo”.

Megumi scosse il capo con dissenso. Non si sentiva affatto fortunata, e come se non bastasse aveva paura del dolore, paura di non farcela. Dopotutto, era sempre stata così fragile.

“Kojiro, non ce la faccio”, biascicò.

“Eh? Che significa che non ce la fai! Hai aspettato questo momento per mesi!”

“Lo so, ma adesso sto iniziando ad avere paura. Dopotutto lo sai anche tu, non sono poi così forte”.

Shinomiya divenne serio e delicatamente le sfiorò il viso, costringendola a guardarlo.

“E tu non saresti forte? Diciamo che me lo hai dimostrato anche abbastanza bene quando eri poco più che una ragazzina quindicenne ed io ero il tuo insegnante”

“Eh… effettivamente mi chiedo come abbia fatto a conquistarti”, rispose sorridendo imbarazzata.

“Te lo dico io come. Proprio per la tua dolcezza e la tua bontà d’animo che nascondono una tenacia e una forza che assai raramente ho visto. Te l’ho già ripetuto un milione di volta, ma… mi dispiace. Con te mi sono comportato in maniera pessima, tutto ciò perché avevo paura. Vedi? Probabilmente sei anche più forte di me sotto certi aspetti. Non intendo lasciarti sola in questo momento, né mai. Sono testardo e mi ci è voluto un pezzo per capirlo ma… tutto quello che voglio è proteggere te e la famiglia che mi stai dando”.

A Megumi vennero gli occhi lucidi. Per un breve istante il dolore era scomparso e tutto ciò che aveva sentito era stata gioa scoppiarle nel petto.

“Oh… Kojiro. Io non ho mai avuti dubbi su questo. Ti amo tanto, lo sai”

“Ti amo anche io”, le sussurrò, baciandola in fronte. Probabilmente non glielo diceva abbastanza. Aveva sbagliato tanto volte, ma forse quello poteva essere il momento anche per lui per rinascere.

“Emh, emh”, l’infermiera si schiarì la voce. “Scusate… possiamo procedere?”.

Megumi annuì.

“Sì… farò del mio meglio”.

 

“Sto iniziando a essere preoccupato”, Tsukasa si dondolava nervosamente sulla sedia.

“Perché ci mette tanto? E se qualcosa va storto? Kuga, dimmi qualcosa”

“Che devo dirti? Anche se ci provo, è tutto inutile”.

Terunori stava seduto tra lui ed Eizan, quest’ultimo era stranamente silenzioso, forse era preoccupato?

“Ah”, borbottò. “Non temere, Rindou è forte, ce la farà. Avete scelto bene, vostro figlio avrà la testardaggine nei geni”

“Già”, Kuga gonfiò le guance, si sentiva evidentemente un po’ a disagio. “Comunque… sì… insomma… beh, grazie per aver accettato la cosa, alla fine! Non è da tutti”

“Non è che avessi molta altra scelta. Io amo Rindou. Quindi va bene”

“Sì, lo so che la ami. Sei sempre stato un bastardo, ma l’amore ti fa bene, ti ha reso più umano”

“Oh, grazie”, alzò gli occhi al cielo. “Andremo d’accordo anche dopo che il bambino sarà nato?”.

Kuga fece spallucce.

“Spero di sì, perché sarai costretto a sopportarmi per il resto dei tuoi giorni”.

Eizan fece una smorfia. Quella sembrava tanto una minaccia.

Di fronte a loro tirava un’aria decisamente più tesa, poiché Isshiki entusiasta a causa della notizia ricevuta poco prima, stava frastornando Soma e Takumi con le sue chiacchiere.

“Ma vi rendete conto? Diventerò padre, io!”

“Effettivamente non so se la cosa mi spaventa o no”, commentò il biondo, stanco. Guardò l’orologio: quasi le due di notte, e loro erano lì, attendevano. Kou stava in braccio a lui, Hajime dormiva in braccio a Soma, il quale era a sua volta ad un passo dal crollare addormentato.

“Ammetto che la cosa mi lascia un po’ turbato”, Isshiki sembrava pensieroso. “Però non ha importanza, tutto ciò a cui devo pensare è la mia Nenenuccia, non è bellissima?”.

La ragazza lo sentì e gli rivolse un sorriso, mentre si ritrovava a parlare, incredibilmente, con il piccolo Yukio.

“Ci saranno tanti bambini tra un po’ di tempo”, costatò. “Ma… ma da dove vengono i bambini?”.

Nene spalancò gli occhi. Perchè proprio a lei?

“La questione è un po’ complicata. I bambini possono arrivare in tanti e modi e per motivi diversi. Tutto quello che devi sapere è che portano comunque una felicità immensa”, rispose spontaneamente, non ci aveva neanche pensato.

Yukio sembrò soddisfatto della risposta.

“Mi piace questa cosa. Sarai una brava mamma, tu hai gli occhi buoni, come Megumi”.

Quell’affermazione così genuina e sincera per poco non la commosse. Non si era mai vista troppo bene in certi panni, ma ora stava iniziando a ricredersi. Sollevò lo sguardo e osservò Ryou con la testa poggiata alla spalla di Hayama, entrambi dormivano indisturbati.

Quei due erano in debito con lei, aveva evitato loro un momento molto imbarazzante!

 

Ancora una volta, Megumi sopportò con pazienza il dolore. Non era qualcosa che si poteva sopportare o evitare, ma sapere di avere accanto la persona che amava e che la sosteneva era già di grande conforto. E per Shinomiya era strano vedere la ragazza che amava soffrire, senza poter fare nulla, se non rimanere lì con lei per quanto possibile. Doveva ammettere di essere nervoso, impaurito, ma quello non era certo il momento per farsi prendere dal panico.

La mano di lei si strinse ancora più forte a quella di lui.

“Coraggio, stai andando benissimo”, la tranquillizzò. Megumi non rispose, troppo concentrata sul respiro. Arrivata ad un certo punto, sentì il bisogno di spingere, ancora più delle altre volte. Chiuse gli occhi e non poté fare a meno di cacciare fuori un urlo e farsi uscire le lacrime, a causa del dolore che aveva raggiunto il suo apice.

E qualche secondo dopo il nulla. Il dolore era passato ed era stata svuotata da ciò che da mesi si portava dentro. Fu soltanto il suono di un vagito che la portò istintivamente ad aprire gli occhi.

“Congratulazioni!”, sentì dire dall’infermiera. “È un maschietto, e sembra forte e in salute!”.

La giovane donna ora posava il piccolo sul seno della madre, la quale era rimasta per qualche istante immobile, con le lacrime agli occhi, a contemplare il piccolo esserino che lei, che loro, avevano messo al mondo.

È qui”, riuscì a mormorare. “Benvenuto al mondo, piccolo. Kojiro…?”.

Quest’ultimo non aveva ancora detto una parola. Dopotutto, in quei casi cosa si poteva dire? Non riuscire a capacitarsi che quel bambino, che all’inizio non aveva voluto, che lo aveva fatto andare nel panico più totale e che aveva sentito scalciare, ora fosse lì.

“Kojiro, ma piangi? Ti sei commosso?”, chiese Megumi.

In realtà non se ne accorse neanche, ma effettivamente una lacrima traditrice aveva lasciato i suoi occhi. Si tolse gli occhi appannati per pulirli.

“Io non piango mai, né mi commuovo!”, chiarì. “Ma immagino che in questo caso…. Vada anche bene così, eh?”.

La ragazza sorrise radiosa, la felicità più totale in volto. Possibile che si stesse nuovamente innamorando di lei, in quel momento?

La strinse delicatamente a sé, sussurrandole:

“Sono fiero di te”

“Sono io ad essere fiera di te”, sussurrò, adesso la stanchezza stava iniziando un po’ a farsi sentire. “Su! Presentati a tuo figlio”.

Il piccolo sembrava impegnato nella ricerca del seno materno, doveva aver fame.

Un po’ a disagio – quel bambino sembrava così piccolo e fragile - accarezzò la sua testolina dai pochi capelli, scuri esattamente come quelli della madre. Effettivamente le somigliava molto.

“Amh… benvenuto”, disse un po’ incerto. “Io non sono molto bravo con queste cose, ma… sono molto felice che tu sia qui. Inizialmente non sono stato proprio un padre, esemplare, eh? Ma adesso che ci sei… prometto di esserci, sempre. Farò del mio meglio e potrai sempre contare su di me”.

Gli aveva sfiorato una manina e quest’ultima si era stretta al suo dito. Se non si fosse trattenuta, probabilmente sarebbe scoppiata di nuovo a piangere. Finalmente aveva tutto quello che aveva sempre sognato.

“Che ne pensi di presentarlo agli altri?”

 

Era calato il silenzio, probabilmente perché il sonno stava iniziando a farsi sentire. L’unico vigile era Tsukasa, perché niente, proprio niente avrebbe potuto distrarlo. Da cosa, poi, non era dato saperlo.

Takumi, accoccolato a Soma, fu il primo ad aprire gli occhi quando sentì dei passi: Shinomiya era uscito dalla stanza d’ospedale, aveva tra le braccia un fagotto avvolto in una coperta azzurra.

“Oh, mio Dio!”, diede una gomitata al marito. “Soma, sveglia!”

“Dove? Cosa?!”.

Il lieve baccano bastò a far svegliare gli altri. Yukio si strofinò gli occhi, mettendo a fuoco l’immagine davanti a sé.

È nato il bambino?!”, esclamò contento. “È maschio o femmina?”

È un maschio. Ragazzi… vi presento Kichiro*”

“Ma è… carinissimo!”, Kuga era già andato in brodo di giuggiole. “Che viso adorabile! Lo sai, non sembra che ti somigli, questo è un bene”

“Non sei spiritoso per niente. Allora… fa strano vedermi così?”

“Umh”, fece Soma pensieroso. “Fa molto strano, però… sai che alla fine ti ci vedo anche bene?”.

Yukio annuì.

“Adesso non fai più paura! Sei più tenero!”.

Tenero. Che aggettivo curioso, non era certo fosse quello giusto. La sua autorità era già andata a farsi friggere nell’olio bollente? Probabile, ma oramai non aveva importanza.

Adesso che Kichiro era lì, con loro, certamente sapeva cosa fare e come comportarsi.

Adesso erano tutti svegli. Il bambino reclamava il latte materno, quindi Shinomiya lo aveva riportato a Megumi.

Kuga si strofinò le mani, sospirando.

“E anche il bambino di Shinomiya e Megumi è arrivato. Manchiamo solo noi, però almeno nasceranno la stessa notte, mi piace questa cosa”

“Già...”, Tsukasa guardò l’orologio che teneva al polso.

“Le tre e mezza… è passato un po’, non credi?”.

Terunori fece spallucce. Si sentiva così stanco e la mente era così poco lucida, che anche se avesse voluto non avrebbe potuto provare paura. Era semplicemente impaziente.

Anche i gemelli si erano adesso svegliati. Kou, per la precisione, aveva voglia di camminare, quindi Takumi era stato costretto ad afferrarle le mani e a guidarla. La bambina si fermò soltanto quando si ritrovò davanti la vetrata trasparente che dava sull’esterno. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione.

“Che c’è, piccola?”, domandò lui. Poi sollevò lo sguardo e la vide: aveva iniziato a piovere. Una pioggia notturna e inaspettata.

Cullato dal dolce suono di quest’ultima, Kuga stava per addormentarsi di nuovo, se non fosse stato per un evento particolare: le porte che parecchio – o almeno a loro parve parecchio – tempo prima si erano chiuse, adesso si erano riaperte.

“Signori Kuga e Tsukasa?”, domandò gentilmente un’infermiera.

Eishi fu il primo a sollevare lo sguardo. Temeva di sentirsi dare una brutta notizia, ma gli bastò poco per capire e per posare gli occhi un po’ più in basso.

“Ma… è… è...”.

Kuga si alzò e con il cuore che batteva forte in petto si avvicinò. Si sentì istantaneamente meglio nel vedere il piccolo fagotto che riposava in braccio all’infermiera.

“Sta bene!”, esclamò. “È qui!”

È una bambina. E sì, sta decisamente bene. Il problema che aveva al cuore non è scomparso, bisognerà tenerlo d’occhio, ma penso proprio che se la caverà. Vuole prenderla in braccio?”.

In verità Kuga era completamente zittito. Anche volendo non sarebbe riuscito a dire una parola. Allungò semplicemente le braccia, con gli occhi lucidi. Fu una sensazione strana, nuova e meravigliosa, tenere per la prima volta vicino a sé la loro bambina.

“Kuga?”, lo chiamò Tsukasa con voce spezzata. Lui si voltò a guardarlo. Era stato bravo a mantenere il controllo delle sue emozioni, ma adesso poteva anche lasciarsi andare.

Eishi vide le lacrime solcargli le guance e quasi d’istinto si avvicinò e lo strinse delicatamente a sé. Poi posò lo sguardo sulla bambina, era perfetta.

“No, non ci credo...”, sussurrò attonito.

“Tsukassan, ce l’abbiamo fatta! Abbiamo una bambina, abbiamo una famiglia. Io… era esattamente questo ciò che volevo per noi. Da sempre”, confidò. A Tsukasa venne da sorridere, e con la stessa delicatezza di poco prima gli afferrò il viso tra le mani, baciandolo.

“Non credevo si potesse provare una felicità così grande”, commentò.

“Ehi, ragazzi!”, Eizan li aveva raggiunti. “Cosa…? Ma… ma…”.

Kuga annuì, sorridendo.

“Eizan… ti ringrazio per tutto”

“Eh? Ringrazi me? Per cosa?”

“Per esserti preso cura di Rindou”.

Era sconvolto. Ma Kuga era sincero, poteva capirlo semplicemente guardarlo. Si limitò ad annuire. Quei tre sarebbero stati proprio una bella famiglia.

Tsukasa intanto aveva preso ad accarezzare la testa di sua figlia, notando i pochi capelli di un certo colore rossiccio. E poi la vide aprire gli occhi, ancora dal colore indefinito”

“Ciao. Benvenuta al mondo… Kuga, ancora non abbiamo deciso come chiamarla?”, domandò ciò nella speranza che suo marito volesse dare un nome quantomeno decente alla loro piccola.

Terunori ci pensò su. E gli bastò guardare fuori dalla finestra per emettere il suo verdetto.

“Amaya**. Lei si chiamerà Amaya. Amaya Lionne”, proclamò infine.

Testardo fino alla fine.

“Amaya, eh?”, sussurrò Eishi. “Sì, penso sia perfetto. Benvenuta, Amaya”.

“Ehi, ehi!”, Soma adesso sembrava sveglio e vispo. “Dunque? Non ci presentate la nuova arrivata?”

“Certo che sì!”, dopo la commozione iniziale, Kuga stava lasciando posto all’orgoglio più intenso. “Eccola, guardatela. Non è bellissima?”

“Sì, lo è davvero”, aggiunse Takumi. “Sono certa che lei e i gemelli diventeranno buoni amici”

“Di più!”, rispose Soma. “Lei si fidanzerà con Hajime un giorno”

“Scusami?”, domandò Tsukasa.

“Cosa? L’avevo detto io, pensavi scherzassi?”

“Ma per favore, smettila!”.

Robe da matti. Sua figlia era al mondo da soli cinque minuti e c’era chi già progettava di portargliela via. Sicuramente avrebbero avuto un gran da fare.

E andava bene così.

 

Qualche ora dopo, Amaya dormiva beatamente in braccio ad Eishi. Quest’ultimo si era reso conto di avere un istinto naturale per certe cose. Inoltre, Rindou si era da poco risvegliata, era giusto che anche lei conoscesse la bambina.

“Ah, che dormita!”, esclamò la ragazza, impedita dallo stiracchiarsi a causa dei punti. “Allora? Allora? Mi fate vedere la bambina? Dai, dai!”.

Non molta gente era così su di giri dopo un intervento, ma lei ovviamente era l’eccezione.

Tsukasa si avvicinò a lei.

“L’abbiamo chiamata Amaya”

“Amaya Lionne”, fece eco Kuga.

“No, solo Amaya”, sbuffò. “Non ha nemmeno un giorno e già la metti in imbarazzo”

“Non so di cosa tu stia parlando!”.

Rindou guardava con gli occhi lucidi la piccola.

“Ma… è incredibile”, sussurrò. “Fa strano pensare che era dentro di me e che adesso è qui. Cavolo… sì, abbiamo fatto proprio un bel lavoro, non ci sono dubbi Sono un po’ triste, devo ammetterlo. Siamo state insieme per nove mesi”

“E allora?”, domandò Kuga. “Tu sei pur sempre sua madre, potrai vederla quando vuoi. Coraggio, su, tienila un po’”.

Un po’ impaurita, Rindou avvicinò a sé Amaya. Quest’ultima non protestava, anzi, sembrava trovarsi proprio bene fra le sue braccia.

Fu nel momento in cui Eizan la vide con in braccio la bambina che capì che sì… doveva essere lei la donna della sua vita.

 

Soma si stiracchiò.

“Finalmente è fatta. I bambini sono nati e possiamo tirare un respiro di sollievo. Come direbbe Isshiki… quanta bella gioventù, eh?”

“Sì, come vuoi”, sbuffò Takumi. “Io sono stanco. Tu e i bambini siete così attivi, ma come fate?”

“Su, non fare così. Fra qualche giorno partiremo. Stavo pensando che dopo l’Italia potremmo visitare qualche altro posto”

“Ma i bambini sono ancora così piccoli, non voglio strapazzarli troppo”.

Soma gonfiò le guance.

“Intendevo solo noi due. Sai, no? Tipo una seconda luna di miele. I bambini possono stare con mio padre. Ma immagino che tu non voglia...”

“Non voglio?!”, esclamò lui. “Stai dicendo sul serio? Voglio eccome!”

“Davvero?”

“Certo che sì!”.

Suo marito sorrise.

“Grazie, Takumi”

“Grazie per cosa?”

“Grazie, perché se non avessi avuto te… non avrei avuto niente di tutto ciò”.

L’altro si strinse a lui.

“La stessa cosa vale esattamente per me”.


*Figlio fortunato
**Pioggia notturna

   
 
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